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Dislivello e corse a tappe: caro Vegni, come si fa?

27.06.2023
5 min
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Archiviato il Giro d’Italia e a seguire il Giro Next Gen, anche il direttore Mauro Vegni può tirare il fiato. E’ questo il momento buono per guardarsi un attimo indietro e rivalutare insieme alcuni aspetti delle due corse. In particolare al direttore del Giro abbiamo chiesto della distribuzione del dislivello nell’arco delle corse a tappe.

Come si fa a mantenere vivo un grande Giro, senza mettere però le grandi salite tutte alla fine nella terza settimana? E’ possibile equilibrare il dislivello? E come? Domande dalle risposte non facili e che portano al gancio altre problematiche, spesso invisibili.

Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Signor Vegni, parliamo di dislivello, ma prima ci consenta una curiosità rimasta in sospeso. Tempo fa ci aveva detto: «Il Giro più bello è quello che devo ancora disegnare e che forse mai farò…»

Esatto, è il Giro che esula da ogni logica economica. A quel punto potrei fare il Giro con il percorso dei miei sogni inserendo tappe, salite, passaggi e città che piacciono a me. Mettere ciò che voglio e non “limitarmi” a ciò che mi chiedono i vari Enti, sponsor…

Passiamo al tema del dislivello. Come mantenere viva sfida e non mettere le salite tutte nella terza settimana?

Se andiamo a vedere quest’anno, l’ultima settimana è stata meno importante, altimetricamente parlando, rispetto a quella del Giro scorso. La sua distribuzione era più equilibrata. Poi ci sono certe  logiche di corsa che non mi piacciono, ma sulle quali io posso fare poco. E mi riferisco, per esempio, a Campo Imperatore. Quando ho inserito non solo quella salita, ma quella tappa nella prima settimana, era per poter vedere già qualcosa d’importante. Se poi i corridori hanno paura di perdere, se decidono di “non correre”, allora tutto diventa inutile. Era già successo già sull’Etna in passato. A questo punto se si aspetta la fine della seconda settimana a prescindere, c’è poco da mettere dentro questa o quella salita.

E si assiste alla corsa nella corsa…

Con delle fughe che poi fughe non sono, ma è il gruppo che decide di non farsi male e di lasciare andare alcuni corridori. Non è bello. O almeno a me non piace… Ma io conto poco.

Giro Next sullo Stelvio alla quarta tappa, per molti il grande valico ha “ucciso” l’intera corsa (foto LaPresse)
Giro Next sullo Stelvio alla quarta tappa, per molti il grande valico ha “ucciso” l’intera corsa (foto LaPresse)
Quanto incide la tecnologia in tutto ciò? Dalle radioline alle preparazioni fino alla conoscenza minimale del percorso?

Ormai è tutto troppo tecnologico. C’è programmazione di ogni cosa. Si conoscono già le medie, i watt, le calorie che si andranno a bruciare, quello che si spenderà in funzione delle tappe successive… Poi parliamo di ciclismo dei tempi eroici, ma non è più così. La maglia di lana non c’è più da 50 anni e neanche si può tornare indietro. Pertanto viviamo un ciclismo più veloce, in cui è più difficile fare la differenza.

Sempre in tema di dislivello, si è parlato parecchio dello Stelvio posizionato nella prima parte del Giro Next Gen, in questo modo avrebbe ammazzato la corsa. Lo rimetterebbe in quella “posizione”?

Per me non ha ammazzato la corsa. Su un Giro di otto tappe, lo Stelvio arrivava alla quarta e oltre a quella frazione ce n’era un’altra successivamente molto difficile con oltre 3.800 metri di dislivello. Lo Stelvio era la sola di quella tappa e per di più, tolti i primi chilometri, non è una salita impossibile. Se poi ci facciamo queste domande perché 31 ragazzi hanno fatto i furbi, dico: demerito a loro e merito agli altri che l’hanno fatta con le loro gambe.

Non volevamo andare a parare lì, ma fare un discorso tecnico nella costruzione di un Giro.

Ripeto, a me una tappa con il solo Stelvio non sembra una frazione impossibile, una roba “da impresa”, tra l’altro si faceva una sola volta. La corsa la fanno i corridori. Torno alla tappa di Campo Imperatore. Come ho detto, poteva smuovere la classifica, ma non lo ha fatto e in parte la stessa cosa è successa a Lago Laceno. Oggi purtroppo il modo di correre è questo: si aspetta la terza ed ultima settimana, tanto che quasi sarebbe vano fare le prime due. Ormai si corre al risparmio nelle prime due e si punta sulla terza.

Se a Roma c’è stato grande spettacolo è stato anche per gli sprinter rimasti in gara
Se a Roma c’è stato grande spettacolo è stato anche per gli sprinter rimasti in gara
Verrebbe da pensare di tornare ai vecchi percorsi, coi piattoni nella prima metà e le salite nella seconda…

E poi succede che dopo 12-13 tappe i velocisti vanno tutti a casa. Tutti direbbero che è una vergogna. Ma resterebbero in corsa per fare cosa? E come ce li tengo? Oggi quando si disegna un Giro si deve tenere conto di tutti, per questo metto: 2-3 tappe a crono, 5-6 per i velocisti, 2-3 per i finisseur e  4-5 tappe per gli scalatori o uomini di classifica.

Una cosa che abbiamo notato è che ci sono meno tapponi con arrivo in discesa… Ve lo chiedono le squadre? E’ una questione di sicurezza?

Ormai i tapponi lunghi non li vogliono più altrimenti succede come a Morbegno due anni fa. Per quanto riguarda la sicurezza, ormai mi sembra diventato quasi uno slogan. La sicurezza, tema importantissimo, è costituita da molti fattori. La prima cosa è: dove corriamo? Su strada e oggi per risparmiare energia elettrica e avere un traffico automobilistico più fluido sono stati inseriti spartitraffico e rotatorie in quantità. Questo è un primo grande elemento che va ad intaccare la sicurezza. Altro problema: il corridore oggi, soprattutto nelle prime tappe di un grande Giro, non tira i freni. E non lo fa perché una vittoria di tappa potrebbe cambiare il suo destino lavorativo. 

Questo è un problema che c’è da sempre…

Vado avanti. La tecnologia: le velocità sono più alte e molti corridori non sono in grado di gestirle… Come vediamo sono tanti i fattori che riguardano la sicurezza e ognuno fa, e deve fare, la sua parte. I corridori spesso se la prendono con gli organizzatori, ma a volte dovrebbero puntare il dito anche contro se stessi. Mi piacerebbe molto che un corridore ancora in attività venisse a seguire un Giro da dietro le quinte, che lavoro c’è dietro, anche in merito alla sicurezza. Perché poi alla fine, okay l’UCI, okay le associazioni dei corridori… Ma se poi succede qualcosa, chiamano me.

EDITORIALE / Crans Montana e il Regolamento

22.05.2023
6 min
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BERGAMO – Al Tour non sarebbe successo: qualcuno ne è certo, qualcuno se lo chiede. Anche la corsa francese nel 2019 fu fermata sull’Iseran. Nella discesa che portava a Tignes, una grandinata provocò una slavina un’ora prima che passasse il gruppo. Bernal vinse sulla cima e prese la maglia gialla. Lo stesso fece il Giro nel 1996, quando in fretta e furia piazzò il traguardo ai piedi del Colle dell’Agnello, a causa delle slavine cadute sul valico. La corsa non arrivò a Briançon ma a Chianale, con vittoria di Pascal Richard. Le emergenze le gestiamo bene anche noi e altrettanto bene le creiamo.

Corridori spaccati

A Crans Montana i corridori hanno rivendicato la possibilità di decidere quando correre e quando no, minacciando lo sciopero nel caso le loro richieste non fossero state accolte. La sera prima, fra gli hotel è circolato un sondaggio e la decisione di scioperare non era condivisa da tutti.

«Si era già cominciato ieri sera a parlare del maltempo e di possibili cambiamenti – ha detto Moscon, intervistato dalla RAI – di fare una tappa diversa da quello che era previsto. E’ vero che c’è il maltempo, è vero che siamo stanchi, ma non credo ci fossero le condizioni per accorciare la tappa. Per me si poteva correre, poi se qualcuno voleva fermarsi poteva farlo. Non ce l’ha ordinato il dottore di fare i ciclisti professionisti».

Moscon, qui con Sanchez, si è espresso contro la necessità di modificare la tappa
Moscon, qui con Sanchez, si è espresso contro la necessità di modificare la tappa

Lo sciopero minacciato

Eppure lo sciopero è stato minacciato: si voleva l’eliminazione della Croix de Coeur, data la presunta presenza di ghiaccio nella discesa. E il Giro cosa ha fatto? Per evitare grane ha tolto di mezzo il Gran San Bernardo e ha lasciato la Croix de Coeur: per coerenza, i corridori avrebbero dovuto rifiutare, invece hanno accettato. E allora il pericolo della discesa, che effettivamente era piuttosto malconcia? 

Nessuno invoca il martirio, ma la differenza fra il ciclismo e i giochi che si svolgono su campi delimitati da righe è che le corse hanno come terreno la strada e come sfondo la natura. Anche se può sembrare cinico, scegliendo di essere corridori, gli uomini del gruppo hanno accettato di misurarsi con gli elementi. E quando vengono convocati per una corsa, accettano di seguirne il regolamento. Accade quando i team mandano indietro il bollettino. E il regolamento, a loro tutela, prevede anche la modifica o la cancellazione di una tappa. Purché ce ne siano le condizioni.

Il regolamento del Giro è riportato su un libretto complementare al Garibaldi
Il regolamento del Giro è riportato su un libretto complementare al Garibaldi

Il regolamento del Giro

Il regolamento del Giro ormai non te lo danno più. Una volta se ne stampava una copia per ciascun giornalista, salvo che pochi lo sfogliavano e finiva nei cestini. Così adesso (giustamente) devi chiederlo. Leggere la riscrittura della tappa di Crans Montana alla luce del regolamento è un utile esercizio.

«Nel caso si verificassero situazioni particolari tali da pregiudicare le condizioni di sicurezza o da falsare il regolare svolgimento e il conseguente risultato tecnico della corsa – recita l’Articolo 3 – il Direttore del Giro, d’intesa con il Presidente dei Commissari, sentiti i pareri del Delegato Tecnico UCI, del Rappresentante CPA e della Commissione Tecnica della LCP, può in qualsiasi momento, decidere di modificare il percorso di una tappa.

«Inoltre il Direttore del Giro, in applicazione dell’art. UCI 2.2.029 bis potrebbe convocare le parti interessate referenti del “protocollo in caso di condizioni meteorologiche estreme e di sicurezza dei corridori”. In tale situazione le decisioni possono essere prese e/o confermate il mattino della tappa».

Il meteo al via di Borgofranco d’Ivrea era certamente pessimo e probabilmente ha fatto saltare i nervi ai corridori
Il meteo al via di Borgofranco d’Ivrea era certamente pessimo e probabilmente ha fatto saltare i nervi ai corridori

Il meteo estremo

Da regolamento Uci (allegato B all’articolo UCI 2.2.029) il protocollo per condizioni climatiche estreme va messo in atto in caso di pioggia gelata, accumulo di neve sulla carreggiata, forte vento, temperature estreme, scarsa visibilità, inquinamento atmosferico. All’elenco mancano dei riferimenti più precisi di temperatura, velocità del vento e visibilità e ciò rende arbitraria l’applicazione della norma. In ogni caso quel giorno non c’erano i margini per farlo.

Se da un lato le app di previsioni meteo utilizzate dalle squadre annunciavano fulmini e saette, dalla cima dei monti il report degli uomini di RCS Sport mostrava una realtà completamente diversa: allora perché il Giro si è piegato?

Il diritto di sciopero

Lo sciopero è un diritto. Questa volta è stato usato come strumento di pressione, conseguenza di giorni di corse sotto la pioggia e con temperature basse. E ancora una volta, dopo la magra figura, si sono lette le scuse da parte di chi lo ha guidato, trincerandosi dietro l’obbligo di assecondare le richieste dei corridori.

«Col senno di poi – ha dichiarato Cristian Salvato, presidente dell’Accpi e delegato del CPA – possiamo dire che il brutto tempo non c’è stato. Le affidabilissime app dei gruppi sportivi hanno sbagliato, perché tutte prevedevano cattivo tempo. Dobbiamo chiedere scusa ai tifosi prima di tutto, ma anche all’organizzazione. In alta montagna il tempo cambia molto facilmente. Per fortuna questa volta è cambiato in meglio, ma ci sono state anche occasioni in cui l’organizzazione non aveva fatto nulla poi è cambiato in peggio, come anche al Gran Camino quest’anno».

Salvato è il presidente dell’Accpi e delegato CPA al Giro d’Italia
Salvato è il presidente dell’Accpi e delegato CPA al Giro d’Italia

Le scuse bastano?

L’articolo 5 del regolamento del Giro dice che «tutti i corridori partecipanti hanno il diritto, nel rispetto dei regolamenti vigenti, di concorrere a tutte le classifiche di tappa, generale e speciali, previste dal programma della gara.

«Pertanto sono tenuti a una condotta di gara responsabile e ad astenersi dal promuovere o aderire a manifestazioni collettive che abbiano tanto il carattere di accordi fraudolenti a danno di altri concorrenti quanto il significato di protesta nei confronti dell’Ente Organizzatore, dei Commissari o comunque di altre persone ufficiali al seguito».

Quando il Giro fu fermato nella famigerata Morbegno-Asti del 2020, lo stesso direttore del Giro usò parole dure. «E’ stata una decisione che abbiamo subito – disse Vegni – inaccettabile. Adesso pensiamo ad arrivare fino a Milano. Poi, quando saremo a bocce ferme, di certo qualcuno pagherà anche questo».

Chi pagò e come? Nel giorno di Crans Montana, il regolamento del Giro d’Italia è stato violato nuovamente. Mauro Vegni e i suoi uomini hanno accettato nuovamente le scuse, il Tour non lo avrebbe fatto. Qualcuno ne è certo, qualcuno se lo chiede…

Spunta Rubio. Ma che confusione a Crans Montana

19.05.2023
6 min
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Magicamente i chilometri da Borgofranco d’Ivrea a Crans Montana sono diventati meno di 75. Magicamente si fa per dire, perché si levano le polemiche, si abbassa lo spettacolo e alla fine chi ci rimette è il Giro d’Italia. Una frazione che potenzialmente poteva essere la più dura della corsa rosa si è ridotta in una lunga volata.

Una volata che ha visto primeggiare Einer Rubio, colombiano della Movistar, ma ciclisticamente italiano. Rubio è “fratello” di Jai Hindley, nel senso che anche lui viene dalla scuola di Umberto “Umbertone” Di Giuseppe e Donato Polvere.

E nella sua vittoria è racchiuso il famoso proverbio: tra i due litiganti il terzo gode. Pinot faceva le scaramucce con Cepeda e Rubio, zitto zitto, faceva la formichina mettendo nel taschino energie preziose buone per la volata.

Certo dispiace non raccontare a fondo la storia di questo ragazzo, tanto più che i big non si sono attaccati, ma oggi la notizia è tutta sulla riduzione della tappa e soprattutto sul suo perché. Sulla sua genesi.

La giornata

Proviamo a ricostruire questa giornata, che parte dalla serata di ieri. Tra i corridori si diffonde la notizia dell’invocazione del protocollo sulle condizioni meteo estreme. Si è fatto un sondaggio. Un sondaggio, in forma anonima, che voleva l’annullamento della Croix de Coeur in quanto le previsioni davano il peggioramento meteo su quel colle proprio al momento del passaggio del Giro.

Questa mattina i gruppi sportivi hanno chiesto una riunione con il direttore del Giro, Mauro Vegni. Una riunione avallata anche dal CPA il cui presidente è Adam Hansen, con Cristian Salvato come rappresentante in corsa. In questo incontro i gruppi sportivi e i corridori hanno chiesto l’accorciamento della frazione. 

E qui ecco un primo punto. Corridori e squadre non volevano fare la Croix de Coeur, ma poi hanno trovato una mediazione con Vegni. Per cui hanno accettato di salire su questo colle e di tirare dritti fino all’arrivo, ma partendo da Le Chable ai piedi della stessa salita. 

Alla fine è andata così: alle 11, a Borgofranco d’Ivrea, il gruppo si è messo in marcia. Pioveva e c’erano 13 gradi. I corridori hanno percorso qualche decina di metri per sponsor e tifosi e poi… tutti sui bus per raggiungere La Chable tra i pollici in giù dei tifosi a bordo strada che li aspettavano sul Gran San Bernardo. 

Gran San Bernardo, a sua volta mutilato qualche giorno prima. Poi alle 15 il via da Le Chable, sotto un timido sole e 15 gradi. Il resto è cronaca.

Che confusione

Ma urge porsi delle domande. Perché l’organizzazione ha accettato di affrontare il punto a loro avviso più rischioso, sia per il meteo che per la conseguente discesa?

Ci si è appellati al protocollo per le condizioni meteo estreme, ma queste condizioni non c’erano: né per le temperature, né per il vento, né per le precipitazioni. Allora cosa è successo? Su che base è stata accorciata la tappa? Qual è il nesso tra protocollo meteo e discesa pericolosa? Come se poi lo avessero scoperto adesso che i primi chilometri di quella planata erano pericolosi. Le domande sono molte, i dubbi ancora di più.

«Dobbiamo chiedere scusa ai tifosi e agli organizzatori – ha detto Cristian Salvato, presidente dell’Accpi (associazione corridori ciclisti professionisti italiani) al Processo alla Tappa – le squadre si sono basate sulle loro App meteo, che di solito sono molto precise, ma questa volta hanno sbagliato. A volte il tempo in montagna cambia repentinamente. Questa volta è cambiato in meglio, ma se fosse stato tempo brutto?». Un po’ poco…

Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia
Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia

Vegni, spalle al muro

C’è poi la campana ufficiale, quella di Rcs Sport, società organizzatrice della corsa rosa. Questa mattina Mauro Vegni ha parlato anche con noi, dando una botta al cerchio e una alla botte.

«Le condizioni climatiche non sono le più favorevoli – ci aveva detto Vegni – non tanto per la pioggia ma per il freddo in discesa. Dobbiamo preservare gli atleti per arrivare a Roma. E così sono andato incontro alle loro richieste. Ma siamo riusciti a mantenere una tappa con caratteristiche sportive concrete.

«Come la tappa sprint del Tour? No, è diverso. Lì si partiva con l’idea di una tappa particolare appunto, qui con l’idea di salvare una corsa. Lì con il sole, qui con la pioggia».

E ancora: «C’è stata una trattativa e qualcosa bisognava cedere», aveva detto poco prima lo stesso Vegni ai microfoni della Rai.

Quest’ultima frase è importante. «Bisogna cedere». Alla fine si è trovato un accordo, ma più che un accordo legato alle condizioni specifiche della tappa, è sembrato un accordo d’insieme. Un accordo su quanto accaduto sin qui al Giro fra i tanti ritiri e la tanta pioggia presa.

Come a dire: “Caro Vegni visto che abbiamo preso tanta acqua o tu ci accorci la tappa o noi scioperiamo”. Un ricatto in pratica. A questo punto è stato sin troppo bravo il direttore del Giro a salvare la situazione e a collegare almeno le ultime due salite.

La discesa della Croix de Coeur, era tecnica nella prima parte. Ma il ghiaccio non c’era. In cima temperatura ben al di sopra dello zero
La discesa della Croix de Coeur, era tecnica nella prima parte. Ma il ghiaccio non c’era. In cima temperatura ben al di sopra dello zero

Guardando avanti

Però questa giornata e la sua gestione parlano di un Giro che ha scarso peso politico. Scarsa forza. Si è verificato qualcosa di molto simile a quanto accaduto a Morbegno nel Giro 2020.

Il Giro d’Italia non merita tutto ciò. I tifosi non meritano tutto ciò. Il ciclismo non merita tutto ciò. Siamo sicuri che gli stessi corridori con i 40 e passa gradi della “chaleur” francese, e quindi con gli estremi per attuare il protocollo, chiederebbero a Prudhomme di annullare la tappa?

C’è molto da lavorare. Sia da parte del Giro, che deve assolutamente rilanciarsi. Sia da parte dell’UCI che del CPA. Bisogna trovare regole univoche. Regole basate su numeri certi, su ispettori di percorso capaci di valutare la situazione in tempo reale e non su valutazioni soggettive.

E poi bisogna iniziare a prendere coscienza concretamente dei cambiamenti climatici. I dati di molti siti meteo dicono come negli ultimi anni nel bacino centrale del Mediterraneo aprile e soprattutto maggio siano gli unici mesi in controtendenza per quanto riguarda le temperature. In pratica fa sempre più caldo, tranne che in questi due mesi. Magari bisognerà valutare di spostare la corsa rosa, cosa che Vegni ha già detto in passato, e di scegliere percorsi differenti con le salite più alte magari solo nel finale.

Tante parole. Speriamo che non cadano nel vuoto. O forse sì. Se domani i corridori regaleranno tanto spettacolo saranno già un lontano ricordo.

Giro Next Gen: otto tappe, una crono e lo Stelvio

03.05.2023
7 min
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Si chiamerà Giro Next Gen, con il gusto di mettere l’inglese anche alle radici del ciclismo giovanile italiano. E’ il Giro d’Italia degli U23, assegnato dalla Federazione a RCS Sport in seguito al bando di fine marzo, grazie al quale il prossimo anno lo stesso gruppo organizzerà anche il Giro d’Italia Donne, sempre che questo mantenga il nome attuale. Un bando andato deserto, tranne appunto per la partecipazione di RCS, con relativo disappunto da parte di Infront.

Si correrà dall’11 al 18 giugno ed è stato presentato stamattina a Roma, alla presenza di Mauro Vegni e Paolo Bellino per RCS Sport, Cordiano Dagnoni per la FCI e il ministro dello sport Andrea Abodi.

Questa è l’altimetria generale del prossimo Giro d’Italia U23, ribatezzato Giro Next Gen
Questa è l’altimetria generale del prossimo Giro d’Italia U23, ribatezzato Giro Next Gen

Otto tappe al Nord

Il percorso è in linea con quanto fatto negli ultimi anni da Extra Giro, con 8 tappe, tutte concentrate in poche regioni: questa volta dal Piemonte al Friuli. Al disegno del percorso si è dedicato il gruppo di lavoro del Giro d’Italia nel tempo libero fra la Sanremo, il Giro di Sicilia e la partenza da Pescara, riuscendo anche ad ottenere lo slittamento di un giorno, in modo da occupare due domeniche anziché una soltanto. Alcuni contatti con Marco Selleri erano stati avviati perché si occupasse di una parte dell’organizzazione, poi tutto si è fermato.

«Quest’anno il Giro Next Gen si svolgerà interamente al Nord – ha detto Mauro Vegni – perché con solo otto tappe è impossibile toccare tutto lo Stivale. Nei prossimi anni pensiamo di sviluppare la corsa al Centro e al Sud in modo da portare all’interno di tutti i territori italiani, come già facciamo nelle corse professionistiche, questo evento di altissimo livello per la categoria. Il percorso offre chance a tutti, cronoman, velocisti, finisseurs e scalatori con la ciliegina sulla torta rappresentata dall’arrivo sul Passo dello Stelvio»

La tappa sullo Stelvio era stata già svelata, sia pure sotto traccia, il 19 aprile, nel corso di una conferenza stampa a Sondrio, in cui si raccontavano le iniziative turistiche per l’estate in Valtellina.

Alla presentazione, da sinistra, Mauro Vegni, il ministro Andrea Abodi, Cordiano Dagnoni e Paolo Bellino
Alla presentazione, da sinistra Vegni, il ministro Abodi, Dagnoni e Bellino

Prima il Piemonte

Si comincia con una cronometro ad Aglié, sulla distanza di 9,4 chilometri. Prova veloce e adatta agli specialisti, con lunghi tratti rettilinei raccordati da poche curve. L’unica piccola difficoltà è la rampa finale (4% di pendenza media) che conduce al Castello di Agliè.

La seconda tappa va da San Francesco al Campo a Cherasco, sulla distanza di 151 chilometri. Percorso pianeggiante nella prima parte e poi mosso fino all’arrivo. Si costeggia Torino, toccando Settimo Torinese e Chieri. Si prosegue poi verso sud fino alle colline dell’Albese e qui si scalano La Morra e Novello, prima di giungere al circuito finale di 18 chilometri (un solo giro) che tocca Narzole e il fondovalle del Tanaro. Nel 2010 sullo stesso arrivo Philippe Gilbert conquistò il Gran Piemonte.

Con la terza tappa si va in Lombardia, da Priocca a Magenta, per 146 chilometri. Toccherà ai velocisti mostrare i muscoli, dato il percorso quasi totalmente pianeggiante attraverso le provincie di Alessandria e Pavia. 

Sua maestà lo Stelvio

Della quarta tappa abbiamo fatto cenno: Morbegno-Passo dello Stelvio, 118 chilometri. Si rischia che il Giro finisca lassù: i 22 chilometri finali al 7 per cento di media, con i famosi 30 tornanti che hanno fatto la storia del ciclismo, potrebbero essere per gli U23 uno scalino davvero molto alto.

La tappa successiva, numero cinque da Cesano Maderno a Manerba del Garda misura 154 chilometri. E’ mossa e nervosa, specie nel finale sul Lago di Garda. I primi chilometri attraverseranno comuni milanesi con tutte le insidie del caso in termini di traffico, rotatorie e spartitraffico. Alle porte di Brescia, il gruppo scalerà Passo Tre Termini, la salita di Lumezzane e il Passo Sant’Eusebio, prima di scendere sul lago. Lungo la costa, potrebbe esserci spazio per qualche attacco.

Sesta tappa che parte dal trentino: da Pergine Valsugana a Povegliano, in provincia di Treviso, per 166 chilometri. In partenza subito il Valico della Fricca farà sudare gli uomini veloci, che avranno poi altri 150 chilometri fra discesa e pianura per riprendere fiato e farsi trovare pronti nei due giri del velocissimo circuito finale.

Tappone veneto

La settima e penultima tappa è definita il tappone, anche se le gambe e la classifica avranno ancora memoria dello Stelvio. Si parte dal Tempio del Canova a Possagno e si arriva a Pian di Cansiglio in 175 chilometri. Già dal via si inaugura un percorso di saliscendi che attraversano le zone del Prosecco da Valdobbiadene, Combai e Refrontolo. Dopo Vittorio Veneto, iniziano le salite di San Lorenzo, Passo San Boldo, Valmorel, Nevegal, il duro Malga Cate in Alpago e poi l’accesso a Pian del Cansiglio da Farra con i primi 4 chilometri al 12-13 per cento.

Si chiude in Friuli, con i 131 chilometri che uniscono la Tavagnacco di Enzo Cainero a Trieste. Si passa da Pagnacco, Buja, Tarcento, poi la zona dei vini di Nimis, Attimis, Faedis fino alla piana di Cividale. Da qui in avanti il percorso porta i segni della Grande Guerra, con il Monte San Michele e il sacrario di Redipuglia. La volata finale, se di gruppo o gruppetto, si giocherà davanti a Piazza Unità d’Italia e al Molo Audace.

L’opinione di Amadori

Qual che c’è da attendere ora è l’elenco delle squadre invitate. I gruppi sportivi hanno atteso finora l’annuncio del percorso, avendo comunque previsto di fermare gli atleti più adatti e di mandarli in altura per ricaricarsi e trovare la condizione. Sarà ancora una volta la sfida fra continental straniere e le italiane.

«Mi sembra un Giro bellino – commenta il cittì Amadori – che più dello scorso anno ha la crono, anche se corta. Per il resto, ci sono percorsi per tutti. Sarà nuovamente un’esperienza utile alla crescita dei ragazzi. Ieri peraltro hanno presentato anche il Tour de l’Avenir ed è durissimo, non si sono fatti mancare niente, con l’arrivo al Col de la Loze e anche una cronoscalata. Piuttosto notavo che durante il Giro ci sarà una prova di Nations Cup in Repubblica Ceca, chissà se dall’estero arriveranno tutti i più forti o qualcuno andrà là. Sia quella prova, che la precedente in Polonia servono per qualificare un uomo in più per il mondiale. Noi andremo in Polonia e, se dovesse servire, durante il Giro potrei portare alla Corsa della Pace i giovani che non fanno il Giro o qualche professionista».

Insomma, ora che le carte sono sul tavolo, si può cominciare a lavorare. Sul fronte della logistica non dovrebbero esserci dubbi che RCS saprà mettere in campo le strutture e il personale che da sabato gireranno l’Italia per tre settimane.

Giro d’Italia under 23, prime news direttamente da Vegni

25.03.2023
4 min
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Quest’anno Rcs Sport organizzerà il Giro d’Italia U23 (in apertura foto Isolapress). Un compito non facile, visto gli elevati standard di qualità a cui ci aveva abituato ExtraGiro, la società organizzatrice uscente. Ma il colosso guidato per quel che riguarda il ciclismo dal direttore Mauro Vegni ha chiaramente tutte le carte in regola per farlo alla grande.

Del prossimo baby Giro però si sa ancora molto poco e per iniziare ad inquadrarlo abbiamo coinvolto proprio patron Vegni. 

Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Signor Vegni, avete preso il Giro U23…

Per il momento abbiamo preso questa corsa, ora vediamo anche di metterla in piedi. Abbiamo vinto il bando della Federazione, un bando a cui ha preso parte solo Rcs Sport, e ci è dunque stata assegnata la gara. Il bando prevedeva anche il Giro Donne, a partire però dal prossimo anno.

Di questo Giro d’Italia under 23 però non sappiamo molto, cosa ci può dire?

Le date previste dal calendario internazionale vanno dal 10 al 17 giugno, quindi da sabato a sabato, il che ci sembra un po’ assurdo. Stiamo cercando di posticipare tutto di un giorno, quindi 11-18, così da abbracciare due domeniche e coinvolgere più appassionati.

E riguardo al percorso?

E’ impensabile fare un tracciato che copra tutta la Penisola con otto tappe. E’ già complicato col Giro d’Italia dei grandi, figuriamoci con quello under 23 che ha molte meno tappe. La nostra idea pertanto è di fare come in passato e cioè di dividerlo per zone. Quindi fare un anno al Nord, uno al Centro e uno al Sud in modo da accontentare un po’ tutti. 

Dalle pianure alle alte montagne: il prossimo “baby Giro” firmato da Rcs offrirà un percorso completo (foto ExtraGiro)
Dalle pianure alle alte montagne: il prossimo “baby Giro” firmato da Rcs offrirà un percorso completo (foto ExtraGiro)
Non si sa molto, ma il tempo stringe…

Adesso che abbiamo finito le fatiche di Tirreno e Sanremo, stiamo andando al massimo per definire il percorso e il resto del Giro under 23. Posso dire che inizieremo dal Nord, quindi la prossima edizione si svolgerà nelle Regioni settentrionali. E per Nord intendo quell’arco di territorio che va dalla Liguria al Friuli. La Romagna, per dire, la metto al Centro. L’idea in ogni caso è di fare un mini Giro. Ci saranno una crono sicuramente, almeno tre tappe, forse quattro, per velocisti, due o tre tappe di montagna e una o due frazioni di media montagna, adatte ai finisseur, così da offrire un percorso equilibrato.

Anche in questo caso è lei che lo disegna? Che lo tesse?

Sì. E il difficile è proprio quello: abbinare le esigenze sportive e tecniche a quelle dei territori, degli Enti. Chi ci ospita ci dà degli input dei punti da toccare, sta a noi trovare un percorso tecnicamente valido. E anche per questo dico che il più bel Giro è quello che non farò mai! E’ quello ideale che non ha vincoli e solo motivazioni sportive. Ma sappiamo bene che il Giro, qualunque esso sia, ha bisogno di sostentamenti da parte dei territori, degli Enti e noi dobbiamo essere bravi ad adeguarci. E a valorizzarli.

A proposito di grandi salite, lo scorso anno la corsa rosa U23 arrivò sul Fauniera. Quest’anno dove si salirà?
A proposito di grandi salite, lo scorso anno la corsa rosa U23 arrivò sul Fauniera. Quest’anno dove si salirà?
Qualche settimana fa in occasione delle firma per il Grand Depart, a Palazzo Farnese Christian Prudhomme, direttore del Tour, ci ha parlato dell’Avenir con orgoglio. Tenne a sottolineare che il Tour de France era proprietario del Tour de l’Avenir… 

Io credo – e non se ne spiacciano gli amici francesi – che il Giro d’Italia Under 23 sia la manifestazione  al mondo più importante per questa categoria ed è un orgoglio programmare questo evento in quella che è la grande casa di Rcs. Così come lo sarà ideare il Giro femminile il prossimo anno. Ci aspettano momenti molto tirati, di lavoro intenso, ma anche di grandi prospettive per il movimento sportivo italiano.

Si potranno imbastire dei discorsi “tipo pacchetto” (Giro + Giro U23) con le città, zone turistiche che ospitano il Giro dei grandi?

In futuro forse, ma per questa edizione no. Il Giro d’Italia del 2023 era già stato definito quando abbiamo partecipato al bando per quello under 23. Di certo faremo dei Giri under 23 con le prerogative di qualità di Rcs.

Okay direttore, non può dirci nulla del percorso, neanche una città ospitante, ma ci dica almeno se ci sono arrivi in quota? O qualche salita storica, come ad esempio lo Stelvio?

Posso dire che non mancheranno delle salite simbolo, di quelle importanti. E che ci sarà un arrivo in quota sopra i 2.000 metri.

Tour of the Alps, qualità e sicurezza: scelte azzeccate

05.11.2022
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Quello che è andato in scena ieri a Milano, durante la presentazione del Tour of the Alps 2023, è stato il confronto fra due modi di intendere il ciclismo. Alla presenza di Mauro Vegni, organizzatore del Giro d’Italia, il tema è venuto fuori da sé. Poi è rimasto sotto traccia, forse perché non era quella la sede idonea per un approfondimento.

Il Tour of the Alps – si legge nel comunicato ufficiale – ha infatti affermato un proprio modo di interpretare il ciclismo. Salite, dislivelli importanti ma senza altitudini estreme, brevi chilometraggi e trasferimenti ridotti al minimo. Così si può sintetizzare la “Formula TotA”, premiata dall’apprezzamento di campioni e squadre – prova ne sia il nutrito contingente World Tour schierato al via anno dopo anno – oltre che dall’entusiasmo di un pubblico sempre più vasto e internazionale.

Rohregger, Evangelista, Rossini, Giacomo Santini, Pichler: il motore operativo del Tour of the Alps
Rohregger, Evangelista, Rossini, Giacomo Santini, Pichler: il motore operativo del Tour of the Alps

La formula ToTa

Il Tour of the Alps partirà il 17 aprile 2023 dall’Austria e si concluderà il 21 in Alto Adige. Le cinque tappe propongono un modello moderno e avvincente, in cui lo spettacolo e i corridori sono prepotentemente al centro della scena. Lunghezza media delle tappe di 150,52 chilometri: la più breve di 127,5 mentre la più lunga ne misura 165,2. Ciascuna tappa del Tour of the Alps parte a metà mattinata, per concludersi nel primo pomeriggio. Una volta anche il Giro faceva così. Poi le esigenze televisive hanno fatto passare in secondo piano le esigenze degli atleti. Per cui le tappe partono all’ora di pranzo e si concludono sul far della sera, con tutte le problematiche connesse.

«Credo che per una corsa di una settimana – ha spiegato Giuseppe Saronni – la formula tecnica del Tour of the Alps rappresenti la soluzione ideale. C’è brillantezza, c’è spettacolo tutti i giorni. Il Tour of the Alps propone percorsi da ciclismo moderno. E’ corsa per scalatori, non c’è dubbio, e gli atleti la affronteranno con intensità dall’inizio alla fine».

Qualità e quantità

Probabilmente la modernità non c’entra affatto: il ciclismo è ciclismo e basta. Tuttavia è un dato di fatto che la progressiva riduzione delle distanze di gara negli ultimi tempi abbia prodotto lo spettacolo maggiore. Un orientamento nato dalla Vuelta, che non ha però rinunciato ai suoi tanti arrivi in salita, poi ripreso dal Tour. La tappa più spettacolare dell’ultima edizione, quella del Granon e del crollo di Pogacar, misurava appena 151,7 chilometri. Anche nella prossima edizione le tappe più brevi saranno quelle con l’arrivo in salita.

«Il Tour of the Alps – ha detto Davide Cassani, presente in sala – ha trovato una forte identità, grazie ai percorsi impegnativi che contraddistinguono i territori. A questa gara non si arriva per prepararsi, ma per vincere. L’inizio della prima tappa non sarà morbido e già da qui si potrà capire chi potrebbe essere il favorito della gara. In generale le corse rispetto a un tempo sono molto più spettacolari e questo perché si punta maggiormente alla qualità, rispetto alla quantità. Bisogna puntare a offrire corse che siano belle da vedere, proprio come il Tour of the Alps».

Tivù, croce e delizia

Le tre settimane dei grandi Giri non si toccano e così pure i tapponi, su questo siamo d’accordo. Eppure le tappe troppo lunghe sembrano noiose, al punto di chiedersi se i corridori di una volta fossero davvero più battaglieri. La risposta probabilmente è no, tanto che le tappe leggendarie ricorrono in un numero limitato di racconti e il resto rimane nelle statistiche.

Quel che fa la differenza è la copertura televisiva. La diretta integrale mostra anche i momenti di presunta… fiacca, risulta soporifera e costringe i cronisti spesso a vere maratone. Ne abbiamo davvero bisogno? Quei chilometri sono alla base del cumulo di fatica che nei finali avvantaggia i corridori più solidi, ma non sono spettacolari. Si ha modo finalmente di apprezzare il lavoro dei gregari, ma lo spettacolo della corsa è quello dei finali. Né si può pretendere che si vada a tutta dalla partenza all’arrivo nel nome dello spettacolo.

E’ corretto che la televisione diventi la discriminante per la modifica dei percorsi e della loro lunghezza? E’ corretto che costringa gli atleti a barbari orari di corsa? Si comprende il costo dei diritti, ma la risposta è no.

Secondo Vegni sono le grandi distanze fra Nord e Sud a costringere il Giro a tappe molto lunghe
Secondo Vegni sono le grandi distanze fra Nord e Sud a costringere il Giro a tappe molto lunghe

«Per quello che propone dal punto di vista tecnico – ha commentato Mauro Vegni – il Tour of the Alps mette in luce i corridori veri e anche coloro che potranno pensare di presentarsi con ambizioni al Giro d’Italia qualche settimana dopo. Un identikit del prossimo vincitore? Sarà un campione assoluto, un grande scalatore. Quanto al Giro, l’esigenza di tappe più lunghe deriva dal fatto che l’Italia è allungata al centro del Mediterraneo. Per coprire il più elevato numero di regioni, non si possono fare tappe troppo brevi».

Le tappe di montagna del prossimo Giro sono tutte intorno ai 200 chilometri. Non sarà questo spauracchio a indurre i corridori a condotte meno garibaldine, in attesa dell’ultima salita?

Obiettivo sicurezza

E così il Tour of the Alps si gode il momento e va avanti nel segno della sua filosofia. Al suo fianco, Trentino Marketing e la partnership entusiasta con gli omologhi del Sud Tirolo e del Tirolo Austriaco, orgogliosi di dare la partenza alla corsa.

«Intendiamo proseguire – ha detto Maurizio Evangelista, General Manager (foto di apertura) – su una direzione tecnica che incarna la modernità del ciclismo. Il ciclismo di oggi è decisamente più spettacolare rispetto a quello del passato e si è spostata anche l’asse della carriera di un corridore. Ci saranno sempre più atleti precoci ed è giusto dar loro grandi sfide con le quali confrontarsi».

«Fra i capisaldi per noi – ha proseguito – c’è il tema della sicurezza. All’interno del nostro team organizzativo, è presente un nucleo tecnico che lavora tutto l’anno su questa tematica».

Fra le note più toccanti della presentazione, c’è stato l’intervento di Sonny Colbrelli. Il video ha mostrato un uomo ancora alle prese con una scelta di vita importante e dolorosa, ma sempre innamorato pazzo della bici e del ciclismo. Sonny in Trentino ha vinto il suo titolo europeo e nel raccontarlo aveva gli occhi lucidi. Probabilmente, neanche noi siamo pronti a restare senza di lui.

Il bilancio del Giro. Botta e risposta con patron Vegni

07.06.2022
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Ad alcuni l’ultimo Giro d’Italia è piaciuto all’inverosimile. Ad altri meno. Se la corsa rosa è stata vissuta dai corridori come una grande battaglia quotidiana, ci si aspettava di più nelle ultime tappe di montagna dagli uomini di classifica. Di questo, e non solo, parliamo con Mauro Vegni, il patron della corsa rosa.

Vegni dirige il Giro dal 2012 e di esperienza ne ha maturata in questi anni. Ha fronteggiato scioperi, maltempo, bandierine non chiare sotto la neve. E ancora: Giri decisi sul primo arrivo in salita e altri in cui al via dell’ultima tappa ci sono stati corridori separati da pochi centesimi.

Una folla incredibile ha accompagnato la corsa rosa nei tre giorni in Ungheria
Una folla incredibile ha accompagnato la corsa rosa nei tre giorni in Ungheria
Signor Vegni, partiamo da un primo bilancio: cosa le è piaciuto di più e cosa di meno dell’ultima corsa rosa?

Direi che mi è piaciuto il Giro nel suo complesso, andando assolutamente contro a chi dice di no. Mi è piaciuta la gente, tanta, a bordo strada. E questo ci dice che c’era voglia di fare festa e che il Giro è in salute.

E da un punto di vista tecnico?

E’ stata una bella gara fino agli ultimi giorni. In particolare alcune tappe come quelle di Napoli, Torino e Verona ritengo siano state delle gemme all’interno di un percorso molto valido.

In effetti i due circuiti hanno regalato grande emozione e un bello spettacolo. Li rivedremo?

Qualche volta sì. Quando è possibile farli, cercheremo di farli. Ma ricordiamoci che l’Italia è lunga e molto estesa verso il mare. Se si fanno i circuiti poi la risalita verso Nord diventa più complicata e ci toglie delle possibilità. Certo, credo che quello di Napoli con il Monte Procida, la città stessa e il lago Miseno sia stato un successo paesaggistico, una bella promozione turistica. Mentre il circuito di Torino è diventato una tappa di montagna in città.

Lo spettacolo della tappa di Napoli, col suo circuito tecnico e suggestivo
Lo spettacolo della tappa di Napoli, col suo circuito tecnico e suggestivo
E invece ci sono state delle difficoltà “dietro le quinte”, cose che non si vedono da fuori?

La partenza da Budapest: bellissima, un grande scenario, tantissima gente, ma anche un enorme lavoro logistico. Trasferire il tutto dall’Ungheria alla Sicilia e da lì al Continente… non è stato facile. Abbiamo cercato di creare meno inconvenienti possibili a squadre e corridori con un lavoro certosino. Ormai abbiamo delle persone che hanno acquisito un’esperienza tale da fare sembrare normale questo che di fatto è un grande elemento di preoccupazione.

Parlando con i velocisti, forse è mancata qualche tappe veloce in più. Come mai se ne fanno sempre meno? E’ una questione di spettacolo?

Dico una cosa brutta: che la gente faccia pace col cervello. E c’è poca salita. E ce n’è troppa. Poi però quando ne metti di più non ottieni gli effetti voluti. Oppure ci sono troppe tappe per i velocisti. Da parte mia sono a favore di tappe più piatte, ma in un grande Giro ci deve essere un po’ di tutto. Se emerge un leader consacrato troppo presto, mi dicono che il Giro è già finito. Se invece la lotta resta aperta sino all’ultimo, mi dicono che non c’è nessuno più forte.

Una crono più lunga: perché sì? Perché no?

Bisogna vedere quali corridori vengono a fare il Giro. Prendiamo per esempio il Dumoulin dei tempi migliori. Una crono lunga lo avrebbe favorito rispetto agli scalatori. Chiaro che bisogna bilanciare il tutto. Di crono quest’anno ce ne erano due, possiamo arrivare massimo a tre, ma credo che già due possano andare bene. Quest’anno non è stato dato un grandissimo spazio ai cronoman, ma tutto sommato c’era. Alla fine un Giro lo vince il corridore più completo, quello che sa adattarsi meglio a tutte le situazioni e che ha un recupero muscolare e psichico all’altezza.

Verso la Marmolada Bahrain Victorious sempre in testa, ma “addormentando” la corsa. Fare tappe molto dure non è garanzia di spettacolo
Verso la Marmolada Bahrain Victorious sempre in testa, ma “addormentando” la corsa. Fare tappe molto dure non è garanzia di spettacolo
Però una crono più lunga avrebbe favorito gli attacchi nel finale. Ci sarebbe stata una situazione meno statica…

E a chi sarebbe servita?

Ad Almeida per esempio (prima che si ritirasse)…

Ma io non faccio il percorso per Almeida o per un corridore solo, sia se questo è un cronoman o meno. Per me l’ideale è avere un percorso con 6-7 tappe per velocisti, 2-3 crono, 5-6 tappe per passisti e 3-4 tappe per gli scalatori puri.

Negli ultimi anni abbiamo visto la crono nel finale, metterla prima?

Non sarebbe la prima volta e infatti anche quando l’abbiamo messa a metà Giro non è servito a niente. Tutti i “Soloni” che parlano dovrebbero andare a rivedere le statistiche del passato. Mi dicono dell’Etna all’inizio o della doppia scalata allo Zoncolan… E a cosa serve? A Niente. Serve a far andare i corridori per gran parte del tempo a 20 all’ora in attesa dell’ultimo passaggio, perché è quello che conta, e al tempo stesso a farsi dire che sono un branco di pecore, quando poi non è vero. Non fa piacere tutto ciò. E con percorsi così ognuno fa le sue valutazioni sul modo di correre. E quindi più che attaccare, pensano a non prenderle.

Questo discorso, purtroppo, è vero. Tra le righe ce lo hanno detto le squadre stesse…

E’ quello che si è visto negli ultimi anni. Non c’è più un corridore alla Pantani che sapeva fare la differenza. Un Contador che faceva il vuoto. Da quel che vedo oggi le differenze si fanno più in discesa che in salita.

E quindi un Giro con un percorso più semplice può aiutare?

Ma io credo che i valori restino quelli. Oggi sono tutti molto simili per livello. Tutti hanno alimentazioni e preparazioni uguali e le differenze sono minime. Devi trovare l’atleta che si trova in super condizione e l’avversario che non è al top. 

Per i media molte zone interdette e spesso spazi limitati. Qui, la mix zone ricavata in uno degli ingressi dell’Arena di Verona
Per i media molte zone interdette e spesso spazi limitati. Qui, la mix zone ricavata in uno degli ingressi dell’Arena di Verona
Cambiamo argomento. Noi giornalisti abbiamo lavorato con innegabili difficoltà perché c’era la “bolla” anticovid. Poi però nella tappa con partenza da Salò, per fare un esempio, i corridori per andare al foglio firma transitavano in un vicolo stretto e colmo di gente…

Non sono d’accordo con questa visione. L’atleta deve pensare alla sua salute. Noi lo proteggiamo per quel che possiamo, ma anche lui deve proteggersi. Noi abbiamo cercato di rispettare le direttive mediche imposteci dall’Uci. Norme che saranno in vigore fino al 15 giugno. Dopodiché si riuniranno per valutare se queste regole dovranno restare in atto oppure no. Spero che in futuro le cose possano migliorare. E poi fatemi dire…

Prego…

Altri vostri colleghi giornalisti sono venuti da me e hanno avuto da ridire e per certi aspetti sono anche d’accordo con loro. Ma anche voi avete la vostra associazione internazionale: che questa si facesse sentire. Magari ha più voce in capitolo di me. Se c’è qualcosa di sbagliato datemi una mano a cambiare le cose.

Ultima domanda: che novità ci sono riguardo al cambiamento di data che comprenda anche il 2 giugno?

Abbiamo fatto la richiesta, ma la commissione non si riunisce sempre. Io credo che ci vorrà almeno un mese. Magari sapremo qualcosa entro metà luglio. Spero solo non ci diano la risposta all’ultimo secondo.

EDITORIALE / Giornalisti al Giro, tra regole e furbetti

23.05.2022
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Il pezzo scritto da Gianfranco Josti e pubblicato giusto ieri è stato una piccola scossa. Forse se non l’avessimo letto, non avremmo scritto questo Editoriale. Parlandone fra colleghi al Giro, ci siamo resi conto infatti di quante condizioni… avverse abbiamo accettato per lavorare nel ciclismo al tempo del Covid. E di come ora che il Governo ha tolto le varie restrizioni, continuiamo a subirle. C’è chi lavora in condizioni ben peggiori, sia chiaro, ma avendo a cuore la qualità di ciò che produciamo, ci rendiamo conto di operare con il gas tirato.

Un Giro vietato

Josti ha ricordato le chiacchierate e gli approfondimenti ai bus prima del via: vietati. Ha ricordato le interviste fatte durante i massaggi, in quei lunghi momenti in cui davvero il corridore si lascia andare: vietate. Ha parlato delle conferenze stampa virtuali, che oggi nel giorno di riposo si rincorreranno sul web grazie al ponte effettuato da RCS Sport, mentre fino al 2019 il riposo era il modo di frequentare gli hotel delle squadre, scambiando parole in libertà che sarebbero servite nel seguito della corsa per costruire racconti e approfondimenti più sostanziosi.

Di una cosa non si è accorto Josti o non ha voluto scriverlo. Il tanto invidiato accredito che ci permetteva di passare fra i corridori abbreviando i tempi di percorrenza, ormai ha esaurito i superpoteri. Se vuoi andare al foglio firma per accedere alla zona mista, dove si fanno le interviste alla partenza, devi farlo solcando il meraviglioso popolo dei tifosi. Niente di male, serve anche per rendersi conto dei viottoli lasciati a sua disposizione, ma ancora una volta allunga i tempi e rende difficoltoso il lavoro. Sulla strada della corsa i giornalisti non possono più passare, mentre non si batte ciglio ad esempio per la banda dei bersaglieri. A impedirti il passaggio, degli uomini vestiti di nero che si esaltano nell’esercitare il loro potere. Mentre come tifosi esclusi dallo stadio, ci sono colleghi che con mezzi e mezzucci cercano di intrufolarsi. Anche in questo si perde la dignità.

Squadre scontente

Al Giro d’Italia e in tutte le corse RCS è così. Ne fanno le spese i colleghi incolpevoli dell’ufficio stampa che lavorano con noi e per noi, che si fanno in quattro e sono spesso costretti a giustificare decisioni prese altrove. Interpellato in merito nei giorni scorsi, il direttore Mauro Vegni ha detto che si proverà a invertire la tendenza in quest’ultima settimana: gliene saremmo eternamente grati. Lo sarebbero anche le squadre, che si sono viste respingere le richieste di accredito per i loro sponsor: quelli che pagano gli stipendi e vorrebbero godere dello spettacolo dal suo interno. Nel resto del mondo, dalla Turchia alla Francia, passando per Belgio e Olanda, certe restrizioni sono state eliminate. Tanto che nelle più recenti Freccia Vallone e Liegi si è potuto lavorare come una volta.

La motivazione addotta da RCS Sport è che il presidente Lappartient avrebbe richiesto di tenere gli atleti nella bolla: ma di quale bolla parliamo se poi negli hotel i corridori sono in mezzo alla gente e si fermano per fare le foto andando alla partenza? L’Uci ha semplicemente consigliato di attenersi alle normative dei Paesi ospitanti. E la normativa italiana ha eliminato certi vincoli.

Però c’è un però. RCS Sport deve attenersi alla normativa UCI, così come l’ASO e gli altri enti organizzatori. Se è vero che per ogni infrazione alle normative tecniche vengono spiccate multe salate, viene da pensare chi i francesi paghino oboli salatissimi all’autorità costituita o che i criteri di controllo siano difformi.

Mauro Vegni ha detto che per l’ultima settimana si lavorerà a un cambiamento: è il desiderio di tutti
Mauro Vegni ha detto che per l’ultima settimana si lavorerà a un cambiamento: è il desiderio di tutti

Un altro sport

Eppure c’è chi da questa situazione scomoda trae beneficio. Quelli che stanno a casa e raccontano ai lettori che sono al Giro e alle altre corse. Quelli che grazie alla possibilità di accedere alle conferenze stampa virtuali hanno gli stessi… privilegi di chi investe e manda i suoi giornalisti sulle strade delle corse, per offrirne uno spaccato più avvincente. Quelli che in qualche modo anziché raccontare, fanno i furbi grazie a un sistema che glielo consente.

Ecco la mail con i link per le conferenze stampa di oggi. Anche chi è a casa può accedervi
Ecco la mail con i link per le conferenze stampa di oggi. Anche chi è a casa può accedervi

Così facendo però il ciclismo cambia. Se lo si sposta sul terreno del virtuale, non ha più senso investire per mandare inviati, si perde il gusto del racconto e si finisce per offrire al pubblico e di riflesso agli sponsor un prodotto povero e standardizzato. Se tutti scrivono le stesse cose, il Giro ne trae vantaggio? Il ciclismo e il racconto che lo seguiva erano un’altra cosa. Facciamo tutti in modo che tornino a esserlo?

Pronti al bagno rosa. Giro durissimo e Vegni “sfida” i grandi

10.11.2021
9 min
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Se fossimo stati dei corridori probabilmente avremmo detto che stavolta al Giro d’Italia hanno esagerato in quanto a durezza del percorso. Ma siccome non lo siamo e prima ancora che giornalisti siamo appassionati, non possiamo far altro che fregarci le mani e sognare già la prossima corsa rosa. E questo Giro lo commentiamo con il suo direttore, Mauro Vegni, colui che al netto delle esigenze commerciali dettate dalle (tante) località che richiedono il passaggio della corsa, disegna il percorso. Sceglie quali strade e quali salite affrontare.

Mauro Vegni è in Rcs dal 1995 ed è direttore del Giro dal 2012
Mauro Vegni è in Rcs dal 1995 ed è direttore del Giro dal 2012

Un Giro unico

Di fatto oggi si è svelato (quasi) definitivamente il tracciato della corsa rosa numero 105. Domani avremo la planimetria definitiva, comprese le crono della seconda e dell’ultima tappa. E’ un percorso davvero bello, nell’accezione più semplice di questo aggettivo. C’è tutto: tappe piatte, tappe ondulate e tappe di alta montagna. E non a caso proprio così è stata suddivisa questa “presentazione spezzatino”. Una presentazione di certo innovativa ma che ha un po’ segato la “botta di adrenalina” dello scoprire la corsa tutta insieme.

«Cerchiamo – dice Vegni – di proporre qualcosa di nuovo tutti gli anni. Poi magari a bocce ferme ci sarà un momento di riflessione per capire se la cosa ha funzionato oppure no. Ma non diteci che non ci abbiamo provato.

«Quale Giro mi ricorda? In quanto a durezza e dislivello direi quello del 2011, ma per il resto non lo paragonerei a nessun altro. E sì che io li seguo dal 1995. Ci sono tante salite evocative. La bellezza delle Dolomiti è un pregio naturalistico e sportivo. E anche nel mezzo c’è tanta roba».

Le frazioni per velocisti

Si parte dall’Ungheria e lo si fa subito con una lunga frazione. Tappa piatta, ma l’arrivo è su un dentello di quarta categoria tanto per smuovere le acque in vista della prima rosa da assegnare. Una breve crono di 9,2 chilometri e poi ecco una tappa “biliardo”. E questo è uno spunto molto importante. Le tappe per i velocisti tornano ed essere per velocisti. In questi ultimi anni, in tutte le corse a tappe, gli arrivi in volata spesso gli sprinter se li sono dovuti sudare.

Stavolta invece, a parte il primo arrivo, Visegrad, e quello di Messina con Portella Mandrazzi (comunque lontanissima dall’arrivo), sono tutti abbordabili. Arrivare o no in volata spetta ai team e alle tattiche che decideranno di attuare. E non a caso Elia Viviani lo ha detto subito: «Quest’anno c’è tanto spazio per noi ruote veloci».

«Su carta è un bel Giro e tutti gli anni ci proviamo, speriamo che venga anche bene – commenta Vegni – Per quanto riguarda le tappe per velocisti non credo siano assolutamente così piatte. Guardando le altimetrie dovrebbero esserlo, ma c’è sempre un qualcosa che può complicare le cose. Inoltre abbiamo inserito tappe di media montagna e altre di vera salita. E’ un Giro equilibrato per me. La sequenza delle frazioni concede spazio a tutti».

Su e giù, ma duri

Si passa poi alle frazioni definite di “media montagna”. E ci sta, ma alcune sono davvero toste. Prendiamo per esempio la Diamante-Potenza: 198 chilometro e ben 4.490 metri di dislivello. O la Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte: 178 chilometri e 3.230 metri di dislivello, il cui arrivo per di più è in salita.

Sono frazioni dure da sole, figuriamoci nel bel mezzo di un grande Giro. Intervallate anche da tappe di montagna. Lo scopriremo solo domani con certezza, ma per esempio la Diamante-Potenza dovrebbe precedere una durissima tappa, quella che da Isernia porta al Blockhaus: salita tremenda.

«Trabocchetti? Di certo – dice Vegni – non ci sono nella tappe di salita. Lì o hai le gambe o non le hai. Piuttosto penso che possano essere molto insidiose le frazioni della prima settimana. Mi vengono in mente quella di Potenza o quella di Napoli col circuito dei Campi Flegrei che è molto impegnativo. In questi casi se non ci si fa trovare già in condizione si rischia di perdere subito secondi se non minuti».

Quanta salita

Oggi la squadra di Mauro Vegni ha presentato le sei frazioni dedicate ai pesi leggeri, agli scalatori. Anche in questo caso si tratta di sei tappe, sei tappe di alta montagna che sono un crescendo rossiniano nel corso del Giro. Etna, Blockhaus e Cogne (il finale ricalca la tappa finale del Val d’Aosta di quest’anno). E ancora Lavarone, Aprica e dulcis in fundo la Marmolada.

Ma tutte queste salite non sono le sole delle varie frazioni. Prima di Cogne si scala Verrogne. Prima di arrivare a Lavarone, si affronta il Vetriolo, il cui nome è tutto un programma, e prima della Marmolada si affronta il Pordoi. 

Peccato solo che nella frazione dell’Aprica il Mortirolo sia posto parecchio lontano dall’arrivo. Però si raggiunge il traguardo passando dal Santa Cristina, che non è propriamente una salita “delicata”.

«Quando disegniamo un Giro dobbiamo pensare anche alla sequenza finale – dice Vegni – la gente vorrebbero il Mortirolo tutti i giorni. Non puoi “ammazzare” i corridori già al martedì dell’ultima settimana. Perché vieni dalla frazione di Cogne e poi hai Lavarone, la Marmolada e la crono finale, quelle sequenze che oggi chiamano “monster”.

«E poi è anche un modo per cambiare. Non c’è il Gavia? Prima però abbiamo inserito un’altra salita molto dura e anche simbolica, il Santa Cristina. Una salita che ricorda Marco Pantani, quando nel 1994 staccò tutti. Questa e anche altre salite sono evocative».

Contador nel 2015 ha vinto il Giro e poi ha tentato il bis al Tour
Contador nel 2015 ha vinto il Giro e poi ha tentato il bis al Tour

La sfida ai tre tenori

Infine a Vegni chiediamo se gli piacerebbe avere al via i tre grandi interpreti delle corse a tappe attuali: Bernal, Pogacar e Roglic. Domanda che può sembrare banale, ma che porta con sé temi importanti. Temi che sanno di sfide e che sono strettamente sportivi.

«Certo che mi piacerebbe averli al via – ribatte Vegni – ma nel ciclismo moderno è difficile fare delle grandi competizioni e delle grandi performance una dietro l’altra. Però si possono fare quando si ha la freschezza atletica. E vedo che i grandi di oggi potrebbero averla visto che sono giovani, Roglic un po’ meno.

«Oggi a 23 anni un corridore è compiuto nelle sue capacità, a quanto pare. Non è come una volta che iniziava ad andare bene dai 28 anni in su. Quindi se qualcuno di loro tre avesse lo stimolo per tentare un qualcosa di diverso, per puntare l’accoppiata Giro-Tour, questo è il momento giusto. Anche perché alla gente piace. L’anno scorso Bernal ha vinto il Giro, Pogacar il Tour. In tanti si domandano: ma chi è più forte? Sarebbe difficile rispondere in uno scontro diretto figuriamoci così».

L’argomento interessa a Vegni che rilancia: «L’ultimo a riuscire in questa performance è stato Marco Pantani. E poi mi chiedo: ma che senso ha vincere 3-4 Tour e poi sparire per mezza stagione o non fare altro?

«Prendiamo Armstrong, che ha vinto sette Tour, al netto che poi glieli abbiano tolti, ma cosa gli cambiava se ne avesse vinti sei? Per me già il fatto che non abbia provato a vincere i tre grandi Giri è una “diminutio”. E lo stesso il non aver tentato l’accoppiata Giro-Tour. L’ultimo a provarci è stato Contador. Solo che Alberto lo ha fatto in un momento della sua carriera in cui non era più all’apice».