Cos’è la “firma” del preparatore? Nel calcio si riconosce il gioco di questo o quell’allenatore. E la sua firma è più identificabile. Nel tennista c’è quel colpo giocato con quello specifico modo. Anche il ciclista in molti casi ha la sua firma: Pantani che scattava con le mani basse. Cavendish che fa le volate col “mento sulla ruota anteriore”. Ma riconoscere la firma di un preparatore è cosa ben più complessa (in apertura foto @tizian.jasker).
Eppure qualche giorno fa, Matteo Moschetti ci disse queste parole parlando del suo arrivo nella nuova squadra, il Team Q36.5 e del suo nuovo preparatore, Mattia Michelusi: «Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più».
Parola a Michelusi
E indovinate a chi siamo andati a chiedere lumi?! A Mattia Michelusi chiaramente, coach appunto della giovane squadra svizzera.
Partendo dagli stimoli, Michelusi afferma subito che già il solo fatto di cambiare allenatore è uno stimolo. E non solo mentale, ma proprio fisico. Basta fare un lavoro in certo modo, o un diverso numero di ore che l’organismo risponde in maniera diversa.
«Penso che la frase di Moschetti – dice Michelusi – possa avere più interpretazioni. Alla fine allenarsi è fare un totale di ore di attività e questo vale per tutti, ma poi la differenza la fanno i dettagli ed è lì che c’è la firma, come dice Matteo. Un preparatore preferisce un determinato metodo di lavoro, ed un altro ne predilige un altro ancora, ma soprattutto come questo interpreta i lavori specifici. La base è quella».
La firma negli specifici
E qui Michelusi entra nel dettaglio della firma. Quando si lavora sulla base, per esempio la Z2, c’è poco da intervenire. Sì, potranno esserci piccole differenze d’intensità ma di fatto si tratta di pedalare per un “X” ore ad un ritmo regolare non troppo impegnato. Il coach ha ben poco da modificare. Non è come quando si fa del fuorisoglia, delle SFR…
«In riferimento ad un velocista come Moschetti – dice Michelusi – la mia firma può essere su come s’interpretano i lavori specifici per gli sprint. Magari altri dicono di fare 10 volate ad una determinata intensità, io invece imposto ogni volata con una velocità e un rapporto di partenza. Ma alla fine entrambi i coach ed entrambi gli atleti hanno assegnato e svolto dieci sprint.
«Un altro aspetto molto importante su cui può essere posta la firma del coach è la forza, visto che prima avete parlato di SFR… Io credo che lì si concentri la maggior parte della differenza fra i preparatori. Come si allena questa componente? Sempre nel caso di Moschetti per lui che è un velocista magari le SFR non sono lo specifico più indicato e quindi gli faccio fare altro. Mentre le SFR vanno bene per uno scalatore. Insomma vario in base all’atleta, in base al modello di prestazione che ho di fronte».
Come un sarto
Modello prestativo: un concetto ben intuibile: ci si concentra sull’atleta e soprattutto su ciò che questo è chiamato a fare… E di conseguenza si regola il preparatore.
«Certamente – va avanti Michelusi – non sarò l’unico a seguire questo approccio, ma io gli do molta importanza. E’ un po’ come un cliente che va da un sarto. Prima prende bene le misure del cliente e poi vi confeziona intorno l’abito su misura».
Questione di feeling
Ma se nella sua squadra di club Michelusi è più “libero” e può essere un sarto, quando è impegnato nel gruppo della nazionale e della pista, in cui ci si muove soprattutto secondo le direttive di Marco Villa, come fa a mettere la sua firma? E’ più complicato?
«Con la FCI siamo un gruppo e il bello è che ognuno porta la sua conoscenza, tanto più che si arriva da esperienze diverse. Non si tratta di avere “le mani legate”, quanto piuttosto di condividere le idee. C’è Bragato che gestisce il gruppo e non solo quello relativo alla pista ma anche di altri settori, come mtb o bmx per esempio.
«Molto poi dipende dal feeling con l’atleta. Io sono uno che parla molto con i ragazzi che seguo. Voglio che sappiano ciò che fanno e perché. Devono sapere perché fanno una SFR a 50 rpm anziché a 70, per dire… Devono apprendere certi concetti».
E questo è verissimo. Quando si ha cognizione di causa il lavoro è assimilato meglio, anche dalla mente. E se oltre a capirlo lo si condivide appieno è ancora meglio.
«Per questo motivo – conclude Michelusi – è importante dare non solo il programma settimanale, ma sapere e fare sapere all’atleta cosa si andrà a fare settimana per settimana da lì all’obiettivo. Quale sarà il cammino, poi chiaramente i piccoli aggiustamenti specifici (se fare per esempio 5 ripetute a 300 watt o 6 a 330 watt, ndr) si fanno col procedere della preparazione».