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Scirea 2019

Scirea, doppio incarico per far crescere i ragazzi

16.02.2022
5 min
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Nel profondo riassetto della struttura tecnica federale, un ruolo importante lo ricopre Mario Scirea. Anzi, più ruoli considerando che è chiamato a collaborare sia con Daniele Bennati, cittì degli Elite che con Marino Amadori, al lavoro con gli U23. Il nuovo presidente della Fci Dagnoni voleva assolutamente avvalersi del suo apporto, ma aveva bisogno di sfruttare e sue competenze in entrambi i settori così gli ha proposto il doppio incarico.

Questo significa che Scirea (in apertura con il team manager delle squadre nazionali Roberto Amadio) è sempre in movimento, attento a ogni sfumatura. Il lavoro con i più giovani è delicato, lo abbiamo spesso ripetuto e anche il 57enne bergamasco ne è consapevole: «Dobbiamo accompagnare i ragazzi verso l’approdo al professionismo facendo in modo che non siano presi alla sprovvista e questo si può fare solo incrementando l’attività internazionale, come faremo. Non sono più i tempi di quando correvo io, quando l’epicentro dell’attività era in Italia, ora bisogna guardare al Nord, dove si corre in maniera differente e dove ci sono le squadre più forti. Bisogna imparare le strade, il modo di correre, è imprescindibile».

Scirea Liquigas 2011
Per 14 anni Scirea è stato diesse, dal 2005 al 2012 alla Liquigas e poi a Cannondale, Lampre, Uae Team Emirates e Biesse Carrera
Scirea Liquigas 2011
Per 14 anni Scirea è stato diesse, dal 2005 al 2012 alla Liquigas e poi a Cannondale, Lampre, Uae Team Emirates e Biesse Carrera
Ai tuoi tempi non era così?

No, perché c’erano tante squadre forti da noi e molta attività si faceva in casa, naturalmente poi gli sponsor più importanti volevano che si partecipasse anche ai grandi eventi esteri, classiche e grandi giri. Oggi, salvo le grandi manifestazioni, il ciclismo italiano ha perso appeal, ma io sono convinto che piano piano tornerà come prima, come sta avvenendo per la Spagna. D’altronde la pandemia ha riportato una grande attenzione sulla costruzione dei calendari.

Tu graviti a metà fra le due categorie e hai il polso della situazione: quanto pesa per la crescita dei nostri talenti la mancanza di un team WorldTour?

Enormemente, anche più di quanto si pensi. Significa che per passare pro’ devi andare all’estero e qui per spiegarmi faccio un esempio: se approdi in una squadra belga, gli sponsor avranno certamente più rientro d’immagine se a vincere sarà un corridore di casa, un occhio di riguardo andrà agli atleti interni e gli altri saranno più di supporto, per trovare spazi dovranno faticare di più. Alla fine, se vali emergi, questo è chiaro, ma devi faticare molti di più rispetto a prima.

Scirea nazionale 2002
Bergamasco del ’64, Scirea ha corso da pro’ per 15 anni. Per lui 2 vittorie e 2 maglie azzurre (foto Olycom)
Scirea nazionale 2002
Bergamasco del ’64, Scirea ha corso da pro’ per 15 anni. Per lui 2 vittorie e 2 maglie azzurre (foto Olycom)
Un gruppo come quello tuo e di Cipollini non potrebbe quindi esistere?

Non arriverei ad affermazioni così nette: in fin dei conti un corridore che ogni anno ti garantisce una ventina di vittorie tra cui almeno un paio di vittorie al Giro e al Tour diventa ambito da tutti, lui e i suoi compagni d’avventura. Certo è più difficile. Se avessimo un team italiano, ci sarebbe uno zoccolo duro di corridori nostrani che potrebbero crescere con calma, potresti programmare meglio il calendario e sono convinto che anche molte gare italiane se ne gioverebbero.

Il progetto di un team italiano c’è, ma si prospettano tempi lunghi…

Non sono cose che costruisci dall’oggi al domani, anche perché servono fondi molto maggiori che ai nostri tempi. Nell’attesa noi però dobbiamo lavorare per fare in modo che il numero di pro’ italiani aumenti, che il nostro ciclismo rimanga all’avanguardia e produca buoni corridori. Ce ne sono, forse se ne parla troppo poco.

Scirea Cipollini 2003
Con Cipollini un binomio indissolubile in corsa e fuori, negli anni dell’attività
Scirea Cipollini 2003
Con Cipollini un binomio indissolubile in corsa e fuori, negli anni dell’attività
C’è in giro un nuovo Cipollini?

No. I campioni di oggi non hanno lo stesso carisma. Non dipende solamente dalle vittorie. Nel motociclismo tutti conoscono Valentino Rossi, chi correva con lui, anche chi lo batteva la gente comune non lo ricorda. Nello sci vuoi o non vuoi si parla sempre di Tomba. Nel ciclismo italiano dici Cipollini e Pantani e tutti sanno di chi parli. Anche i campioni di oggi, quelli che vincono classiche e Tour, al di fuori dell’ambiente non sono così conosciuti. Non so neanche da che cosa dipenda, è davvero l’essere personaggio che fa la differenza.

Quanto ti è servita la tua esperienza da corridore in questi nuovi incarichi?

Molto, è la base del mio incarico. Prima venivano scelti commissari tecnici che non venivano da squadre, ora si è cercata una via nuova con Bennati e tutto il gruppo. Se lavori in un team professionistico, impari che non si riduce solo alla corsa, c’è dietro tutto un lavoro anche d’ufficio che bisogna svolgere, preparando le trasferte, curando ogni aspetto di una gara dalla logistica al materiale, dal supporto tecnico a quello psicologico, una gamma di servizi enorme e spesso misconosciuta.

Certo, ma sapendo chi sei e le esperienze che hai accumulato al fianco di un campione come Cipollini, sicuramente i più giovani ti chiederanno…

C’è anche quel momento, è naturale. Molti, soprattutto negli eventi titolati, sentono salire la tensione e ti chiedono consigli. Tutto quel che possiamo fare è spiegare ai ragazzi gli errori da non fare per la smania di essere protagonisti. I tempi si sono accorciati, lo sappiamo tutti, ma bisogna anche sapersi gestire per affrontare il mondo dei professionisti in modo che dia frutti.

Scirea ci porta nei segreti della doppia fila

20.01.2021
5 min
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Chiamatela arte, mestiere o semplicemente “modo di andare in bici”, ma la doppia fila è una delle “figure” più affascianti del ciclismo, almeno per chi ha un occhio tecnico. Un corridore tira e quello a fianco si lascia sfilare, quello davanti si sposta e ne subentra un altro. E avanti così, per chilometri e chilometri. Saperla fare “a modino”, come direbbero i toscani, è armonia pura. Ma non è affatto facile e per questo ce lo spiega Mario Scirea, passistone doc, ai tempi cronoman, ma anche apripista, gregario e direttore sportivo, che ha fatto della pianura il terreno ideale della sua carriera.

E la doppia fila, salvo casi più unici che rari, si fa proprio in pianura. Quando la velocità è (o deve) essere alta, quando c’è vento, quando si lotta con il cronometro, quando c’è da chiudere una fuga o da lanciare uno sprint.

Mario Scirea ha fatto anche la 100 Km, eccolo in coda a cambiare
Scirea ha fatto anche la 100 Km, eccolo in coda a cambiare

Il treno della Saeco

E con Scirea partiamo proprio da quest’ultima situazione. Eh sì, perché Mario era uno degli uomini più fidati di Mario Cipollini.

«Si girava in doppia fila per chiudere le fughe – racconta Scirea – Negli anni avevamo capito quando entrare in azione. Valutavamo la consistenza della fuga, chi e in quanti erano davanti, e poi gestivamo il distacco, cioè quanto perdere, sapendo che fino a 4-5 corridori, potevamo limare un minuto ogni 10 chilometri. Se invece gli attaccanti erano di più, non lasciavamo tanto spazio. Poi questo si faceva in tempi in cui le squadre erano composte da nove corridori. E noi alla Saeco eravamo in sette a lavorare per Mario!

«All’inizio tiravo… all’inizio! Poi un paio di volte mi capitò di fare l’ultimo uomo e così Mario mi volle come penultimo, cioè colui che avrebbe dovuto portarlo dai -2 chilometri ai 700 metri. Gli era piaciuta la velocità che riuscivo a tenere: così alta che nessuno poteva inserirsi. Ero il penultimo, perché dopo di me, entrava in azione Silvio Martinello che lo portava fino ai 250 metri, poi toccava a Cipollini.

«Treni e doppie file come quelle non ci sono più state. Neanche quando sono stato direttore sportivo, forse perché alla Liquigas si curava molto la classifica generale e non si dava troppo spazio al velocista, nonostante all’epoca ci fossero dei giovani promettenti come Guarnieri e Viviani».

Doppia fila nel vento (tappa di Brindisi al Giro): due squadre tirano per fare selezione.
Doppia fila nel vento: due team tirano per fare selezione.

Doppia fila nel vento

Secondo Scirea ci sono vari tipi di doppia fila… quella da finale, quella “da lontano”, quella  nel vento… In tal senso resta memorabile la tappa di Brindisi, all’ultimo Giro d’Italia.

«Dipende dall’obiettivo e da quanti corridori hai. Se per esempio vuoi attaccare nel vento e aprire i ventagli allora chi tira si deve spostare sul lato della strada ed espone il resto del gruppo al vento. L’andatura deve essere molto forte e i cambi molto rapidi. Devi portare il gruppo sul ciglio della strada. Ma può succedere che, sempre nel vento, ci si debba difendere e così fai la doppia fila su tutta la carreggiata. S’imposta un’andatura regolare che protegge».

Regolare e da finale

E quando si va regolari? E’ questa la classica situazione in cui bisogna richiudere su una fuga e il terreno è prevalentemente pianeggiante.

«In questo caso – riprende Scirea – l’obiettivo è far girare i corridori: deve essere un continuo movimento. Ma la velocità e la rapidità dai cambi dipende da quanto si è lontani dal traguardo».

Nel caso in cui si è lontani bisogna mantenere il ritmo, vicino all’arrivo il tutto diventa più frenetico. Le “trenate” di chi è in testa si accorciano ma la velocità è più alta. 

Nella cronosquadre il dogma è di non calare la velocità
Nella cronosquadre il dogma è di non calare la velocità

Armonia cronosquadre

E’ in questa situazione che meglio di tutte si può apprezzare questo gesto tecnico. Vedere un team che gira bene in doppia fila è armonia totale, quasi un balletto itinerante sull’asfalto. I ragazzi neanche si guardano tra loro pur viaggiando sul filo dei 70 orari e tra una ruota posteriore e una anteriore ci sono appena 7-10 centimetri. 

«Per una cronosquadre c’è anche una preparazione diversa. Oggi vediamo che d’inverno molti team provano questo esercizio. Inoltre tutti i corridori hanno la bici da crono e ci escono non meno di una volta a settimana, quindi sono anche abituati a condurre questa particolare bici.

«L’ideale è mettere un passista e un “non passista” (uno scalatore, un velocista…). Bisogna alternarli. Perché c’è un dogma da rispettare: non abbassare la velocità. Se s’inizia a fare l’elastico si spezza l’armonia e di sicuro qualcuno si stacca. Mai passare da 70 a 58 all’ora e ritornare a 68.

«Poi tanto dipende da chi tira. Io da ds ho avuto anche Ganna. Lui tirava anche per un chilometro, quello che lo seguiva faceva 200 metri per di non abbassare la velocità di Pippo. Ma era giusto così, in questo modo il treno viaggiava a ritmo costante. Se un corridore non ce la fa, meglio che salti un cambio o due, piuttosto che vada in testa e non possa mantenere la velocità».

Il momento del cambio

Ma il corridore in testa come capisce quando è il momento di spostarsi? Una volta si diceva di spingere forte quando quando il mozzo anteriore di chi doveva tirare era arrivato all’altezza di quello posteriore del corridore che si era appena spostato. E chi si spostava prima di “mollare” doveva aspettare quel paio di pedalate.

«No, chi cambia deve spostarsi in modo “secco” – spiega Scirea – e in quel momento chi segue capisce che tocca a lui. Deve spingere subito forte. Con il cambio “mezzo e mezzo” si rischia che chi segue non capisca bene che è il suo turno . Quell’incertezza crea un abbassamento della velocità (e anche un dispendio energetico, visto che comunque si prende più aria, ndr). Chi si sposta deve farlo in modo deciso e restare molto vicino ai compagni, andando indietro nel lato più ventoso così da proteggere la fila.

«Mentre va dietro, per i primi 2-3 corridori, a seconda di quanti sono, che gli sfilano a fianco deve accarezzare i pedali e poi deve riprendere a spingere. Deve riaccordarsi senza fare la volata, altrimenti fa un cambio o due, ma al terzo salta. Tra volata e tirata accumulerebbe troppo acido lattico».