BINTULU (Malesia) – Tappa e maglia, non quella verde di leader della generale, ma quella arancione della classifica a punti. A distanza di 24 ore sullo stesso arrivo Matteo Malucelli mette a segno il tris al Tour de Langkawi. Decima vittoria in stagione. Un urlo di gioia e la festa può iniziare.
La corsa malese si conclude con la vittoria finale di Max Poole, della Dsm-Firmenich, e con il secondo posto di Thomas Pesenti, compagno di Malucelli alla JLC Ukyo. Per la squadra giapponese una corsa da incorniciare.
Quella corona da 54
Ma torniamo alla volata. Malucelli stavolta ribalta le carte. E nonostante il vento contrario, anticipa. S’infila nel treno della Tudor Pro Cycling e ai 200 metri secchi scatta quel mezzo secondo prima dell’olandese De Kleijn. Un mezzo secondo che sarà decisivo.
«Da lì ce la siamo giocata fino alla fine. Metro per metro. Vediamo i dati – mentre tocca il computerino andando verso il podio – una punta di oltre 1.400 watt e 12” a 1.210 watt. Dopo otto tappe non è male».
Forse il merito è stato anche della corona da 54 denti. Già la volta scorsa vi avevamo raccontato che Tudor e Astana avevano tirato fuori i 56, mentre Malucelli no. In questo caso, l’ingegner Malucelli aveva fatto bene i suoi conti.
«Guardate che qui inizia ad esserci stanchezza e quei rapporti poi li devi girare. In più bisogna valutare la corsa. Qui si fanno volate a 71-72 all’ora e a questa velocità, almeno per me, il 54 è ottimo. Ho girato ad altissime frequenze il 54×1… non è mica un rapportino. Dai 74 all’ora invece serve il 56».
Per carità non eravamo né al Giro d’Italia, né al Tour, ma tre vittorie sono sempre tre vittorie e per di più in una corsa 2.Pro, appena sotto al WorldTour. C’erano alcuni velocisti di rango a partire da De Kleijn e Syritsa. Queste imprese non possono passare inosservate anche altrove: dieci vittorie in stagione, solo Jonathan Milan ne ha ottenute di più: undici.
«Le sue sono vittorie più importanti – ammette Malucelli – però come si dice: uno vale uno. E le mie sono volate». E le volate vanno vinte.
L’urlo di Matteo
Già ieri, dopo la sentita vittoria nella ricorrenza della morte della mamma, Malucelli aveva gridato la rabbia di non essere in un team più grande. Del fatto che De Kleijn al suo fianco guadagnasse oltre dieci volte di più. E oggi ancora tra rabbia, orgoglio e scherzo ha ripetuto: «Se non firmo un contratto entro stasera sego la bici!».
Al tempo stesso però Malucelli è orgoglioso del suo team. Da fuori sembrano molti uniti. Dopo l’arrivo si sono attesi, cercati, abbracciati. Anche Giovanni Carboni, ritiratosi in seguito ad una caduta, è rimasto in Malesia e oggi che stava meglio è salito in ammiraglia con il direttore sportivo Boaro.
Questa mattina Malucelli e Carboni dicevano come fosse importante aver già vinto. Della tranquillità che ne deriva. «Si corre più leggeri e quando è così non è detto che arrivino altre vittorie», avevano recitato in coro.
Malucelli e il futuro
Matteo Malucelli è del 1993, va per i 32 anni. Non è vecchio, ma neanche più un ragazzino. In carriera ha avuto la sua bella dose di opportunità e sfortune. Androni, Caja Rural, poi il passaggio doloroso alla Gazprom che chiuse. Da lì il bailamme tra squadre più piccole. «Anche se – ci aveva detto Matteo – il team Ukyo è molto ben organizzato. Anche dal punto di vista dei materiali, una delle tre cose che contano nel ciclismo moderno assieme al buon preparatore al nutrizionista».
La professionalità di Malucelli è nota in gruppo. In bici adotta un approccio da ingegnere qual è. E così anche nella vita: fa il saldo tra i giorni fuori casa, i sacrifici che richiede il ciclismo, l’esposizione al rischio stando tante ore in bici, le vittorie e i guadagni.
«No, non ho ancora un contratto per il prossimo anno con una squadra professional o WorldTour – ha detto Malucelli – spero di trovarlo altrimenti potrei anche andare a lavorare. Sono un ingegnere e non ho problemi a trovare un impiego».
Futuro da apripista?
«Mi sento pronto a fare il leader, ma sarei disposto anche a fare l’ultimo uomo. Primo perché con il passare degli anni si perde lo spunto, e poi perché da solo mi so muovere. Guardate anche oggi come è andata. Negli ultimi chilometri ero da solo. Ai meno 3 sono riuscito a prendere la ruota di De Kleijn e non l’ho più mollata. So valutare vento, posizioni, tempi. Oggi i Tudor sono stati perfetti. Sono io che li ho anticipati. Credo, che sarei un buon apripista».
E qui iniziano le considerazioni su chi potrebbe scortare Malucelli. Nomi e profili…
«Sarebbe bello aiutare un giovane». Noi gli suggeriamo proprio Milan. «No – replica lui – Jonathan è troppo alto per me. Credo che per lui anche Consonni sia piccolino. Sapete di chi sarei l’apripista perfetto? Di De Kleijn. E non scherzo. O comunque di un velocista alto al massimo un metro e ottanta. Un Viviani per dire».