Ciclismo italiano malato? La cura può venire dall’atletica…

06.07.2025
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Nella domenica della vittoria tricolore di Filippo Conca è successa una cosa curiosa. In quasi contemporanea con il successo del corridore dello Swatt Club, giudicato su molti media (senza nulla togliere alla sua valorosissima impresa) come la certificazione del grave stato di crisi del ciclismo italiano, l’Italia di atletica si confermava sul trono continentale degli europei a squadre, il trofeo che definisce lo stato di salute dell’intero movimento.

Perché la cosa è curiosa? Perché se guardiamo solamente a una decina di anni fa la situazione era esattamente opposta. Il ciclismo italiano era ancora un riferimento internazionale, dall’altra parte nell’atletica ogni manifestazione internazionale era un pianto, dalla quale si tornava a casa a mani vuote. Qual è stata allora la ricetta che ha permesso alla “regina degli sport” di scalare le gerarchie e tornare un riferimento assoluto? Ed è una ricetta esportabile anche alle due ruote?

Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile
Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile

Lo scollamento tra vertice e territorio

Per trovare qualche risposta abbiamo messo di fronte due personaggi che, in tempi diversi, hanno vestito i panni del cittì nei rispettivi ruoli, Massimo Magnani per l’atletica e Daniele Bennati per il ciclismo. Dieci anni fa c’era proprio Magnani alla guida della nazionale di atletica e ricorda bene la situazione che si trovò davanti: «Mi accorsi che il problema principale era un completo scollamento fra l’atletica di vertice e la base. C’era da rifondare completamente il sistema tecnico, quello degli allenatori di periferia che scoprono i giovanissimi talenti e iniziano a farli crescere con il lavoro. Era necessario decentrare creando poli di lavoro più vicini al territorio, in modo che i tecnici potessero anche confrontarsi».

Questo è un primo aspetto fondamentale: lavorare sull’impianto tecnico. «Bisogna che ci sia un continuo e importante approfondimento culturale di chi lavora vicino ai ragazzi. I tecnici devono avere la possibilità di aggiornarsi, di confrontarsi con il mondo che li circonda. Nel mio periodo alla guida della nazionale ho portato ben 429 tecnici in giro per le gare internazionali, ho spinto molto sull’aggiornamento di ognuno perché il mondo dello sport cambia continuamente e non si finisce mai di aggiornarsi. Quei ragazzini che erano seguiti allora, hanno potuto beneficiare del lavoro dei loro tecnici e sono diventati i campioni di oggi che tutto il mondo c’invidia».

Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)
Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)

Un sistema esportabile, ma non è semplice farlo

Un sistema del genere è esportabile? «La ricetta può funzionare – risponde Bennati – ma dobbiamo tenere conto, fra le varie differenze fra i due sport, di una in particolare. L’atletica si svolge negli impianti, in assoluta sicurezza. Il ciclismo paga un prezzo pesantissimo alle tragedie che, purtroppo a ritmo quasi quotidiano, si svolgono sulle nostre strade con ciclisti investiti. Non si fa abbastanza in questo senso e i genitori sono preoccupati, poco propensi a mandare i loro figli ad allenarsi sulle strade. Stiamo passando un periodo di magra anche per questo.

«Il sistema evocato da Magnani però è giusto e sicuramente serve un rinnovamento a livello tecnico. Nel mio periodo azzurro mi sono confrontato con tecnici che svolgevano questo compito già quand’io ero ragazzino, applicando teorie che andavano bene allora ma nel frattempo le cose sono cambiate, il ciclismo si è evoluto. Se dici a un ragazzino “ai miei tempi si faceva così” non ti sta neanche ad ascoltare…».

L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili
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Un processo a lungo termine

Magnani sottolinea come questo processo può funzionare se non si ha fretta: «E’ a lungo termine, i risultati si vedranno dopo anni. E’ un sistema virtuoso, nel senso che porta risultati ma anche a ricambi dietro i campioni. Oggi abbiamo tante stelle a livello internazionale, ma sappiamo che dietro ci sono altrettanti ragazzi che stanno crescendo e che potranno fare altrettanto se non di più. Proprio perché si è agito non sui singoli casi e specialità, ma riformando l’intera struttura».

«Nel ciclismo il discorso è complesso – ribatte Bennati – perché è una disciplina dove si fatica ad aspettare. Quando correvo io avevi la categoria U23 che era davvero un periodo di apprendistato, oggi vedi corridori di 20 anni che vincono grandi gare e si cercano talenti sempre più giovani. Ma per trovarli, per creare corridori capaci servono tecnici con una mentalità aperta, che sappiano andare di pari passo con i cambiamenti del mondo che li circonda».

Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta
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Rivedere il rapporto con le società giovanili

E’ anche importante chi cura il rapporto con questi ragazzi, a cominciare da società e procuratori: «Due figure importanti, che meritano particolare attenzione – sottolinea Magnani – nel primo caso, quando un atleta ottiene risultati a livello assoluto e cambia società, parte della cifra va al club dove il suo talento è sbocciato e questo aiuta la società a proseguire nella sua opera di proselitismo. Per quanto riguarda i procuratori, anche lì è un lavoro in prospettiva: cercare talenti giovani e metterli sotto contratto può andar bene, a patto che non si punti al guadagno immediato, ma si aiuti chi lavora per farli migliorare, poi con la loro affermazione arriveranno anche le ingenti commissioni».

«Per quanto riguarda i procuratori nel ciclismo – interviene Bennati – normalmente avviene già così. E’ vero che ormai si contrattualizzano ragazzi addirittura nella categoria allievi, ma inizialmente non ci si guadagna nulla e neanche quando un corridore approda in un devo team. Se e quando riuscirà a passare professionista, allora il contratto inizierà a funzionare. Il discorso relativo alle società è più complesso.

Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…
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Cambiare la cultura e… saper aspettare

«Bisogna considerare che bisogna stravolgere un sostrato culturale ma anche una situazione effettiva, perché una società giovanile vive sugli sponsor e questi vogliono vedere risultati. Per questo si punta, anche troppo, ai risultati in ambito giovanile e chi vince avanza, mentre bisognerebbe guardare più ad ampio spettro, le possibilità di crescita di un ragazzo. Il sistema a percentuale per la firma del contratto potrebbe funzionare, ma lì è la Federazione che deve metterci mano e non è facile».

Su un argomento i due ex cittì concordano: per avere riscontri serve tempo. «Da appassionato – afferma Magnani – posso dire che nel ciclismo è fondamentale che ci sia un aggiornamento culturale che segua l’evoluzione del tempo, perché i ragazzi di oggi sono profondamente diversi da quelli di vent’anni fa. L’aggiornamento tecnico, la loro crescita attraverso il confronto con altre scuole, la stessa progressiva responsabilizzazione anche come dirigenti dei team è un passo fondamentale, che porterà benefici se si saprà aspettare».

«L’ambiente ciclistico deve oggi dimostrare di avere questa capacità – ribatte Bennati – ma rendiamoci conto che oggi il ciclismo ha, per le ragioni dette prima, meno appeal rispetto ad altre discipline anche se le cifre che girano non sono quelle dei miei tempi. E’ chiaro comunque che ha bisogno di uno scossone, per tornare quello che era un tempo…».