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Mattio in libera uscita, una domenica tornando alla mtb

28.03.2023
5 min
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Alla partenza della Granfondo del Muretto di Alassio, una delle classiche del calendario d’inizio stagione per la mtb, c’era una maglia gialla e nera, inconfondibile. La scritta Jumbo-Visma, quella che Van Aert, Roglic e Vingegaard stanno portando trionfante sotto una marea di traguardi del WorldTour. A indossarla con orgoglio, Pietro Mattio, uno dei due giovani talenti (l’altro è Dario Igor Belletta) che lo squadrone olandese ha precettato lo scorso anno inserendoli nel proprio Development Team.

La presenza di Mattio non è una sorpresa di per sé, il piemontese proviene proprio dalla mtb e fino allo scorso anno abbinava con profitto le due discipline, vestendo in entrambe la maglia della nazionale. Poi però aveva fatto una scelta, privilegiando la strada e sulle ruote grasse non si era visto più. Fino a domenica scorsa.

«Ho pensato – racconta Mattio – che per allenamento alla domenica potevo fare qualcosa di diverso. Venivo da una corsa a tappe ed ero in fase di recupero, ma con gambe molto buone. La squadra per marzo non prevede altri impegni per me, così ho pensato di inserire questa gara per avere uno stimolo agonistico».

Mattio al traguardo di Alassio. Ha chiuso 20°, a 10’56” dal vincitore Gioele De Cosmo (Gammafoto)
Mattio al traguardo di Alassio. Ha chiuso 20°, a 10’56” dal vincitore Gioele De Cosmo (Gammafoto)
Il team quindi non è contrario a uscite in altre discipline?

No, chiaramente ho comunicato la mia intenzione e non c’è stata alcuna contrarietà. Hanno dato libertà per qualche sortita a me come a Belletta per la sua attività su pista, ma non ci siamo solo noi. Nel team maggiore ad esempio c’è Milan Vader è che uno dei migliori biker olandesi e punta a partecipare a Parigi 2024, poi dell’attività di Van Aert nel ciclocross tutti sanno tutto…

Come ti stai trovando nel team?

Molto bene, più che una squadra è una famiglia. E’ un po’ ormai che giro con loro e mi accorgo che siamo coccolati, forse perché siamo i più giovani e vogliono introdurci poco a poco. Gestiscono davvero tutto come per il team maggiore, d’altro canto molti coach sono gli stessi che fanno la spola fra le due squadre.

Mattio, 19 anni a giugno, ha un contratto per 2 anni. Finora su strada ha corso 6 giorni in Croazia
Mattio, 19 anni a giugno, ha un contratto per 2 anni. Finora su strada ha corso 6 giorni in Croazia
Una cosa che si notava del vostro team WorldTour è la tendenza a controllare sempre la corsa. Fate così anche voi?

Direi proprio di sì, come avviene per la squadra maggiore. Ci insegnano a stare davanti il più possibile, a tenere sempre la gara sotto controllo. La nostra è una squadra costruita principalmente per le corse a tappe, quindi l’imperativo è impedire che ci siano azioni che sconvolgano i piani, che si perdano minuti stupidamente. Io infatti ho imparato a stare sempre fra i primi del gruppo, il che significa essere sempre concentrato.

Come ti sei trovato domenica ad Alassio?

Erano tre mesi che non affrontavo una gara di Mtb, l’avevo usata solo per uscire dalla routine della strada, facendo uscite di massimo un’ora. Ho visto che all’inizio soprattutto avevo perso un po’ la mano dal punto di vista tecnico. Inoltre c’è da dire che il giorno prima avevo sostenuto una seduta di allenamento abbastanza importante, quindi all’inizio ho faticato, poi gli altri non è che andassero piano, anzi…

Mattio Verona 2022
La vittoria di Mattio nella Verona Mtb International dello scorso anno
Mattio Verona 2022
La vittoria di Mattio nella Verona Mtb International dello scorso 27 anno
Avversari e pubblico ti hanno detto qualcosa a proposito della maglia che indossavi?

Effettivamente mi sono accorto che molti mi guardavano, qualcuno mi ha riconosciuto, ho sentito lungo il tracciato anche gente che faceva il tifo per me. Io comunque posso dire che la corsa l’ho interpretata in maniera seria.

Pensi di farne altre?

Vedremo in base al calendario ma credo proprio di sì, nei periodi di stacco vorrei fare qualche altra prova, sono sicuro che andrei ancora meglio. In squadra sono favorevoli, se non interferisce con la preparazione e le gare su strada né con lo studio.

A proposito, tu quest’anno hai gli esami…

Infatti e la cosa influisce non poco sulla mia attività. Con la squadra si è deciso un programma abbastanza soft fino a giugno-luglio, vogliono lasciarmi tranquillo e ci tengono che mi concentri sullo studio. Nel programma ho una corsa a tappe intorno a Pasqua, poi un paio di classiche a maggio e un’altra corsa a tappe a giugno. Sicuramente nella seconda parte l’attività sarà intensificata, ma a quel punto avrò la mente più libera.

Pietro Mattio è passato quest’anno allo Jumbo-Visma Development Team: 15 atleti da 8 diverse nazionalità
Pietro Mattio è passato quest’anno allo Jumbo-Visma Development Team: 15 atleti da 8 diverse nazionalità
Finora hai notato cambiamenti in te stesso dopo questi primi mesi alla Jumbo-Visma?

Sì, soprattutto sul motore. Non è solo questione di età, si vede che la preparazione e soprattutto il modo di interpretare il mestiere stanno influendo su di me. I carichi di lavoro sono aumentati, sicuramente è diverso rispetto a quel che vedo per altri under 23. I miglioramenti ci sono, spero che presto portino anche risultati.

Che cosa ti aspetti ora?

Se mi chiedete qualche gara non ne posso citare nessuna, perché quest’anno penso solo a migliorare e continuare ad apprendere. Di obiettivi se ne parlerà il prossimo anno, ora è troppo presto, sono concentrato su quel che mi aspetta, so che devo imparare da ogni punto di vista, in bici e sui banchi…

Nicolas Milesi: strada, cronometro e un passato in mtb

06.03.2023
5 min
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Lo abbiamo incontrato alla partenza della Coppa San Geo, mentre le squadre si andavano radunando. La prima gara di stagione porta con sé un senso di novità in tutti i suoi partecipanti, nuovi o “vecchi” che siano. Questa sensazione si amplifica parlando con Nicolas Milesi, corridore della Colpack Ballan al suo primo anno nella categoria under 23. 

Il bergamasco alla partenza della Coppa San Geo, sua prima corsa da under 23
Il giovane bergamasco alla partenza della Coppa San Geo, sua prima corsa da under 23

Tutto in casa

Milesi è nato a Parre, vicino a Clusone, nel cuore della Val Seriana. Il suo primo passo in un ciclismo di un certo peso lo fa con un team bergamasco, questione di cuore e vicinanza. 

«Ho iniziato a correre da piccolo nella categoria G1 – ci racconta – con la mountain bike, correvo con la squadra del mio paese: la MTB Parre. Sono rimasto con loro fino ad allievo di secondo anno e questo penso mi abbia aiutato ad imparare a correre con libertà e spensieratezza. Non sono mai partito con il pensiero di vincere. In quello stesso anno ho vinto il campionato italiano di mountain bike, così ho voluto mettermi alla prova in due gare su strada. Mi è piaciuto fin da subito, l’ambiente è molto diverso, alcune squadre si sono interessate a me.

«Così sono passato junior con la Ciclistica Trevigliese, una squadra molto preparata che mi ha permesso comunque di fare qualche esperienza ancora in mountain bike. Da junior di secondo (l’anno scorso, ndr)  mi sono buttato anche nel mondo delle cronometro. Devo dire che mi piacciono molto e da quest’anno ho deciso di concentrarmi bene sulla strada e vedere cosa potrò fare nel mio futuro. Penso, tuttavia, che questo “viaggio” sia stato perfetto, vissuto senza pressioni con l’intenzione di concentrarsi veramente adesso che tutto conta».

Estero e corse

Nicolas, nonostante la giovane età, ha già collezionato tante esperienze fuori dall’Italia, alcune con la Ciclistica Trevigliese. Altre, invece, con la nazionale: come la Parigi-Roubaix juniores. 

«Sicuramente – spiega – andare all’estero aiuta a crescere, è tutto un altro modo di correre. Il livello è più alto. Spero di continuare a fare esperienze di questo genere, la Colpack ha deciso di ampliare il proprio calendario e questo ci potrà solamente far maturare. In quelle tipologie di gare, come la Parigi-Roubaix, mi sono divertito tantissimo. Anche se sono consapevole di avere ancora poca esperienza su strada. In alcuni frangenti ho peccato, avrei potuto ottenere risultati migliori, sia alla Parigi-Roubaix che in altre corse. Però sono ancora giovane, e posso imparare davvero molto».

Milesi (a destra) con i compagni di nazionale dopo l’oro nel Team Mixed Relay agli europei di Anadia
Milesi (a destra) con i compagni di nazionale dopo l’oro nel Team Mixed Relay agli europei di Anadia

Tante discipline

Nicolas Milesi sembra uno di quei corridori che va forte a prescindere dal tipo di bici che usa. Nella mtb ha collezionato un bronzo europeo nella categoria esordienti ed il titolo nazionale. A cronometro, da junior, appena si è messo in bici ha portato a casa il terzo posto al campionato italiano e la medaglia d’oro nel Team Mixed Relay agli europei di Anadia lo scorso anno. Una volta sceso in campo anche su strada ha inanellato grandi prestazioni, con alcune vittorie. E nel 2022 si è aggiudicato il terzo posto ai campionati italiani e al Trofeo Buffoni.

«La mia prima cronometro – continua – l’ho corsa nel 2022, ma continuerò a farle quando ci sarà l’occasione. Ho gareggiato contro il tempo anche al mondiale di Wollongong (concluso al 13° posto, ndr) è stata una bellissima esperienza. Ho provato tante discipline e tante gare, però penso che corse come la Parigi-Roubaix o il Giro delle Fiandre, anche se non l’ho provato, mi si addicono. Il mio passato in mountain bike mi ha dato una grande mano da questo punto di vista, inoltre ho visto che tengo molto bene anche sul passo. Mi piace quando la corsa si fa dura».

Nel frattempo, mercoledì, c’è stato il tempo per un assaggio tra i professionisti al Trofeo Laigueglia
Nel frattempo, mercoledì, c’è stato il tempo per un assaggio tra i professionisti al Trofeo Laigueglia

Intanto si parte

La stagione 2023 ed il primo anno tra gli under di Milesi sono iniziati, il bergamasco parte senza pressioni ma comunque con qualche sguardo puntato addosso. 

«Mi aspetto molto da questo mio primo anno da under 23 – conclude – ho finito la scuola e mi posso concentrare interamente sul ciclismo. Mi sono diplomato geometra lo scorso anno dopo un percorso di quattro anni. Ho passato un inverno pressoché perfetto, c’è stato solo un piccolo intoppo nel ritiro di febbraio: una piccola infiammazione al ginocchio. Ora è tutto alle spalle e sono pronto per partire ed assaporare questo inizio di stagione».

Alla nuova vita di Velasco ora manca solo la vittoria

02.01.2023
5 min
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Forse il giorno in cui Simone Velasco è arrivato più vicino alla vittoria è stata la tappa di Fermo alla Tirreno-Adriatico: terzo su quei muri impestati, a 14” dal vincitore Barguil dopo 90 chilometri di fuga. Ma soprattutto il suo primo anno nel WorldTour con la maglia dell’Astana ha significato partecipare al primo grande Giro della carriera, dopo sei anni di professionismo, e chiuderlo da migliore degli italiani.

«Ho cominciato con il Tour – sorride – quindi con il massimo di quello cui un corridore possa ambire. Anche se a causa di un po’ di malanni non siamo stati super competitivi, il bilancio dell’annata è stato positivo. Ora sicuramente viene un anno in cui migliorarsi e prendersi un pochino più di responsabilità, per farsi trovare pronti al momento giusto».

Velasco è nato a Bologna il 2 dicembre 1995, è alto 1,70 per 59 chili. E’ pro’ dal 2016
Velasco è nato a Bologna il 2 dicembre 1995, è alto 1,70 per 59 chili. E’ pro’ dal 2016

Padre di famiglia

Il 12 ottobre era di mercoledì e Velasco lo aspettavano alla partenza del Giro del Veneto. Lui però non c’era, perché nel frattempo era corso al Sant’Orsola di Bologna per salutare la nascita di sua figlia Diletta. L’Astana è partita in cinque, con Lopez quarto alle spalle di Matteo Trentin.

«A parere mio – spiega Velasco – diventare padre mi ha dato molta tranquillità, mi sento proprio cambiato a livello mentale. Ovviamente le priorità si spostano tutte su un altro aspetto e comunque avere una figlia ti dà grande morale e determinazione per affrontare al meglio tutti gli obiettivi. Per questo sono al lavoro con impegno. Nel primo ritiro siamo riusciti a mettere su un po’ di chilometri al caldo, mentre a casa era davvero freddo. Ho continuato ad allenarmi nell’inframezzo fino al prossimo ritiro di gennaio per costruire una buona base e poi rifinirla prima di cominciare a correre. Vorrei farmi trovare già pronto nei primi appuntamenti».

Primo Natale in famiglia per Simone Velasco, la piccola Diletta e la compagna Nadia (foto Instagram)
Primo Natale in famiglia per Simone Velasco, la piccola Diletta e la compagna Nadia (foto Instagram)

Obiettivo vittoria

Il suo calendario è da definirsi, ma potrebbe prevedere tutta la trafila delle corse italiane, con Strade Bianche e Sanremo, per poi arrivare alla Ardenne e da lì tirare dritto fino al Giro d’Italia.

«Lo schema potrebbe essere questo – conferma Velasco – ma prima del Giro mi aspetto di fare bene in corse come Strade Bianche e Sanremo. Già l’anno scorso la condizione era buona, quindi cercheremo di replicare quanto già fatto e poi diciamo che tra Ardenne e Giro d’Italia, vorrei dare il massimo del massimo per cercare di tirar fuori il 200 per cento della condizione e tornare alla vittoria.

«Sono già due anni che non alzo le mani, però negli anni dispari di solito vinco (la sua ultima vittoria è stata una tappa al Tour du Limousin nel 2021, ndr). Quindi nel 2023 vediamo di levarci qualche soddisfazione. Non vado per il sottile, ovviamente. Prima torniamo a vincere e poi ci pensiamo. Sicuramente una tappa al Giro sarebbe un sogno, ma vanno bene anche tutte le altre gare. L’obiettivo è farsi trovare pronto. In più ho la fortuna di essere un corridore abbastanza veloce, per cui se nei finali mi trovo davanti, riesco a giocarmi le mie chance oppure a dare una mano ai compagni».

Il Tour de France del 2022 è stato il suo primo grande Giro. Lo ha concluso in 30ª posizione
Il Tour de France del 2022 è stato il suo primo grande Giro. Lo ha concluso in 30ª posizione

Squadra d’attacco

Come già accennato parlando con Martinelli e poi con Battistella e Luis Leon Sanchez, l’Astana Qazaqstan Team è chiamata a un cambio di pelle. L’arrivo di Cavendish potrebbe vederla alle prese con treni e volate, ma la base è composta da attaccanti.

«Sicuramente era meglio se non fosse successo niente – spiega Velasco in relazione al licenziamento di Lopez – ma a questo punto cercheremo di tirare fuori il meglio anche da questa situazione. So di potermi giocare qualche corsa grazie al mio spunto. Ovviamente tenere i primi 15-20 corridori adesso è veramente dura, c’è da lavorar sodo. Però ho già avuto la riprova che quando sono in condizione e tutto fila, perché per fare bene serve anche che tutto fili lisci, io ci sono. Perciò cercherò di diventare sempre più concreto e di alzare queste benedette braccia».

Con Adriano Amici al Giro dell’Emilia: nella corsa di casa, Velasco si è piazzato 21°
Con Adriano Amici al Giro dell’Emilia: nella corsa di casa, Velasco si è piazzato 21°

Il mondiale marathon

Resta una curiosità, che è più una provocazione, ed è legata alla mountain bike, sua grande passione. Nel ciclismo del gravel, con Lutsenko che si diverte da matti sugli sterrati, e di Pidcock e Van der Poel che a turno hanno mischiato mirabilmente strada a fuoristrada, perché non pensare al doppio impegno anche per un pro’ italiano?

«La mountain bike – ammette Velasco – rimane il mio pallino. Devo ascoltar bene i preparatori e i direttori per sentire cosa dicono. Io continuo ad usarla, specialmente quando torno a casa all’Isola d’Elba. Soprattutto d’inverno, mi alleno più volentieri con la mountain bike, visto che fa anche meno freddo. Ci leviamo un po’ di ghiaccio da mani e piedi, stiamo un po’ in mezzo ai boschi e ci divertiamo. Mi piacerebbe fare un mondiale marathon, ma le decisioni stanno alla squadra e io mi adeguo di conseguenza. Se ci sarà la possibilità, sicuramente io mi farò trovare pronto…». 

Stregato dal Tour, Pidcock fa rotta (decisa) sulla strada

07.12.2022
5 min
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«Non ho il peso e la stessa potenza di quei due – dice Pidcock ammiccando all’indirizzo di Van Aert e Van der Poel – è difficile batterli in gare scorrevoli come le ultime. In più sto cominciando a spostare la mia attenzione sulle corse a tappe. Questo mi aiuterà in salita su strada, meno nel cross. Nonostante ciò, continuerò a provarci e la maglia iridata mi aiuterà a restare concentrato».

Il più piccolo dei tre tenori pesa solo 58 chili e a ben pensarci la sua è davvero la sfida di Davide contro due Golia. Nonostante ciò, andate a trovarlo uno che nel giro di un anno e mezzo ha vinto le Olimpiadi di mountain bike, il mondiale di ciclocross, la tappa dell’Alpe d’Huez al Tour de France e gli europei di mountain bike ad agosto. Pidcock ha 23 anni, Van Aert ne ha 28 e pesa 78 chili, Van der Poel 27 e ne pesa 75.

«Passare sull’Alpe d’Huez – ha detto Pidcock – è stato come attraversare di continuo un muro di suoni»
«Passare sull’Alpe d’Huez – ha detto Pidcock – è stato come attraversare di continuo un muro di suoni»
Andate bene le vacanze?

Sono andato con Bethany negli Stati Uniti, lontano dalle corse e dall’iPhone. Ho fatto tutte le cose che normalmente non posso fare. Uscire, mangiare bene. L’anno scorso non ho toccato una bicicletta per tre settimane e mezzo ed ero annoiato a morte. Questa volta invece sono stato davvero bene. Siamo andati anche con lo zaino e la tenda sulle montagne di Andorra. E’ stato davvero rigenerante.

Quando hai ricominciato ad allenarti?

In modo specifico a metà ottobre. Ho iniziato a preparare il cross dopo la vacanza in California. Laggiù ho fatto qualche giretto, ma senza intensità. Era solo un esercizio per giocare e tenersi in forma.

Al Tour of Britain per Pidcock due podi di tappa e il secondo posto finale
Al Tour of Britain per Pidcock due podi di tappa e il secondo posto finale
Sei riuscito a seguire qualche cross? Ad esempio l’europeo di Namur?

Non ho visto molte gare, ma quella sì. Mi piace Namur e piace anche a Michael Vanthourenhout che lì aveva vinto anche la Coppa del mondo e non a caso. Questa volta è stato semplicemente impressionante. Visto come andava negli ultimi giri? E’ stato super eccitante e non ha commesso un solo errore. Invece Iserbyt… Con lui non si sa mai, dipende da che parte del letto si alza.

Adesso è tempo del duello con gli altri due, ma il 25 febbraio ci sarà il primo scontro su strada alla Omloop Het Nieuwsblad. Come si fa a gestire la condizione?

La stagione su strada per me è molto più importante, anche quest’anno mi sento così. Per cui non so se arriverò fino al mondiale cross di Hoogerheide a casa di Van der Poel. Il 5 febbraio è molto avanti. E se raggiungi il massimo per quel giorno e poi ti devi preparare per le classiche…

Tifosi di Pidcock al Tour of Britain. E se fosse lui il prossimo uomo Ineos per il Tour?
Tifosi di Pidcock al Tour of Britain. E se fosse lui il prossimo uomo Ineos per il Tour?
Pensi che lascerai il cross?

Sto pensando di continuare a farlo, un massimo di dieci o quindici corse. Penso che sia utile anche mentalmente. La testa fa tanto. Ho chiuso su strada ai primi di settembre, stanco soprattutto di testa. Ho saltato il mondiale di Mtb per una caduta. Avrei voluto smettere lì, invece sono andato al Tour of Britain e alla fine sono arrivato secondo. Ma concentrarsi sul mondiale strada dopo la batosta di Les Gets non era alla mia portata e mi sono fermato.

Perché la strada è più importante del cross?

Nel 2023 voglio mettermi alla prova nelle classiche di primavera. Voglio vincere. L’anno scorso ho giocato un ruolo importante nelle vittorie della squadra. Kwiatkowski ha vinto l’Amstel Gold Race, Sheffield il Brabante. Abbiamo corso in modo fantastico, anche se le cose non sono andate come avrei voluto. Rispetto a Jumbo Visma e Quick-Step, abbiamo una squadra giovane e con meno esperienza, ma possiamo infilarci fra loro.

Agli europei di Monaco, per Pidcock il titolo continentale della mountain bike, dopo l’oro olimpico
Agli europei di Monaco, per Pidcock il titolo continentale della mountain bike, dopo l’oro olimpico
Cosa ricordi del primo Tour?

Un’esperienza fantastica. L’Alpe è stato come attraversare continuamente un muro di suoni. Da bambino pensavo che non ci fosse un vero divertimento in una corsa del genere, che erano solo tre settimane di stress. Ora posso dire che il Tour è stato la gara migliore che abbia mai corso. Per la velocità e l’intensità. Per capire quanto sia difficile, devi prima averne corso uno. Se dipendesse solo da me, farei il Tour ogni anno. Mi piacerebbe essere di nuovo lì la prossima estate. Ora so cosa aspettarmi. Con una preparazione un po’ migliore, può diventare un’altra esperienza. Non vincerò il Tour, ma forse tra qualche anno potrò giocarmelo.

Ai mondiali di Glasgow ci sarà la prova su strada il 6 agosto e la mountain bike il 12. Come si fa?

Mi piacerebbe esserci, almeno nel cross country. Anche se la scorsa estate mi ha insegnato che non è facile passare dalla strada alla mountain bike, mi piacerebbe conquistare una buona posizione di partenza per Parigi 2024. Voglio difendere il mio titolo olimpico.

Rosa e il ritorno in mtb: retroscena e lavoro per la nuova avventura

29.11.2022
5 min
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A soli 33 anni Diego Rosa lascia la strada… ma non il ciclismo. L’atleta piemontese, infatti passerà, o meglio tornerà, alla mountain bike. La sua vecchia casa. Il suo primo amore. E si sa: il primo amore non si scorda mai.

Rosa difendeva, e difende ufficialmente fino a fine anno, i colori della Eolo-Kometa. Con questo team ha corso due stagioni. Si è ben difeso e quest’anno al Giro d’Italia ha lottato a lungo per vestire la maglia blu di miglior scalatore.

Domenica scorsa, Rosa (classe 1989) era a Monaco per l’evento Beking
Domenica scorsa, Rosa (classe 1989) era a Monaco per l’evento Beking
Diego, come va? Come ti sembra questo “nuovo vecchio” inverno?

Eh, sono un po’ spaesato. Cambiare aria ci sta! Ma per il resto tutto è molto simile. Esco in allenamento, la preparazione è più o meno quella… cambia il mezzo.

E come ti stai trovando?

Diciamo che come ho lasciato ho ripreso. Abbandonai la mtb che arrivavano le prime full, ho ripreso la mtb con una full. Quella volta quando provai quel tipo di bici dopo un chilometro di discesa “pizzicai” la posteriore. E stavolta dopo il primo chilometro di discesa di nuovo ho bucato. Nonostante liquidi, mousse… non è cambiato niente! Scherzi a parte, con le 29” faccio un po’ di fatica a girare nei tornanti stretti. Rispetto alle bici di una volta sono più grosse, ma per il resto la guida si è molto semplificata.

Definisci semplificata…

Queste bici ti perdonano molto. Se prima sbagliavi, arrivavi troppo veloce o cambiavi idea nell’approcciare un sasso, per dire, erano problemi. Con queste bici invece ci passi sopra. Ti permettono di correggere, magari la traiettoria non è ideale, ma non cadi.

Diego sta insistendo molto con la palestra e in particolare con la parte alta del corpo
Diego sta insistendo molto con la palestra e in particolare con la parte alta del corpo
Come ci stai lavorando?

Ho iniziato in queste settimane e dal punto di vista tecnico, del setup non è così semplice. Una volta la forcella era aperta o chiusa, adesso ne uso una elettronica: devi regolare l’affondo, il ritorno, la pressione… e anche per questo non sto facendo molte uscite su strada in allenamento: quattro uscite su sei sono in mtb, voglio riabituarmi a questo mezzo. Magari più in là farò la metà su strada e la metà offroad. 

E’ comprensibile…

E poi ogni giorno mi viene in mente una cosa nuova. Esco sempre regolando qualcosa. Nei primi giorni per la pressione mi regolavo col vecchio metodo del dito. E a forza di sgonfiare ero arrivato a 0.9 bar… un po’ poco! E infatti mi sono detto: “Ecco perché bucavo!”. Quindi per ora sono molto concentrato sul setup.

Hai accennato che la preparazione è molto simile, ma qualcosa di diverso ci sarà pure?

Ho fatto uno stacco identico alle altre stagioni su strada. Quindi tre settimane di vacanza, una settimana di ripresa molto calma e poi la preparazione vera e propria. Di certo faccio più palestra, soprattutto per la parte alta del corpo. Avevo perso tanto in questi anni su strada. Quello è peso da portare in giro, qui invece sono muscoli che servono. In allenamento quando faccio le discese lunghe a volte mi devo fermare. Mi fanno male le braccia, le mani… per non parlare delle scapole. Anche per questo preferisco uscire di più in mtb.

In estate, quando in Italia non c’erano gare, Rosa ha preso parte ad un paio di marathon in Mtb
In estate, quando in Italia non c’erano gare, Rosa ha preso parte ad un paio di marathon in Mtb
Parliamo invece un po’ del recente passato. Come hai vissuto il momento dell’addio alla strada?

In modo molto leggero. Credevo mi sarebbe pesato di più, invece è stato tranquillo. Avendolo già in prospettiva, non mi è pesato. Se invece non avessi avuto già un contratto pronto magari sarei stato depresso.

Quindi questa estate quando hai preso parte alla Dolomiti Superbike già sapevi che saresti tornato su strada?

No, no… avevo chiesto alla squadra già a febbraio di partecipare a quel paio di corse estive. Coincidevano con un periodo di lontananza dalle gare su strada. Vero, ho sempre detto che il giorno che avrei chiuso con la strada avrei fatto un anno in mtb, ma in quel momento non immaginavo ancora che sarebbe successo quest’anno.

C’è qualcosa che non ha funzionato?

Diciamo che ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione con la squadra. Io avrei fatto ancora un anno, ma forse questa è stata la mia fortuna.

Al Giro d’Italia, Rosa ha indossato la maglia blu per sei giorni. Chiude la sua carriera su strada dopo 10 stagioni
Al Giro d’Italia, Rosa ha indossato la maglia blu per sei giorni. Chiude la sua carriera su strada dopo 10 stagioni
Perché?

Io ero in grado di continuare e credevo di avere ancora una stagione davanti. E a dire il vero avevo avuto anche delle offerte buone da team WorldTour. Io non volevo cambiare squadra. Sembrava tutto okay, poi quando mi hanno detto che non mi avrebbero rinnovato il contratto era tardi. Non volevo tornare indietro a chiedere con la coda tra le gambe a chi mi aveva fatto un’offerta… Un po’ mi “giravano”. Ma va bene così: a 33 anni va bene così e va bene come sto adesso.

Dal canto tuo pensi di aver fatto qualche errore, di aver dato sempre il 100 per cento?

Col senno del poi sempre qualcosa si può fare meglio, ma se tornassi indietro farei esattamente ciò che ho fatto e quindi gli stessi eventuali errori. Sì, ci sono stati dei periodi di riposo in mezzo alla stagione, ma quando dovevo fare il corridore l’ho fatto al 100 per cento. Sì, rifarei tutto.

Torniamo alla mtb: sai già che calendario farai?

Al 99 per cento dovremmo partire dall’Andalucia Bike Race (un’importante corsa a tappe in mtb, ndr) e poi fare le maggiori corse del calendario italiano. A me piacerebbe molto anche fare la Coppa del mondo che, dovrebbe tornare anche nelle marathon. O comunque prendere parte alle prove della Marathon Series, vale a dire le più importanti gare internazionali. Vediamo l’UCI cosa ci farà sapere.

Fluidità, strategia, setup: “Piraz” promuove Nibali biker

29.10.2022
5 min
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Non si è ancora placata l’eco dell’esperienza di Vincenzo Nibali alla Capoliveri Legend Cup. Lo Squalo ha preso il via in una delle marathon più belle, suggestive e soprattutto tecniche del mondo. E’ stato un vero debutto di fuoco. Un debutto che Mirko Pirazzoli, grande ex biker agonista e oggi tecnico, ha seguito da dentro.

“Il Piraz”, che certo non ha problemi di manico, commentava in diretta la gara in sella ad una e-Bike. E non era la prima volta che lo faceva. Così gli abbiamo chiesto un giudizio sul Nibali biker e lui ha individuato tre “punti cardine”: fluidità nella guida, una grande lucidità tattica e una buona preparazione tecnica.

Fludità

«Prima di tutto – dice Pirazzoli – trovo bellissimo vedere un campione come lui mettersi in gioco e farlo con tanto entusiasmo. Vincenzo ha grandi margini e se davvero lo vorrà, gli basteranno pochi mesi per lasciare il segno anche in mtb.

«La cosa che mi ha colpito nel vederlo in azione, non è stata tanto la guida in discesa, ma la sua fluidità nel complesso. Fluidità nella guida e nello stare nel gruppo di testa alla prima esperienza internazionale. Nonostante il gruppo di alto livello, Vincenzo si è sentito a proprio agio.

«La vera differenza, ed è forse questo l’aspetto tecnico che più mi ha rapito, è stata la sua pedalata. Un pedalata rotonda che nessun biker ha. E per pedalata rotonda intendo efficiente. Un’andatura redditizia e sicura.

«Nelle discese larghe e veloci staccava il piede interno. Per un biker è quasi un veto: guai a staccare un piede dal pedale. E invece aiuta molto a bilanciarsi e a trovare il punto di corda. Pensate che nelle discese su ghiaia, Vincenzo ha anche provato ad attaccare! E’ successo a metà del primo giro. Mostrando una padronanza da veterano.

«Al tempo stesso però si percepiva un senso di “ansia” nel non aver esperienza. Io sono stato con lui all’interno della corsa e ho notato questo aspetto. Il fuoristrada a questo livello non è ancora nelle sue corde. Deve solo farne tanto e acquisirà quegli automatismi».

La strategia

Pirazzoli parla di una grande voglia di mettersi in gioco come fosse fosse un principiante, con grande umiltà. Ma al tempo stesso con lucidità e presa di coscienza del “problema”.

«A metà percorso – va avanti Pirazzoli – era lui che chiedeva a me dove fosse il rifornimento. Aveva capito che ne avrebbe avuto bisogno, che poteva andare in crisi. E quando senti che hai bisogno di bere e mangiare è troppo tardi, ma lui se ne è accorto con largo anticipo. Ha cercato di porre subito rimedio. Credo che poi si sia staccato per questo motivo». E questo lo aveva ammesso Vincenzo stesso a noi. 

Ma Nibali avrà pur fatto qualche errore. Pirazzoli fa fatica a trovarne.

«Non parlerei proprio di errori… nel suo caso. Alla vigilia mi ha confessato che aveva un po’ paura della prima discesa perché affrontarla in gruppo con la polvere significava non vedere bene dove mettere le ruote. E questo nel suo caso incide molto di più ed è realmente pericoloso. Pertanto non posso definirlo uno sbaglio.

«Per questo il fatto di aver staccato tutti all’inizio è stato giusto. In questo modo ha potuto affrontare la discesa davanti. Io gli avevo suggerito di mettersi su un lato e di lasciarsi sfilare. 

«Ma questa azione violenta all’inizio è stata la concausa che a metà corsa gli ha fatto pagare dazio. Un fuorigiri resta nelle gambe. E quando ha mollato, lo ha fatto su una salita con pendenze che da stradista non affronta. Senza contare che non aveva una biomeccanica ottimale per tali pendenze. Parliamo di oltre il 30%».

Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano
Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano

La tecnica

«Vincenzo – dice Pirazzoli – ha preparato la bici al meglio delle sue possibilità, delle informazioni raccolte e dei suggerimenti che gli sono arrivati dai più esperti del settore. Aveva dunque una bici pronta e al passo coi tempi per essere competitivo. E questo mi fa sorridere: ci sono dei biker pro’ che si ostinano a non sviluppare la bici secondo i componenti che oggi sono più performanti. Nibali invece aveva il telescopico, le gomme giuste e tanti altri dettagli moderni.

«Anche le scelte biomeccaniche erano relativamente azzeccate. Ha lavorato sulla posizione, anche se non ne ha ancora una di un biker di livello. Chiaramente ha usato degli angoli, con degli sviluppi biomeccanici ben prestabiliti. Non ha avuto il tempo per adattarsi. Ha fatto il meglio che poteva. Senza snaturare di punto in bianco la sua posizione su strada.

«Nibali ha “registrato” tutto, ne sono certo. Ha altri obiettivi come la Cape Epic. Se imparerà a gestire bene l’equilibrio in velocità a mio avviso potrà essere un atleta competitivo a livelli internazionali anche nella Mtb.

«Magari in questa prima partecipazione alla Cape, lui e il suo compagno, potranno posizionarsi tra la decima e ventesima coppia. Ma se Vincenzo ci si dedicherà veramente, in un paio d’anni potrà puntare alla classifica generale».

Arzuffi-Braidot: metti una stradista e un biker a tavola insieme

16.09.2022
6 min
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Esiste la dieta unica per il ciclista? No, specialmente se si parla di discipline differenti come la strada e il cross o mtb. Per scoprire i piccoli dettagli che valgono la vittoria, abbiamo intervistato una coppia polivalente: Alice Arzuffi, campionessa italiana donna elite di ciclocross 2020, che gareggia anche su strada, e Luca Braidot (i due sono insieme in apertura, foto Instagram), che nel cross country quest’anno ha conquistato due prove di Coppa del mondo, il bronzo mondiale concludendo la stagione al primo posto nella classifica UCI.

Su strada, Arzuffi punta alle tappe di salita: qui al Giro d’Italia
Su strada, Arzuffi punta alle tappe di salita: qui al Giro d’Italia

Il peso e la dieta

Per cominciare abbiamo chiesto di valutare da 1 a 10 l’importanza del peso nella performance delle due discipline: strada, con le gare a tappe che costringono i ciclisti a rimanere in sella per molte ore, e cross, assimilando il ciclocross di Alice al cross country di Luca, con sforzi intensi e di durata tra l’ora e l’ora e mezza.

«Su strada 10. Si sa che è determinante – inizia Alice – soprattutto per chi come me, punta alle tappe di salita. Nel cross posso permettermi anche uno o due chili in più».

«Nella mtb cross country – svela Luca – ci sono tante più variabili in gara. Il peso conta, ma è più importante la testa. Io sono sempre stato magro, ma ora con l’aiuto della nutrizionista, mangio gli alimenti giusti e sono sicuro al 100% che ho energia a sufficienza fino a fine gara, a differenza degli anni passati».

Braidot ha vinto due prove di Coppa del mondo e il bronzo ai mondiali di Les Gets (foto Michele Mondini)
Braidot ha vinto due prove di Coppa del mondo e il bronzo ai mondiali di Les Gets (foto Michele Mondini)

Prima di strada e cross

Se si vuole curare il dettaglio a tavola, bisogna considerare di adattare la dieta al soggetto, a ciò che ha in programma, e non è sufficiente fare sempre lo stesso carico di carboidrati.

«Prima delle gare su strada, specialmente quelle a tappe – dice Alice – sono molto rigorosa. Gli ultimi giorni prima dell’appuntamento prediligo i carboidrati di riso e pasta riducendo le verdure. Il giorno della gara poi mangio 3h45’ prima e rispetto al cross mangio di più. Se la gara è in tarda mattinata, faccio una colazione abbondante con dolce e salato. Invece se è più tardi nel pomeriggio, mi prendo una piccola porzione di riso con albicocche disidratate. Per le gare di cross sto più leggera e a differenza della strada non mangio assolutamente più nulla nelle tre ore prima, ad eccezione di un gel in partenza».

Il riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atleti: anche da Arzuffi
Il riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atleti: anche da Arzuffi

Prima della Mtb

In mtb Luca fa un’ulteriore distinzione tra la gara della domenica su distanza olimpica, quindi di 80 a 100 minuti circa e la short track, una gara sprint di 20-25 minuti che gli stessi atleti affrontano al venerdì sera e che, come una sorta di qualifica, determina l’ordine di partenza della domenica.

«Da venerdì sera aumento i carboidrati – spiega – eliminando però la verdura. Scelgo poi proteine più leggere come il pollo, l’albume o il pesce bianco. Nel pasto pre gara cerco di cuocere pasta o riso mantenendo più amido possibile, tipo risottando la pasta, e senza aggiungere sale. Completo con una piccolissima porzione di proteine, sempre delle più facili da digerire. Un’ultima differenza è che nella gara della domenica mangio anche una barretta 2 ore prima e un gel alla partenza, nelle short track solamente il gel, non meno di 15 minuti prima».

Dal venerdì sera prima della gara, Braidot punta su proteine leggere come il pollo
Dal venerdì sera prima della gara, Braidot punta su proteine leggere come il pollo

Crisi di fame o crisi di sete

Se su strada la difficoltà è di introdurre sufficienti quantità di nutrienti per preservare la gamba anche nei giorni successivi, nel cross il problema riguarda più l’idratazione, soprattutto per il XC in cui le gare si svolgono sotto il sole estivo.

«Su strada cerco di raggiungere i 60-80 grammi di carboidrati all’ora, usando gel, barrette e bevendo almeno una borraccia di malto e fruttosio», rivela Alice.

«Io invece – continua Luca – prendo un gel ogni 15 minuti circa, quando passo dai box. E’ quello generalmente l’unico punto in cui i percorsi, altrimenti tecnici ed impegnativi, concedono un attimo per rifornirsi».

Lo scorso anno Braidot si è sperimentato in gravel nella Serenissima
Lo scorso anno Braidot si è sperimentato in gravel nella Serenissima

La dieta per il recupero

La compostezza degli stradisti si nota soprattutto nel recupero, quando con un calendario fitto di gare, spesso a tappe, non si può lasciare nulla al caso.

«Su strada appena tagliato il traguardo – spiega Alice – il massaggiatore è li che ci aspetta con il “recupero”, una borraccia con le soluzioni di carboidrati e proteine che diversi brand offrono. Dopo essermi cambiata mangio del riso freddo con delle proteine, un panino o a volte dello yogurt con i cereali come merenda, per poi cenare in hotel. Nel cross invece tendo a prendere solamente degli amminoacidi e a mangiare qualcosa di completo e sano a cena». 

In mtb sembra tutto più semplice, perché non avendo gare a tappe o particolarmente ravvicinate c’è tempo per recuperare, ma Luca confessa che anche nel XC non c’è niente da sottovalutare.

«Come Alice nel ciclocross – spiega Luca – dopo gara prendo amminoacidi e faccio un pasto completo. Devo però stare più attento al recupero dopo la short track, che essendo una gara serale, condiziona la qualità del mio sonno, nonostante non sia un amante dei gel alla caffeina. Con la dottoressa Martinelli, sto ancora lavorando per trovare la combinazione di alimenti migliore per me dopo la short track».

Alice Maria Arzuffi si divide fra cross e strada
Alice Maria Arzuffi si divide fra cross e strada

Due approcci diversi

Riassumendo, possiamo dire che tendenzialmente per uno sforzo di endurance bisogna preparare il fisico con più anticipo, con un buon carico di carboidrati, una giusta quantità di proteine e una corretta idratazione.

In una gara più corta ed intensa, è invece più importante essere reattivi fin da subito, senza appesantimenti da pasti troppo abbondanti o ricchi di verdure e proteine difficili da digerire. Per quanto riguarda i gel alla caffeina? Non sono essenziali. Luca e Alice preferiscono assumerli solo se ci sono meno di 25 gradi, e sempre con parsimonia per evitare tachicardie e crampi.

Casa Wilier, conoscete Avondetto? Ve lo presentiamo…

11.09.2022
5 min
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Se ne sta seduto nello stand Wilier Triestina con la maglia iridata indosso, guardandosi intorno. Un campione del mondo in carica non capita spesso. E anche se Simone Avondetto il mondiale l’ha vinto sulla mountain bike, che non è esattamente terreno di caccia per bici.PRO, lo squillare di quelle righe è un richiamo troppo forte. Anche perché il ragazzo ha vinto anche gli europei di Anadia e il profumo di campione è inconfondibile.

La sua bici lo aspetta al limite dello stand. Si chiama Urta SLR World Champion e nei suoi colori c’è quell’inconfondibile richiamo all’iride unito al giallo e nero della sua squadra: la Wilier Triestina Pirelli Factory Team. La forcella arancione Fox 34 SC forma un blocco super coerente con il manubrio Urta brevettato da Wilier, il reggisella è telescopico e il gruppo è lo Shimano XTR.

Avondetto ha vinto il mondiale U23 a Les Gets il 28 agosto (foto FCI)
Avondetto ha vinto il mondiale U23 a Les Gets il 28 agosto (foto FCI)

La benedizione del cittì

Di lui dice un gran bene Mirko Celestino, cittì azzurro che anche il popolo della strada ricorda per le sue vittorie e la sua grinta.

«E’ un ragazzo d’oro – dice – di quelli di una volta, che parlano poco, timido. Però quando sale sulla bici dà grandi soddisfazioni, non solo perché ha vinto mondiale ed europeo. Ha fatto un’annata eccezionale, bisogna dirlo. Quando ce l’hai in ritiro, sembra quasi che non ci sia».

Simone Avondetto è nato il 15 aprile 2000 a San Secondo
Simone Avondetto è nato il 15 aprile 2000 a San Secondo

Un ragazzo pulito

E quando gli dici che la sensazione parlandoci è di un ragazzo nato sulla mountain bike, senza alcun legame o riferimento con la strada, Celestino conferma prontamente.

«Gare su strada non le ha mai fatte – dice – magari non so se con questi risultati, qualche squadra lo inviterà a provare. Sembra brutto dire che potrebbero portarcelo via ed è normale che il biker sogni il futuro da pro’. Ma lui è giovane, compie 22 anni e dal prossimo sarà elite. E’ uno di quegli atleti su cui scommetterei forte se avessi una squadra. E’ un ragazzo pulito, in crescita, genuino. E ancora la malizia e la cattiveria deve tirarle fuori. La cosa che mi ha sempre sorpreso sin da quando era junior è la grinta che ci mette in bicicletta. Simone lotta sempre…».

La presentazione è stata ghiotta e non c’è parola di Celestino che non troverà conferma in quelle di Avondetto.

La Wilier Urta di Avondetto ha il carro con le inconfondibili strisce iridate
La Wilier Urta di Avondetto ha il carro con le inconfondibili strisce iridate
Che cosa ti ha lasciato questa vittoria, a parte la maglia?

Una bella emozione, è un orgoglio poterla sfoggiare alle gare. E poi è arrivata giusto in tempo, visto che sono all’ultimo anno ad under 23. Era l’ultima occasione e quindi sono contento di esserci riuscito.

Dopo gli europei, la vittoria era una possibilità oppure è stata una sorpresa?

E’ stata comunque una sorpresa. Contavo di far bene, credevo in una medaglia, ma vincere non me l’aspettavo. Meglio di così…

Sei nativo biker, zero strada e solo mountain bike?

Uso principalmente la mountain bike, poi comunque ogni tanto usciamo anche con l’enduro e solo raramente con la bici da strada. Gran parte della mia settimana è in mountain bike, anche per i lavori specifici.

Hai vinto tutte le maglie a disposizione, compresa la tricolore: tutto come nei piani?

All’inizio dell’anno ci eravamo concentrati più che altro su campionati italiani, europeo e mondiale. E poi anche la Coppa del mondo, però non tutte le tappe. Abbiamo fatto un po’ di sacrifici per puntare ai nostri appuntamenti, ma ha funzionato.

Allo stand Wilier Triestina, con Simone Avondetto anche Giada Specia, tricolore U23 e a un soffio dal podio mondiale
Allo stand Wilier Triestina, con Simone Avondetto anche Giada Specia, tricolore U23 e a un soffio dal podio mondiale
Con quali riferimenti ciclistici cresce un biker classe 2000 come te?

Ce ne sono tanti nella mountain bike. Sicuramente Nino Schurter, una leggenda un po’ per tutti. A me è sempre piaciuto molto anche Kulhavy e poi ce ne sono anche tanti altri, a partire da Absalon. Sono campioni che mi piacciono per le loro caratteristiche e il loro atteggiamento. Come corrono, la loro mentalità e tutto quello che fa di loro delle grandi persone.

Qual è stata la cosa più strana che ti è successa dopo la vittoria?

C’è più gente attorno, è un po’ strano, ma bisogna farci l’abitudine. Per rendermi conto c’è voluto qualche giorno, però è davvero molto bello.

Campione italiano, europeo e mondiale, Avondetto corre con il Wilier Triestina Pirelli Factory Team
Campione italiano, europeo e mondiale, Avondetto corre con il Wilier Triestina Pirelli Factory Team
Quali sono adesso i programmi?

Adesso facciamo ancora un paio di gare, poi staccheremo e poi inizieremo a ragionare sui programmi. Poi ci sarà il classico ritiro al caldo d’inverno e poi si ricomincia. Altro non so, vedremo il calendario 2023 verso fine febbraio. Ma ci concentreremo sugli appuntamenti di sempre, la Coppa del mondo, gli europei, i mondiali e gli italiani.

La proposta di portarti su strada c’è mai stata?

Non ancora, ma mi sento di dire che il mountain bike è un mondo che mi piace. Magari mi piacerebbe ogni tanto magari buttarmi nella mischia, ma giusto così, per vedere l’effetto che fa. Finora proposte non ci sono state, vedremo cosa fare se arriveranno.

Celestino, due appunti sugli azzurri e due su Pidcock

27.08.2022
6 min
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Domani è un grande giorno per la mtb agonistica: a Les Gets, in Francia si assegnano infatti le maglie iridate della specialità principale, il cross country, quella olimpica. L’evento arriva un mesetto prima di quello su strada, che invece si disputerà a Wollongong, in Australia. Mirko Celestino, oggi commissario tecnico della nazionale mountain, ci introduce in questo viaggio iridato.

E il tecnico ligure lo fa con gli occhi e l’esperienza del grande ex di entrambe le specialità e non solo come cittì, appunto. Cosa potranno fare i nostri? E cosa Tom Pidcock, che abbiamo visto stravincere i recenti europei di Monaco?

Mirko, ecco i mondiali. Si sono già disputate alcune prove, su tutte il team relay: come ci arriviamo?

Direi bene. Sin qui abbiamo ottenuto buoni risultati in tutte le categorie in questa stagione. Tutti i ragazzi e tutte le ragazze sono motivate, a partire da Luca Braidot e Martina Berta, parlando degli elite. Ma anche i giovani sono belli carichi. Finalmente con loro stiamo lavorando bene. Marco Betteo e Valentina Corvi hanno dimostrato buone cose…

E infatti siamo partiti con un buon argento nella prova a squadre…

Sì, il team relay è una prova alla quale tengo particolarmente. E’ la prova di squadra per eccellenza. Avevamo una squadra forte e anche gli altri lo sapevano. Mi aspettavo prestazioni competitive.

All’Europeo di Monaco, dove si assegnava solo il titolo elite, hai portato un giovane come Jury Zanotti e non Luca Braidot, vincitore di due gare di Coppa e addirittura in lizza per la conquista della generale. Perché?

Vero, ho portato Zanotti che è un primo anno elite perché se lo meritava. E poi anche perché, visto il percorso non super tecnico, ho preferito far riposare Luca proprio in vista del mondiale.

Ecco Mirko, hai parlato di percorso poco tecnico, mentre a Les Gets le cose sono diverse…

Mah, alla fine i nostri si sono divertiti a Monaco e, tra virgolette, si è anche sottovalutato quel tracciato. I ragazzi mi hanno detto che era super impegnativo: non c’era un metro di recupero, mai un momento in cui poter tirare il fiato. Tante volte i percorsi facili diventano i più complicati da gestire. Certo, visto quanto siamo abituati ad affrontare in Coppa ci saremmo aspettati qualcosa di più, ma alla fine conta la location e quel che si ha disposizione. E sotto questo punto di vista devo dire che a Monaco si è corso in un parco stupendo e pieno di gente.

Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
E un percorso così, dove c’era da spingere e con salite lunghe… ha avvantaggiato Pidcock?

Tom riesce a spingere rapporti lunghi e di certo con salite lunghe e regolari diventa perfetto per lui. Può mettere tutti in crisi, però abbiamo visto che riesce a farlo su tutti i terreni! Ha un cambio di marcia pazzesco…

Tu, più da ex di entrambe le discipline che da cittì, come lo hai visto?

Molto bene direi! Ho visto che in qualche modo riesce sempre ad accelerare. Quando è a tutta ho notato che ha ancora quella mezza cartuccia in più, come nei finali di salita o di gara. E questo credo sia demotivante per gli altri. Io ci sono passato e mi ricorda parecchio Paolo Bettini. Quando eri lì, lì per essere al gancio, lui si alzava sui pedali e ti faceva un gran male. E accusavi il colpo.

Aveva margine? 

Ho notato che in alcuni punti del percorso guardava il computerino. Oppure nei tornantini si voltava per controllare cosa succedesse sotto di lui. Aveva addosso quella consapevolezza come a dire: «Se vi avvicinate io ne ho ancora». Sembrava si stesse allenando.

E questo perché è un fenomeno lui o perché la strada gli dà tanto motore?

Sicuramente è la strada. Ha un altro colpo di pedale e ne è consapevole. Ne è consapevole sia da un punto di vista tecnico che di approccio. Quando è nella Mtb arriva in un mondo diverso e in qualche modo si sente superiore. La testa fa anche questo. Ricordiamoci i numeri che ha fatto anche lo scorso anno e non solo ai Giochi. Ad Albstadt, dove non aveva punti, è partito ultimo o quasi ed è arrivato quinto. Chi sa di Mtb sa che questo è un numero pazzesco. Un numero anche a livello mentale. E poi lavora bene. Io non riesco a capacitarmi tante volte. Come ho detto, ci sono passato ed è vero che ho fatto il cambio ad una certa età, ma a me per passare da una bici all’altra serviva sempre un bel po’ di tempo. Pidcock invece, ma anche Van Aert nel cross, riesce ad adattarsi subito. Per loro guidare questa o quella bici non fa differenza. Sono fenomeni.

Hai detto che la strada dà molto. E allora perché non far correre anche i nostri di più su strada?

L’idea della strada c’è e mi piacerebbe portarla avanti. Ma poi bisogna fare i conti con il calendario e trovare i momenti giusti. Non è semplice. E poi con che squadra? Non bastano 2-3 atleti per correre (ipotizzando di farlo con i rispettivi team, ndr). Certo, aiuterebbe soprattutto i più giovani a crescere.

Torniamo a Tom, ma stavolta dal punto di vista contrario: dal biker prestato alla strada. La sua discesa dal Galibier è stata memorabile. Si è notata una grande differenza di guida tra lui e gli altri. Quanto c’era del Pidcock biker nell’impresa dell’Alpe?

Tanto. Con le debite proporzioni mi sono rivisto io in discesa su strada. Quando stavo bene staccavo il cervello. Avevo determinazione, cattiveria, voglia vincere. Da fuori ti dicono: «Questo è pazzo. Ora si ammazza». Ma in quel momento tu non fai calcoli. Sei concentrato e determinato. Io feci così nel Giro di Lombardia che vinsi: rischiai tantissimo nella discesa dalla Val Taleggio e questo mi consentì di prendere il margine necessario.

E un campione così i nostri ragazzi lo temono ancora di più?

Non mi piace molto fare certi paragoni o alimentare altre tensioni, ma ai ragazzi dico sempre che anche quando si è super favoriti ci può essere la giornata storta. Che non bisogna mai partire battuti. Luca Braidot, per esempio, sta bene. Dopo le vittorie in Coppa ha preso consapevolezza dei suoi mezzi. Ha capito che anche lui è in grado di fare certe cose. E poi occhio a Martina Berta, sta crescendo bene. E’ migliorata molto. Ed è ancora giovane.