La conquista del Giro di Campania, prova in tre tappe allestita la scorsa settimana, ha per Mirko Bozzola un significato speciale. Non tanto perché si tratta della prima corsa a tappe che il novarese si aggiudica, quanto perché è il suo primo successo con la maglia della Sc Padovani. Bozzola ha lasciato alla fine della scorsa stagione il devo team della Q36.5 proprio per diventare il riferimento della gloriosa squadra che proprio attraverso di lui voleva acquisire nuova gloria, approdando anche fra le Continental. Ma i primi mesi della stagione non sono andati come lui e lo staff speravano.
«Per me questa vittoria è stata una boccata d’aria fresca – ammette Bozzola – ci voleva davvero dopo un inizio stagione con troppe sfortune. Tutto è nato da una pericardite che mi ha costretto a 45 giorni d’inattività per fare in modo che l’infiammazione venisse eliminata. Non c’era da scherzare, serviva riposo e attenzione. Così ho avuto poco tempo per prepararmi, per ritrovare la condizione e soprattutto per portare risultati. Le prime gare di aprile non riuscivo neanche a terminarle, pian piano poi le cose sono andate meglio e in Campania, pur senza vincere una tappa, sono tornato a essere me stesso».
Il tuo problema ha tolto al team quel riferimento di cui aveva bisogno…
E’ vero e mi dispiace, poi ci si è messo anche l’infortunio al braccio di Ursella che ha tolto alla squadra anche il velocista di punta. Era difficile in quelle condizioni fare risultato e devo anzi dire che i ragazzi sono stati bravi, cogliendo alcuni piazzamenti importanti. Non c’erano le punte, i riferimenti, anche le strategie che erano state previste a inizio stagione sono state completamente riviste. Diciamo che le cose per il nostro team non sono andate bene nei primi mesi, è come se la nostra stagione iniziasse ora.
E’ vero che il Giro di Campania aveva una valenza nazionale, ma che cosa significa per te e per voi?
E’ un segno di rinascita, quell’iniezione di fiducia della quale, soprattutto alla vigilia del Giro NextGen, avevamo bisogno. Soprattutto avevo bisogno io di restituire il sorriso allo staff che mi è sempre stato vicino nelle settimane più difficili, ora serve solo che anche Ursella, che si sta riprendendo, ritrovi la forma e soprattutto quel pizzico di fortuna che serve sempre per vincere.
Tu non sei mai stato un uomo da classifica…
E non lo sono neanche ora, ma vincere fa sempre piacere. Mi ero preparato a puntino pensando soprattutto al Giro NextGen, sono andato ad allenarmi in altura a Livigno, sono sceso proprio prima della corsa campana, ideale proprio in funzione propedeutica non avendo grandi salite. A Livigno ho lavorato sodo sulle indicazioni del mio preparatore Paolo Slongo, ho anche perso peso. E questo mi ha aiutato soprattutto nelle ascese. Nel cronoprologo di 4 chilometri ho chiuso 5°, il giorno dopo sono entrato nella fuga che ha deciso la corsa finendo secondo dietro Leonardo Vesco, nell’ultima abbiamo amministrato la corsa. Non sono un uomo da classifica, ma ho buone doti di recupero fra una tappa e l’altra e questo mi aiuta.
Tu hai rinunciato a un devo team, non è cosa da tutti i giorni…
In molti me lo dicono, effettivamente può sembrare un bel salto all’indietro ma a ben guardare non è così. Ho trovato un team molto ben organizzato, con un calendario davvero qualitativo, il cambiamento è stato meno marcato di quel che pensavo. Io credo che a conti fatti la scelta sia stata giusta perché avverto la fiducia del team sulle mie prestazione il mio ruolo come leader della squadra.
Ora sei in partenza per il Giro, con quali aspettative?
Siamo molto motivati a far bene, è un po’ il target del team, almeno per questo primo anno e questa prima parte di stagione. Sappiamo di aver lavorato bene fisicamente e di aver strutturato nella maniera migliore il team, il gruppo si è cementato, abbiamo fatto lavoro di squadra e già in Campania i frutti si sono visti. Io punto a qualche tappa, in particolare c’è quella di Acqui Terme che mi piace molto con salite brevi e non tanto dure, sono anche andato a vedere personalmente l’ultima parte del percorso, d’altronde sono le mie parti, ci tengo a far bene lì.
Il fatto che per lungo tempo sei stato lontano dalle corse ha anche risvolti positivi, nel senso di energie ancora in serbatoio?
Io lo spero, confido che la seconda parte dell’anno sia fortunata, mi ripaghi di quel che ho perso. Sicuramente ho speso meno di altri e questa è una riserva che può dare frutti. La stagione è lunga, ci sono tante corse internazionali alle quali poter puntare. L’importante è aver a disposizione un gruppo motivato come il nostro.
Tornando al Giro, ci sarà il confronto con molti team internazionali di primo piano. Tu hai fatto parte di un devo team, che cosa si troveranno di fronte i tuoi compagni e in generale i team italiani?
Un modo diverso d’interpretare la corsa. Noi siamo mentalmente e culturalmente impostati su un sistema di gare fatto di scatti e controscatti che si moltiplicano con l’avvicinarsi del traguardo, ma quando corri all’estero ti accorgi che tutti vogliono emergere e quindi le corse diventano dure da subito, appena partiti. Su questo ho cercato di lavorare con i compagni. Per far capire loro il cambio di mentalità: un buon risultato parte proprio da questa comprensione.