Caro Michelusi, cos’è la firma del preparatore?

02.03.2023
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Cos’è la “firma” del preparatore? Nel calcio si riconosce il gioco di questo o quell’allenatore. E la sua firma è più identificabile. Nel tennista c’è quel colpo giocato con quello specifico modo. Anche il ciclista in molti casi ha la sua firma: Pantani che scattava con le mani basse. Cavendish che fa le volate col “mento sulla ruota anteriore”. Ma riconoscere la firma di un preparatore è cosa ben più complessa (in apertura foto @tizian.jasker).

Eppure qualche giorno fa, Matteo Moschetti ci disse queste parole parlando del suo arrivo nella nuova squadra, il Team Q36.5 e del suo nuovo preparatore, Mattia Michelusi: «Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più». 

Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)
Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)

Parola a Michelusi

E indovinate a chi siamo andati a chiedere lumi?! A Mattia Michelusi chiaramente, coach appunto della giovane squadra svizzera.

Partendo dagli stimoli, Michelusi afferma subito che già il solo fatto di cambiare allenatore è uno stimolo. E non solo mentale, ma proprio fisico. Basta fare un lavoro in certo modo, o un diverso numero di ore che l’organismo risponde in maniera diversa.

«Penso che la frase di Moschetti – dice Michelusi – possa avere più interpretazioni. Alla fine allenarsi è fare un totale di ore di attività e questo vale per tutti, ma poi la differenza la fanno i dettagli ed è lì che c’è la firma, come dice Matteo. Un preparatore preferisce un determinato metodo di lavoro, ed un altro ne predilige un altro ancora, ma soprattutto come questo interpreta i lavori specifici. La base è quella».

Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”
Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”

La firma negli specifici

E qui Michelusi entra nel dettaglio della firma. Quando si lavora sulla base, per esempio la Z2, c’è poco da intervenire. Sì, potranno esserci piccole differenze d’intensità ma di fatto si tratta di pedalare per un “X” ore ad un ritmo regolare non troppo impegnato. Il coach ha ben poco da modificare. Non è come quando si fa del fuorisoglia, delle SFR…

«In riferimento ad un velocista come Moschetti – dice Michelusi – la mia firma può essere su come s’interpretano i lavori specifici per gli sprint. Magari altri dicono di fare 10 volate ad una determinata intensità, io invece imposto ogni volata con una velocità e un rapporto di partenza. Ma alla fine entrambi i coach ed entrambi gli atleti hanno assegnato e svolto dieci sprint.

«Un altro aspetto molto importante su cui può essere posta la firma del coach è la forza, visto che prima avete parlato di SFR… Io credo che lì si concentri la maggior parte della differenza fra i preparatori. Come si allena questa componente? Sempre nel caso di Moschetti per lui che è un velocista magari le SFR non sono lo specifico più indicato e quindi gli faccio fare altro. Mentre le SFR vanno bene per uno scalatore. Insomma vario in base all’atleta, in base al modello di prestazione che ho di fronte».

 

Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI
Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI

Come un sarto

Modello prestativo: un concetto ben intuibile: ci si concentra sull’atleta e soprattutto su ciò che questo è chiamato a fare… E di conseguenza si regola il preparatore. 

«Certamente – va avanti Michelusi – non sarò l’unico a seguire questo approccio, ma io gli do molta importanza. E’ un po’ come un cliente che va da un sarto. Prima prende bene le misure del cliente e poi vi confeziona intorno l’abito su misura».

Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto
Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto

Questione di feeling

Ma se nella sua squadra di club Michelusi è più “libero” e può essere un sarto, quando è impegnato nel gruppo della nazionale e della pista, in cui ci si muove soprattutto secondo le direttive di Marco Villa, come fa a mettere la sua firma? E’  più complicato?

«Con la FCI siamo un gruppo e il bello è che ognuno porta la sua conoscenza, tanto più che si arriva da esperienze diverse. Non si tratta di avere “le mani legate”, quanto piuttosto di condividere le idee. C’è Bragato che gestisce il gruppo e non solo quello relativo alla pista ma anche di altri settori, come mtb o bmx per esempio.

«Molto poi dipende dal feeling con l’atleta. Io sono uno che parla molto con i ragazzi che seguo. Voglio che sappiano ciò che fanno e perché. Devono sapere perché fanno una SFR a 50 rpm anziché a 70, per dire… Devono apprendere certi concetti».

E questo è verissimo. Quando si ha cognizione di causa il lavoro è assimilato meglio, anche dalla mente. E se oltre a capirlo lo si condivide appieno è ancora meglio.

«Per questo motivo – conclude Michelusi – è importante dare non solo il programma settimanale, ma sapere e fare sapere all’atleta cosa si andrà a fare settimana per settimana da lì all’obiettivo. Quale sarà il cammino, poi chiaramente i piccoli aggiustamenti specifici (se fare per esempio 5 ripetute a 300 watt o 6 a 330 watt, ndr) si fanno col procedere della preparazione».

Parola a Michelusi, l’angelo del motore di Aru

04.02.2021
3 min
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Da quest’anno dunque Fabio Aru lavorerà seguendo le direttive di Mattia Michelusi, veneto classe 1985 (in apertura nella foto @1_in_the_gutter), laureato in Scienze Motorie con specializzazione in Scienza e Tecnica dello Sport. Un passato da corridore, quindi gli studi, il passaggio per il Centro Studi Federale come formatore dei direttori sportivi, l’approdo al professionismo con la Androni Giocattoli e poi al WorldTour, prima con la Ef Cannondale e ora con il Team Qhubeka Assos. Tuttavia, al netto dei titoli in suo possesso, quando un allenatore inizia a collaborare con un atleta, non sono certo i libri la prima fonte cui attinge.

Il Team Qhubeka Assos, 25 corridori: 17 sono nuovi
Il Team Qhubeka Assos, 25 corridori: 17 sono nuovi
In effetti se fosse così semplice…

Infatti non lo è affatto. Conoscevo Aru come atleta, ma non conoscevo Fabio come persona. La tecnologia ci aiuta nel programmare allenamenti a distanza e sapere quali effetti hanno sul corridore, ma l’aspetto fondamentale del ritiro in Spagna è stato proprio quello di fare la sua conoscenza. Ne avevamo in programma uno in altura a gennaio, ma lui ha preferito il cross, così abbiamo adeguato la preparazione. Io sono favorevole a questa disciplina, può essere utile per qualsiasi atleta, anche per lo scalatore. Offre stimoli che però hanno bisogno di essere integrati con la preparazione per la strada. Ovviamente il suo obiettivo non era diventare campione del mondo, ma allenarsi e farlo in un contesto senza stress.

Quindi avete ridisegnato la preparazione in funzione del lavoro fatto nel cross?

Inserendo questi stimoli allenanti in un contesto ampio, fatto ad esempio di sedute più lunghe. Il fatto di conoscersi porta anche ad analizzare quel che si è vissuto, perché si impara sia dai momenti belli, sia da quelli brutti. La sensazione è che il primo Aru si allenasse sulle salite per vincere, ora invece la salita è una difficoltà da affrontare e superare. Per questo abbiamo anche analizzato il modo in cui lavorava all’inizio e quello che ha fatto negli ultimi due anni.

Brillantezza e resistenza nel menù di Aru stilato da Michelusi (Photo: @breakawaydigital)
Brillantezza e resistenza nel menù di Aru (Photo: @breakawaydigital)
Quindi è sbagliato pensare che con Michelusi si possa o si debba ripartire da zero.

Fabio è un atleta di esperienza, sarebbe sbagliato pensare di fare tabula rasa. Ma occorre lavorare accanto a lui per capire come risponde a certi stimoli. Possiamo avere tutti i dati del mondo, ma per capire come reagisca ai carichi di lavoro, ad esempio, non c’è niente di meglio che guardarlo in faccia. Se arriva in cima a una salita stravolto, vuol dire che lo sforzo è stato eccessivo. Se arriva e sorride, allora si può fare di più. Chiaramente in modo progressivo. Non siamo ancora al top della stagione, più avanti aumenteremo di sicuro perché potremo valutare meglio le sue risposte.

Finora avete introdotto elementi nuovi nel suo piano di lavoro?

No, nulla. Abbiamo semplicemente integrato il cross. Anche se lo ha interrotto, continuiamo a inserire sforzi concentrati che sarebbe inutile mollare del tutto. Fabio credeva in questa strada ed è stato giusto portarla avanti, prevedendo ancora qualche pizzico della stessa intensità.

Come lo vedi?

Lo vedo davvero molto motivato.