Eravamo tutti così concentrati sulla crono di Eurodisney del giorno dopo, da non aver dato la giusta importanza alla tappa vinta da Mario Traversoni a Dijon.
Pantani stava per conquistare il podio al Tour del 1997, dopo il ritiro dal Giro causato dal gatto nero del Chiunzi, così le attenzioni per quel suo compagno estroso e riccioluto si ridussero purtroppo al minimo. Vinse la tappa su Simon e un gruppetto di nove, poi anche lui piombò nella concentrazione per il piccolo capitano che aveva da difendere più di 6 minuti da Olano, che gliene mangiò quasi cinque e poi si rassegnò al quarto posto finale.
L’anno dopo Traversoni accompagnò nuovamente Pantani al Tour, ma questa volta fino alla vittoria (nella foto di apertura è il primo da sinistra), ottenendo per sé il settimo posto sul traguardo di Parigi.
I primi 50 anni
Due giorni fa Mario ha compiuto 50 anni ed è stato come svegliarsi da un senso di eterna giovinezza, come quando della cosa ti avvisa un social e tu resti lì a rimuginarci sopra.
«Il problema – ride però lui – è che io non me li sento. L’età anagrafica è quella, però mi sento 10 anni in meno. Quel Mario non c’è più, il ciclismo è una porta chiusa. Ne sono uscito. Collaboravo con RCS, ma non sono stato confermato, probabilmente per una battuta di troppo in difesa dei corridori che a qualcuno non è piaciuta. Continuo a vederli trattati come ultima ruota del carro e non mi piace. Seguo qualche gara. Più il ciclocross, a dire il vero, perché l’unico corridore in questo momento che mi entusiasma è Van der Poel, poi per il resto vedo un ciclismo molto calcolato. Tolti appunto Mathieu e Pogacar, che hanno un modo meno monotono di interpretare le corse».
Qual è il ciclismo che ti piace?
Vabbè, inutile dirlo. Quello di Marco, che inventava la corsa giorno dopo giorno. Non c’era mai niente di scontato e poi forse anche in gruppo c’erano ancora i veri ruoli. Se tu facevi il tuo mestiere e sapevi farlo bene, potevi avere un contratto garantito. In questo ciclismo moderno, tolti i pochi che stanno in una nicchia, gli altri sono quasi tutti a rischio di contratto anno dopo anno. C’è un ricambio troppo grande.
Sei ancora un grande pescatore?
Ho sempre pescato, ma dopo aver smesso, mi ci sono buttato a capofitto. L’anno scorso non sono andato al mondiale per un solo punto, quest’anno sono ancora nel club azzurro, quindi mi gioco ancora la convocazione. Praticamente faccio solo quello come agonista. Non vado per passatempo, tutto quello che faccio è sempre in previsione di una gara o comunque di un appuntamento importante. La pesca non ha niente a che vedere col ciclismo, però mi ha dato un lavoro.
Anche Pantani amava pescare…
Marco era un personaggio incredibile, nel senso che quello che voleva fare, dove voleva arrivare, lui ci arrivava. Andava a caccia e sparava meglio di te. Andava a pescare e prendeva più di te. Cosa vuoi dirgli a una persona cui veniva proprio tutto facile? L’impegno ce l’ha sempre messo in tutte le cose che faceva, perché lui voleva sempre essere il numero uno. Però non lo faceva mai pesare agli altri. Quando hai un fuoriclasse così in squadra, bisogna per forza fare tutto per lui.
C’è ancora in te la… follia del velocista?
L’essere velocista ti resta sempre, perché è una cosa che hai dentro. Già c’è il discorso che non mi sento cinquant’anni. Mi sono risposato e adesso ho una bimba di 5 mesi e quindi faccio sempre una vita a tutta. Sono sempre accelerato, ma in bici non vado più dal giorno che ho smesso. Solo una volta l’ho ripresa in mano, alla Santini, perché dovevo fare un servizio fotografico per del vestiario nuovo.
Come andò?
Erano sei anni che non andavo in bicicletta. Ho puntato l’ultima salita coi primi, però ho avuto i crampi fino ai capelli e mi son fermato. Ho dormito credo per due giorni di fila. La bici ce l’ho ancora, ma se devo andare dal panettiere che sta a 800 metri da casa, vado a piedi o prendo la macchina.
Cosa ti pare del ciclismo di oggi?
Sono ancora in contatto con qualche ex compagno. Ogni tanto mi chiamano per qualche festa o faccio presenza in qualche gara, ma se posso evito. Non mi interessa più, perché l’ho vissuto da ciclista e poi anche dal di fuori e quello che ho visto non mi è piaciuto. Abbiamo cambiato la generazione dei corridori, adesso abbiamo tutta gente giovane che vince. Il ciclismo si è modernizzato e io non riesco a capire perché poi ci sono ancora quei vecchi bacucchi ai vertici, che comandano ancora loro. Certi direttori, certi preparatori. Non ha neanche senso parlare di ricambio generazionale, se a guidare la macchina ci sono ancora questi qua…