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Il giorno di Felline: tifosi, ricordi, previsioni e la pista

30.10.2022
5 min
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Una domenica in sella con Fabio Felline. Grande festa e sole splendente ad Almese, in provincia di Torino, per il ritorno della pedalata con il trentaduenne dell’Astana Qazaqstan Team, al quale hanno partecipato anche Umberto Marengo della Drone Hopper-Androni e il campione italiano paralimpico di ciclocross 2022 Fabrizio Topatigh. A margine della IX Fellinata, i cui proventi sono stati donati in beneficienza alla Fondazione Scarponi e alla Fondazione 160cm per la ricerca sulla sclerosi multipla, abbiamo chiacchierato a tutto tondo con Fabio.

La Fellinata è tornata oggi dopo due anni di stop per la pandemia (foto Umberto Zollo)
La Fellinata è tornata oggi dopo due anni di stop per la pandemia (foto Umberto Zollo)
Che effetto fa riabbracciare gli appassionati delle due ruote dopo due anni di pandemia?

Devo ringraziare l’Associazione Sul Tornante, perché senza il loro supporto sarebbe stato impossibile fare la Fellinata: hanno fatto un bellissimo lavoro.

Dalla strada alla pista, perché il 12 e il 20 novembre ti vedremo fare da cicerone al Motovelodromo Fausto Coppi: com’è nata l’idea?

Vorrei evitare quello che è successo a me: quando sono passato pro’, non avevo un riferimento, ero l’unico piemontese. Se a quell’età avessi avuto un altro Felline che usciva con me e mi diceva cosa stavo sbagliando, magari avrei avuto una spinta in più. Non voglio essere un maestro, ma voglio essere avvicinabile e aiutare qualche ragazzino volenteroso che da grande vuol fare il ciclista. Quanti non hanno mai girato in pista? Il velodromo può essere una bella alternativa per tanti allenamenti in autunno ed è un’esperienza da provare.

Felline, il figlio Edoardo e la compagna Nicoletta nel Motovelodromo di Torino, dove girerà il 12 e il 20 novembre con chi vorrà provare
Felline, il figlio Edoardo e la compagna Nicoletta nel Motovelodromo di Torino, dove girerà il 12 e il 20 novembre con chi vorrà provare
Il tuo supporter più scatenato è il piccolo Edoardo: com’è fare il papà-ciclista?

E’ bello, ma se lo vuoi far bene diventa tutto più impegnativo. In vita mia non ho mai fatto un riposino, ma ora quando lo fa lui, mi metto giù anch’io a volte. Sono cambiati totalmente i ritmi e a volte mi stupisco di me stesso, perché prima mi lamentavo, mentre adesso mi sembra di avere molte più energie per fare più cose.

Il gadget che ha rubato il cuore dei partecipanti è stata la borraccia con il pappagallo Frankie, nel nome di Michele Scarponi: ci spieghi questa scelta?

Io e Michele siamo sempre stati avversari, ma il suo modo di essere, la sua voglia di attaccar bottone e i suoi sorrisi mi hanno conquistato. C’era un rapporto di stima e rispetto tra noi e, quando è mancato, è venuta a mancare una figura simbolo. Non solo per me, ma parlo per tutto il gruppo. Mi fa molto piacere che sia venuto a pedalare con noi suo fratello Marco, che ha molto a cuore il tema della sicurezza stradale per noi ciclisti.

Felline sul palco con Marco Scarponi e Umberto Marengo. A sinistra, il nostro Alberto Dolfin (foto Umberto Zollo)
Felline sul palco con Marco Scarponi e Umberto Marengo (foto Umberto Zollo)
Quant’è cambiato il ciclismo rispetto a quando sei passato pro’?

Le dirigenze odierne hanno capito che il ferro bisogna batterlo finché è caldo, come si fa in altri sport. Non so se sia giusto o sbagliato, ma penso a quanto poco mi allenavo, a quanto tanto andavo forte da ragazzino e tutto il tempo che ho buttato via.

Ce lo spieghi meglio?

Quando sono passato pro’, sembrava un reato che l’avessi fatto troppo giovane e avevo persino ricevuto una multa dalla Federazione italiana. Oggi c’è l’esaltazione per i giovani fenomeni, mentre i veterani vengono accantonati fin troppo in fretta. E’ una contraddizione, perché i vecchi di oggi erano quei corridori a cui si chiedeva di aspettare per maturare con calma. Se hai vent’anni e vai forte, ti fanno anche provare a vincere il Tour: guardiamo cosa è successo con Pogacar: una volta si sarebbe temuto di bruciarlo.

C’è una controindicazione?

Non sappiamo se i giovani campioni resteranno meno sulla cresta dell’onda, ma penso che non ci saranno più corridori come Valverde o Nibali che vincono per così tante stagioni. Se a 20 anni fai 6,5 watt per chilo, fai la vita da super-atleta, è inevitabile che tu non possa farlo per più di un decennio.

Hai qualche rimpianto sulla tua carriera?

Da giovane mi veniva tutto facile. Mi fa effetto pensare che il misuratore di potenza l’ho preso dopo 3 o 4 anni che ero pro’, quando avevo 23 anni mi dicevano che era presto per tutto, mentre io magari mi sentivo nel giusto. Non si può sapere, certo avessi avuto meno sfiga, con la toxoplasmosi a 27 anni, che mi ha fatto perdere un anno e mezzo nel periodo in cui il ciclismo stava cambiando di più. Mi sono ritrovato a ripartire con la sensazione di aver perso il treno e dopo è arrivata anche la pandemia. Poi, se guardo i numeri, vado più forte del 2016, ma è cambiato il modo di correre e anche le mie prospettive, così ho scelto di provare a diventare un uomo-squadra e un gran lavoratore piuttosto che provare a fare il campioncino, perché dopo i 30 anni non hai più la seconda chance. Anche se il mestiere di gregario è difficile da giudicare.

La Fellinata si è svolta ad Almese, in provincia di Torino, con il patrocinio della Fondazione Scarponi (foto Umberto Zollo)
La Fellinata si è svolta ad Almese, in provincia di Torino, con il patrocinio della Fondazione Scarponi (foto Umberto Zollo)
Perché?

Tu puoi andare anche forte, ma se poi i capitani per cui lavori non vanno, il tuo lavoro è abbastanza inutile. Quest’anno dal Giro ho avuto un ottimo riscontro e se Vincenzo (Nibali, ndr) andava forte e io ero con lui, avendo gli occhi puntati, risaltava molto. Nel 2021, invece, Vlasov era meno mediatico, ma sentivo di andare comunque forte. Al di là delle tue capacità, il lavoro di gregariato viene valorizzato in base a quanto si mette in luce il capitano.

Il tuo sogno?

Ci sono andato così tante volte vicino che, non voglio dire una classica che sembra il sogno possibile, ma dico vincere una tappa in un grande Giro. Penso sia fattibile.

Sicurezza stradale, ne parlano tutti tranne il Governo

24.02.2022
5 min
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Le parole di Marco Scarponi sul tema sicurezza stradale di qualche giorno fa hanno offerto lo spunto per bussare alla porta di Emiliano Borgna, l’avvocato che guida la componente ciclismo dell’ACSI e che in tema sicurezza ha adottato l’interessante prospettiva di offrire, a proprie spese, la tutela legale ai propri iscritti. Lo ha fatto, come abbiamo già raccontato, offrendo loro gratuitamente l’iscrizione all’associazione Zerosbatti che di questo si occupa.

Quindi c’è chi propone il metro e mezzo. Chi gira per le scuole. Chi tutela i propri iscritti. Chi va sul territorio installando e firmando cartelli per sensibilizzare gli automobilisti (foto di apertura). Chi manda lettere. Eppure ciascuno resta nel suo ambito, senza fare sistema, senza unire le forze e per questo senza incidere. La teoria del “divide et impera”, imposta in parte dal disinteresse istituzionale e in parte da piccole gelosie.

Forum 2021 per la sicurezza dell’Acsi, Federico Balconi (Zerosbatti), Nibali, Borgna e Johnny Carera
Forum 2021 per la sicurezza dell’Acsi, Federico Balconi (Zerosbatti), Nibali, Borgna e Johnny Carera
Perché non si riesce a creare unità di intenti fra coloro che dovrebbero avere nella sicurezza stradale un obiettivo più che condiviso?

Perché in giro ci sono troppe componenti diverse. E se l’iniziativa parte solo da esse, difficilmente arriverà al centro. Bisognerebbe che l’azione partisse dalle Istituzioni, questo voglio dire. Che il Governo prendesse davvero a cuore il problema, inquadrando gli organismi da coinvolgere fino ad estendere la propria azione agli utenti finali della strada. Compresi tutti quei neofiti che sono arrivati alla bici dopo il lockdown ed eventualmente fruiranno delle modifiche.

Discorso giusto, ma a noi sembra anche che si scelga di non condividere per semplice campanilismo…

Altra componente che in Italia è molto importante, purtroppo. Adesso di sicurezza stradale parlano tutti, perché è diventata tristemente famosa. Prima pochi se ne interessavano, mentre oggi chiunque vuole di dire la sua con la pretesa di avere la ricetta vincente. Si è provato a fare qualche tavolo condiviso, ma alla fine è stato abbandonato con la convinzione (sbagliata) che da soli si vada più lontano.

Il cartello di 1,5 metri creato dall’Accpi è la bandiera, ma non ha risolto il problema
Il cartello di 1,5 metri creato dall’Accpi è la bandiera, ma non ha risolto il problema
Su una cosa Scarponi ha ragione: abbiamo sentito il Presidente Mattarella spendersi per i morti sul lavoro, sui femminicidi e ultimamente per quelli nell’alternanza scuola-lavoro, ma non una parola per le migliaia di morti sulle strade…

Ed è purtroppo vero. Sembra quasi che sia una cosa scontata. Le strade sono ridotte male. Le auto sono tante e corrono. E alla fine pare normale che qualcuno per questo muoia. Però certo, è un silenzio che si nota.

Visto che ci siamo, Scarponi dice anche che il granfondista si spende per correre, mentre sul resto chiude un po’ gli occhi…

Il granfondista pensa a gareggiare. Va a fare il training camp alle Canarie. Mentre forse questo tipo di orientamento va capovolto. Bene tutto, ma sarebbe anche utile cominciare a pensare ai bambini e all’attività di base. La Federazione aveva speso belle parole su una collaborazione in questo senso. Per ora hanno riformato alcuni settori, rivedendo i criteri di partecipazione e altri aspetti. Magari quando avranno finito la fase di riforma, si potrà tornare a parlarne.

Le gran fondo stanno per ripartire: si riuscirà a renderle organiche a una nuova cultura con la bici al centro?
Le gran fondo stanno per ripartire: si riuscirà a renderle organiche a una nuova cultura?
In Sicilia hanno fatto quel che ipotizzavamo lo scorso anno: gare giovanili sfruttando la logistica delle gran fondo…

L’importante è che le idee circolino, non rivendicarne la paternità senza metterle in pratica. Bravi loro. E’ il modo per abbattere i costi e rimettere la bici al centro. I genitori vanno a correre e nello stesso giorno possono gareggiare anche i figli. Però certo, non possiamo dimenticare anche qui il discorso sulla sicurezza.

In che senso?

Nel senso che basta farsi un giro su ciclocolor.com e guardare le foto abbinate alle classifiche, per rendersi conto che ci sono gare che nel rettilineo di arrivo hanno le fettucce, oppure tratti alternati di fettuccia e transenna. Servirebbe una disciplina condivisa e fatta osservare con severità. Chi non si attiene al capitolato tecnico non deve organizzare. E noi che imponiamo certi criteri ai nostri associati, a volte siamo in difficoltà guardando quel che fanno gli altri. Ne parlai anche con il Prefetto Sgalla, ma le parole non sono ancora diventate fatti concreti.

Si è sempre puntato sull’alto numero delle prove…

Ma si potrebbe ragionare sulla loro qualità. E magari scremare un po’ il calendario, sacrificando le prove che non sono in grado di garantire standard soddisfacenti, è il modo di dare sicurezza a tutti e soddisfazione a chi fa le cose per bene.

Un libro, tante storie: caro Marco, sapevi tutto di Michele?

20.02.2022
7 min
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Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.

Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.

Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione

«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».

Era amico di tutti…

Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.

Fai un esempio?

C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appennino dopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.

Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?

C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».

Ti aiuta averlo accanto?

Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.

Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?

Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.

Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?

Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista. 

Che cosa gli ha tolto il ciclismo?

Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.

Che risposta ti sei dato?

Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.

Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…

Tu però vai avanti…

Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.

La sicurezza stradale…

Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.

Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…

In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…

In cosa Michele e Marco si somigliano?

Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…

E poi?

Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.

Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?

Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.