Meccanici on the road, in viaggio con Adobati e Campanella

04.12.2024
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Stanotte, spiega Adobati, hanno dormito a Reims e scherzando si sono detti che avrebbero fatto l’aperitivo con lo champagne. Stamattina intorno alle 8, i quattro camion della Lidl-Trek hanno ripreso il viaggio verso la Spagna. Il primo ritiro è nel mirino, i corridori arriveranno domenica e per allora dovranno trovare tutto pronto. Stanze, bici, abbigliamento e tutto quello che serve per lanciare la nuova stagione. I meccanici sono partiti una settimana fa per il service course di Deinze, in Belgio. Calpe non è dietro l’angolo e bisogna essere certi di aver preso tutto.

Su uno dei camion viaggia Mauro Adobati, il capo dei meccanici del team americano, e al suo fianco c’è Giuseppe Campanella (i due sono insieme nella foto di apertura), il compagno di tante corse. E proprio con Adobati abbiamo voluto fare un punto per dare l’idea del gigantesco meccanismo che si sta mettendo in moto in questi giorni. Le strade spagnole saranno a breve prese d’assalto, camion come questi stanno solcando le autostrade di tutta Europa.

Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Siete in giro da una settimana, che cosa portate in Spagna?

Tutto quello che serve. Una bici da strada e una bici da crono per ciascuno. Qualcuno poi avrà anche qualche bici in più, ma parliamo dei più forti. Il bike fitting dei corridori nuovi è stato fatto in Italia dopo il Lombardia, nei due o tre giorni di ritiro prima di chiudere la stagione. In Spagna però ci saranno dei controlli. Il ritiro di dicembre è orientato alla preparazione, ma anche alla prova dei manubri, delle bici, delle ruote. Per i ragazzi che c’erano l’anno scorso, la bici e i materiali non sono cambiati. Però poi si va in pista, si prova, si cerca di affinare il dettaglio. Ogni anno ci sono cambiamenti, qualcuno prova le pedivelle più corte, qualcuno i manubri più stretti. E i primo ritiro è il più adatto, oltre a permetterci di fare le varie riunioni fra meccanici e tutto il personale per la preparazione della nuova stagione.

Questa tendenza di accorciare le pedivelle si sta davvero diffondendo così tanto?

In questo ambiente si tende a prendere ispirazione dagli altri – dice Adobati sornione – diciamo così. Lo fa qualcuno che va forte e gli altri ci provano. Lo scopo è cercare di migliorare anche l’uno per cento delle prestazioni, quindi le provi tutte. Poi c’è chi si trova bene e continua e chi invece non si trova e torna indietro. In effetti la vera resa di 2 millimetri in meno sulla pedivella è difficile da capire, ma non è solo un fatto di convinzione, ci sono anche degli studi.

La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
Siete in viaggio con il materiale degli uomini e delle donne?

Ieri siamo usciti dal magazzino con quattro camion. Due da 12 metri della squadra WorldTour. Abbiamo diviso il materiale mettendo in uno tutte le bici, sia strada che crono, dei corridori da classiche. Nell’altro camion mettiamo quelle per i più scalatori. E poi ci dividiamo anche noi meccanici, in modo che il lavoro venga distribuito. Poi c’è un camion più piccolo per il devo team e uno per la squadra donne. E noi siamo stati in Belgio a preparare, perché le due squadre WorldTour hanno gli stessi materiali, per il devo team cambia qualcosa. Per cui siamo tutti insieme in carovana, passiamo due notti fuori, perché ci vogliono due giorni e mezzo. Si potrebbe fare anche in due, ma arriveremmo morti e non ne vale la pena.

In ritiro si parlerà anche di come comporre le squadre di meccanici alle corse?

Ogni corsa ha i suoi meccanici e sono ragionamenti che si fanno anche con i manager, perché ci sono colleghi che lavorano meglio insieme. Ma il fatto è che con il crescere della squadra, certi ragionamenti si riescono a fare sempre meno facilmente. Per fortuna abbiamo un bel gruppo che si integra bene, anche se è ovvio che ci siano delle preferenze. Si fa qualche eccezione se un corridore ha il suo meccanico personale e allora in base a quello si fa il calendario e poi si cerca comunque di ruotare. Chi fa il calendario si preoccupa di far girare anche i meccanici perché l’attività e le gare siano distribuite nel modo migliore.

Tornando ai camion e al loro carico, il primo ritiro è anche l’occasione di provare materiali mai usati prima?

Soprattutto i corridori nuovi oppure quelli che già c’erano, ma hanno usato poco le ruote da 60 e quella da 37, sicuramente dovranno provarle per capire in quali tappa e quali possono utilizzarle. Poi si farà anche il punto delle pressioni, perché con il tubeless è diventata fondamentale. Pirelli ci dà delle tabelle consigliate, più che da seguire. Di conseguenza il corridore le prova e poi nell’80 per cento dei casi è lui che dà la pressione che preferisce, in base anche alle condizioni dell’asfalto. Invece una piccola parte di corridori si affida al meccanico e ai nostri consigli.

I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
Hai fatto un conto di quante bici ci sono sui camion?

No, però possiamo farlo velocemente. Abbiamo 30 corridori WorldTour con due bici ciascuno, quindi sono 60. Poi ci sono i 14 corridori del devo team, con due bici ciascuno e sono 28. Infine le donne che sono 15, quindi fanno 30 bici. Fate voi la somma? Sono 118 biciclette. Però qualcuno ha anche una bici di scorta in più che deve provare e in più abbiamo qualche bici per i VIP che arrivano dall’America come ospiti. Sono tante, davvero tante.

Di solito veniamo in ritiro e troviamo anche una bici non verniciata, un prototipo che magari qualcuno sta provando: la vedremo anche quest’anno?

A livello telaistico no. Ci sarà qualcosa di nuovo sicuramente da provare però il telaio è appena uscito, quindi non ci saranno prototipi.

E tutte quelle bici quante ruote hanno, oltre a quelle già montate?

Senza contare quelle e le ruote da crono, abbiamo una cinquantina di ruote da strada, tra alte, basse e medie.

Due meccanici per camion che poi lavoreranno per tutto il ritiro?

No, arriva qualcun altro. Noi abbiamo organizzato il carico e ci facciamo il viaggio, altri arriveranno domenica in aereo, ma restano per una settimana in più. Dato che la nuova Madone ci è arrivata a metà anno, non l’abbiamo cambiata a tutti, quindi non ne avevamo tante da montare. Anche i nuovi sono tutto sommato pochi, per cui il lavoro in Belgio non è stato eccessivo. Alla fine la somma dei giorni sarà più o meno la stessa, per non caricare uno piuttosto che un altro prima ancora di cominciare. Quest’anno mi sono fermato una quarantina di giorni, ma ogni anno sono sempre meno…

Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Allo stesso modo dei corridori, anche voi meccanici avrete un calendario ben definito dopo il ritiro?

Il bello di questa squadra è che abbiamo il calendario sino a fine anno. Può esserci qualche cambio, però in linea di massima torneremo a casa con una pianificazione già fatta ed è davvero una cosa molto buona, una fra le tante di questa squadra. Ti puoi organizzare anche qualcosa al di fuori dal lavoro. E se avvisi che nei tuoi giorni liberi sei fuori, casomai ci fosse un problema chiamerebbero un altro, non te. Basta comunicare che si va in vacanza.

Chi pianifica la vostra attività?

Sul fronte della performance, c’è Josu Larrazabal. Ma la figura che sta sopra di noi e fa da tramite tra noi e Trek si chiama Glenn ed è un ragazzo abbastanza giovane però molto in gamba. Lui fa da tramite con Trek e una parte dei corridori. L’idea è che non arrivino da noi tutti insieme e per questo dallo scorso anno abbiamo iniziato a lavorare come i direttori sportivi. Abbiamo i nostri 5 corridori da seguire, ma è davvero raro che si rivolgano al meccanico che gli è stato indicato. Io lo scorso anno avevo Mollema, che mandava messaggi in continuazione. Poi Ciccone e Bagioli. Dovrebbero essercene altri due, ma non li ricordo. Forse perché preferiscono andare direttamente al magazzino, direttamente alla fonte. Se però hanno un problema quando sono a casa, allora ci chiamano e il sistema funziona.

Buon viaggio allora, ragazzi. Dove dormirete stanotte?

Il piano è di arrivare in zona Montpellier. E domani si fa l’ultima tratta fino a Calpe.

La Trek di Milan per il Nord ce la racconta Mauro Adobati

26.02.2024
5 min
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L’opening weekend è ormai alle spalle, la stagione del Nord è appena iniziata e nelle prossime settimane sulle strade di lassù si daranno battaglia tanti nomi importanti. I dettagli contano molto, tutto deve essere curato e niente va lasciato al caso. Se ad ogni cavaliere corrisponde un cavallo, anche i corridori hanno il loro destriero in carbonio: le loro bici. Per vincere il freddo, il pavé, i muri e tutti gli ostacoli delle corse del Nord è necessario avere i materiali giusti

Dalla Omloop Het Nieuwsblad di sabato, fino alla Roubaix e anche oltre: le gare da queste parti sono tante e ognuna ha le sue insidie. Uno dei nomi di spicco per il ciclismo italiano a queste latitudini sarà quello di Jonathan Milan. Intorno a lui girano tante domande, non ultima quella sulle scelte tecniche fatte in ottica classiche del Nord. 

Madone o Domane?

Il gigante friulano, passato dalla Bahrain Victorious alla Lidl-Trek ha cambiato bici. Ora per correre sulle pietre potrà contare sulla Madone e sulla Domane: insieme a Mauro Adobati, capo dei meccanici del team americano, parliamo delle scelte fatte da Milan. Lui stesso ci aveva parlato di alcuni test fatti proprio sulle strade della Roubaix, volti a cercare i materiali migliori. All’inizio della stagione del Nord cerchiamo di capire che scelte sono state effettuate.

«Il test per la Roubaix – ci dice Adobati – Milan lo ha fatto con la Madone. Ormai con la nuova versione di questa bici si può pedalare tranquillamente sulle pietre. Grazie all’inserimento dell’IsoFlow le vibrazioni non sono più un problema. Tutti i ragazzi, Milan compreso, hanno corso l’opening weekend con questo modello. L’unico motivo per cui si potrebbe scegliere di usare la Domane, e si parla solo della Roubaix, è la pioggia. Il passaggio ruote in questa bici è maggiore e si possono montare copertoni da 32 millimetri senza problemi».

Milan per le prime gare Nord ha scelto tubolari da 30 millimetri
Milan per le prime gare Nord ha scelto tubolari da 30 millimetri

Profili alti e tubolari

Le scelte tecniche sono sempre qualcosa di personale, i test servono alle aziende, vero, ma risultano ancora più utili ai corridori. Ogni momento è buono per capire, cambiare e correggere. Nella mattinata di venerdì, Milan ha pedalato sulle strade della Omloop Het Nieuwsblad alla ricerca delle ultime conferme

«In queste gare – continua Adobati – Milan ha scelto di usare ruote a profilo alto, potrebbe optare per un 51 millimetri. Mentre, per quanto riguarda i copertoni, per la Het Nieuwsblad ha optato per dei tubolari da 30 millimetri. Il tubeless è stato accantonato perché con colpi secchi un po’ d’aria esce sempre, rischiando di perdere anche 2 atmosfere tra inizio e fine gara. Questa scelta viene fatta soprattutto da corridori della stazza di Milan.

«Per la Roubaix vedremo cosa si sceglierà, il profilo scelto per le ruote potrebbe alzarsi a 61 millimetri. Si tratta di una corsa piatta, dove servono molta velocità e anche tanta stabilità. Probabilmente, anche per correre all’Inferno del Nord, Milan potrebbe decidere di montare i tubolari». 

Milan utilizza il nastro manubrio da cronometro, più sottile rispetto al classico da strada
Milan utilizza il nastro manubrio da cronometro, più sottile rispetto al classico da strada

Nastro manubrio e sella

I punti di appoggio più delicati per un ciclista sono la sella e il manubrio. Il comfort sulle pietre diventa quasi un’utopia, ma le scelte tecniche devono portare alla migliore soluzione. 

«Milan – ci spiega Adobati – preferisce usare il nastro manubrio più sottile, quello da cronometro. Lo ha usato anche per queste prime gare in Belgio e probabilmente pure per la Roubaix. Dice che un nastro più sottile gli dà una maggiore sensibilità e più sicurezza nel guidare la bici. Come sella utilizza la Aeolus RSL con larghezza da 145 millimetri, ovvero la taglia media».

Milan utilizza all’anteriore le corone da 54 e 41 denti, il pacco pignone ha scala 10-33
Milan utilizza all’anteriore le corone da 54 e 41 denti, alla Roubaix potrebbe optare per il monocorona da 54

Infine il gruppo

Uno dei cambiamenti più importanti per Milan è stato passare da Shimano a SRAM. L’azienda americana utilizza dei pacchi pignoni con corone differenti, spesso dispari, ma a detta di Adobati questo non è stato un grande problema. 

«Alla Omloop Het Nieuwsblad e alla Kuurne – racconta il meccanico – Jonathan ha usato un 54-41 davanti. Mentre al posteriore il pacco pignoni è stato un 10-33. A mio modo di vedere non ha avuto necessità di grandi adattamenti, comunque con Shimano dietro usava il 30. Mettere 3 denti in più dietro permette di avere grande libertà, in futuro potremmo vedere corone sempre più grandi davanti. Con un 54-41 si evitano grandi salti e la catena ha meno probabilità di cadere».

«L’unica modifica per la Roubaix, da questo punto di vista, potrebbe essere la scelta di un monocorona davanti. Si monterebbe un 54, con al posteriore una cassetta 10-33. In una corsa del genere togliere il deragliatore potrebbe tornare utile».

I meccanici, appassionati, amici e un po’ psicologi

17.11.2022
7 min
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I meccanici delle squadre non svolgono “solamente” il ruolo operativo insito nella loro qualifica. Sono degli appassionati di sport e sono anche gli amici dei corridori, una sorta di valvola di sfogo e un parafulmine. Sono anche un po’ psicologi, perché talvolta il corridore deve essere convinto e indirizzato nelle sue scelte tecniche.

Ci siamo fatti raccontare chicche e aneddoti da Matteo Cornacchione (Team Ineos-Grenadiers), Ronny Baron (Team Bahrain-Victorious) e Mauro Adobati (Team Trek-Segafredo). Che cosa accade quando gli organici si completano con i nuovi ingressi?

Uno dei primi collegiali di stagione del Team Trek-Segafredo (foto Trek-Segafredo)
Uno dei primi collegiali di stagione del Team Trek-Segafredo (foto Trek-Segafredo)
Cosa si fa quando arriva un nuovo corridore?

CORNACCHIONE: «Il primo approccio con un nuovo atleta avviene talvolta in maniera anomala, perché si cerca di avere un contatto diretto con lui prima che la stagione volga al termine. Per noi meccanici è fondamentale avere le sue vecchie biciclette, quella normale e quella da crono, dalle quali si estrapolano le misure. E’ un passaggio davvero importante, grazie al quale si determinano anche gli ordini dei materiali per la stagione futura».

BARON: «Di solito il team fa il contratto con un corridore durante la stagione e di pari passo noi riceviamo le schede tecniche. Quando c’è la possibilità, noi meccanici sondiamo direttamente anche l’atleta, per sensazioni ed eventuali necessità. Un professionista già navigato non si avventura in stravolgimenti di setting, magari qualche prova e test nella stagione lontano dalle corse. Un lavoro più articolato, approfondito è eseguito su atleti molto giovani».

ADOBATI: «Talvolta quando arriva un giovane non si conoscono in modo preciso le sue caratteristiche. Noi meccanici parliamo con i direttori sportivi, entriamo in contatto con l’atleta e si cerca di avere delle informazioni anche grazie al team di provenienza. Gli stessi corridori si dividono in due categorie. Quelli tecnici e preparati, oppure quelli che rimandano ai meccanici. A prescindere da tutto, si cerca di far avere il materiale ai nuovi arrivati anticipando il primo training camp, in modo che ci sia un adattamento graduale».

Cornacchione regola l’inclinazione delle leve del cambio
Cornacchione regola l’inclinazione delle leve del cambio
Mediamente quanto tempo viene dedicato all’atleta?

CORNACCHIONE: «Dipende dalla tipologia di corridore, ad esempio gli specialisti delle crono necessitano più tempo. Per dare un’idea precisa, considerando i cronoman, in un pomeriggio non si fanno più di due corridori. Sempre in merito agli atleti che puntano sulle prove contro il tempo, talvolta le sedute sono divise in più puntate. Si va in galleria del vento, oppure lo stesso corridore è coinvolto nello sviluppo dei nuovi materiali. I tempi si allungano perché i test sono numerosi. Lavorare sulle bici tradizionali invece è piuttosto veloce anche con i nuovi innesti. Viene data la possibilità di lavorare sui nuovi materiali e di arrivare ai primi ritiri con un buon setting».

BARON: «Quando trovi il nuovo innesto alle corse si cerca di entrare nel dettaglio e ci si confronta con lui. Non è un lavoro semplice, perché è obbligatorio rispettare anche i contratti, che di solito scadono alla fine di dicembre. E’ fondamentale per i meccanici ascoltare ed interpretare le parole del corridore, poi dipende anche dalla sua sensibilità. E’ necessario considerare anche la capacità di adattamento dell’atleta».

ADOBATI: «Le fasi sono diverse. La prima è quella riferita alla consegna della prima bicicletta ed in genere un’oretta è sufficiente, riportando le vecchie misure sulla bici nuova. Un secondo step è quello del primo collegiale, dove si eseguono gli aggiustamenti del caso e se sono necessari cambi importanti si dedicano anche due/tre ore. Per il fitting della bicicletta, il team Trek-Segafredo si avvale del Centro Mapei. Il lavoro di messa in sella e adattamento aumenta, anche per via dei tanti materiali da provare, quando ci sono le bici da cronometro».

Baron alle prese con gli aggiustamenti delle bici (foto Bahrain Victorious)
Baron alle prese con gli aggiustamenti delle bici (foto Bahrain Victorious)
Vengono fatte delle sedute in stile accademy?

CORNACCHIONE: «Facciamo una sorta di training camp con sedute informative. Quest’anno si è svolto prima della fine di ottobre e ha permesso a tutto lo staff di entrare in contatto con i nuovi e di avere il polso delle loro esigenze. Per noi meccanici è stato importantissimo, ci ha permesso di anticipare il lavoro di messa in sella di ogni atleta. E’ stata una settimana intensa, ma produttiva. Il tema è stato dedicare il più tempo possibile ad ogni singolo corridore».

BARON:«Viene fatto un training camp, quello di dicembre, con dei veri e propri meeting, dove ogni azienda sponsor presenta i prodotti in dotazione al team. Questo avviene per i corridori già presenti in organico e per quelli nuovi. A questo si aggiunge anche il ruolo di noi meccanici che cerchiamo di insegnare a tutti i corridori i piccoli trucchetti per gestire al meglio la bicicletta da allenamento che è a casa».

ADOBATI: «Assolutamente si. Ogni parte della bicicletta, nel nostro caso Trek, prevede l’intervento di un ingegnere che espone le peculiarità e le caratteristiche del componente. Questo riguarda anche lo staff e i meccanici. A questi si aggiungono anche i diversi sponsor tecnici. Durante i ritiri si eseguono delle vere e proprie sessioni informative per tutti, maggiormente approfondite per i nuovi ingressi che non hanno utilizzato il nostro materiale».

Mauro Adobati alle prese con l’aggiustamento di un manubrio (foto Trek-Segafredo)
Mauro Adobati alle prese con l’aggiustamento di un manubrio (foto Trek-Segafredo)
Generalmente quanto tempo è necessario per far si che il corridore si adatti ai nuovi materiali?

CORNACCHIONE: «Difficile da dire, molto dipende dai materiali e le differenze con i precedenti. Comunque, un corridore pro, una volta trovata la giusta posizione in sella, in due settimane trova il setting ottimale e difficilmente lo cambia nel corso della stagione».

BARON: «Circa un mese, talvolta un mese e mezzo, poi dipende dal soggetto. I corridori di vecchio stampo non cambiavano la posizione di un millimetro, nell’arco di tutta la loro carriera. Quelli giovani sono portati a sperimentare di più e questo fattore comporta un tempo maggiore per capire il mezzo. In inverno il corridore ci mette più tempo ad adattarsi perché le variabili in gioco sono diverse. Può essere che ha qualche chilogrammo in più addosso, oppure sta facendo palestra e la sua muscolatura è appesantita».

ADOBATI: «Un corridore giovane si adatta molto rapidamente, poi ovviamente entra in gioco la parte soggettiva. Per dare un riferimento, ci vogliono un paio di mesi, si tratta di essere perfetti al 100% e di accontentare a pieno le richieste dell’atleta. Qui c’è da considerare anche la doppia bicicletta. Ad ogni atleta vengono dati i due modelli, Emonda e Madone, i due mezzi di riferimento per il team e lui può scegliere».

Altezza e arretramento sella, tra le operazioni più richieste, non solo dai nuovi (@trek-segafredo)
Altezza e arretramento sella, tra le operazioni più richieste, non solo dai nuovi (@trek-segafredo)
Un aneddoto che porti con te?

CORNACCHIONE: «Il ricordo di un Ganna giovane che era appena arrivato in squadra, quindi un atleta che doveva ancora vincere tanto e diventare l’atleta che conosciamo oggi. Filippo è un corridore al quale piace l’abbinamento dei colori è curioso di sapere quando c’è un componente diverso e particolare. Il manubrio da crono 3D non era ancora stato sviluppato e provato. Lui è stato il primo ad usarlo e portarlo in gara. Al momento della consegna, era felice come un bambino che riceve il regalo di Natale. Porterò sempre con me il sorriso e l’entusiasmo di quel ragazzo, oltre alla consapevolezza di quanto il team e Pinarello avevano investito. Lui è geloso di quel manubrio e per lui è un punto fermo. Le misure di quel componente non sono mai state cambiate. Sono convinto che se lo metterà in bacheca».

BARON: «Mi ha colpito la preparazione tecnica di Nibali, sempre sul pezzo, curioso, capace e interessato ad ogni dettaglio ed innovazione. Ma anche Petacchi, due corridori pignoli, maniacali e in grado di sostituire i meccanici in alcune operazioni. Oppure lo stesso Sonny Colbrelli, molto ordinato e curioso sotto il profilo tecnico. Tra i corridori che ti trasmettono qualcosa annovero anche Caruso, Landa e Mohoric, tutti capaci nell’ambito della meccanica della bicicletta. Quest’ultimo lo vedo crescere stagione dopo stagione, un vero intenditore sulle pressioni delle ruote, aerodinamica, senza dimenticare il reggisella telescopico con il quale ha vinto la Sanremo 2022. Non è un componente standard, o meglio, lo abbiamo sviluppato e adattato grazie alle sue indicazioni. Con corridori come questi si creano delle complicità che fanno progredire il nostro mestiere e lo sviluppo dei materiali».

ADOBATI: «Gli aneddoti da raccontare sono tanti, ma quello che mi ha colpito nelle ultime stagioni è la preparazione e la competenza di alcune ragazze del team, tra queste Elisa Longo Borghini. Sanno quello che vogliono e sono in grado di capire anche le minime differenze tra un materiale ed un’altro. Non mi capita spesso di aver a che fare con la compagine femminile, se non in occasione dei ritiri collegiali, dove i maschi e le donne sono insieme, ma questo aspetto mi ha colpito parecchio».

La Parigi-Roubaix vissuta dai meccanici dei team

15.04.2022
7 min
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La Parigi-Roubaix chiude ufficialmente la campagna del pavé. E’ la classica delle pietre per eccellenza e insieme al Fiandre è una delle corse più amate. Per giocarsi la vittoria non contano solo le gambe, ma una serie di fattori che includono anche la preparazione tecnica della bicicletta.

Abbiamo chiesto a quattro meccanici storici del World Tour di descriverci le soluzioni in grado di fare la differenza, con qualche richiamo al passato. La parola a Matteo Cornacchione del Team Ineos-Grenadiers, Giuseppe Archetti del Team UAE EMIRATES, Mauro Adobati del Team Trek-Segafredo e Fausto Oppici in forza al Team Bikexchange-Jayco.

Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)
Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)

La Roubaix di Cornacchione (Ineos)

«Le analogie con il passato, in fatto di tecnica, sono davvero poche. E’ cambiato tutto. Di sicuro vedremo una Roubaix corsa con la combinazione ruote ad alto profilo e tubeless, scelta che ormai è fatta dal 90% dei corridori e non è solo una questione di sponsor. Molti atleti che hanno avuto il modo di lavorare con questi pneumatici si trovano bene. Ricordo circa 20 anni fa, era il 2004 per la precisione, c‘erano ancora le ruote basse e fatte a mano, con i cerchi in alluminio, una cosa che ora non esiste più. In quell’epoca, io ero meccanico alla Fassa Bortolo, Petito fu uno dei primi ad usare le Bora in carbonio con il profilo da 50. Erano gommate con i tubolari da 28, ma un alto profilo in quella corsa non si era mai visto.

«Oggi le ruote da 50/60 millimetri sono la normalità. Tornando al tubeless: a mio parere è una scelta tecnica che può fare la differenza, perché è vantaggioso contro le forature e anche per una migliore gestione della foratura stessa quando l’ammiraglia è lontana. A meno che non ci sia un danno importante allo pneumatico, un tubeless si sgonfia in un lasso di tempo dilatato, permette di proseguire la marcia e offre delle tolleranze eccellenti alle pressioni più basse. Ovviamente c’è tutto il pacchetto delle biciclette con i freni a disco in caso di maltempo e fango, l’edizione del 2021 ne è un esempio».

Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina
Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina

«Un altro particolare che mi piace considerare – prosegue Cornacchione – è il manubrio. Molti corridori preferiscono usare quello tutto in carbonio, rigido e leggero, lo stesso che utilizzano nel corso della stagione. Una volta si toglieva il carbonio oppure quello in alluminio superleggero e si usava il manubrio in lega più robusto. Rispetto al passato stanno scomparendo anche le modifiche ai nastri manubrio, perché buona parte di quelli che usiamo oggi prevedono un inserto in gel e comunque sono parecchio smorzanti. Ma come i guanti che indossano gli atleti, che sono tutt’altra cosa se messi a confronto con quelli di 20 anni fa.

«E poi il fattore più importante, ovvero la ricognizione del giovedì e in parte quella corta del sabato. Lì verranno definiti gli pneumatici, sezioni e pressioni di gonfiaggio e gli ultimi dettagli. In quell’occasione anche noi meccanici dovremo essere bravi a capire le esigenze del corridore. Gli atleti dovranno essere in grado di adottare il giusto compromesso, limitando il cambio delle biciclette a metà percorso. I materiali contano parecchio e possono fare la differenza».

Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)
Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)

La Roubaix di Archetti (UAE)

«Una volta una corsa come la Roubaix la vedevi e la vivevi di più come meccanico. Il lavoro che comportava una corsa come questa era enorme. Il mondo della bicicletta e della tecnica legata al mezzo meccanico è cambiato completamente. Ora si lavora con una tecnologia che al pari della F1 e rispetto al passato, neppure troppo lontano, tutto è stato stravolto. La meccanica e il modo di operare di noi meccanici sono tutt’altra cosa. Ci sono i freni a disco, con tutte le variabili che comportano.

«Per le vecchie Roubaix, la doppia leva del freno, quella posizionata sulla parte orizzontale del manubrio, era una sorta di obbligo. Oggi non esiste più. C’erano le ruote basse e fatte a mano da noi meccanici. Erano quelle con 32 raggi, si arrivava fino a 36 e incroci in quarta, per conferire una grande capacità di smorzare le vibrazioni e di essere affidabili anche in caso di rottura di uno o due raggi. Ricordo perfettamente il secondo posto di Dario Pieri, proprio con delle ruote a 36 raggi.

«Fare le ruote, essere in grado di raggiare e di fare le tensioni dei raggi era una delle prime cose che ti veniva chiesta quando facevi il provino per fare il meccanico. Si usavano i tubolari da 25, 26, qualcuno provava i 28 e sembravano enormi. Oggi si usano le ruote ad alto profilo in carbonio con i tubeless anche da 32 millimetri di sezione.

«Sono del parere che oggi, proprio la tecnologia tubeless per le gomme da strada, ha raggiunto un livello ottimale. Vedremo una Roubaix corsa con i tubeless da oltre il 90% dei corridori e proprio questo equipaggiamento sarà in grado di fare la differenza. I ricorsi storici mi portano a menzionare anche le sospensioni montate sulle bici e qualche forma strana del telaio. In un certo senso quella via è stata abbandonata. Si è tornati su disegni tradizionali, lavorando sulla tipologia di carbonio e penso che il processo di evoluzione non sia terminato, anzi».

Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)
Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)

La Roubaix di Adobati (Trek)

«Le biciclette per la Roubaix e la scelta dell’equipaggiamento tecnico in genere, possono fare una grande differenza. Poi è necessario considerare anche la fornitura che i vari team hanno disponibile. Qualcuno come noi ha la bici specifica per questi terreni, altri utilizzeranno la bicicletta standard opportunamente equipaggiata. Ecco che la preparazione, le scelte e l’insieme dei dettagli, giocano un ruolo fondamentale. Chi avrà la possibilità di sfruttare biciclette con delle geometrie più morbide, con degli angoli anteriori aperti e dei passaggi ruota maggiorati, lo farà e in caso di maltempo avrà qualche vantaggio. Ma anche se la corsa verrà condotta a velocità esasperata fin da subito.

«Le bici specifiche per il pavé si usavano anche in passato, quando si usavano ancora l’acciaio e l’alluminio. Carri posteriori allungati e passo totale maggiore, rispetto ad una bicicletta standard, forcella aperta in avanti. I concetti delle geometrie sono rimasti più o meno quelli, ma i materiali e buona parte della componentistica sono cambiati completamente.

«Guardandola in chiave moderna, di sicuro la scelta degli pneumatici tubeless potrà fare la differenza. Con tutta probabilità i nostri corridori useranno delle gomme con sezione da 30 millimetri e ruote con profilo da 37. Ad oggi hanno ancora la possibilità di scegliere tra tubeless e tubolare. La maggioranza degli atleti adotterà il medesimo setting che utilizza per le altre gare, con variazioni minime, spesso legate alla sicurezza e votate al mantenere l’equilibrio ottimale sul pavé. Da appassionato della tecnica della bicicletta, mi colpisce positivamente l’apertura alle innovazioni di oggi, in un mondo rimasto chiuso per troppo tempo».

Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale
Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale

La Roubaix di Oppici (BikeExchange)

«Molto è cambiato, nelle biciclette e nella componentistica. Personalmente partirei dalle gomme, considerando che anche solo qualche anno fa, era impensabile arrivare alle dimensioni attuali di 30/32 millimetri per corse come la Roubaix, quando lo standard era 25 ed era già visto come abbondante. C’era la convinzione che gli pneumatici grandi fossero meno scorrevoli e controproducenti. Ora invece è tutto l’opposto.

«Ci sono i tubeless e la crescita di questa categoria di prodotti. I corridori oggi li chiedono, al di là della fornitura legata agli sponsor. I tubeless offrono dei vantaggi anche nella sfruttabilità delle ruote in carbonio e ad alto profilo. Le ruote fatte a mano e saldate non esistono più. Tra ruote e tubeless ci sono da considerare la soggettività dell’atleta, la sua predisposizione e anche il suo storico. I nostri potranno scegliere tra tubolari e tubeless con ruote hookless, scelta che viene fatta dopo le ricognizioni.

«E poi la bicicletta, che corrisponde allo stesso modello usato per le gare normali. Ci sono aziende che forniscono biciclette specifiche, fattore che una volta era un must e che oggi è meno ricercato. Ovviamente ci sono i freni a disco, che coinvolgono tutta la bicicletta e non solo l’impianto frenante, perché entra in gioco proprio la possibilità di sfruttare le gomme e le ruote in modo differente. Proprio le bici con i dischi hanno anche permesso di aumentare la luce tra telaio, forcella e pneumatici, con enormi vantaggi in caso di fango».

Una Trek Madone per Stuyven in vista della Sanremo

01.03.2022
5 min
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Jasper Stuyven ha vinto la Milano-Sanremo nel 2021, con un’azione da finisseur che ha colto di sorpresa il gruppo che si è giocato la Classicissima. Cosa cambia sulla bicicletta in versione 2022, rispetto a quella utilizzata nel 2021?

Lo abbiamo chiesto a Mauro Adobati, meccanico del team Trek-Segafredo, che ci offre qualche spunto interessante sulla Trek Madone del forte corridore belga. Continua così il nostro percorso di conoscenza delle bici dei campioni, dopo aver presentato la Merida di Colbrelli e la Specialized di Asgreen.

Mauro Adobati, bergamasco, è uno dei meccanici più esperti della Trek-Segafredo
Mauro Adobati, bergamasco, è uno dei meccanici più esperti della Trek-Segafredo
Quali bici ha a disposizione Stuyven?

Tutti i corridori del team possono scegliere tra i modelli Emonda e Madone. In base alle scelte e alle preferenze dell’atleta, quelle di inizio anno ed espresse durante i primi collegiali, ai corridori vengono forniti i modelli specifici.

C’è una preferenza del corridore belga?

Jasper è un corridore da Trek Madone, ama particolarmente questa bicicletta. Anche dal punto di vista tecnico è adatta a lui, perché è aerodinamica e veloce. Stuyven è potente e un gran passista e ha bisogno di un mezzo del genere. La sua dotazione prevede anche una Trek Emonda, che però viene utilizzata meno, solo quando ci sono corse con grandi salite, dove lui ha necessità di salvare la gamba.

Quindi, c’è la preferenza del corridore e anche una scelta tecnica?

Sì, il corridore ha l’ultima parola sulla scelta, poi ovviamente si tengono in considerazione le caratteristiche dell’atleta. Ad esempio Ciccone… Lui non utilizza la Madone, ma solo la Emonda. I due corridori sono molto differenti per espressione e doti atletiche, aspetto che si riflette anche sulla scelta della bici.

Disco anteriore da 160 millimetri e nessuno spacer tra stem e sterzo (foto hardyccphotos per Trek)
Disco anteriore da 160 millimetri e nessuno spacer tra stem e sterzo (foto hardyccphotos per Trek)
Quale taglia di bici utilizza Stuyven?

Jasper usa una 58, misura comune alle bici della sua dotazione.

Cambia posizione in sella in base alle gare e alla stagione?

No, Stuyven mantiene sempre la stessa posizione in bici. Il cambio di setting è una cosa che avviene sempre meno, magari piccoli aggiustamenti, ma di sicuro non si verificano delle variazioni importanti.

Con quale bici presumibilmente farà la Sanremo?

Di sicuro con la Trek Madone.

Jasper Stuyven alla Sanremo 2021, con la Trek Madone edizione 2021 (foto rossbellphoto per Trek)
Jasper Stuyven alla Sanremo 2021, con la Trek Madone edizione 2021 (foto rossbellphoto per Trek)
Ci puoi dare qualche dettaglio della componentistica?

Le scelte saranno fatte a ridosso dell’evento, ma posso dire le preferenze di Stuyven. Normalmente utilizza la doppia corona anteriore con la combinazione 54-41 e con le pedivelle da 170. Corte se consideriamo la struttura fisica, ma lui si trova bene così. La scala dei rapporti dietro 10-33.

E invece per il cockpit?

La sua Madone è montata con un manubrio integrato tutto in carbonio, versione Bontrager RSL. E’ quello che normalmente va in dotazione alla Emonda. Ha uno stem da 130 millimetri, con un’inclinazione negativa di 17°. La larghezza della piega è da 400. Stuyven usa una sella tradizionale, non corta.

Stuyven utilizza un manubrio integrato tutto in carbonio, versione Bontrager RSL (foto Instagram)
Stuyven utilizza un manubrio integrato tutto in carbonio, versione Bontrager RSL (foto Instagram)
Un manubrio largo solo 40 centimetri?

Si, la tendenza è quella di utilizzare manubri stretti, nonostante le caratteristiche fisiche del corridore facciano pensare ad una piega larga. Dobbiamo considerare l’impatto aerodinamico ridotto che porta ad avere una piega stretta. E poi ci sono anche i manettini spostati verso l’interno: efficienza, ma anche preferenze personali.

Per il comparto ruote, quale potrebbe essere la scelta di Stuyven, sempre in ottica Sanremo?

Le ruote sono montate con i tubeless, lo standard inizia ad essere questo. Per le ruote la preferenza sarà rivolta al 90% per le Bontrager Aeolus RSL 62, tubeless da 28. Le pressioni tra le 5,7 e 6 atmosfere. Il team utilizza gli pneumatici Pirelli Race TLR. Ogni ruota con i tubeless prevede l’utilizzo del lattice anti-foratura.

Un nuovo tubeless Pirelli che vedremo in commercio prossimamente? (foto hardyccphotos per Trek)
Un nuovo tubeless Pirelli che vedremo in commercio prossimamente? (foto hardyccphotos per Trek)
Utilizzate ancora i tubolari e le ruote per i tubolari?

Sempre meno, come dicevo prima la tendenza è di un passaggio totale al tubeless. Inoltre, con i tubeless abbiamo notato che si fora meno e gli stessi corridori sono contenti perché scorrono parecchio. La scelta dei tubeless è comunque un percorso graduale, necessario anche per far prendere il giusto feeling agli atleti. Comunque le ruote che abbiamo a disposizione sono ormai quasi tutte per i tubeless.

E invece come ti comporti con le batterie della trasmissione?

Le batterie del cambio posteriore e del deragliatore vengono rimosse dopo ogni gara e non necessariamente ricaricate. Vengono controllate, questo sì e viene applicato il cap rosso che le protegge ed evita dispersioni. La mattina successiva, prima della gara, le rimontiamo e i corridori trovano la bici pronta in ordine di marcia.

Con una Madone ha chiuso e con una Madone, Stuyven ha riaperto il 2022. Qui all’Het Nieuwsblad con un piccolo tifoso
Con una Madone, Stuyven ha riaperto il 2022. Qui all’Het Nieuwsblad con un piccolo tifoso
Utilizzi delle soluzioni particolari per preservare i movimenti rotanti di ruote e movimento centrale?

Non uso e non utilizziamo delle soluzioni meccaniche particolari, poi ci sono da considerare anche le abitudini del meccanico. Talvolta cerchiamo di usare un olio meno viscoso per la catena, in modo che non si accumulino troppi residui. Diciamo che le gare tradizionali non portano ad affrontare grosse problematiche. Sono le gare del Nord e competizioni come ad esempio La Strade Bianche che spesso ti obbligano a sostituire tutto!

Manubrio: integrato o classico? Le scelte dei corridori

05.01.2022
6 min
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Manubrio tradizionale o integrato? Questo è il dilemma. Ruote aero, bici aero, caschi aero… Tutto viaggia verso l’aerodinamica e forse anche per questo in gruppo si vedono sempre più manubri integrati. Ma c’è di più.

Con quei profili sono oggettivamente bellissimi e danno anche un grande senso di “pulizia” generale della bici. E infatti, come vedremo, la motivazione che porta alla diffusione maggiore di questi manubri riguarda, un po’, anche l’estetica.

Ciccone e il suo set (attacco + piega) tradizionale
Ciccone e il suo set (attacco + piega) tradizionale

Il peso conta 

Ad aiutarci in questo viaggio nella scelta fra manubrio integrato o tradizionale ci aiuta Mauro Adobati (nella foto di apertura), meccanico della Trek-Segafredo. Loro, con la linea Bontrager, sono stati tra i primi a lavorare con questa specifica.

«La scelta che fa protendere i corridori verso il manubrio integrato – spiega Adobati – è che questo è più leggero di circa 70-80 grammi. La maggior parte degli atleti ci prova, ma non tutti ci riescono. Su 20 corridori, 15 utilizzano ormai l’integrato. Tu puoi anche lavorare con gli spessori tra tubo di sterzo e attacco manubrio, con la posizione delle leve, ma non sempre riesci a produrre le stesse identiche misure. A quel punto è il corridore che deve adattarsi».

Lo schema per chiarire reach e drop
Lo schema per chiarire reach e drop

Reach e drop

E qui si apre un capitolo “delicato”, quello che riguarda il reach e il drop del manubrio, vale a dire la profondità e l’altezza della curva.

«I manubri integrati hanno generalmente dei reach e dei drop un po’ diversi, o quantomeno hanno una misura standard (si dovrebbero fare troppi stampi, ndr), mentre nel classico “due pezzi” queste misure un po’ variano in base alla misura. Ed è qui che gli atleti trovano le maggiori difficoltà di adattamento». 

«In squadra abbiamo l’esempio di Giulio Ciccone. “Cicco” ogni anno prova a passare all’integrato, ma poi torna al tradizionale. Uno dei suoi limiti maggiori riguarda il reach, cioè quanto va avanti. Il manubrio integrato di Ciccone è cortissimo. Ciò che comanda è la posizione che i corridori usano di più, vale a dire quella sulle leve. Per riportare questa misura abbiamo montato un manubrio il cui attacco è molto più corto.

«Cicco è passato da 120 millimetri a 100. Questo lo porta ad avere più o meno le stesse misure nella presa sulle leve, appunto, e nella curva, ma resta invece troppo corto nella presa alta, la più utilizzata in salita. E per questo alla fine torna sui suoi passi, al classico set attacco più piega».

Per Evenepoel manubrio stretto e leve parecchio rivolte verso l’interno
Per Evenepoel manubrio stretto e leve parecchio rivolte verso l’interno

Ciclone Evenepoel

Adobati parla poi della messa in posizione degli atleti con questo nuovo manubrio. Il lavoro è parecchio nel primo ritiro, soprattutto con i nuovi corridori, i quali si trovano ad utilizzare e a testare i nuovi materiali.

«In effetti nel primo ritiro c’è un bel lavoro da fare in tal senso. I corridori provano molto. Oggi oltre alla sella, il manubrio è uno degli elementi ai quali si presta più attenzione, poiché incide molto sulla guida e sulla posizione stessa. Lavorare sul setting delle leve non è così semplice, se inizi a inclinarle cambia un po’ tutto il resto della posizione del corridore».

«Io poi – continua Adobati – sto notando che i manubri si stanno stringendo, al contrario di quello che sta accadendo in mountain bike, dove le pieghe si allargano. Vuoi per una questione aerodinamica, vuoi per l’avvento di Evenepoel (che ce l’ha stretto e con le leve piegate all’interno), vuoi perché non si può più utilizzare la posizione aerodinamica… si va in questa direzione.

«Conta poi anche la questione estetica. Il primo impatto è sempre molto positivo e anche questo spinge i corridori a provare i nuovi manubri integrati. Noi però in Trek abbiamo anche un semi-integrato, che di fatto è un set classico. Ma tra attacco e manubrio si nota davvero poco la differenza. Sembra un pezzo unico.

«Senza contare che per noi meccanici questi set sono molto più comodi, visto che hanno un incavo nella parte inferiore in cui far passare fili e guaine, i quali a loro volta sembrano anch’essi integrati».

Brambilla “integralista”!

Ma se Ciccone ci prova ed è un po’ scettico, chi è un vero portabandiera del manubrio integrato è Gianluca Brambilla. Il vicentino, ormai qualche stagione fa, ci si è messo di impegno e ha intrapreso la via dell’integrato appunto.

«Oggi le bici sono concepite per i manubri integrati – spiega Brambilla – Riprendono meglio la linea della bici, sono più aerodinamici e si riduce qualcosa in termini di peso. Io ci ho messo un po’ ad adattarmi, ma riguardo ai tre appoggi del corpo sulla bici (piedi, sedere, mani) quello delle mani è il più facile da adattare.

«Alla fine ci ho messo una ventina di giorni. Cambiai manubrio durante il ritiro in altura al passo San Pellegrino nell’estate del 2020. Avevo visto che peso e aerodinamica erano vantaggiosi quindi mi sono dato del tempo per abituarmi ed è andata bene».

«Ho mantenuto la stessa larghezza, vale a dire i 40 centimetri centro-centro, anche se le curve classiche in realtà nella parte bassa sono più larghe rispetto a quella alta. Sono quasi 43,5 centimetri sotto e 40 in alto. In più con il manubrio integrato il mio attacco si è ridotto di un centimetro: da 110 a 100 millimetri». 

La posizione delle leve del vicentino è pensata per mantenere il più possibile il braccio dritto (polso, gomito e spalla sulla stessa linea)
La posizione delle leve del vicentino è pensata per mantenere il più possibile il braccio dritto (polso, gomito e spalla sulla stessa linea)

Leve all’interno

Brambilla poi parla di molti altri accorgimenti per trovare la giusta posizione nel passaggio da manubrio tradizionale a manubrio integrato.

«Riguardo alla posizione delle leve il mio reach è lo stesso, anche se le ho ruotate un po’ verso l’interno. Questo perché non potendo più utilizzare la posizione aerodinamica “tipo crono”, ci distendiamo con il braccio lungo la leva. E per far sì che mano e avambraccio siano in linea con il resto del braccio si ruota appunto la leva verso l’interno. In pratica il polso resta dritto e il gomito che non va troppo verso l’esterno».

«C’è poi – conclude il veneto – chi mette il doppio nastro nella parte bassa per recuperare quel piccolo gap nel drop, come per esempio fa Elissonde, che è molto piccolo. O si riduce ancora l’attacco quando un corridore passa da un gruppo all’altro. Per esempio la leva di Sram è mezzo centimetro più lunga rispetto a quella Shimano. Ci sono molte sfaccettature insomma da tenere sott’occhio quando si fa il cambio». 

Corridori “innamorati” del 54, perché?

10.04.2021
5 min
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Velocità medie sempre più alte, preparazioni più curate, materiali più veloci… Tra le cause, e le conseguenze, di questo insieme di elementi c’è l’utilizzo da parte dei corridori di rapporti sempre più lunghi. In queste prime corse dell’anno abbiamo visto davvero tanti 54 e anche qualche 55.

Se pensiamo che alla Sanremo nell’ultima ora si è corso a 52 chilometri di media oraria (con tanto di Cipressa e Poggio), che Davide Martinelli ha rimediato un’infiammazione ad una scapola per essere stato quasi 7 ore mani a basse e pancia a terra, che lo scorso anno nella tappa di Brindisi Demare ha vinto con 51,23 di media: si capisce quanto si sia alzato il livello.

Come da nostra abitudine ne parliamo con i protagonisti: un corridore, un meccanico e un preparatore del grande ciclismo.

Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56
Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56

Parola a Colbrelli

Sonny Colbrelli è una ruota veloce ed in qualche modo ci si può anche aspettare da lui l’utilizzo di rapporti più lunghi.

«E’ vero – dice il velocista della Bahrain Victoroius – si utilizza il 54 perché si va sempre più forte. Le velocità sono aumentate, bisogna spingere di più e se la corsa è molto piatta e il vento è a favore o anche laterale si monta persino il 55 o anche 56. E’ successo in alcune tappe del Tour de France dell’anno scorso. Certo, devi avere la gamba e accade due, forse tre volte, in un anno.

«La cadenza non cambia, ti regoli con i rapporti posteriori, però all’occorrenza sai che hai più spinta. E a mio avviso non c’entra neanche la preparazione, è proprio un fatto di velocità. Io ormai il 54 lo monto anche per le tappe con salita, tanto poi si usa il 39. Se poi c’è la tappa super dura, con due salite e l’arrivo sullo Zoncolan allora uso il classico 53 e magari una corona piccola… più piccola. Se sento differenza? Con il 54 no, sono sincero, con il 55 e il 56 un po’ sì».

Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza
Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza

Questione di meccanica

Secondo Pino Toni, preparatore di lungo corso ed estremamente competente di materiali, la scelta dei rapporti maggiori non è tanto legata alla nuove preparazioni, quanto piuttosto all’evoluzione tecnica.

«E’ qualcosa che si lega molto alle 12 velocità – dice Toni – la meccanica ha fatto passi da gigante. In questo modo la catena sta più “in linea” se anziché girare l’11 o il 12 dietro, si gira il 13 o il 14 e quindi si utilizza una corona più grande. In pratica s’incrocia meno. Senza contare che oggi la rigidità delle corone è migliorata ed è importantissima. Una volta flettevano molto soprattutto se erano grandi e la catena usciva. Oggi ci sono meno limiti meccanici. La trasmissione è più filante. Inoltre girando ingranaggi più grandi c’è meno inerzia.

«Un altro dettaglio che mi fa pensare a questa tendenza è che per esempio sullo sconnesso non bisognerebbe mai usare dietro l’ingranaggio più piccolo, l’11, 10 o 12 che sia. Perché basta un momento in cui non si pedala, che la catena “allenta” un po’, salta e va ad incastrarsi tra il pignone stesso e il forcellino. Con una corona più grande si usa meno il 10 che è un pignone un po’ al limite e ha molta inerzia».

Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo
Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo

Tendenza in atto

Infine ecco l’atteso intervento del meccanico, nello specifico Mauro Adobati della Trek-Segafredo. Il meccanico è a stretto contato con i corridori e, se è vero quel che dice il preparatore e cioè che è qualcosa legato più alla tecnologia, il suo parere diventa ancora più importante.

«Effettivamente questa tendenza è in atto – spiega Adobati mentre è sul Teide con Nibali e gli altri – è qualcosa che riguarda soprattutto i corridori più veloci e più robusti e meno gli scalatori. Noi che usiamo Sram abbiamo corone da 52 o 54 denti e questo ci obbliga ad utilizzare la seconda corona rispettivamente da 39 o 41 denti. Mentre chi ha Shimano può usare il 39 sia con il 53 che con il 54. E infatti anche qualche scalatore sceglie il 54. I nostri pesi leggeri per esempio usano il 52×39. I passisti quasi tutti ormai scelgono il 54.

«Avendo il 10 al posteriore anche in discesa con il 52 non ci sono problemi, ma la corona maggiore (come diceva anche Toni, ndr) fa girare rapporti un po’ più grandi anche dietro e diminuisce così l’attrito tra maglie e pignoni. Non solo, ma consente anche incroci minori, quindi altra dispersione di energia risparmiata».

Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata
Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata

Trasmissione più fluida

Il discorso dell’incrocio della catena ormai non è più un dettaglio in questo ciclismo. Se si pensa che i pro’ montano il 30 per la Sanremo, rapporto che non useranno mai, ma solo per avere la catena più dritta, va da sé che il risparmio non è marginale.

«Ormai – riprende Adobati – si sta attenti a tutto, poi a parlare di watt oggi sono tutti pronti, ma di certo è meglio per la catena. E questo discorso degli incroci vale ancora di più a crono: è per questo che sempre più spesso si utilizza il 56 o il 58, la catena lavora ancora più dritta andando a cercare magari il 13 o il 14 (si presuppone in pianura, ndr) anziché l’11.

«Se vengono cambiate a seconda del percorso? Quasi sempre, anche se devo dire che con le 12 velocità al posteriore si ha una vasta scala di scelta. Noi abbiamo cassette: 10-28, 10-30 e 10-33. Certo, in quella da 33 c’è un bel salto (5 denti) tra penultimo e ultimo pignone, ma i corridori infatti ragionano come se avessero un cambio ad 11 velocità. Il 33 è lì se proprio dovesse servire, un’ancora di salvataggio. E infatti la scaletta più usata è il 10-30, quella preferita da Nibali, proprio perché ha un salto un po’ più piccolo. Pensate che Sram l’ha messa in produzione su richiesta dei corridori e credo che presto sarà anche in vendita».

UAE tour 2020

I lavori forzati dei meccanici (e delle bici) allo UAE Tour

09.02.2021
5 min
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Si avvicina la partenza dell’UAE Tour che si terrà dal 21 al 27 febbraio. Certamente non è una manifestazione come le altre, ma presenta alcune peculiarità organizzative. Una su tutte è quella di non avere le proprie ammiraglie, ma bisogna usare quelle fornite dall’organizzazione. Ci siamo fatti raccontare da quattro meccanici come si organizzano e cosa cambia rispetto alle altre gare.

Portabici diversi

Partiamo in rigoroso ordine alfabetico con Mauro Adobati, meccanico del Team Trek Segafredo.
«Per l’UAE Tour bisogna impacchettare tutto il materiale che usiamo di solito e lo spediamo – ci spiega Adobati – la grande differenza rispetto alle altre gare in Europa è che i portabici sulle ammiraglie portano massimo cinque biciclette, mentre sulle nostre ne teniamo otto».

Il numero ridotto di biciclette su ogni ammiraglia costringe a fare qualche scelta: «Delle cinque biciclette solo due sono con le ruote già montate ed ovviamente mettiamo quelle dei corridori di punta. Sulla seconda macchina mettiamo le altre bici, e facciamo in modo che le due complete di ruote siano una taglia grande e una piccola, così siamo coperti anche dietro».

Adobati ci ha detto nelle edizioni precedenti è capitato che si fossero fatti spedire anche i loro portabici, ma che ora è un’operazione che si fa soltanto per le gare in America.

Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette
Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette

Temperature e sabbia

Abbiamo chiesto se con le temperature elevate si usino delle pressioni delle gomme differenti.
«In realtà in questo periodo le temperature negli Emirati Arabi sono come le nostre di fine maggio – precisa il meccanico della Trek Segafredo – quindi non ci sono differenze nelle pressioni dei pneumatici».

Ma c’è un elemento che nel deserto può dare fastidio agli ingranaggi e richiedere un surplus di lavoro.

«La sabbia del deserto da fastidio, perché si attacca alla catena e penetra negli ingranaggi. Per lo UAE Tour usiamo un olio apposta per la polvere, che nasce per la mountain bike e ha una formulazione più fluida. E poi la sera bisogna lavare molto bene tutte le biciclette. Quando torniamo a casa cambiamo tutte le catene».

L’esperienza di Archetti

Problemi simili anche per chi potremo dire “gioca in casa”, vale a dire Giuseppe Archetti meccanico dello UAE Team Emirates.

«Per quanto riguarda il materiale – dice – non ci sono grandi problemi, mettiamo tutto dentro delle casse e le biciclette vengono spedite con le borse Scicon di cui siamo equipaggiati. Quello che cambia è che le ammiraglie possono portare solo cinque biciclette, invece delle otto nostre, e visto che corrono in sette mettiamo sulla prima ammiraglia quelle dei corridori che si giocano la vittoria».

Olio più fluido

Anche per Archetti a livello di pressioni delle gomme non cambia nulla rispetto alle altre corse, però la sabbia rimane un problema.
«Quando tira vento ti accorgi che la sabbia entra ovunque – continua – la sera dobbiamo curare di più i movimenti centrali, i mozzi delle ruote e lavare molto bene le catene. Usiamo un olio della WalBike che è più fluido rispetto al solito, così evitiamo che si attacchi ancora di più sulla catena».

Archetti ci ha poi raccontato dell’esperienza dell’ultimo ritiro della squadra proprio negli Emirati Arabi: «Dopo l’ultimo ritiro di 16 giorni abbiamo dovuto cambiare tutte le catene, non perché fossero consumate dal logorio, ma perché la sabbia si era infilata negli ingranaggi».

Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche
Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici

Qualche limitazione c’è

Alberto Chiesa è uno dei meccanici del Team BikeExchange.
«A livello organizzativo non cambia molto – dice – nel senso che imballiamo il materiale e lo spediamo. L’unica cosa cui bisogna stare un po’ attenti e che non puoi portare proprio tutto, ma devi cercare di limitare qualcosa. Dovendo trasportare tutto in aereo, bisogna contenere gli spazi e i costi».

Per quanto riguarda le gomme: «Non cambia nulla, le temperature sono sui 25/26 gradi, al massimo c’è qualche foratura in più causata dalla sabbia».
Anche per Alberto Chiesa la sabbia è un elemento a cui bisogna stare attenti.
«Usiamo un olio più secco che non attira la polvere – ci spiega – non deve essere siliconico o teflonato, così la sabbia non si attacca. In questo modo non abbiamo mai avuto grossi problemi».

Cambio bici più difficile

Infine, abbiamo sentito Matteo Cornacchione della Ineos Grenadiers.
«A noi meccanici non cambia molto – esordisce il meccanico romagnolo – io porto con me la mia valigetta con i miei attrezzi. Quello che cambia è che come ammiraglie ci vengono dati dei Suv ed è un po’ più difficile prendere le biciclette nel caso di un cambio veloce».

Anche per la squadra di Ganna c’è un grande lavoro di imballaggio dei materiali e delle biciclette. «Nelle borse delle biciclette oltre al telaio e alle ruote – dice – mettiamo sacchetti pieni di borracce, così ci fanno anche da protezione contro eventuali urti. Ogni borsa peserà sui 30 chilogrammi. In totale portiamo 23 biciclette più 5/6 telai di scorta».

Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura
Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura

Anche i rulli

A differenza di altre squadre i meccanici della Ineos Grenadiers devono fare un piccolo sforzo in più.
«I nostri preparatori vogliono che portiamo anche i rulli – continua Cornacchione – così nella cronometro i ragazzi si possono scaldare allo stesso modo delle altre gare».

E poi c’è il fattore sabbia.
«Con il vento dà fastidio – ci dice – noi mettiamo tutte le bici dentro un furgone fino alla partenza, così sono perfette. A fine giornata ti rendi conto che c’è sabbia ovunque. Per essere sicuri laviamo anche quelle di scorta. Quando si ritorna si aprono tutti i movimenti centrali e gli sterzi e si lavano per bene»

Vincenzo Nibali freni a disco diversi

Freni a disco: quale misura preferiscono i pro’?

18.01.2021
4 min
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L’introduzione dei freni a disco nelle biciclette da strada ha portato tutta una serie di cambiamenti, che probabilmente non sono ancora finiti. Abbiamo visto che nel ciclocross molti atleti usano dischi con diametro da 140 millimetri al posteriore e all’anteriore, mentre i professionisti della strada si stanno orientando verso il 140 posteriore e il 160 all’anteriore.

In base a quali parametri si sceglie un diametro piuttosto che un altro?

Ne abbiamo parlato con Marco Cittadini, PR & Communication Officer di Shimano Italia, con Mauro Adobati, meccanico della Trek Segafredo che monta Sram e con Vasile Morari, meccanico della UAE Team Emirates che è equipaggiata con Campagnolo.

Nel cross non si frena

Avere i freni in ordine e ben funzionanti è una delle cose più importanti per un corridore. L’introduzione dei freni a disco su strada ha portato anche una serie di variabili assenti con i classici rim brake.
«La scelta del diametro dei dischi è molto curiosa – esordisce Marco Cittadini – nel ciclocross utilizzano molto quelli da 140 millimetri, perché meno freni e meglio è. Inoltre, su molti modelli di telai per avere i 160 millimetri, bisognerebbe montare un piccolo adattatore, che potrebbe creare un fastidio in più soprattutto in presenza di fango. Comunque, per i percorsi da ciclocross il disco da 140 è più che sufficiente».

Julian Alaphilippe con i dischi da mtb
Julian Alaphilippe all’ultimo Tour de France con i dischi XTR
Julian Alaphilippe con i dischi da mtb
Julian Alaphilippe all’ultimo Tour de France con i dischi XTR

La frenata è soggettiva

Passando alla strada cambiano alcune cose.

«La frenata è molto soggettiva – continua Cittadini – e la discriminante è il peso dell’atleta. Inoltre, c’è chi usa solo l’anteriore e chi invece usa entrambi i freni. Con i dischi si ha più modulabilità e si frena in maniera diversa».

Ma a cambiare non è solo la frenata: «L’introduzione dei dischi ha modificato le biciclette, la rigidità dei telai è diversa, le forcelle sono cambiate e anche le ruote sono strutturate in maniera differente, e poi c’è anche il perno passante. Per tutti questi motivi noi consigliamo di utilizzare il 160 anteriore con il 140 posteriore, che assicura un’adeguata potenza frenante».

Dischi da Mtb, perché?

Una curiosità che abbiamo chiesto a Cittadini è perché alcuni atleti, come Alaphilippe, abbiano usato durante la stagione il disco Shimano della serie XTR da mountain bike.
«I dischi da strada – ci spiega – sono più strutturati nella parte interna, perché con le velocità elevate si crea maggiore calore in frenata, quindi c’è bisogno delle alette per disperderlo più velocemente. I corridori che hanno usato i dischi da mountain bike hanno una frenata meno aggressiva e riescono a far scaldare meno i dischi».

Quindi chi ha una frenata più dolce o riesce a ripartirla meglio fra anteriore e posteriore può usare i dischi XTR e avere il vantaggio di qualche grammo in meno in termini di peso.

I freni di VdP e Van Aert

Marco Cittadini ci faceva anche notare che Van der Poel e Van Aert usano i dischi del Dura Ace nel ciclocross– Anche se in teoria le velocità non porterebbero a un surriscaldamento dei dischi, loro preferiscono usare l’assetto stradale anche in quelle condizioni: «E’ una questione soggettiva, legata allo stile di frenata».

Freno a disco Shimano 140 mm
Il disco Shimano Ultegra da 140 millimetri
Freno a disco Shimano 140 millimetri
Il disco Shimano Ultegra da 140 millimetri montato su una bici da ciclocross

Continua evoluzione

Passando in casa Sram abbiamo parlato con Mauro Adobati che è uno dei meccanici del Team Trek-Segafredo, che ha in squadra uno dei migliori discesisti del gruppo: Vincenzo Nibali (foto in apertura).
«I nostri corridori usano tutti il disco da 160 millimetri anteriore e il 140 millimetri al posteriore – ci dice Adobati – da varie prove che abbiamo fatto è emerso che è la soluzione migliore. I ragazzi hanno bisogno di più potenza all’anteriore, anche perché è quello che utilizzano maggiormente».

C’è anche il cambio ruote

E poi c’è la questione di una dispersione migliore del calore: «Un altro vantaggio del disco da 160 millimetri è che disperde di più il calore. E’ logico che sarebbe meglio differenziare le misure dei dischi in base al peso del corridore, ma diventerebbe troppo complicato gestire il cambio ruote. In teoria se fossi un amatore che pesa poco, monterei il 140 anche all’anteriore».

Proprio in merito al cambio ruote il meccanico della Trek ci fa notare un particolare importante: «Quasi tutti i cambi ruote neutrali sono impostati con ruote anteriori con dischi da 160 e posteriori da 140. Questo è un ulteriore motivo per cui si sta andando in questa direzione».

Davide de la Cruz freni a disco Campagnolo
David de la Cruz alla Vuelta con i freni a disco Campagnolo
Davide de la Cruz Freni a disco Campagnolo
David de la Cruz all’ultima Vuelta ha corso con i freni a disco Campagnolo

Dischi anche per la UAE

La soluzione delle misure differenziate è la preferita anche per chi utilizza materiale Campagnolo, come la UAE Team Emirates, che quest’anno sembra indirizzata al pieno utilizzo dei freni a disco in tutte le corse.
«Possiamo dire che lo standard anche per noi è diventato il 160 anteriore con il 140 posteriore – ci spiega Vasile Morari, meccanico della squadra di Pogacar e Trentin – il disco anteriore maggiore da più potenza frenante, cosa che sul posteriore è già ottima con il disco più piccolo». Anche in questo caso oltre alla potenza della frenata si guarda alla capacità di raffreddamento: «Essendo l’anteriore il freno che usano di più, è meglio avere un diametro più grande anche perché si raffredda prima, infatti la superficie maggiore permette di rilasciare il calore più velocemente».