Lo scorso anno vi avevamo raccontato di una bella iniziativa realizzata da Bianchi in occasione del Giro d’Italia 2022 (in apertura Roche alla partenza di Budapest). L’ex professionista e ambassador Bianchi Nicolas Roche aveva pedalato sulle strade del Giro. L’irlandese aveva esplorato la cultura e le bellezze attraversate dalla corsa rosa, partendo dall’Ungheria e arrivando in Italia all’interno dell’Arena di Verona.
Il suo viaggio in bicicletta aveva dato vita a “Giro Reflections”, uno short movie in quattro puntate prodotto e realizzato da Bianchi Media House.
Nicolas Roche con il telaio della Bianchi Specialissima dedicata al Giro d’Italia del 2022 (foto Giro Reflections)Nicolas Roche con il telaio della Bianchi Specialissima dedicata al Giro d’Italia del 2022 (foto Giro Reflections)
Arriva un premio
“Giro Reflections” ha recentemente ricevuto il premio W3 Awards da una giuria internazionale nella categoria General Video-Sports per l’originalità dell’idea e la visione del progetto.
Il W3 Awards è uno dei riconoscimenti assegnati dall’AIVA (Academy of Interactive & Visual Art) a chi si è contraddistinto durante l’anno per campagne di marketing, progettazione di siti web all’avanguardia, video e podcasts. Bianchi, insieme all’agenzia creativa Zampediverse, ha vinto il premio d’oro per Giro “Reflections” nella categoria General Video-Sports.
Orgoglio Bianchi
L’aver ottenuto un premio prestigioso come il W3 Awards è stato accolto con grande gioia, ma soprattutto orgoglio, in casa Bianchi. A testimoniarlo è Claudio Masnata, Marketing and Communication Manager di Bianchi.
«Siamo orgogliosi di questo prestigioso riconoscimento – commenta – che premia un grande team di lavoro ed un’idea innovativa di raccontare il brand, avvicinandolo sempre di più ad un pubblico internazionale e composto non solo da ciclisti, grazie alla creazione della Bianchi Media House. Il nostro marchio va oltre il mondo del ciclismo. Possiede tutte le caratteristiche per affermarsi come un lifestyle brand, motivo di ispirazione e di passione per milioni di persone».
Nicholas Roche, protagonista della serie “Giro Reflections”Nicholas Roche, protagonista della serie “Giro Reflections”
Qualche numero
Per i più curiosi segnaliamo qualche numero fatto registrare da “Giro Reflections”. Le quattro puntate sono state girate in 8K grazie a 3 telecamere RED V-Raptor. Sono state realizzatepiù di 50 ore di girato, con l’utilizzo di un drone, una barca e tre veicoli. Si sono percorsi 2.000 chilometri. Le persone coinvolte sono state complessivamente 17 sul fronte del marketing. Ben 5 le guide turistiche che hanno accompagnato Nicolas Roche nel suo lungo viaggio sulle strade del Giro.
Per chi fosse interessato a vederli per la prima volta o a rivederli, segnaliamo che gli episodi di “Giro Reflections” sono disponibili on-demand sul canale YouTube di Bianchi.
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Dopo un anno dal ritiro, Daniel Martin ha mandato alle stampe un libro dal titolo emblematico: “All’inseguimento del panda”. Il riferimento è alla Liegi del 2013, quando l’irlandese fu inseguito da un tifoso mascherato da Panda mentre era in fuga con “Purito” Rodriguez (foto di apertura).
«Vedere la parola panda nel titolo di un libro di ciclismo – ha raccontato a The Guardian al momento del lancio – se non conosci la storia, ti intriga e ti interroga. Questo trascrive lo spirito del libro, che vuole essere più leggero della maggior parte delle autobiografie che siamo abituati a vedere. Avrei voluto disegnare io un panda per la copertina, ma l’editore ha rifiutato. Temeva che sarebbe stato scambiato per un libro per bambini. Non so chi ci fosse sotto quel costume. Mi ha sempre sorpreso che nessuno mi abbia mai contattato».
Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e IsraelMartin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel
Bisogno del cielo
Martin non è mai stato bellissimo in bici, ma era un grande attaccante. Ha vinto la Liegi, il Lombardia, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Suo zio è Stephen Roche, padre di suo cugino Nicholas. La sua carriera è stata anche una ripicca contro David Brailsford che non lo volle nell’allora Team Sky, quando Dan gli disse che non aveva alcuna intenzione di lasciare la strada per la pista, come ad esempio avevano accettato di fare il suo coetaneo Geraint Thomas e Wiggins prima di lui.
«Avevo bisogno del cielo – racconta – volevo sentire la pioggia e il sole sulla pelle. Volevo vedere le sagome degli alberi. Ho sempre corso per divertimento. Se ho bisogno di vivere come un monaco per essere un buon ciclista, non voglio farlo. Forse se fossi andato a Tenerife e avessi vissuto sul Teide per tre settimane prima del Tour, ogni anno sarei stato un po’ meglio. Oppure non sarei ancora innamorato del ciclismo».
Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioniVuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni
Una cosa normale
Il primo colpo di martello sul cuneo che alla fine del viaggio aprirà una breccia sul ciclismo estenuante di questi tempi, ma senza puntare il dito. Si è liberi di stare al gioco o si può accettare di viverlo diversamente.
«Mio padre Neil – spiega – era un ciclista professionista. Mio zio Stephen l’ho visto più volte tagliare il tacchino che vincere corse. Quindi sono stato educato sul fatto che essere corridori non è sovrumano, è semplicemente normale. Anche se nel 2005 ero giovanissimo e lottavo per rimanere attaccato al gruppo, sapevo comunque che prima o poi sarei finito al Tour. Sin da quando ho iniziato a correre a 14 anni, mi fu detto che avevo qualcosa di speciale. Non fu facile vincere una tappa nel 2013, Sky sembrava inespugnabile. Ugualmente capii perché non ho mai voluto farne parte. Perché io amavo soprattutto lo stile offensivo delle corse».
Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibileNel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile
Tattiche e vita
Un fatto di stile di corsa, ma anche di modello di vita. Tuttavia, ogni volta che ha parlato dei colleghi dello squadrone britannico, lo ha fatto con grande rispetto, pur rimarcando la distanza.
«Non sarei potuto diventare come loro – spiega – ugualmente penso che Thomas sia uno degli uomini più duri che abbia mai incontrato. Il sacrificio a cui si è sottoposto per sei mesi prima di vincere il Tour è incredibile. Io ero dotato fisicamente, ma avevo la capacità mentale di affrontare quel sacrificio? Non lo so. Geraint e anche Froome sono andati ben oltre le loro capacità fisiche, grazie alla capacità di essere incredibilmente concentrati».
Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di BergamoNel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo
Margini ristretti
Si può fare senza, ma dal momento che certe abitudini hanno invaso il gruppo e si sono estese a tutte le fasce di corridori, a un certo punto Martin si è sentito fuori posto.
«Ecco perché l’anno scorso ho smesso di correre – racconta – perché lo sport stava diventando troppo controllato. Avevo perso il vantaggio dell’imprevedibilità, perché ora a ogni ciclista viene detto esattamente cosa stanno facendo gli altri e le metodologie delle squadre si adeguano. Voglio essere in grado di decidere perché, quando e quale allenamento faccio e quali tattiche utilizzare. Il ciclismo che amo è anche libertà di espressione. Ora invece le corse sono piuttosto noiose da guardare, perché nessuno commette più errori. Tutti sono perfetti nell’alimentazione, l’allenamento è perfetto e manca però l’elemento umano. Le corse sono diventate prevedibili».
La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di PogacarLa crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar
La crisi del Granon
Al punto che la crisi di Pogacar sul Granon è stata il vero momento forte del Tour 2022. Merito a Vingegaard, ma soprattutto a Tadej che in qualche modo… se l’è cercata.
«La gente dice che quella tappa è stata la migliore corsa di sempre – spiega – ma è ugualmente merito di Pogacar. E’ la mina vagante che attacca ogni volta che ne ha voglia, mentre il resto della corsa è programmato e controllato. Pogacar torna all’idea del ciclismo romantico, ma allo stesso tempo ha il peso della squadra. E la UAEEmirates si sta già preparando per il futuro, anche se Pogacar ha solo 24 anni. Quindi la questione di quanto potrà durare è già sul tavolo. Normalmente si sarebbe detto che ha davanti altri 10 anni, ma ci sono in arrivo giovani fortisssimi, pronti per sostituirlo alla prima difficoltà. Ho sentito storie di sedicenni che facevano 30 ore di allenamento a settimana. Stanno già lavorando come dei professionisti incalliti».
Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al GiroMartin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro
Come Aru e Dumoulin
Quanto si può durare andando avanti così? Non esiste una regola assoluta. Probabilmentei caratteri meno fragili rischiano di cedere, altri tengono duro e sapremo solo col tempo se le carriere saranno più brevi.
«Dumoulin – dice – ha continuato a correre negli ultimi due anni, ma non era lo stesso. Si è sostanzialmente ritirato due anni fa a 29 anni. Anche Fabio Aru, un talento incredibile, si è ritirato a 30 anni. Questi ragazzi hanno sostenuto questo enorme impegno e sacrificio. Erano giovani corridori fenomenali, ma sono stati schiacciati. Va bene per chi in cambio di questa vita viene pagato con somme pazzesche, come Pogacar. Ma i gregari guadagnano potenzialmente meno di quanto avrebbero preso 10 anni fa, in cambio di sacrifici raddoppiati.
«Guardo le mie foto da neoprofessionista nel 2008. Avevo 22 anni, ne dimostravo 15. Nel ciclismo moderno mi sarebbe stato permesso il tempo per svilupparmi? Sono stato fortunato che una volta fosse possibile andare in bicicletta alle proprie condizioni e con il sorriso sulle labbra».
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Terzo a Stradella, perché alla fine l’ha passato anche Consonni, Nicholas Roche, figlio di Stephen e cugino di Daniel Martin, ha ormai più di un capello bianco ed essendo professionista dal 2005 ne ha anche il diritto. Avete idea di quanti pensieri, fatiche e situazioni si vivono in così tanto tempo? L’altro giorno lo avevamo chiamato in causa per il modo di correre furibondo di questi ultimi anni e per il problema della sicurezza che non dipende solo dai percorsi.
Oggi invece la curiosità verte sul suo strumento di lavoro, la bicicletta (nella foto di apertura al Tour of the Alps). Perché quando in carriera ne hai cambiate così tante, diventi una sorta di tester molto attendibile. E se da una parte è vero che se chiedete a qualsiasi corridore un’opinione sulla propria bici, vi risponderà (ogni anno allo stesso modo) che è la migliore di sempre, leggendo fra le righe è possibile cogliere le sfumature. Perciò, dato che dal 2014 Nico ha pedalato su Specialized, Pinarello, Bmc, Cervélo e ora Scott, ci siamo fatti raccontare qualcosa di più sull’ultima arrivata in casa Team Dsm. Partendo dalla discesa del Giau che, a detta di mezzo gruppo, col gelo e l’acqua ha messo a dura prova i freni di tutti i team.
Questa la Addict di Hindley, poi ritirato, al via del GiroQuesta la Addict di Hindley, poi ritirato, al via del Giro
«Ma per fortuna noi – dice – non abbiamo avuto problemi importanti. Abbiamo frenato tantissimo, ma sempre in sicurezza. Ho sentito i compagni e anche amici di altre squadre. Qualcuno è arrivato al limite».
Quando si cambia la bici, si chiedono informazioni agli amici oppure si prende a scatola chiusa?
Avevo chiesto a Matthews e Trentin, che abitano vicini a Monaco. Non avevo mai corso prima con Scott, ma quando entrambi mi hanno detto che è un’ottima bici per aerodinamica e rigidità, ci sono salito sopra più tranquillo. E devo dire che ho anche trovato subito la posizione.
Bardet ha fatto il record della discesa del Giau con ruote Shimano da 650Bardet ha fatto il record della discesa del Giau con ruote Shimano da 650
Aerodinamica e rigida?
L’anteriore non lo smuovi, è molto preciso. Quando vai full gas con le ruote alte, diventa molto rigida e difficile da guidare. Devi trovare il giusto compromesso, scegliendo le ruote giuste. E devi saperla guidare. Io ad esempio la discesa del Giau l’ho fatta piano, a rischio zero, perché non avevo fretta di arrivare a Cortina. Mi sono fermato in cima, avevo finito il mio lavoro. Mi sono cambiato la maglia. Per me un Giro ben riuscito è un Giro che arriva a Milano. Non sono come i velocisti che vincono una tappa e vanno via. Ma se avessi dovuto fare la discesa del Giau con le ruote alte e a tutto gas, sarebbe stata un bell’impegno. Bardet per questo mi ha preso in giro.
Per cosa?
Perché secondo Strava ha fatto il record della discesa e mi ha dato 2 minuti. Lui ha usato delle ruote Shimano per me fantastiche da 650. Una mezza misura fra l’alto e il medio profilo. Io ero innamorato delle 650 senza dischi, ma ora che le hanno aggiornate, devo dire che sono davvero il top. Ma in squadra ne abbiamo soltanto due paia e le ha solo lui: per la bici da gara e su quella di scorta.
Il carro posteriore è breve e molto reattivo
Avantreno rigidissimo: cruciale la scelta delle ruote giuste
Roche ha riscoperto l’amore per i tubolari Vittoria, discese a rischio zero
Il carro posteriore è breve e molto reattivo
Avantreno rigidissimo: cruciale la scelta delle ruote giuste
Roche ha riscoperto l’amore per i tubolari Vittoria, discese a rischio zero
Con quali gomme state correndo?
Ho riscoperto i tubolari Vittoria. Devo ammettere che negli anni alla Cofidis non li amavo, invece dal 2017 con la Bmc, da quando hanno cambiato tanto anche in azienda, sono diventati un’altra cosa. Un altro mondo rispetto a 12 anni fa.
Hai mai fatto una volata con la Addict?
Sì ed è vero che è una bici che sa fare tutto. Non ho sprintato per vincere, ma al Tour of the Alps ho vinto lo sprint del gruppo a Naturno, alle spalle della fuga. Ha una buona velocità. L’anno scorso avevamo la bici per gli scalatori e la bici per quelli più veloci. In questa devo dire che convivono entrambe le anime e va bene anche per un corridore come me che pesa 70 chili e non 58 come gli scalatori.
Questa la volata di Naturno al Tour of the Alps, vinta su PadunQuesta la volata di Naturno al Tour of the Alps, vinta su Padun
Quando hai usato per la prima volta i freni a disco?
L’anno scorso con la R5. C’è stato un periodo di adattamento, poi si ricomincia a spingere e sposti più avanti il limite. Ci hanno venduto i freni a disco parlando della sicurezza, omettendo di dire che grazie ai dischi, ai telai sempre più aerodinamici e alle ruote velocissime, ci si spinge ancora più vicini al limite. Le discese sono pazzesche. In pianura si vola. Negli ultimi due o tre anni, c’è stato un salto di qualità pazzesco…
Due atleti Eolo-Kometa fortemente interessati alla partenza del Giro dall'Ungheria: Dina e Fetter. Il sogno di esserci. E gli interessi del team nel Paese
Nicholas Roche ha la testa che gira più veloce delle parole. E così quando, nel giorno di riposo del Giro d’Italia, in un discorso a proposito della sua bici si finisce a parlare di quanto siano migliorati i mezzi meccanici e quali conseguenze ciò abbia sulla sicurezza in corsa, davanti a noi si apre il mondo affascinante e un po’ folle di ciò che c’è in realtà nella testa dei corridori.
«Ci hanno venduto i freni a disco parlando della sicurezza – ride l’irlandese – omettendo di dire che grazie ai dischi, ai telai sempre più aerodinamici e alle ruote velocissime, ci si spinge ancora più vicini al limite. Le discese sono pazzesche. In pianura si vola. Negli ultimi due o tre anni, c’è stato un salto di qualità pazzesco».
La cadute non sempre dipendono dagli ostacoli, ma dai corridori che non frenanoLa cadute non sempre dipendono dagli ostacoli, ma dai corridori che non frenano
Anche in salita?
Anche in salita. Bernal è Bernal, ma i nuovi materiali hanno alzato le velocità anche sulle montagne e sugli strappi e ovviamente in pianura. Le bici perdonano meno errori e questo secondo me è la causa di tante cadute. Okay, le regole dell’Uci sono a volte pazzesche, ma non è sempre colpa degli altri. Gli organizzatori cercano tutte le situazioni che possano produrre spettacolo. Il ponte con il vento, messo proprio per fare i ventagli. Il tratto di strada flagellato dal vento, per lo stesso motivo. Gli organizzatori fanno la loro parte, il resto lo fanno i corridori.
Che cosa significa?
Che non freniamo. Che il livello è così alto, che anche per prendere una salita di 15 chilometri fai la volata. Devi stare in posizione, usare la squadra, non c’è posto per la prudenza. Vi racconto un aneddoto.
Prego…
Anni fa andammo da uno psicologo dello sport in Danimarca. Ci portò Riis e siccome non avevamo dietro le bici, durante il giorno facevamo palestra. Un giorno il tipo venne e ci chiese di immaginare che cosa avremmo fatto se avessimo trovato davanti un tunnel buio. Io gli risposi che avrei accelerato, lui mi rispose che la normalità sarebbe stato frenare. Deve aver pensato che fossi pazzo, ma è un fatto che ad ogni curva pericolosa, tunnel o strettoia, il corridore accelera. In gruppo c’è tanto stress che produce cadute inutili. Se la radio annuncia che dopo il Gpm c’è una discesa pericolosa, ci sono almeno 8 squadre che fanno la volata per prenderla davanti. La colpa è dei corridori che non frenano.
Quando il gruppo vede una galleria buia, secondo Roche, di solito acceleraQuando il gruppo vede una galleria buia, secondo Roche, di solito accelera
Quando dovrebbero frenare?
Avete presente le rotonde in Italia, che hanno quella specie di rientranza del marciapiede, fatta per costringere le auto a fare una semicurva e rallentare? Se sei sulla destra e ti allarghi per fare segno del pericolo, in quel poco spazio di sicuro si infila qualcuno. Se la discesa è veloce e lasci spazio davanti per sicurezza, ne trovi almeno due che si infilano e si buttano dentro.
Sempre stato così?
Diciamo che la mentalità del corridore è sempre stata questa, ma ultimamente è peggiorata. E’ l’evoluzione della gara e di chi impara dagli errori e diventa a sua volta più cattivo, stressato preciso. Se perdi una corsa perché mentre eri a centro gruppo qualcuno ti è andato via da davanti, stai sicuro che la volta dopo vorrai stare davanti anche tu. E cosa succede se 180 corridori vogliono stare davanti? Si cade. Rischiare fa parte del mestiere, basta solo essere consapevoli che tante volte ce la cerchiamo con manovre da matti.
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