Javier Romo, l’asso nella manica della Movistar venuto dal triathlon

11.03.2025
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Javier Romo è una delle sorprese di questa prima parte del 2025. Lo spagnolo è letteralmente esploso con il Team Movistar. Un colpaccio di Eusebio Unzue che da tempo era sulle sue tracce. E anche il nuovo staff tecnico guidato da Iván Garcia Cortina ha rivisto alcuni metodi, anche nella ricerca degli atleti, come fanno altri team da anni che non pescano solo nel ciclismo giovanile. Pensiamo per esempio a Nordhagen, che la Visma-Lease a Bike ha letteralmente strappato allo sci di fondo.

La sua carriera infatti è iniziata nel triathlon, disciplina in cui ha gareggiato a livello nazionale in Spagna, paese noto per la forte tradizione in questo sport e ha vinto persino un titolo nazionale nelle categorie giovanili. La transizione al ciclismo su strada è avvenuto sotto il periodo del Covid, quando è passato dapprima in una piccola squadra under 23 spagnola, la Baqué Cycling Team, e da lì all’Astana.

Javier Romo è stato un esponente della nazionale spagnola di triathlon (foto Triathlonsp)
Javier Romo è stato un esponente della nazionale spagnola di triathlon (foto Triathlonsp)

Chi è Javier Romo

Nato a Villafranca de los Caballeros, nella provincia di Toledo, il 6 gennaio 1999, nel 2017 Romo ha conquistato la medaglia di bronzo ai campionati Spagnoli Junior di Triathlon, dimostrando fin da giovane le sue doti atletiche. La sua passione per il ciclismo è emersa come accennavamo durante la pandemia, periodo in cui ha intensificato gli allenamenti su strada.

La cosa incredibile è avvenuta proprio nel 2020. Alla prima vera esperienza da ciclista Romo ha vinto subito il campionato Spagnolo su Strada under 23. Quella era solo la sua terza gara. Fu anche settimo nella prova contro il tempo appena dietro Tercero e Pelayo Sanchez, oggi incredibilmente suo compagno di squadra.

Da lì all’Astana il passo è stato breve. E nel 2023 eccolo esordire alla Vuelta. Vuelta che Romo ha affrontato alla grande… almeno all’inizio. Ha mostrato il suo potenziale entrando in una fuga nella seconda tappa e posizionandosi temporaneamente al secondo posto in classifica generale. Tuttavia, una caduta nella nona tappa lo ha costretto al ritiro a causa di una frattura lombare.

Il particolare saluto di Romo a Uraidla in Australia, primo successo nel WT e primo da pro’
Il particolare saluto di Romo a Uraidla in Australia, primo successo nel WT e primo da pro’

Le parole di Sciandri

A dirci qualcosa di più è stato Max Sciandri, uno dei direttori sportivi della Movistar. Secondo Sciandri, l’inclusione di Romo nella squadra è stata una sorpresa positiva. Nonostante la sua limitata esperienza nel ciclismo su strada, dovuta a una carriera dilettantistica relativamente breve, Romo ha mostrato numeri impressionanti e un grande potenziale. «E’ chiaro che gli manca ancora una parte dell’esperienza che si acquisisce nelle categorie inferiori, ma ha evidenziato i suoi margini di miglioramento. E ormai si muove bene in gruppo».

Per come ha vinto in Australia verrebbe da dire che si tratta di un finisseur, ma Sciandri non è del tutto d’accordo. «Direi piuttosto che è un corridore completo: forte in salita, competitivo a cronometro e dotato di una buona velocità in gruppi ristretti. Inoltre la sua esperienza nel triathlon potrebbe arricchire ulteriormente le sue capacità nel ciclismo su strada, considerando la tendenza dei giovani atleti a essere multidisciplinari. Vediamo che ormai atleti di vertice fanno ciclocross o vengono dalla mtb».

Secondo Sciandri Romo ha grandi margini e sta migliorando anche tatticamente
Secondo Sciandri Romo ha grandi margini e sta migliorando anche tatticamente

Vuelta sì, Giro forse

Lo scorso gennaio, Javier Romo ha conquistando la sua prima vittoria da professionista nella terza tappa del Tour Down Under, dove ha attaccato nel finale imponendosi in solitaria. Questo successo gli ha permesso di indossare la maglia di leader della corsa, terminando poi al secondo posto nella classifica generale alle spalle di Narvaez. Ma poi una volta in Europa ha continuato a fare bene. «E infatti – confida Sciandri – mi sarebbe piaciuto moltissimo portarlo sia alla Strade Bianche che alla Tirreno-Adriatico, ma si è ammalato e tutto è saltato. Bisognava tutelarlo per le prossime gare, perché può fare davvero bene».

E quali sono queste gare? Dopo il Catalunya (24-30 marzo) Romo potrebbe fare alcune classiche del Nord e magari esordire sui muri e sulle pietre, vista la sua stazza (180 centimetri per 70 chili e spalle larghe come si nota nella foto di apertura).

«Javier – conclude Sciandri – vuol fare la Vuelta, però non vi nego che il Giro d’Italia potrebbe essere un’opzione. Un’opzione per la quale sto insistendo. Ne stiamo parlando. Vediamo un po’».

L’occasione mancata: Sciandri ripensa a Nairo sul Mottolino

11.12.2024
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Diciannove maggio 2024: Manerba del Garda-Livigno. Quella fu la giornata che Maximilian Sciandri, direttore sportivo della Movistar, ricorda con un misto di orgoglio e rammarico.

Sulle grandi montagne del  Giro d’Italia, Nairo Quintana tornò protagonista dopo un lungo stop. Peccato che sulla sua strada trovò un certo Tadej Pogacar che con un’impresa di potenza, gli strappò la vittoria di tappa ai 2.300 metri del Mottolino.

Max Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar
Max Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar
Allora, Max, qual è stata la tua occasione mancata durante questa stagione?

La tappa del Mottolino al Giro. Nairo era in una fuga… una fugona! C’erano più di 30 corridori in avanscoperta. Noi avevamo dentro appunto Nairo, Pelayo Sanchez, che aveva già vinto una tappa e un altro che ora non ricordo. Ne avevamo tre in quella fuga.

Ci credevate insomma?

Moltissimo. Decidemmo subito di fare la corsa per Nairo. Lui rientrava dopo un anno di stop e doveva dosare bene le energie. Ma era in crescita e poi quelle salite e quelle quote erano il suo terreno. La tappa andò come previsto. La fuga prese un buon vantaggio, ma a ripensarci oggi…

A ripensarci oggi…

Beh, quel giorno si è discusso molto tra chi doveva tirare, chi no. Mi è stato detto che Nairo non contribuiva tanto e questo ha frenato un po’ il ritmo. So, per certo che a quel punto anche Alaphilippe, che sa il fatto suo, non ha tirato a tutta. Questo per me ha limitato un po’ il vantaggio che si poteva accumulare. Alla fine, Pogacar ha ripreso la fuga a un paio di chilometri dall’arrivo. Se ci fosse stato un gap maggiore, probabilmente Nairo avrebbe potuto vincere.

Fuga numerosa, Quintana (mentre beve) cerca di risparmiare. Se avesse spinto di più, le cose sarebbero cambiate?
Fuga numerosa, Quintana (mentre beve) cerca di risparmiare. Se avesse spinto di più, le cose sarebbero cambiate?
Ma se ci fosse stato un gap maggiore, non pensi che Pogacar sarebbe partito prima?

No, non credo, perché non c’era chi poteva impensierirlo per la classifica. Ma certo una volta avuta la fuga a tiro ci ha provato. Pogacar era talmente forte che ha ripreso tutti ad a una velocità impressionante.

Quando avete capito che non ce l’avrebbe fatta?

Quando Pogacar si è avvicinato ed era a 30-40 secondi. Anche se mancavano meno di 3 chilometri a quel punto era impossibile tenerlo. La vittoria era irraggiungibile.

Quel giorno avete provato a motivare Nairo di più? Gli avete detto qualcosa per radio?

Sì, ci abbiamo creduto fino alla fine. Gli altri corridori in fuga hanno dato tutto per tenere viva l’azione, Nairo come detto ha economizzato un po’ e infatti è andato più avanti di tutti. Io gli dicevo di crederci. Sul finale ha preso il microfono anche Eusebio (Unzue, il team manager, ndr). Era arrivato proprio quel giorno. Anche lui è stato molto carino. Sentirlo emozionarsi alla radio è stato speciale. Insomma è un dirigente, un proprietario di team esperto… eppure era lì con noi.

Meno di 3 km all’arrivo. Da dietro come un falco arriva Pogacar, Nairo è spacciato… Alla fine però sarà secondo
Meno di 3 km all’arrivo. Da dietro come un falco arriva Pogacar, Nairo è spacciato… Alla fine però sarà secondo
E dopo la tappa come è andata? Quella sera a cena, cosa avete detto a Quintana?

Quando ho fatto il “giro delle stanze” gli ho fatto una battuta che poi in qualche modo è girata per tutto l’anno nel nostro team. Gli ho chiesto: «Nairo, ma ti sei divertito?». Lui mi ha guardato un po’ sorpreso e ha risposto: «Non me l’aveva mai chiesto nessuno. Mi sono divertito tantissimo, Max».

Una risposta inaspettata per un campione come lui!

Sì, ma è importante ricordarsi che, oltre ai sacrifici, il ciclismo deve anche divertire. Alla fine come dico sempre tutti “facciamo i compiti a casa”: allenamento, ritiri, alimentazione in un certo modo, giorni lontani dalla famiglia… e serve anche vivere le corse con più spensieratezza, anche nei momento clou. Quella battuta, in qualche modo, ha fatto il giro della squadra e al termine delle riunioni sul bus, soprattutto Quintana concludeva con un: «Ragazzi, divertiamoci».

Pensi che quella tappa gli abbia dato fiducia per il futuro?

Sicuramente. Arrivare secondo dietro il più forte al mondo è un risultato importante. Gli ha dato conferme e la consapevolezza che può esserci ancora. L’anno scorso per lui era importante correre, quest’anno arriva alla nuova stagione con tutta un’altra testa, più convinto e più deciso rispetto al 2024.

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Giro a Rapolano, Alaphilippe Beffato

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Alla fine spunta Sanchez, che brinderà col nebbiolo di Sciandri

09.05.2024
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Per capire che la tappa di oggi non era finita per Pelayo Sanchez dopo quella rotonda sbagliata, bisogna tornare indietro al 16 settembre 2023. Guadarrama, penultima tappa della Vuelta. Lo spagnolo viaggia in fuga con Wout Poels e un certo Remco Evenepoel. 

Nella fuga inizialmente c’erano anche altri atleti, ma lui tra curve al limite, fuorisella e rapportoni lunghi, alla fine era riuscito a restare con i due corridori ben più forti e famosi del drappello. Anche il tempo dello sprint era giusto, ma a 23 anni, al primo grande Giro e al termine della terza settimana, si era dovuto arrendere. Primo Poels, secondo Remco, terzo Pelayo.

Oggi, verso Rapolano Terme, il film quasi si ripete. La fuga più numerosa che man mano si assottiglia e lui che resta con due campioni, Luke Plapp e Julian Alaphilippe, che è anche il suo idolo.

Stavolta è freddo. Stavolta quella lezione di Guadarrama l’ha messa a frutto e, complici ottime gambe, alla fine ce l’ha fatta. E neanche di poco, tanto da iniziare a scuotere il capo per l’incredulità qualche metro prima della linea bianca.

Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024
Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024

Testa e sogno

All’epoca di Guadarrama, Pelayo Sanchez era un corridore della Burgos-Bh, una professional spagnola, adesso è alla Movistar. Unzue, che ha l’occhio lungo lo ha voluto subito alla sua corte. E ancora una volta ha fatto centro.

«Non mi rendo conto di aver vinto una tappa al Giro – ha detto Sanchez – non ho parole. A questa tappa ci tenevo. E’ dall’inizio del Giro che risparmiavo energie per questa frazione. E sì che mi sarebbe piaciuto andare in fuga. Questa tappa era nella mia testa già da un po’, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile.

«Durante la corsa ho cercato di essere paziente e di mantenere la calma. Alla fine siamo rimasti solo io, Plapp e Alaphilippe. Ho provato a staccarli, ma non ci sono riuscito, così ho dovuto puntare tutto sullo sprint. Per fortuna ha funzionato».

Gruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classifica
Gruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classifica

Asturiano veloce

Pelayo Sanchez, classe 2000, 177 centimetri per 62 chili, di Tellego nelle Asturie, forse la regione spagnola più legata al ciclismo dopo i Paesi Baschi. Sui media la news di Pelayo prende a spallate la politica, la questione israeliana e i mega investimenti che ArcelorMittal si propina a fare in Spagna. Adesso lo spazio è per questo ragazzo.

Molto alla mano, semplice, Pelayo Sanchez impara in fretta, ci dice chi gli è vicino. «I numeri sarebbero anche da scalatore – chiarisce il suo direttore sportivo Maximilian Sciandri – ma io direi piuttosto che è un corridore completo, uno che emerge quando la corsa è dura. E oggi per esempio negli ultimi 100 chilometri c’erano quasi 2.000 metri di dislivello. E poi è veloce, molto veloce, e questa non è una caratteristica da poco per chi va forte in salita.

«Quando venni a vedere questa tappa pensai a lui ed era nei progetti che oggi ci provasse, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mondo, non il mare! Bisogna mettere insieme tante probabilità, che sullo sterrato si moltiplicano.

«Quando sono iniziati gli scatti Sanchez ci ha provato due, tre volte e lo ha fatto anche con l’aiuto di Fernando Gaviria e Lorenzo Milesi. Poi è partita l’azione buona con Alaphilippe. Noi, pensando alla fuga, avevamo già mandato in avanti la seconda ammiraglia».

Caduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il siciliano
Caduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il siciliano

Il nebbiolo di Sciandri

Il fatto che Sciandri, toscano, conoscesse queste strade e avesse fatto il sopralluogo è stato quantomai vitale per Sanchez.

«Ho visionato gli ultimi 80 chilometri – riprende Max – facendo dei filmati sull’ingresso degli sterrati, dello strappo di Serre di Rapolano e del finale. Durante la riunione immaginavamo, mettendoci nei panni di un diesse che ha l’uomo di classifica, che il gruppo non sarebbe arrivato compatto, che lasciasse andare. Tuttavia nel finale, abbiamo preso lo strappo duro con 20”: eravamo al limite. Lì Pelayo doveva provarci. Non è riuscito a staccarli. Per fortuna si ricordava bene il finale. Che tra l’altro tirava anche un po’. Che dire? E’ stato bravo. Bravo anche ad avere sangue freddo, tanto più con un cliente come Alaphilippe che in questi arrivi ci sa fare».

Quindi in Movistar si fa festa stasera. Diesse toscano che vince in Toscana, è lecito pensare che si brinderà con un bel rosso della zona.

«Sapete – conclude Sciandri – al via da Torino un mio amico mi ha regalato una cassa di nebbiolo. Stasera si va con quello!».

Alaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belle
Alaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belle

Alaphilippe non molla

Ma se questa è la parte del vincitore, del vinto che si dice? In tanti tifavano per l’ex iridato, Julian Alaphilippe. Quanto avrebbe fatto bene a lui e al Giro d’Italia una sua vittoria? 

Un tempo, una frazione simile se la sarebbe divorata in un boccone, stavolta fa “buon viso a cattivo a gioco”, nel senso che dopo l’arrivo si congratula sorridente con Sanchez. Evidentemente “Loulou” sa che era solo questione di gambe: quell’altro ne aveva di più, c’è poco da recriminare.

Ma quel che conta è che l’ex iridato c’è e cresce. «Io – spiega il direttore sportivo della Soudal-Quick Step, Davide Bramati – credo che Julian e la squadra abbiano fatto un’ottima corsa oggi. In ogni attacco noi c’eravamo. Quando si è creata quella situazione di 24 uomini, la UAE Emirates ha chiuso ed era normale. Ma poi sapevamo che poteva essere un momento buono e così Alaphilippe ha insistito e ha avuto ragione».

“Brama” guarda avanti. Dice che il Giro non è finito e fa intendere che riassaporare certe sensazioni, vale a dire giocarsi arrivi importanti, non può che far bene ad Alaphilippe.

«A parte una tappa, sin qui i ritmi sono sempre stati elevati – spiega Bramati – anche oggi: fare 46 di media su questo percorso è incredibile, per questo domani molti dei miei tra cui Alaphilippe sfrutteranno la crono per “recuperare” in vista delle altre tappe. Le occasioni sono ancora tante. E noi ci riproveremo».

L’occhio tecnico di Sciandri su Jorgenson: «Sa quello che vuole»

13.03.2024
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Maximilian Sciandri ha diretto Matteo Jorgenson per quattro stagioni alla Movistar. Arrivò da lui che non aveva neanche 21 anni. Che fosse un bel talento lo si era notato in questi anni. Sempre più spesso, Matteo faceva capolino nelle parti alte delle classifiche e delle corse più importanti. Lo scorso anno al Tour fu tra gli ultimissimi ad arrendersi sul Puy de Dome.

In questa stagione l’americano ha cambiato team. E’ passato alla Visma-Lease a Bike mostrando di andare ancora più forte. Abbiamo negli occhi ancora il fresco colpaccio della Parigi-Nizza, tra l’altro togliendosi il lusso di lasciar vincere Remco Evenepoel: non uno qualsiasi.

«E’ cambiato tutto in questa nuova squadra – ha detto Jorgenson nelle interviste post gara – ogni dettaglio è curato. Oggi (domenica scorsa, ndr) avevamo programmato di stare davanti in tre punti specifici e ci siamo riusciti. Al via ero parecchio nervoso e infatti ho dormito poco e male la notte precedente. Per la prima volta ho sentito la pressione».

In questa sua intera frase, come ci mostrerà anche Sciandri, c’è tanto se non tutto Matteo Jorgenson. Vediamo perché…

Maximilian Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar dal 2019
Maximilian Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar dal 2019
Max, insomma: lo hai diretto un bel po’. E pochi lo conoscono come te…

Giusto il giorno dopo la Parigi-Nizza ci siamo sentiti, gli ho mandato un messaggio. Che andava forte si sapeva, già lo scorso anno vinse in Oman con me. Mantenne quell’unico secondo di vantaggio con grande personalità. E’ un ragazzo di grandi potenzialità.

Che ragazzo è?

E’ certamente un ragazzo molto determinato. Io credo sia andato via con grande consapevolezza. Pur sapendo che in Visma avrebbe incontrato leader importanti, sapeva che si sarebbe potuto giocare le sue possibilità. E infatti eccolo essere leader sin da subito… e in una corsa importante come la Parigi-Nizza.

Ti aspettavi che vincesse subito?

Che vincesse no, tantomeno che lo facesse con quella padronanza, con quella lucidità e quella destrezza, anche nel gestire la squadra. Quindi no, non me lo aspettavo. Piuttosto credevo in una top 5, sarebbe stato comunque un segno di maturità e un ottimo risultato. E invece questo segno lo ha dato ancora più forte. Io lo vedevo già maturo…

Jorgenson, con Woods sul Puy de Dome, una grande prestazione quel giorno al Tour de France
Jorgenson, con Woods sul Puy de Dome, una grande prestazione quel giorno al Tour de France
Ma non così maturo forse…

Matteo sapeva esattamente ciò che voleva. Quando era con noi era così dalla nutrizione ai materiali, dagli all’allenamenti all’aerodinamica. Forse sopperiva anche a nostri gap. Poi su certi dettagli riguardanti l’aerodinamica non entro, non è la mia stretta materia. Però vedevi che lui studiava, rifletteva e cercava di capire come limare qualcosa. S’informava su tutto, sulle corse…

Insomma in Visma a quanto pare ha trovato pane per i suoi denti. Tu Max, sei stato un corridore di prima fascia, secondo te un atleta professionista certi comportamenti li ha di suo o qualcuno glieli insegna?

Non credo che qualcuno gli abbia insegnato certe cose da ragazzino, anche perché è statunitense, californiano, e lì non c’è una scuola di lunghe tradizioni. Una cosa che però deve aver appreso in America, immagino, sia la passione per la Parigi-Nizza. A questa corsa teneva tantissimo. Già con noi fece ottavo l’anno scorso. La voleva, la preparava e non voleva fare mai la Tirreno.

A Nizza Jorgenson ha lasciato la tappa a Remco. Probabilmente era anche più veloce del belga, ma Evenepoel aveva tirato di più
A Nizza Jorgenson ha lasciato la tappa a Remco. Probabilmente era più veloce del belga, ma Evenepoel aveva tirato di più
Dove può arrivare Jorgenson per te?

La tenuta sulle tre settimane va verificata, però il fatto che lo scorso anno al Tour, nella terza settimana, abbia vinto il premio della combattività è un bel segnale. Certo, fare classifica è un’altra cosa, però in futuro potrà provare a vincere un grande Giro. Di certo potrà lottare per un podio. Difficile dirlo, ma credo abbia i margini per provare.

Tecnicamente come lo inquadreresti? E’ un cronoman? Uno scalatore? E’ altro, visto che anche all’Omloop Het Nieuwsblad era davanti?

Se dovessi definirlo scalatore, direi di no. E non direi neanche che è un cronoman. E’ un ciclista moderno che va forte su tanti terreni. Direi quindi che è un corridore completo. Completo anche per quel che riguarda gli aspetti della guida. Davvero uno bravo.

Gaviria alla Movistar, il velocista che mancava

09.01.2023
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Fernando Gaviria riparte dal Team Movistar, per un 2023 che all’alba dei suoi 28 anni vuole essere un riscatto. Maximilian Sciandri, diesse della squadra spagnola, ci spiega i motivi del suo arrivo alla Movistar. Il colombiano è il primo velocista puro che approda alla corte di Unzue.

«E’ il quinto anno che sono alla Movistar – esordisce Sciandri – e l’arrivo di Gaviria è un piccolo grande cambiamento. Non abbiamo mai avuto un velocista, si è sempre puntato sulle corse a tappe».

Sciandri è alla Movistar dal 2019. Nella foto, al Polonia con Juri Hollmann, giovane tedesco del team spagnolo
Sciandri è alla Movistar dal 2019. Nnella foto, al Polonia con Juri Hollmann, giovane tedesco del team spagnolo
Quando vi siete accorti di aver bisogno di uno come Gaviria?

A metà della scorsa stagione, quando ci siamo ritrovati a rincorrere nella classifica del ranking UCI. Se avessimo avuto un velocista avremmo avuto più possibilità di raccogliere punti importanti, Gaviria è uno di quelli che ha la stoccata vincente. 

Come si inserirà in una squadra che ha sempre puntato sulle corse a tappe?

Fernando (Gaviria, ndr) è un velocista atipico, uno che non ha bisogno del treno che lo porta fino ai 300 metri dall’arrivo. Si adatta, la cosa fondamentale sarà portarlo all’ultimo chilometro o poco più avanti nelle posizioni di testa. 

La squadra per la stagione che sta per iniziare è stata presentata poco tempo fa a Madrid
La squadra per la stagione che sta per iniziare è stata presentata poco tempo fa a Madrid
Chi saranno i suoi angeli custodi?

Abbiamo tanti corridori che possono dargli una mano: Aranburu, Erviti, Rojas… Ma anche lo stesso Cortina. Ovviamente bisogna imparare a costruire il treno o perlomeno un’intesa che permetta a Gaviria di mettersi in mostra.

Partirà dall’Argentina, corsa nella quale ha fatto bene in passato.

Sì, ha sempre fatto bene alla Vuelta a San Juan, tra il 2017 ed il 2020 ha vinto ben otto tappe. 

Partire bene fin dalle prime corse è fondamentale, per non trovarsi poi a rincorrere…

Ne abbiamo parlato anche tra membri dello staff durante il ritiro di dicembre. Quando ero in BMC al Tour Down Under arrivavamo con una squadra già competitiva con Porte, Evans o Dennis. Un corridore come Gaviria è in grado di “tirare” la squadra. Quando si parte con il piede giusto si è fatta una buona parte del lavoro…

L’ultima vittoria in una corsa WorldTour per il colombiano risale al Giro di Polonia del 2021
L’ultima vittoria in una corsa WorldTour per il colombiano risale al Giro di Polonia del 2021
Che impressione hai avuto di Gaviria in questi primi giorni insieme?

Siamo stati in ritiro con la squadra, due settimane ad Almeria, e poi abbiamo fatto la presentazione a Madrid. Lo avevo incontrato qualche volta in giro alle gare, ma non ci eravamo mai conosciuti. Mi sembra un ragazzo estremamente serio e con una gran voglia di riscatto.

Anche perché gli ultimi due anni alla UAE Emirates non sono stati dei migliori.

Secondo me dentro stava stretto, nel senso che la UAE ha tanti corridori molto forti ed è difficile trovare il proprio spazio. Qui alla Movistar potrà avere più chance di mettersi in mostra, anche se il suo calendario non lo conosco ancora. So che staremo spesso insieme ma dobbiamo decidere bene a quali corse puntare. 

Lo scorso anno al Giro alcuni buoni piazzamenti gli sono valsi il secondo posto nella classifica a punti
Lo scorso anno al Giro alcuni buoni piazzamenti gli sono valsi il secondo posto nella classifica a punti
Si troverà in una squadra spagnola, cambierà qualcosa?

Da noi potrà avere maggiore empatia, Fernando è un ragazzo che ha una grande personalità. E’ molto carismatico ed ha creato subito un buon feeling con i nuovi compagni.

In ritiro che impressione ti ha fatto?

E’ già ad un buon punto nella preparazione, anche perché tra meno di due settimane sarà in corsa. Abbiamo fatto molte distanze e qualche lavoro specifico, come sprint e dei fuori soglia. A lui piace molto fare allenamento e distanze dietro macchina, è un po’ alla vecchia maniera.

Così è nato il boom del ciclismo britannico

06.08.2022
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Qualche giorno fa, parlando con Caucchioli, l’ex pro’, oggi stabilitosi in Florida, sottolineava come al suo tempo, a cavallo del secolo, le scuole che dominavano erano quelle classiche (Italia, Spagna, Belgio), mentre i Paesi che oggi vanno per la maggiore quasi non esistevano e fra questi menzionava anche la Gran Bretagna e il ciclismo britannico.

Quella Gran Bretagna che sappiamo essere ormai un riferimento assoluto. Dai Tour di Wiggins e Froome alle volate anche iridate di Cavendish, dai successi dei fratelli Yates al nuovo che avanza attraverso Pidcock e Hayter. Com’è riuscito il Paese britannico a diventare così forte sulle due ruote?


Ripercorrere la sua storia recente può essere anche di buon esempio per l’Italia. Tenendo però in considerazione un fattore: parliamo di un sistema che è stato messo in piedi per supportare tutto lo sport e da questo punto di vista, pur considerando i britannici una delle nazioni guida del movimento sportivo come anche Tokyo 2020 ha dimostrato, dall’altra parte non possiamo non considerare il fatto che l’Italia sta vivendo stagioni davvero floride in ambito sportivo, con un numero di successi mai visto.

Il problema è che il ciclismo, che una volta era uno degli sport di riferimento, ora è confuso nella massa. Si affida quasi esclusivamente alle straordinarie imprese delle ragazze e dei pistard.

Nel 1996 la Gran Bretagna vinse 2 medaglie, grazie a Sciandri su strada e Boardman nell'inseguimento
Nel 1996 la Gran Bretagna vinse 2 medaglie, grazie a Sciandri su strada e Boardman nell’inseguimento
Sciandri Atlanta 1996
Nel 1996 la Gran Bretagna vinse 2 medaglie, grazie a Sciandri su strada e Boardman nell’inseguimento

Da Atlanta a Tokyo

La Gran Bretagna, oggi quasi dominante nello sport, è figlia di una debacle clamorosa, del suo punto più basso raggiunto alle Olimpiadi di Atlanta 1996: proprio mentre l’Italia chiudeva al sesto posto nel medagliere con 13 ori, 10 argenti e 12 bronzi e le imprese di Chechi, Vezzali ma anche di Collinelli, Bellutti e Pezzo.

La Gran Bretagna invece scivolava addirittura al 36° posto con un solo oro, quello del “due senza” di canottaggio grazie a Redgrave e Pinsent. Solamente in sei sport gli albionici erano saliti sul podio e fra questi c’era già il ciclismo, ma si trattava ancora di presenze sporadiche.

Le edizioni precedenti non erano state eccezionali, ma certamente non si era mai toccato un punto così basso e la cosa destò enorme scalpore. Al punto che il governo dovette prendere in mano la situazione: c’era un sistema da rifondare. Allora premier era John Major, che diede tempo sei mesi per pensare a qualcosa in grado di rilanciare lo sport nel suo complesso.

Nel maggio 1997 venne così presentato l’UK Sports World Class Performance Programme: si trattava di una porta di accesso a un sistema di professionismo mascherato. Gli atleti considerati di punta in ogni disciplina, papabili per una medaglia olimpica, sarebbero stati seguiti con uno staff di primo livello. Con un regolare stipendio commisurato alle prestazioni. Per finanziare il sistema che necessitava di un fiume di denaro si è attinto a una lotteria pubblica. Essa ha garantito qualcosa come un miliardo di sterline per ogni quadriennio olimpico.

Performance Pathway
Il gerarchico sistema inventato per rilanciare lo sport britannico e in funzione ancora oggi
Performance Pathway
Il gerarchico sistema inventato per rilanciare lo sport britannico e in funzione ancora oggi

Accademia divisa in due livelli

La crescita dei risultati è stata netta: già quattro anni dopo a Sydney gli ori da 1 sono diventati 11. Poi sono continuati a crescere e il programma si è cementato nel sistema sportivo inglese. Oltretutto c’erano da preparare le Olimpiadi casalinghe del 2012, dove si è arrivati a 29 ori e quel trend non si è più invertito.

Il sistema, come detto, è andato perfezionandosi, vediamo come è applicato nel ciclismo. Ogni anno vengono selezionati un gran numero di corridori e inseriti nelle accademie di base a due livelli, junior e senior, in base all’età.

Si lavora in previsione di Parigi 2024 ma anche di Los Angeles 2028, dando tempo ai più giovani di potersi avvicinare gradualmente ai vertici della specialità prescelta. Interessante è il criterio: i ragazzi devono inviare una domanda di accettazione (quest’anno il termine era posto per il 21 luglio) e la risposta, positiva o no, arriverà entro il 18 agosto per i senior e il 31 per gli junior.

Wiggins Tour Parigi 2012
Bradley Wiggins nel 2012 lanciò il dominio britannico al Tour, foriero di altri trionfi
Wiggins Tour Parigi 2012
Bradley Wiggins nel 2012 lanciò il dominio britannico al Tour, foriero di altri trionfi

Quasi come gli Usa

La scelta viene fatta in base a tre discriminanti: 1) le performance e i risultati degli ultimi tre anni. 2) Test e dati considerati degni di attenzione. 3) Analisi soggettiva dell’allenatore in base a criteri concordati con il responsabile tecnico nazionale della disciplina e il Performance Pathway Manager, che sovrintende al lavoro di tutto il gruppo.

A quel punto l’atleta può essere inserito nell’accademia in pianta stabile oppure considerato “sub judice”: gli verrà accordato un periodo di 3 mesi in un programma di conferma, al termine del quale si stabilirà se sarà idoneo per salire di livello. In questo secondo caso però l’atleta non è finanziato e deve dare la sua disponibilità nei fine settimana. Chi non viene preso può presentare domanda l’anno successivo.

Chi è accettato farà vita simile a quella degli studenti-atleti americani, abbinando lo studio alla pratica sportiva in bicicletta per ottenere il massimo in entrambi i settori. Il programma è molto intenso e competitivo, performante e responsabilizzante.

Non basta avere grandi capacità tecniche, ma serve anche avere un carattere forte, capace di gestire la vittoria come la sconfitta, esattamente come avviene oltreoceano.

Walls Tokyo 2020
Un successo recente: Matthew Walls primo nell’omnium a Tokyo 2020 (6 ori per i britannici)
Walls Tokyo 2020
Un successo recente: Matthew Walls primo nell’omnium a Tokyo 2020 (6 ori per i britannici)

Vincere e guadagnare

Il programma è dedicato prevalentemente alle specialità della pista, del bmx e della mtb che rientrano nel programma olimpico.

L’accademia junior va dai 16 ai 18 anni (ma per il bmx si parte dai 14), quella senior fino ai 22. Chi nel frattempo mostrerà davvero progressi al punto di scalare il ranking internazionale e dare sufficienti garanzie di poter lottare per il podio olimpico approderà all’Olympic Podium Programme, che garantisce un lauto stipendio.

Che il sistema funzioni lo dicono i risultati nei vari campi: la sfida d’oltremanica per i britannici è già iniziata…

Movistar Team, parla Sciandri: «E’ un periodo di transizione»

22.02.2022
5 min
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Maximilian Sciandri è giusto di ritorno da un sopralluogo sul Monte Carpegna, che si scalerà due volte nel corso della sesta tappa della Tirreno-Adriatico. Il direttore sportivo ci parla della sua squadra, la Movistar Team. L’ha già guidata in gara in questa stagione, a partire dalla Valenciana.

Lo storico gruppo di Eusebio Unzue sta vivendo un momento di transizione. In autunno parlammo dell’addio di uno dei suoi direttori sportivi storici, Arrieta, e degli altri cambi nella dirigenza tecnica. Senza contare il viavai di campioni nel corso di questi ultimi anni. Sono andati via Nairo Quintana, Miguel Angel Lopez e Mikel Landa ed arrivato Enric Mas. Mentre il punto fermo resta Alejandro Valverde.

La schiera di giovani però non manca. Su 29 atleti, 16 hanno meno di 27 anni e in cinque potrebbero ancora correre con gli under 23.

Maximilian Sciandri (classe 1967) è alla Movistar dal 2019
Maximilian Sciandri (classe 1967) è alla Movistar dal 2019
Max, che ci facevi sul Carpegna?

Alla Tirreno ci sarà Mas e vuole fare bene. Io il Carpegna non lo ricordavo bene. Lo avevo fatto ad un GiroBio e ad una Coppi e Bartali e così sono partito da casa per andarlo a ripassare. 

Che era sta vivendo la Movistar?

É un momento di cambiamento. Noi crediamo molto in Enric Mas e quest’anno stiamo pensando ad un approccio diverso ai grandi Giri. Un modo di correre meno attendista e più d’attacco, cosa che non ha mai fatto. Cercherà di proporsi un po’ di più, ma dirlo è una cosa, farlo è un’altra. E poi c’è il mitico Valverde, che tra l’altro ha già vinto, che smetterà a fine stagione.

Eterno Alejandro…

Oltre a Mas e Valverde, c’è poi una lunga schiera di giovani, guidati da Ivan Cortina, Alex Aranburu e Ivan Ramiro Sosa: tutti loro hanno potenzialità che per un motivo o per un altro non sono riusciti ad esprimere. Ma il nostro periodo di passaggio passa anche per l’arrivo di Patxi Vila e per la sua figura di performance manager. Lui ha portato tre preparatori e un nutrizionista con la sua “etichetta” e questo per noi è un qualcosa di nuovo. 

Annemiek Van Vleuten vittoriosa alla Comunitat Valenciana Feminas
Annemiek Van Vleuten vittoriosa alla Comunitat Valenciana Feminas
Un qualcosa ormai d’imprescindibile nel ciclismo moderno…

Sì, e poi abbiamo anche la squadra femminile. Una squadra molto importante e che ha già vinto. Una squadra in cui milita la Van Vleuten e questo la dice lunga sul fatto di voler investire da parte del team.

Squadra rimaneggiata, per certi aspetti nuova, ma come si trovano gli stimoli quando in gruppo non ci sono Mas o Valverde?

Ogni diesse ha la sua storia, il suo modo di fare e a me piace essere realista. Se al via di una Sanremo ci sono Alaphilippe, un Sagan in forma e un Van der Poel, non vi dico che siamo limitati, ma è molto probabile che lotteremo per un piazzamento… e neanche troppo alto. E allora si cerca qualcosa di diverso. Si cerca una fuga. So che è poco e questo non vuol dire che ci accontentiamo, però senza il leader di punta ti devi arrangiare e trovare stimoli in altri modi.

Domanda che abbiamo fatto più volte anche ad altri tuoi colleghi con corridori simili: ma un Mas, che tra l’altro è spagnolo, perché non punta forte sul Giro che può vincere e poi alla Vuelta? Tolti i tre tenori, che poi dopo l’incidente di Bernal quest’anno sono due, ci sono lui e Carapaz appena dietro…

Vero, Mas tiene molto bene alla distanza e con la defaillance di un corridore potrebbe cogliere un podio importante e andare un po’ oltre le aspettative. Però il Tour è il primo obiettivo. In passato, con altri sponsor, la Movistar lo ha anche vinto e resta centrale. La Vuelta invece è il secondo essendo un team spagnolo. Al Giro ci verremo con Valverde. Lui si divertirà…

Alejandro Valverde (a sinistra) ed Enric Mas sono i leader della Movistar
Alejandro Valverde (a sinistra) ed Enric Mas sono i leader della Movistar
Valverde che si diverte ci crediamo poco!

Nel senso che vedremo come andrà, come cercherà di dare caccia alle tappe o a quel che vorrà. Correrà in modo spensierato. No, no… so bene che Alejandro va alle corse per vincere. “Killer” come lui ce ne sono pochi. Ho lavorato con Gilbert che è simile e averli in squadra è una lezione di vita.

Avete preso il tedesco Max Kanter per le volate, bravo ma non uno sprinter di primissimo ordine… Non c’è proprio l’idea del velocista in questo gruppo?

No! Non appartiene a questo gruppo. Non c’è nella testa, nelle radici. Io credo che Eusebio (Unzue, ndr) non sacrificherebbe mai una classifica a squadre per un velocista. Poi magari mi sbaglio…

Intendi proprio la classifica a squadre nei grandi Giri, quella per tempi?

Sì quella. Ci tiene particolarmente.

Eppure con le nuove regole del WorldTour quest’anno quasi tutti i team si sono rinforzati col velocista…

In tanti lo hanno preso. Sono bricioline, ma alla fine anche quelle vanno bene per fare punti. Ma Eusebio ci tiene troppo a fare classifica nei grandi Giri.

Aranburu alla prese con i test pre-stagionali (da Instagram – Photogomezsport)
Aranburu alla prese con i test pre-stagionali (da Instagram – Photogomezsport)
Max, prima hai citato Sosa: che programmi avete per lui?

Nel dettaglio non ricordo, ma i suoi appuntamenti più importanti sono la Tirreno-Adriatico e il Giro d’Italia. E più in là, la Vuelta. Sosa è un ragazzo davvero interessante. Lui magari alla Ineos-Grenadiers aveva le ali un po’ tarpate, aveva voglia di cambiare.

E poi ci sono Gorka Izaguirre e Alex Aranburu: con loro si può pensare anche alle classiche del Nord?

Izaguirre è già stato in questo team. E’ un uomo di esperienza, di fondo. Puoi farlo tirare in salita e poi ritrovartelo nel fondovalle successivo. E’ scaltro. Insomma lo puoi utilizzare in un sacco di modi. E Aranburu è un buon corridore. E’ veloce negli arrivi ristretti. Per crescere dovrebbe approfittare della vicinanza con Valverde, magari è uno stimolo in più per lui. E lo stesso discorso vale per Ivan Cortina.

Perché?

Perché anche Ivan doveva fare di più, ha un buon potenziale e ancora non si espresso al massimo. Insieme ad Aranburu potrebbe avere degli stimoli in più. Per quel che riguarda le classiche del Nord che dire: io manco da lassù dai tempi della Bmc e in 3-4 anni non ho la progressione del gruppo sottomano per valutare davvero le possibilità di questi nostri corridori. Insomma avere il polso della situazione, perché abbiamo visto che progressioni ci sono ogni anno, che incrementi di prestazioni. Si è visto come affrontano i grandi Giri, ma anche le piccole corse a tappe ormai. Per ora, quel che posso dire è che spero che Aranburu possa fare bene.

Soler a casa. E Cataldo torna ad essere un battitore libero

21.05.2021
4 min
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«Dobbiamo difenderci in attesa delle grandi montagne», ci aveva detto Dario Cataldo, pensando al leader della Movistar, Marc Soler, prima della frazione di Montalcino. Ci aveva visto lungo. E infatti nell’ultima frazione tra gli Appennini lo spagnolo è caduto e si è ritirato.

Così da ieri sera nell’hotel che dava proprio sulla linea di arrivo di Bagno di Romagna, Dario è andato a dormire con la consapevolezza che il suo ruolo cambierà in questo Giro d’Italia. Anzi, è già cambiato. Non dovrà più correre con un occhio davanti e uno dietro, ma focalizzarsi sulle fughe. Su sé stesso. Dovrà risparmiare quando potrà farlo e affondare il colpo quando ce ne sarà l’occasione. Ma non è facile quando si è partiti con altri obiettivi.

Cataldo al traguardo di Bagno di Romagna, il massaggiatore gli indica l’hotel
Cataldo al traguardo di Bagno di Romagna, il massaggiatore gli indica l’hotel

Movistar in controllo

Cataldo è il capitano della Movistar, il diesse in corsa, e sino a ieri aveva controllato bene la gara di Soler. Non solo, aveva anche trovato un po’ di spazio per lui andando in fuga nella tappa dei Sibillini e in quella di Campo Felice.

«Stavamo mantenendo la situazione sotto controllo – dice Cataldo – per arrivare nelle migliori posizioni all’inizio delle grandi montagne. Poi ieri Marc è caduto. Non ho visto la sua scivolata, ma mi hanno detto che non è stata pericolosa. Lo hanno preso forte da dietro ed è in quel momento che si è fatto male – poi sconsolato aggiunge – Mi è dispiaciuto tantissimo».

I Movistar, proprio grazie alla sapiente guida di Cataldo, si erano mossi bene. Avevano corso sempre coperti, presenti ma senza farsi vedere. Insomma minima spesa, massima resa. Dario aveva tenuto davanti il giovane spagnolo nei momenti più difficili e lo consigliava costantemente.

«Cercavo sempre di fargli anticipare un po’ i tempi – spiega – per esempio quando stare davanti, mettersi una mantellina prima di un determinato punto. Ma comunque Marc si sa muovere bene».

Per Cataldo e i suoi compagni da oggi inizia “un altro” Giro
Non solo per Cataldo, anche per Villella (alla sua ruota) inizia “un altro” Giro

Cataldo in fuga 

E adesso? Adesso è tempo di cambiare, di rimboccarsi le maniche, come tante volte ha fatto durante la sua carriera l’abruzzese. E le maniche Dario ha iniziato a rimboccarsele sin da subito, cercando di risparmiare energie. E’ arrivato a Bagno di Romagna con il gruppetto ad oltre 26 minuti. Dopo l’arrivo non era affaticato. Certo, era stanco, scavato, ma come tutti del resto dopo 12 tappe, 212 chilometri, tanta salita e tanta pioggia.

«Abbiamo cercato anche la vittoria con qualche fuga in questo Giro – sottolinea l’abruzzese – purtroppo non è arrivata ma non è sempre così semplice e scontato. Ci riproveremo ancora sicuramente. Sin qui ero sempre stato in appoggio al capitano, Soler, ma a questo punto il mio Giro cambia tutto. E non solo per me, anche per la mia squadra. Dovremmo inventarci qualcosa. Io però sto bene».

E su questo “Io sto bene” detto con decisione c’è da ripartire, c’è da sfruttare quel che resta da qui a Milano.

Cataldo in fuga verso San Giacomo con Mader e Mollema
Cataldo in fuga verso San Giacomo con Mader e Mollema

Parola a Sciandri

«Soler lo hanno preso da dietro – spiega Sciandri, diesse della Movistar – e subito ha accusato dolori alle costole. Non respirava bene. Era un momento caotico. Ho fermato Torres. Il dottore in corsa gli ha dato l’ibuprofène. Abbiamo insistito fino al chilometro 45-47 ma poi proprio non ce la faceva. Si è anche gustato il bus. E’ stata una giornata difficile da gestire.

«Mi ha chiamato Eusebio Unzue mentre eravamo in corsa e mi ha detto: teniamo duro, andiamo avanti. Ma non è facile. Le tappe sono sempre meno e quelle da fuga non sono molte. Il Giro è duro. E quando perdi il leader devi fare il punto della situazione.

«Quanto è importante Cataldo? Molto, ma sono tutti importanti. Tutti avranno la possibilità di andare in fuga. E già da oggi (ieri per chi legge, ndr) per lui era determinante iniziare a risparmiare energie». E Dario lo ha fatto sin da subito…