MILANO – L’appuntamento è al Dots, che significa puntini e stasera qui a Milano i puntini sono gli occhi sgranati degli invitati davanti alle ultime bellezze di Colnago. Si festeggiano i 70 anni dell’azienda di Cambiago, ricordati con foto, schede tecniche, la C35 e la nuovissima Steelnovo esposta all’ingresso della sala. In mezzo, fra il brusio di un chiacchierare spensierato e composto, riconosciamo alcuni dei nomi più belli e importanti del ciclismo.
Corridori e imprenditori, manager e giornalisti. C’è tutto il mondo che vuole bene a Colnago e che si è sobbarcato centinaia di chilometri per esserci. Al punto che quando nella sala entra Ernesto, 92 anni portati ottimamente, è come se fosse arrivato il Papa. Abbracci. Strette di mano. E una foto dietro l’altra con il simbolo di un Made in Italy che non si dimentica e non è possibile superare. Al punto che l’ultima nata è una bici in acciaio. Perché il carbonio è performante e veloce, ma forse le vecchie leghe hanno più cuore.
«E’ una grande soddisfazione – dice Nicola Rosin, amministratore delegato – per un brand che ha una storia molto importante, seconda a nessuno, che però adesso è un’azienda proiettata nel futuro con degli oggetti meravigliosi che oggi sono qui in esposizione. Dal punto di vista dell’azienda siamo diventati manageriali come serve, dal punto di vista del prodotto abbiamo lavorato molto sulla desiderabilità ed è un motivo d’orgoglio, perché effettivamente è un valore che oggi ci viene riconosciuto dal nostro pubblico. Siamo molto emozionati.
«Fare oggi una bici in acciaio è anche un momento di rottura. Perché grazie alle vittorie dei campioni, si parla di Colnago in tema di performance, di carbonio e leggerezza. Invece l’acciaio è un materiale straordinario che ci permette di proprio raccontare anche la storia dell’azienda».
La Colnago di Tafi
In fondo alla sala dei modelli indossano la nuova linea di abbigliamento e posano su rialzi identici a quelli riservati alle biciclette. I calici di prosecco iniziano a girare, accompagnati da piccole suggestioni super gustose. Gli invitati si ritrovano in capannelli in cui si racconta di tutto. Andrea Tafi è qui con la moglie Gloria, brindano e lei fa foto in giro. Il toscano su bici Colnago ha centrato le vittorie più belle della sua carriera e non dimentica di ricordarlo.
«La Colnago – sorride – è stata il mio primo grande ciclistico. Mi ha permesso di centrare i miei traguardi più belli e di consacrarmi nell’Olimpo dei campioni. Devo tanto a Ernesto e alla Colnago, che rimarrà sempre nel mio cuore. Penso alla C40, importantissima per la mia carriera. Con la C40 abbiamo vinto tutti, grazie all’inventiva di Ernesto che ha messo su una bicicletta veramente eccezionale. Sbaragliando, come diceva lui, tutti gli altri e andando a vincere sui traguardi più prestigiosi. Davvero, una Colnago è per sempre».
La Colnago di Saronni
Beppe Saronni è stato per anni sinonimo di Colnago. Su queste bici ha vinto e il suo rapporto con il fondatore dell’azienda è stato più volte paragonato a quello di un figlio con suo padre. Ha iniziato vincendo sull’acciaio, ha finito col carbonio, in una storia di vittorie e sfide memorabili. I Giri. Il mondiale. La Sanremo. Il Lombardia. I tricolori. Beppe non ha avuto altre bici all’infuori di queste.
«Io ho avuto la fortuna di avere sempre usato una bici Colnago – sorride – a parte quando da ragazzino comprai la prima usata, che era di una marca sconosciuta. Ho avuto anche la fortuna di vivere il processo di innovazione e lo sviluppo dell’azienda. Ho corso con i telai in acciaio, ma nonostante fossero uguali per tutti, i Master di Ernesto Colnago avevano qualcosa in più.
«Poi sono arrivati l’alluminio e soprattutto il carbonio. Anche lì Ernesto è stato uno dei primi a crederci. Ho vinta la mia ultima corsa, Il Giro di Reggio Calabria nel chilometro più bello d’Italia, con una C35. Una monoscocca in carbonio.
«Ogni tanto ci sentiamo – chiude Saronni – e come al solito sono più le novità che ti dà lui su quelle che gli do io. Lui è così. E io credo che Ernesto sarà sempre il personaggio più importante della Colnago, nonostante ora ci siano dei personaggi e delle persone capaci e qualificate che stanno portando avanti bene il marchio. Non trovo strano che sia cambiata la conduzione dell’azienda, però quel tipo di storia l’ha fatta lui e io credo che tutti dobbiamo dirgli grazie e anche bravo».
Le Colnago del Ghisallo
Antonio Molteni ci racconta le meraviglie del Museo del Ghisallo. C’è passione in ogni sua parola e ci sarebbe da dirgli grazie per la passione con cui tiene viva la sua creatura. Lassù nei giorni scorsi è salita una troupe che ha girato immagini con la nuova bici Colnago e lui ce le mostra nel cellulare, proprio mentre passa a salutarlo Giancarlo Brocci, l’ideatore de L’Eroica. All’angolo c’è anche Cassani, tirato come al solito.
La Colnago di Cassani
«Da ragazzino – ricorda Cassani – mi comprai una Colnago Messico, solo per averla lì. E sempre a causa di una Colnago, ebbi una disputa piuttosto accesa con Giancarlo Ferretti. Successe che nella Sanremo del 1993, quella vinta da Fondriest, noi avevamo ancora i telai Master in acciaio, mentre Maurizio che correva con la Lampre vinse usando la Carbitubo, arrivata da poco.
«Quando arrivai in albergo, vidi Ferretti e gli dissi: “Vedi Ferron, ci chiedi di farci un mazzo così e di essere magri, e poi ci dai una bicicletta che è due chili in più di quella che ha vinto?”. Ferretti se la prese, era furibondo. Disse che sapevamo solo lamentarci, però dopo venti giorni anche a noi arrivò la Carbitubo. Era fantastica, sentivi la differenza».
Il genio dell’Ernesto
Si potrebbe andare avanti per tutta la notte, perché qua chiunque ha un ricordo legato ai primi 70 anni della Colnago. Gli occhi continuano a scrutare fra le mille facce presenti e ne riconoscono ogni volta una diversa. C’è pure Paolo Bellino e verrebbe da chiedergli cosa ne sarà del Giro d’Italia, ma questa è la festa della Colnago e allora prima di andare via, preferiamo dare un altro abbraccio a Ernesto.
«Gli anni passano», dice con un filo di voce nell’orecchio. E poi è tutto uno stare in fila per farsi con lui la foto. In mezzo allo scintillare del nuovo corso, ricordare quando Ernesto regalò una bici a Torriani immergendo il telaio nell’oro o quando fece un accordo con la Ferrari perché gli azzurri potessero volare nella 100 Chilometri alle Olimpiadi di Barcellona, fa tornare ad anni ancora caldi sotto la cenere. Adesso però si va a casa: è stata davvero la degna festa per una sì grande storia. Esserci era un atto dovuto.