La sconfitta che segna una carriera. Come se ne esce?

12.09.2022
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Con la tappa di Coppa del Mondo di mountain bike in Val di Sole, ha chiuso la sua carriera Gerhard Kerschbaumer, l’attuale campione italiano ed ex vicecampione mondiale di cross country. A soli 31 anni ha deciso di chiudere la sua carriera, segnata da un episodio: Mondiali 2019, l’azzurro è secondo alle spalle del dominatore Nino Schurter, quando sul rettilineo d’arrivo fora ed è costretto ad arrancare fino all’arrivo, scendendo al 5° posto e vive quell’episodio come una sconfitta personale.

L’altoatesino non raggiungerà più quei vertici di rendimento, come se quell’episodio lo avesse condizionato da lì in poi. Anche il ciclismo è ricco di simili eventi: Matteo Trentin viaggia ancora con il fantasma dell’esito del mondiale 2019, perso di fronte a Mads Pedersen, da allora non è più riuscito a svettare in una classica com’era solito fare prima. Lo stesso Roglic rischia di fare lo stesso. Anche se dopo l’esito infausto della crono del Tour 2020 costatagli la maglia gialla (foto di apertura) ha vinto due Vuelta, alla Grande Boucle sembra perseguitato dalla sfortuna. Come se quel terribile sabato stia ancora portando conseguenze.

Kerschbaumer ai Mondiali 2019 con la ruota posteriore sgonfia. Argento perso e non solo quello (foto Pianetamountainbike.it)
Kerschbaumer ai Mondiali 2019 con la ruota posteriore sgonfia. Argento perso e non solo quello (foto Pianetamountainbike.it)

Quanto pesa l’ambiente circostante

Sembra strano a dirsi, eppure un episodio può davvero segnare una carriera. D’altro canto è così anche in positivo, con una vittoria che spesso “sblocca” l’atleta facendolo diventare campione. Per capire perché ciò avviene, Marino Rosti, mental coach dell’Astana, ha idee ben precise: «Lo sport vive di prestazioni, alcune più importanti e significative nell’evoluzione di una carriera. L’influsso del loro esito può avere un peso diverso a seconda della personalità dello sportivo, del suo carattere, magari di eventi precedenti, ma anche dell’ambiente culturale nel quale l’individuo agisce. Tutto ciò influisce su come l’episodio negativo viene assimilato: superarlo non è semplice ma è sicuramente possibile, c’è però anche chi non ci riesce. Basti pensare a Tom Dumoulin, che dopo due stagioni al top fra 2017 e 2018 ha subìto anche psicologicamente le conseguenze dell’infortunio al ginocchio dell’anno dopo».

Rosti mette l’accento in particolare su tutto ciò che circonda l’atleta, dal suo entourage alla società civile nella quale vive: «L’influsso di chi ti sta intorno può avere un effetto decisivo. Se chi ti è intorno focalizza quel ricordo, lo sottolinea, lo ripropone, le difficoltà per superarlo aumentano. La situazione diventa via via più pesante. Può essere l’inizio della discesa verso l’oblio sportivo. Diverso il discorso se invece chi ti sta intorno cerca di rendere l’evento più leggero».

Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako

La sconfitta va accettata

Come si può riuscire in questo? «E’ importante esaminare il fatto a mente fredda. Io dico sempre che una sconfitta va prima accettata e poi si reagisce ad essa. Per accettarla bisogna farla propria, capire che fa parte del gioco. Lo stesso vale per ogni singolo evento che ha portato ad essa, sia la foratura oppure la caduta oppure qualsiasi altro episodio. Capire perché è successo, che cosa si poteva fare per evitarlo, se ci sono stati altri fattori che hanno portato a quell’episodio stesso. Poi da lì si riparte».

Ciò fa anche capire come il dotarsi di un esperto nel campo, da parte dei team e delle federazioni sia un’esigenza ormai insopprimibile. «Bisogna trarre da quella singola vicenda qualcosa di positivo. Una vicenda sfortunata può anche essere l’occasione per imparare. Bisogna però avere la forza di andare oltre l’esito per cercare di trarne un insegnamento in vista della prossima occasione. Si deve partire da un presupposto: o vinco o imparo, ma non perdo. Per far questo però serve avere una personalità forte, per questo spesso si dice che si è campioni anche con la testa».

Dopo il 2019 Dumoulin ha vinto ancora molto, ma i problemi al ginocchio hanno pesato sul suo ritiro
Dopo il 2019 Dumoulin ha vinto ancora molto, ma i problemi al ginocchio hanno pesato sul suo ritiro

La “centralina” è la cosa più importante

Sull’aspetto mentale si pone ancora troppo poco l’accento, quando invece è chiaro come ai massimi livelli sia un aspetto che può fare la differenza. Basti vedere esempi come la stessa nazionale di volley laureatasi campione del mondo dopo essere partita fra le outsider, ma gasatasi con l’andare avanti del torneo. «Io faccio questo lavoro da una ventina d’anni – sottolinea Rosti – e mi sono accorto col passare del tempo come una prestazione sportiva sia fisica, tecnica e mentale, ma quest’ultima solo da poco viene presa in considerazione come le altre due. La presenza del mental coach non è la soluzione di ogni problema, ma in tutti gli sport è fondamentale, perché solo attraverso la tranquillità e l’equilibrio arriveranno i risultati, anche per una singola, semplice seduta di allenamento: se la mente è occupata da altri pensieri, l’allenamento non darà i risultati che ci aspettiamo. Ricordo sempre una frase che diceva Franco Ballerini, mutuata dalla sua passione per le auto: è la centralina la cosa più importante…».

La volata a due vinta da Pedersen su Trentin: allora l’azzurro sembrava favorito, quella sconfitta ha lasciato strascichi
La volata a due vinta da Pedersen su Trentin: allora l’azzurro sembrava favorito, quella sconfitta ha lasciato strascichi

Ciclismo sport di squadra

Il discorso legato alla squadra non è peregrino. Nel caso del ciclismo l’aspetto individuale e quello del team vivono una simbiosi che in nessun altro sport è presente in egual misura: «E’ vero, ogni corridore ha un ruolo. Anche il Trentin battuto allo sprint da Pedersen stava svolgendo in quel caso il compito che gli era stato assegnato. Far parte di una squadra significa che il ragionamento su una sconfitta è più complesso. Si basa su tanti fattori non tutti dipendenti dalla persona stessa. Questo non significa trovare scuse alla sconfitta, ma ragionare sul perché il risultato non è arrivato per far sì che arrivi la volta successiva».

La sconfitta deve quindi essere un punto di partenza, non quello snodo che costa a tanti la carriera: «La soluzione non la può avere il mental coach né nessun altro al di fuori della persona stessa, ma si può aiutare a trovarla attraverso il dialogo, l’analisi, il confronto».

Marturano pronta per il WorldTour malgrado la sfortuna

15.08.2022
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E’ una ragazza che sa quello che vuole. Sa anche che per fare un ulteriore step non deve lasciare nulla al caso. Anche lei è finita nei taccuini degli osservatori delle formazioni WorldTour. Adesso però è alle prese con una frattura composta della clavicola, frutto di una caduta ieri nella gara open di Vittorio Veneto. Malgrado tutto, quest’anno Greta Marturano ha comunque alzato la propria asticella ed è pronta per compiere il salto in avanti (in apertura foto Ossola).

«Devo stare ferma immobile col tutore per cinque giorni – ci aggiorna la 24enne della Top Girls Fassa Bortolo – poi rifarò le lastre per vedere che la frattura sia rimasta ferma. Se invece sarà scomposta, mi dovranno operare. Adesso cambiano un po’ di obiettivi. Speriamo bene però sono fiduciosa».

Greta Marturano nella quinta e ultima tappa del Tour de Bretagna ha ottenuto un buon terzo posto
Greta Marturano nella quinta e ultima tappa del Tour de Bretagna ha ottenuto un buon terzo posto

Un vero peccato questo stop perché la scalatrice di Mariano Comense arrivava da un buon momento di forma, a conferma della continua crescita fatta vedere soprattutto nelle ultime due stagioni. Era reduce da una serie di piazzamenti ottenuti al Tour Féminin des Pyrénées ad inizio agosto in cui ha chiuso quarta nella generale a soli due secondi da un podio tutto composto da atlete di team WT. Non è certo questo minimo scarto a sminuire le sue prestazioni. Noi l’abbiamo voluta sentire per farci raccontare cosa c’è stato finora – infortunio a parte – e cosa ci sarà nel suo futuro.

Greta in Francia sei andata forte sul tuo terreno.

Sì, direi proprio di sì. Ci tenevo a fare bene perché erano percorsi adatti a me. Naturalmente c’è il rammarico per quel terzo posto finale sfuggito per un niente. Ho ripensato tanto a dove ho perso quei due secondi o dove potevo guadagnarli. Ma va bene così, perché so di aver corso bene. Avevo buone sensazioni. Inizialmente noi eravamo partite con due punte. Alessia Vigilia ed io. Poi nella seconda semitappa del primo giorno ho centrato la fuga giusta. Eravamo in cinque e la classifica in pratica si è delineata subito. Grazie alla squadra, sono riuscita a mantenere le posizioni di vertice fino alla fine.

Della tua annata cosa ci dici?

E’ una stagione tutta positiva nonostante la caduta. Sono cresciuta mese dopo mese. Risultato dopo risultato ho preso fiducia. Luglio e agosto sono stati due mesi molto buoni finora. Sono uscita dal Giro Donne con buone gambe e con un buon recupero che mi hanno consentito di infilare una serie di risultati. Ho fatto anche due terzi posti nelle gare open di Levada e Tarzo. Mi è mancata la vittoria, però onestamente non pensavo di fare questo salto mentale e fisico.

A cosa è dovuto questo salto?

Due anni fa ho iniziato un percorso con un mental coach. Marino Rosti che collabora con l’Astana. Mi segue molto bene. Avevo bisogno di sbloccarmi mentalmente. Non credevo più in me stessa e facevo fatica in corsa naturalmente. Grazie a lui ora ho più autostima anche se dobbiamo finire il nostro percorso. Da allora ho deciso di fare le cose più seriamente. Ho pensato che corro da quando sono G1, che ho dedicato la mia vita al ciclismo. E così mi sono affidata anche ad altri specialisti.

Parlacene pure.

A livello fisico mi prepara Fabio Baronti del CTF Lab. Mi ha aiutata tanto dal punto di vista atletico. Ero già metodica negli allenamenti, ma con lui ho capito come esserlo, ottimizzando i lavori. Dal punto di vista alimentare invece mi segue Laura Martinelli, che lavora con la BikeExchange-Jayco. Anche con lei mi trovo benissimo, ho imparato molto. Naturalmente ringrazio tutti e tre perché tutti assieme mi hanno fatto fare un salto psico-fisico importante. Se si vuole diventare veramente dei corridori bisogna fare qualche sacrificio.

In cosa devi migliorare ancora?

Nelle discese e nelle posizioni di testa. Talvolta in gara sprecavo troppe energie per andare davanti prima di una salita. Però ho fatto grandi progressi. In questo mi è stata di enorme aiuto Tatiana Guderzo. Mi ha dato tantissimi consigli. Come ha già detto Alessia (Vigilia, ndr), lei è stata davvero disponibile e preziosa per noi giovani.

Con queste prestazioni hai mai pensato alla nazionale?

Ovviamente l’obiettivo di tutte le italiane è quello di poter indossare la maglia azzurra. Non ho mai parlato col cittì Sangalli, ma spero che mi abbia notata. Io finora ho sempre cercato di mettermi in luce e dove mi era possibile. So che si può sempre fare qualcosa di più e lavorerò per migliorarmi.

Vuelta Valenciana, febbraio 2020. Greta Marturano vince la classifica delle giovani
Vuelta Valenciana, febbraio 2020. Greta Marturano vince la classifica delle giovani
Si dice che tu sia in procinto di passare nel WorldTour. Ti senti pronta?

Al momento c’è la possibilità nel 2023 di andare in qualche team straniero. Ho avuto dei contatti con una squadra, ma stiamo valutando, perché nel frattempo al mio procuratore (Lorenzo Carera, ndr) sono arrivate nuove richieste dopo la gara sui Pirenei e ne stiamo ragionando. Naturalmente mi piacerebbe andare nel WorldTour. Ci entrerei in punta di piedi, disponibile a imparare e mettermi al servizio della squadra e delle leader. Ora in Top Girls non ho troppe pressioni. Lucio (Rigato, il team manager, ndr) è al corrente di tutto ed è contento se riuscissi a trovare un ingaggio nella categoria superiore. Lui mi ha aiutato molto e dopo quattro anni posso ritenermi pronta anche per lo stress che ruota attorno alle formazioni più grandi. Speriamo bene. Intanto però vorrei guarire subito da questo infortunio alla spalla.

Rosti all’Astana: «La prestazione è fisica, tecnica e mentale»

17.12.2021
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Nell’Astana che è ripartita da Vinokourov, è arrivato anche una vecchia conoscenza del nostro ciclismo: quel Marino Rosti che aveva fatto parte dell’entourage di Nibali fino al passaggio nella Trek-Segafredo. Rimasto al Team Bahrain, nel 2021 Rosti è uscito dal giro, ma visto che l’aspetto mentale sta diventando preponderante e che lui ha una formazione legata alle Scienze Motorie e alla Psicologia dello Sport, la squadra kazaka gli ha riaperto le porte. In questi giorni di ritiro spagnolo, abbiamo voluto sentire anche lui (in apertura fotografato sul Teide durante il riveglio muscolare del mattino), per capire in cosa consista il suo lavoro.

«Il mio rapporto con Astana – conferma il sanmarinese – c’era stato anche in passato, per tre anni. Perciò, chiuso il rapporto con il Bahrain, ho chiesto se avessero necessità. Anche perché essendo ormai in pensione, posso garantire una disponibilità superiore, non avendo più la problematica lavorativa che mi condizionava con i permessi, i distacchi e tutti quegli aspetti formali. Il mio ruolo rimane lo stesso. La definizione di psicologo dello sport potrebbe creare qualche resistenza nelle persone, quindi si parla di mental coach. E comunque è vero, perché fai una sorta di percorso con i ragazzi che cerchi di aiutare anche dal punto di vista psicologico. E’ un aiuto ulteriore…».

Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Non solo gambe, anche testa…

La prestazione è fisica, tecnica e mentale. Per la performance ci si concentra sempre sull’aspetto fisico, sulla forza, la resistenza, la velocità, i carichi di lavoro. Si lavora sulla posizione in bici e poi magari il terzo aspetto raccoglie i precedenti. Perché come diceva il buon Franco Ballerini, puoi avere anche una macchina da 1.000 cavalli, ma se la centralina non va, la macchina non rende

E tu lavori sia sul fisico sia sulla testa, giusto?

Come iter formativo, ho fatto sia il percorso di Scienze Motorie che quello psicologico, per cui abbino i due aspetti in un progetto che si chiama Benessere Psicofisico. Quando tu stai bene fisicamente, hai una corretta postura, un corretto equilibrio fisico, lavori sulla mobilità articolare e sul benessere fisico, la testa lo sente e ti permette di rendere di più

Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Esiste anche un rapporto individuale con gli atleti?

A volte si entra nel ragionamento e nel rapporto personale per costruire un percorso che si chiama mental training. Si lavora sulla definizione degli obiettivi, l’ansia da prestazione. Si lavora su quelli che possono essere i momenti di difficoltà a volte causati da piccoli aspetti, come magari la mancanza del risultato dopo aver lavorato tanto o problemi personali. A volte bisogna entrare in una sorta di dialogo con i ragazzi per trovare quel bandolo della matassa, che ti fa ripensare a tante cose. Quindi costruisci anche un approccio mentale, senza intestardirsi solo sull’aspetto fisico.  

A memoria, si può dire che inizi al mattino con il risveglio muscolare.

Seguiamo ogni giorno un programma ormai collaudato, che dà un certo riscontro. Grazie all’attivazione del mattino, i ragazzi si sentono meglio sulla bici. Si sentono più centrati. Mentre di pomeriggio curiamo l’aspetto del recupero, quindi facciamo allungamenti, una progressione yoga, uno stretching per ciclisti costruito sulle mie esperienze.

Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Stretching per ciclisti?

Con loro bisogna lavorare su certi aspetti sulla mobilità della schiena e il recupero delle gambe. Abbiamo inserito la respirazione diaframmatica che permette di ossigenare meglio il fisico e migliorare anche da quel punto di vista. E poi facciamo rilassamento, mental imagery nel rivedere situazioni passate su cui costruire il futuro.  E così rientri nel percorso psicologico per riacquistare più fiducia in te stesso, avere più stimolo, più determinazione, più concentrazione. E’ un cerchio che si chiude. 

Nasce tutto dalla loro libera scelta?

Ovviamente! Si fa in privato e quando uno lo richiede, perché non bisogna mai imporre questa cosa come se fosse dovuta. Adesso magari sta diventando anche un po’ di moda e comunque con il dialogo più riservato si comincia a ragionare su certe cose. Ma prima il ragazzo cerchi anche di conoscerlo, capire se è disponibile o se voglia farsi seguire a livello psicologico, come è capitato che abbiano già chiesto.

Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
E se ti chiede supporto?

Allora di fa una sorta di coaching, si parla cercando di capire le cose. La risposta si trova assieme, ma il più delle volte gli dico che la risposta ce l’hanno nella pancia. Parte tutto da lì, dalle emozioni, dalle sensazioni che uno sente dentro di sé. 

I ragazzi accolgono queste pratiche?

C’è più consapevolezza, i giovani sono sensibili a questi aspetti, mentre la vecchia generazione certe cose non le non le possedeva, perché non era nel loro stile e nella loro consuetudine. Adesso arrivano con percorsi già avviati, che noi cerchiamo di spingere ancora più avanti.

Poco fa hai parlato di yoga.

Con lo yoga hai una sensazione piacevole che col tempo diventa anche una sorta di controllo del corpo, che risponde. Si crea un dialogo. Avevo cominciato a usarlo nel 2007 con la Marchiol, poi sono passato alla Liquigas assieme a Sagan e l’abbiamo portato avanti. Ero sempre collegato con Paolo Slongo, perché lui era il preparatore quindi si lavorava in sintonia. E anche oggi c’è un confronto quotidiano col preparatore, con l’osteopata e con il medico. Si lavora in equipe con report giornalieri. Magari l’osteopata mi dice che il tale corridore ha bisogno di un particolare stretching. Più questi report sono giornalieri, meglio segui l’atleta.

Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Sarai una presenza costante al seguito della squadra?

Ai ritiri sicuramente. Però magari con qualche atleta è venuto fuori che nella terza settimana del grande Giro, quando le tensioni cominciano a essere forti, poter fare una sorta di recupero oltre fisico e anche mentale può fare la differenza. Si sta buttando giù il programma. Intanto so già che a alla fine di gennaio tornerò sul Teide. Insomma, sono tornato in mischia…

Disordini alimentari: «E’ una roba brutta…»

16.02.2021
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«Oggi ho parlato con Laura – dice Marino Rosti – quello dei disordini alimentari è un argomento che rientra nelle mie competenze. Ma questa è una roba… brutta. La prima cosa che dicono: “Io non ho problemi”».

Laura Martinelli lo ha detto chiaramente: ad accorgersi che il corridore potrebbe avere disordini alimentari sono coloro che hanno il maggior contatto fisico: il preparatore e il direttore sportivo. Marino Rosti non è l’uno né l’altro, però nei suoi anni alla Liquigas e poi al team Bahrain-McLaren, era colui che, in sintonia con il preparatore Slongo, curava le sedute di ginnastica a corpo libero e di allungamento. Avendo anche un master in Psicologia dello Sport, gli è capitato spesso di notare comportamenti insoliti da parte di alcuni suoi atleti. Ma non ci sta a focalizzare tutto su di loro, come invece fa comodo in questi casi.

«Discende tutto dall’esasperazione – dice – dalla ricerca del massimo e dalla necessità di dare l’immagine dell’atleta sempre tirato. Accade in tutti gli sport e come in tutti gli sport, l’alimentazione è fondamentale. Se non mangi il giusto, non vai avanti. Bisognerebbe trovare le persone giuste, il nutrizionista capace di guidarti. E non lasciare che, soprattutto i giovani, vadano su internet e facciano le cose in modo sbagliato. Soprattutto perché, non ottenendo risultati all’altezza dei sacrifici, cosa fanno? Continuano con la privazione. E allora ti accorgi che anche un semplice gelato diventa il frutto proibito. Ecco fate caso ai corridori che davanti al gelato fanno un passo indietro…».

Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
La letteratura del ciclismo è ricca di direttori sportivi che chiedono ai gelatai di segnalargli l’arrivo dei corridori.

Certo, perché a un certo punto lo fanno di nascosto e subito dopo li coglie il senso di colpa. Ma vi assicuro che è un regime insostenibile, dopo un po’ sbotti.

Quanto è diffuso nei team questo problema?

Ne ho conosciuti tanti che mangiavano e poi si mettevano il dito in gola. Solo che i campioni vengono seguiti, il problema colpisce soprattutto i giovani e quelli che sono in cerca di una dimensione. Conta l’immagine, come per le modelle. Alcune sono magre naturalmente, le altre non mangiano. Il corridore deve essere magrissimo. Braccia come grissini e gambe da superman.

Secondo Davide Cimolai il tema è molto discusso fra corridori, come ne parla lo staff del team?

Se ne parla tanto, come tanto si parla della necessità di avere il peso a posto, ma in modo sbagliato. Le parole dette a mezza bocca, le battute, il dire continuamente che sono grossi. A un soggetto debole questo martellamento fa effetto. Così arriva alla privazione e in men che non si dica diventa una malattia. I disordini alimentari non nascono a caso. Ne ho conosciuti. Quelli che si sentono a disagio per questi temi sono già una bella fetta. Alcuni lo superano. Ho conosciuto corridori robusti che se ne fregavano.

L’ossessione della magrezza attacca i giovani e gli scalatori
L’ossessione della magrezza attacca giovani e scalatori
Le parole dette a mezza bocca, le battute…

Il dire a qualcuno che deve essere magro è deleterio, semmai digli che deve essere forte. E’ come quando inizi la salita e dicono al corridore: «Non ti staccare». Che cosa metti nella sua testa? Che è destinato a staccarsi, che non ci credi. Allora digli: «Stai davanti e controlla», andrà certamente meglio. E se pensi che debba dimagrire, visto che parliamo di professionisti al massimo livello, mettigli accanto un esperto, non chiedergli di fare da sé. Il martellamento non funziona, soprattutto perché una volta lo sportivo era più forte dal punto di vista caratteriale, oggi i giovani sono mediamente più fragili e di conseguenza a rischio in situazioni che possono diventare patologiche e diventano di competenza di un medico, spesso lo psichiatra.

Il Team Ineos ne ha uno in organico.

Non uno qualunque, è Steve Peters, l’autore del “Paradosso dello Scimpanzè”. La sua tesi è che in ognuno di noi convivano l’umano e lo scimpanzè e lo sforzo quotidiano deve essere quello di tenere a bada l’istinto, mantenendo sempre l’autrocontrollo. L’appetito è fra gli istinti da controllare? Quando andavamo sul Teide, già dai primi tempi, erano sempre per i fatti loro, non salutavano, lo sguardo basso, a tavola non li sentivi. Tanto che noi facevamo quasi apposta a salutarli, abbracciarli, per capire a che punto arrivassero. Ora pare che un po’ anche loro stiano cambiando.

Indurre l’eccesso in soggetti già magri è una pratica a rischio
Rischioso indurre l’eccesso in soggetti già magri
Da cosa ti accorgi che un atleta ha disordini alimentari?

Hanno mille fissazioni, diventano quasi maniacali. Suscettibili sui dettagli. Sono i primi segnali del disagio, se hai l’occhio attento, lo sai cogliere. A tavola, prima mangiano e poi vanno in bagno. Hanno sempre una mela in mano, si guardano intorno. Carezzano spesso la gamba controllando che si veda la vena. In corsa non prendono il rifornimento, perché si fanno bastare la barretta. Il corpo manifesta quello che hai dentro.

Come si aiutano?

Con una persona all’interno che gli dia una mano, oppure cercando fuori un punto di riferimento. Anche loro si rendono conto di non andar bene, ma non sempre riescono a reagire in modo razionale.

Lo stretching del professionista

16.11.2020
4 min
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Stretching, croce e delizia di molti atleti. Che faccia bene è ormai assodato, ma nella vita così piena di impegni dei corridori spesso subentra la pigrizia nel farlo. E invece potrebbe (e dovrebbe) essere un momento di benessere, come ci spiega Marino Rosti, del settore tecnico-medico della Bahrain-McLaren. Marino associa due competenze: quella in scienze motorie e quella in psicologia dello sport.

Marino, partiamo dagli esercizi: per i ciclisti sono quelli standard o ci sono esercizi speciali?

Ogni sport ha gli esercizi specifici relativi alle masse muscolari utilizzate, in quanto ognuno ha i suoi traumi. Ma prima va fatto un chiarimento.

Una seduta di gruppo della Liquigas di qualche anno fa
Una seduta di gruppo della Liquigas di qualche anno fa
Quale chiarimento?

Quando si parla di stretching si pensa appunto a quei 3-4 esercizi buttati lì che un atleta esegue solo perché deve farli. Non è così. L’allungamento è molto più complesso. E’ utile per recuperare dalle tante ore di sella. Prendiamo per esempio i muscoli della schiena. In bici si tiene per molte ore una posizione anomala. Si usa molto la parte posteriore. Ci sono muscoli come il semimebranoso e il semitendinoso che servono per stare insieme e che lavorano sempre: in bici lavorano ancora di più. La parte anteriore spinge e quella posteriore richiama. Pertanto bisogna lavorare soprattutto su questi.

Immaginiamo siano molti…

Infatti parlare di questo o quel muscolo in senso stretto neanche è corretto. Sarebbe meglio parlare di catene cinetiche anteriore, posteriore e crociata. E infatti, quando si fa un esercizio si deve lavorare su schiena, braccia, gambe… Per questo tutto sommato è meglio lo yoga.

Perché?

Perché non bisogna pensare ad un qualcosa di statico, ma ad un qualcosa che coinvolga anche la respirazione e la mente. Lo yoga prevede dei movimenti che fanno lavorare tutti i distretti interessati nello stesso momento.

Quanto va mantenuta una posizione?

Non meno di 30”, ma un atleta professionista dovrebbe arrivare almeno ad un minuto. E’ importante rispettare questa durata altrimenti il muscolo non capisce se deve allungarsi o se deve allungarsi. E la respirazione è importantissima: per rilassarsi e perché va ad ossigenare il muscolo e lo aiuta nel recupero. Ogni 4-5 respiri, se ne fa uno più profondo e ci si allunga un po’ di più.

Fa bene prima della gara?

Se parliamo di sport esplosivi, in cui esprimere la massima potenza in poco tempo, no. Per il ciclismo invece può anche andare. Ma si tratta di uno stretching più dinamico. Non a caso al mattino nei ritiri faccio fare ai miei ragazzi il dynamic warm up. Sono esercizi simili, ma eseguiti in velocità e con allungamenti meno intensi.

E nel pomeriggio?

E’ uno stretching diverso: più lento, mirato al recupero.

Ma va fatto con il muscolo caldo o freddo? Nel senso, appena rientrati o dopo qualche ora?

Ci sono teorie diverse. Io sono per attendere qualche ora, perché un muscolo caldo che ha appena finito di faticare cerca di difendersi e tende ad accorciarsi, mentre dopo un po’ si è normalizzato. Certo però che va fatto un minimo di riscaldamento.

Rosti esegue, l’esercizio per il piriforme
Rosti esegue, l’esercizio per il piriforme
Come?

Bastano un paio di minuti: volteggiare le braccia, muovere il bacino, fare qualche piegamento. Quel tanto per riprendersi dal torpore. Chiaramente non bisogna esagerare nel tirare all’inizio.

Che ambiente deve esserci?

Essendo anche uno scarico mentale, bisognerebbe prediligere ambienti silenziosi, con luci basse… devi riprenderti il tuo corpo. Per questo sarebbe meglio riuscire a farlo durante le frenesia delle corse a tappe, quando fra trasferimenti, bus, hotel… non c’è mai tempo. Lo dico ai miei ragazzi: mentre aspettate per il massaggio fate questi esercizi. Si tratta di 20-25′ in tutto. Un tappetino non dovrebbe mai mancare nella valigia di un pro’.

In tanti anni chi è stato il più bravo a fare stretching?

Molti, anche perché serve un bel coinvolgimento mentale. Ma Ivan Basso era devo uno molto serio, ne faceva molto e alla fine delle sue sedute mi diceva: Marino, adesso mi sento un ragno. Tanto aveva acquisito mobilità. E poi un amico che non c’è più, Michele Scarponi. Lui non lo aveva fatto in precedenza e mi disse: sai, non credevo che questa cosa mi avrebbe fatto così bene? Scarpa era bravo.