Il record (intatto) del Team Columbia, Pinotti racconta il 2009

19.11.2024
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Qualche giorno fa, Fabio Baldato ha rivelato che, nel finale di stagione, la sua UAE Emirates puntava al record assoluto di vittorie in una singola annata. Ci sono andati vicini, fermandosi a quattro lunghezze dal superbo bottino del Team Columbia – HTC.

Era il 2009, un anno davvero straordinario per la squadra statunitense, che concluse la stagione con uno storico record di 85 vittorie su strada, un’impresa che ha segnato un’epoca nel ciclismo moderno. La squadra, guidata dal carismatico direttore sportivo Bob Stapleton, dimostrò una versatilità senza precedenti, con successi ottenuti da 16 corridori diversi e in gare di ogni tipo: dalle classiche alle corse a tappe, passando per gli sprint più spettacolari.

Il Team Columbia – HTC aveva una vocazione fortemente improntata sugli sprint. A dare un supporto tecnico esterno c’era anche Zabel
Il Team Columbia – HTC aveva una vocazione fortemente improntata sugli sprint. A dare un supporto tecnico esterno c’era anche Zabel

Cav più Greipel, uguale 43

Il mattatore indiscusso di quel team, e di quell’anno, fu senza dubbio Mark Cavendish, autore di ben 23 vittorie. Lo sprinter dell’Isola di Man dominò le volate con una superiorità schiacciante, imponendosi come il velocista più forte al mondo. Tra i suoi trionfi spiccano le sei tappe al Tour de France, culminate con l’iconica vittoria sugli Champs-Elysees, la Milano-Sanremo e numerosi altri successi nel calendario WorldTour.

Cavendish vinse almeno una tappa in ogni corsa a tappe a cui partecipò, inclusi tre successi al Giro d’Italia. Fu, di fatto, il suo miglior anno in termini di vittorie, anche se il titolo mondiale arrivò due anni dopo.

E André Greipel? Oltre a Cavendish, il Team Columbia-HTC brillò grazie ad André Greipel, che non fu da meno con 20 successi. Il “tedescone” impressionò vincendo in Australia a gennaio e chiudendo la stagione con un trionfo a metà ottobre in Francia. Solo loro due totalizzarono 43 vittorie, un risultato straordinario. Merito anche del formidabile ultimo uomo Mark Renshaw, che non vinse alcuna gara in quell’anno, ma fu determinante nella costruzione dei successi della squadra. In questo “treno” di velocisti non va dimenticato il giovane talento Edvald Boasson Hagen, che raccolse 13 vittorie, tra cui la Gand-Wevelgem e una tappa al Giro.

Greipel e Martin: due assi che poi nel corso degli anni mostrarono il loro talento
Greipel e Martin: due assi che poi nel corso degli anni mostrarono il loro talento

Quanto talento

E poi c’erano tutti gli altri. Nel 2009 si mise in luce un giovane Tony Martin, che sfoggiò prestazioni eccezionali a cronometro e cominciò a costruire la sua carriera da specialista, battendo avversari come Fabian Cancellara al Giro di Svizzera.

Il team Columbia-HTC eccelse anche nelle cronometro, ottenendo numerosi titoli nei campionati nazionali.

Tra questi, spicca il successo di Marco Pinotti, che racconta: «Il seme di quel team nacque nell’inverno 2007-2008, dopo il ritiro della T-Mobile. La squadra era già formata, ma rimase scoperta per un po’. Bob Stapleton, il team manager, cambiò la mentalità. Eravamo un gruppo emergente di giovani, anche se io non ero più giovanissimo, avevo 32 anni, ma uno spirito ancora fresco. Quel team era costruito per uomini veloci: Cavendish esplose l’anno prima e Greipel nel 2009. Tra i due c’era una sana competizione. Inoltre, vedendo come andarono le cose negli anni successivi, quel team era pieno di talento. Boasson Hagen, il giovanissimo Martin, Lofkvist (che vinse la Strade Bianche, ndr)… Ricordo che al Giro d’Italia 2009 vincemmo 5 tappe con 5 corridori diversi».

Quell’anno Pinotti vinse il titolo nazionale a crono
Quell’anno Pinotti vinse il titolo nazionale a crono

Pinotti tra i pilastri

Pinotti spiega anche come Michael Rogers e George Hincapie fossero i “capitani” naturali della squadra.

«Rogers per le corse a tappe e Hincapie soprattutto per le classiche. Non feci il Tour con lui, ma spesso eravamo insieme. Si era creato un bel clima e quel record di vittorie fu più una conseguenza che un obiettivo. Anche se ad un certo punto della stagione il nostro addetto stampa iniziò a evidenziarlo sempre di più nei report mensili. Lui contava oltre 100 vittorie includendo anche il team femminile».

La competitività interna era altissima: «Eravamo così tanti a voler vincere che in riunione quasi si litigava… in senso buono, ovviamente. Eravamo come la UAE oggi, con strategie diverse a seconda della presenza o meno di un velocista».

Anticipando anche Pinotti, Kanstantsin Siutsou andò a prendersi la tappa di Bergamo al Giro 2009
Anticipando anche Pinotti, Kanstantsin Siutsou andò a prendersi la tappa di Bergamo al Giro 2009

Quel giorno a Bergamo

Pinotti ricorda anche un’occasione mancata. La squadra vinse tanto, puntava soprattutto alle tappe e alle corse di un giorno, non aveva il leader assoluto per le corse a tappe, ma in questo continuo puntare ci fu spazio persino per qualche rimorso. Uno dei quali riguarda proprio Marco al Giro 2009.

«Una corsa che ho sul groppone? La tappa di Bergamo al Giro 2009. Vinse il mio compagno Siutsou, ma avrei voluto vincerla io. Conoscevo bene quelle strade, ero pronto a partire dopo un sottopassaggio a Nembro. Sapevo che quel punto era favorevole, ma nella discesa precedente Siutsou prese vantaggio. Anche lui conosceva quelle strade. Ero contento per lui, ma dispiaciuto per me».

George Hincapie era uno dei veterani e leader della Columbia – HTC
George Hincapie era uno dei veterani e leader della Columbia – HTC

Un modello di squadra

In quel 2009 il Team Columbia-HTC ha ridefinito gli standard di successo nel ciclismo moderno, dimostrando l’importanza di strategia, coesione e talento distribuito. Ancora oggi quell’annata è ricordata come una delle più dominanti nella storia del ciclismo su strada.

«Le vittorie della UAE Emirates hanno un peso diverso, perché ottenute in un ciclismo completamente cambiato. Ma la nostra fu una bella avventura», conclude Pinotti.

Anche sul fronte tecnico, quel team rappresentò un’innovazione. Le bici Scott utilizzate erano il frutto di ricerche avanzate, con un’attenzione particolare agli aspetti aerodinamici, mutuata dall’esperienza dell’azienda nello sci. Un approccio scientifico che, di lì a poco, avrebbe ispirato squadre come il Team Sky (oggi Ineos Grenadiers).

Cronoman e statura. Remco resta una particolarità

01.10.2024
5 min
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Remco Evenepoel ci ha anche scherzato su qualche giorno fa dopo aver rivisto il titolo iridato contro il tempo: «Per fortuna che ero sul gradino più alto del podio altrimenti con questi due spilungoni ai miei lati neanche sarei entrato nelle foto». I due spilungoni erano Filippo Ganna ed Edoardo Affini, entrambi più alti di un metro e 90. Ma questa frase ha sollevato una questione interessante: l’altezza è sempre sinonimo di forza?

Pensiamoci. L’ultimo cronoman di bassa statura di un certo livello fu Chris Boardman e forse Levi Leiphemer, il quale però prima di altri aveva intuito determinate posizioni, altrimenti il gesto della crono è sempre stato a favore dei passistoni alti. Gente che può sfruttare tanti muscoli e leve lunghe.

E tutto sommato anche a Zurigo tra gli juniores e gli under 23 hanno vinto corridori di statura elevata. E prima dell’era Remco bisogna scorrere appunto a Boardman, Catania 1994, per trovare un iridato contro il tempo più basso di un metro e 75 centimetri. Ricordiamo che Remco Evenepoel è alto 171 centimetri.

Boardman è stato uno degli iridati a crono più bassi: era alto 174 cm (foto Getty Images)
Boardman è stato uno degli iridati a crono più bassi: era alto 174 cm (foto Getty Images)

Sentiamo Malori

La stazza quindi conta? E fino a che punto? Ne abbiamo parlato con i due italiani forse più esperti in materia: Adriano Malori e Marco Pinotti.

«Remco è piccolo, è vero – spiega Malori, 1,82 di statura – ma quel che conta è la muscolatura. Torniamo indietro di qualche anno. C’era Cancellara che vinceva poi venne Tony Martin. Lui era due spanne più alto, ma al tempo stessa aveva quadricipiti enormi e spalle strettissime. E per questo guadagnava: era super aerodinamico. O al contrario, prendiamo Enric Mas: anche lui è alto, ha leve lunghe e potrebbe andare forte a crono, ma non ha la stessa muscolatura di Remco. E ancora Castroviejo, che è alto 1,71. Lui è forse in assoluto il corridore più aerodinamico come posizione che abbia visto. E’ molto schiacciato, grazie anche alla sua elasticità, ma non ha la stessa potenza e spalle tanto strette, quindi perde qualcosa rispetto a Remco e agli specialisti».

La scena che più ha fatto sorridere dopo i mondiali crono di Zurigo, con “il piccoletto” in mezzo ai due giganti
La scena che più ha fatto sorridere dopo i mondiali crono di Zurigo, con “il piccoletto” in mezzo ai due giganti

Il fisico di Remco

Malori entra nel dettaglio dell’analisi della fisionomia di Evenepoel. Remco è un brevilineo: «Ma anche le braccia relativamente lunghe e questo unito alle spalle più piccole rispetto ai cronoman puri gli consente di distendersi e chiudersi bene. Ecco quindi che ha il fisico perfetto per andare forte a crono. Non solo, ma questa sua caratteristiche si riscontra anche su strada. Perché quando attacca a 60 chilometri dall’arrivo fanno fatica riprenderlo? Perché è potente e super aerodinamico».

Facendo un passo indietro e ipotizzando un paragone con gli specialisti degli anni ’90, per Malori gli sviluppi aerodinamici e le nuove posizioni lo hanno agevolato.

«Consentite infine un commento alla crono iridata. Ganna ha perso il mondiale per 6”, io sono convinto che sia andata così perché il percorso non era del tutto per specialisti. C’era una salita piuttosto impegnativa. E lì Pippo ha pagato non solo in termini di tempo, ma anche di dispendio energetico. Pensateci, l’ultimo vero percorso a crono per specialisti tra mondiali ed olimpiadi qual è stato? Quello delle Fiandre 2021 e chi ha vinto?». La risposta è implicita e dice proprio Ganna.

Anche Castroveijo secondo Malori è super aerodinamico, ma ha spalle più larghe e meno forza rispetto a Remco
Anche Castroveijo secondo Malori è super aerodinamico, ma ha spalle più larghe e meno forza rispetto a Remco

Parola a Pinotti

Da Malori passiamo a coach Marco Pinotti. Una brevilineo tra gli spilungoni.  «Parlo dei mio caso – dice Pinotti, alto 1,76 – e nel contesto dei miei tempi. Io non avevo una grande potenza assoluta, ma avevo una buona posizione, una posizione stabile che mi consentiva di spingere bene. Remco oltre ad avere un cda (coefficiente aerodinamico, ndr) ottimo, ha anche un grande motore, una grande potenza, che unito ad un’ottima posizione ne fa un grande cronoman».

La sua abilità in questa disciplina quindi da dove viene? E’ un fattore di watt, di aerodinamica, di posizione…

«Per me è di posizione e di conseguenza di aerodinamica. Certamente Evenepoel è un cronoman atipico. Ha il busto corto, una gabbia toracica importante e quadricipiti possenti: tutto ciò lo rende particolarmente adatto al tipo di sforzo che richiede una prova contro il tempo. Chiaro che i watt assoluti contano: un cronoman di alta statura ha più muscoli, più forza, più leva… Remco non avrà mai gli stessi watt di Ganna. Il fatto è che lui ha i watt di un atleta di 65-67 chili, pure essendo più leggero (60-61 chili, ndr). E poi pensiamo a come va in pianura anche su strada».

Sia Malori che Pinotti hanno preso a esempio anche la posizione d’attacco di Evenepoel su strada: anche questa potente e aero
Sia Malori che Pinotti hanno preso a esempio anche la posizione d’attacco di Evenepoel su strada: anche questa potente e aero

Punti di vista

E qui Pinotti ripete esattamente quel che ha detto Malori prima: Remco è aerodinamico “per natura” e per questo riesce ad andare via quando è in fuga. Mentre va in disaccordo con Malori quando si parla di regole.

Secondo Malori le quote fisse, come la distanza fra linea del movimento centrale e punta delle appendici, svantaggiano gli atleti più alti: «In alcuni casi si vede che Ganna è sacrificato in certe posizioni – spiega Adriano – e tutti questi studi sull’aerodinamica, l’evoluzione dei materiali lo hanno aiutato ad ottimizzare la sua potenza». Mentre per Pinotti il ritocco ai regolamenti ha ridato vantaggio anche a questi ultimi e che tutto sommato Remco sarebbe stato Remco anche con materiali e posizioni meno aero.

«Io penso – conclude Pinotti – che la forza di Remco a crono dipenda molto dalla sua posizione. Fate caso a quanto è stabile. Se non fosse per le curve, sulla sua schiena potresti mettere un bicchiere d’acqua e quello non si muoverebbe, questo perché è riuscito a riportare i test in galleria su strada. Tanti in galleria del vento ottengono buone posizioni, ma poi su strada si muovono e molto di quel lavoro decade. Io credo che questa sua stabilità dipenda anche da una buona forza nella parte alta del corpo: spalle, braccia… che gli consentono di sostenersi bene».

Insomma, la regola che il cronoman debba essere alto e potente resta valida: leve lunghe e watt assoluti hanno ancora il loro perché. Poi la cura dell’aerodinamica può aiutare, certamente, ma è Remco Evenepoel la vera eccezione.  

Dislivello e percorso: come si scelgono i rapporti?

29.07.2024
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Spesso abbiamo visto in quest’ultimo Tour de France gli atleti cambiare rapporti e anche al Giro d’Italia Women le cose non sono andate diversamente. Addirittura c’è chi, come Mavi Garcia, ci hanno spiegato che ha una sorta di linea di demarcazione circa la scelta degli ingranaggi da spingere. Sopra ai 2.000 metri opta per la corona da 36 denti, al di sotto lascia la tradizionale corona da 40.

Questa regola vale per tutti? C’è una formula ben precisa? Ne parliamo con Marco Pinotti, tecnico proprio in forza alla Jayco-AlUla dove corre guarda caso anche la stessa Garcia, che ha dato un po’ il “la” a questo argomento.

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Tu, Marco, sei sia un coach che un ingegnere, quindi molto attento anche alla scelta dei materiali: cosa ci dici di questo “split” del dislivello come discriminante per la scelta dei rapporti?

Oggi tutto è molto standard, quindi non è così facile cambiare. Prima la guarnitura classica era con il 53-39, adesso è con il 54-40 però più che dal dislivello la scelta dipende dal percorso. Se ci sono 4.000 metri di livello, però le salite sono pedalabili e ci sono anche tante discese io tengo il 54-40, anzi, magari metto il 55. Uno pensa solo alle salite ma ci sono anche le discese. E poi com’è l’arrivo? Veloce, tira a scendere? O al contrario sale?

Quindi non esiste una formula che faccia da spartiacque insomma…

No, ripeto comanda il percorso. Il dislivello non può e non sempre dice tutto. Magari l’intera tappa ha solo 1.200 metri di dislivello, ma il finale è su uno strappo al 20 per cento e lì ti serve il 36. Magari potresti montare il 52, ma solo perché è più facile e meno rischiosa la cambiata. Semmai c’è uno standard di rapporti per cui ti alleni.

Cioè?

Magari fai il 95 per cento dei tuoi allenamenti con determinati rapporti e il restante 5 provi altro. In ogni caso non è il dislivello che conta, ma più le pendenze. E in questo caso l’esigenza di provare altro.

L’avvento del 12 velocità ha ridotto notevolmente i cambi di rapporto e standardizzato molte scelte tecniche
L’avvento del 12 velocità ha ridotto notevolmente i cambi di rapporto e standardizzato molte scelte tecniche
In questa scelta, Marco, sono più sensibili gli uomini o le donne?

Dipende dai singoli atleti. Diciamo che con le donne forse serve un pizzico in più di attenzione: hanno meno forza quindi i rapporti sono un pochino più agili in generale. E lo sono anche perché sviluppando velocità più basse, per forza di cose per mantenere una certa cadenza vanno alla ricerca di rapporti più corti. Quindi magari loro quando ci sono frazioni dure tendono a cambiare un po’ di più (a ridurre le corone soprattutto, ndr)

L’avvento delle scale ampie come l’11-30 o ancora di più l’11-34, ha inciso nelle scelte tecniche?

Certo, sia perché i salti tra un dente e l’altro sono più ampi, sia perché di base si cambiano molto meno le scale posteriori. In più va detto con le 12 velocità anche questi salti si sono ridotti. E questo è molto comodo per meccanici e atleti che ad ogni tappa non devono stare lì a trafficare con il pacco pignoni.

C’è stato un caso in cui ti sei un po’ trovato al limite con la scelta dei rapporti per i tuoi atleti?

Su strada ormai no, proprio per il discorso appena fatto dell’ampio range delle dentature moderne. A crono invece un po’ sì. Forse in qualche caso il monocorona con l’11-34 può essere un po’ atipico. Penso forse alla crono dell’anno scorso al Tour.

I velocisti (qui Caleb Ewan) in salita vanno alla ricerca dell’agilità
I velocisti (qui Caleb Ewan) in salita vanno alla ricerca dell’agilità
Perché?

Avevi magari un plateau 58-42 il che rappresenta un bel salto, sono 16 denti. E con quel dislivello e quelle pendenze della crono di Combloux la scelta non era scontata. E infatti noi allertammo un po’ i nostri corridori che scelsero la soluzione del 58-42. Gli dicemmo di stare un filo più tranquilli con la pedalata durante la cambiata, soprattutto quando la catena doveva salire dal 42 al 58. In discesa c’è il “dente di cane” e il rischio è poco, posto che comunque resta. Mentre in salita non è così scontato che stando del tutto in tiro questa salga facilmente.

Marco, nella scelta dei rapporti sono più sensibili i passisti o gli scalatori?

I velocisti, probabilmente. I passisti i rapporti li girano bene. I velocisti invece sono sensibili sia quando c’è da fare una volata che in salita.

Spiegaci meglio…

In volata sono molto attenti alle caratteristiche dell’arrivo: se tira, se è piatto, se c’è vento… Li vedi che sono lì a scegliere tra 56, 55, 54 o anche più se vogliono fare lo sprint con il 12. E lo stesso vale per quando devono affrontare le tappe in salita. Vanno alla ricerca di un rapporto che gli consenta di salire senza fare troppa fatica, o meglio: di far girare la gamba. Insomma è più facile trovare uno sprinter col 36 piuttosto che uno scalatore. E qui ritorniamo un po’ al discorso di prima delle velocità. In salita il velocista va più piano e cerca dentature più corte per fare cadenza.

Ultima crono (dura): specialisti in crisi, comandano le gambe

25.07.2024
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Si avvicina a grandi passi l’appuntamento olimpico, ma prima di chiudere la porta sul Tour, vogliamo condividere con voi alcuni approfondimenti. Uno riguarda la cronometro di Nizza, che ha suggellato il podio francese e a ben vedere avrà riflessi anche sulle sfide olimpiche di sabato. E’ singolare e insieme indicativo che il podio dell’ultima tappa abbia ricalcato alla perfezione quello finale. Evenepoel è stato al di sotto dei suoi standard di specialista? Va bene Pogacar, ma Vingegaard così forte era prevedibile anche contro il tempo?

A Nizza c’era anche Marco Pinotti, allenatore del Team Jayco-AlUla, che in carriera ha vinto per due volte l’ultima crono del Giro. Nel 2008, battendo Tony Martin a Milano su un percorso velocissimo: 51,298 di media. Nel 2012, battendo Geraint Thomas ancora a Milano, a 51,118 di media. Proprio in quest’ultimo caso, la maglia rosa si giocò in quell’ultima tappa, con Hesjedal che recuperò i 31 secondi di ritardo da Purito Rodiguez e conquistò il Giro con vantaggio finale di 16 secondi. Ugualmente, nella classifica di tappa finirono 6° e 26°.

«Il percorso dell’ultima crono – dice Pinotti – era meno adatto a Remco, rispetto a quella che ha vinto nella prima settimana. Era una crono dura e lui è finito terzo, perché ha perso la maggior parte del tempo nella prima parte, quella in salita. Nella parte finale invece, sei minuti tutti in pianura, lui ha fatto il miglior tempo. Secondo Campenaerts, terzo Matthews. Sesto in quel tratto è stato Vingegaard, mentre Pogacar addirittura ottavo o nono, però lui negli ultimi due chilometri ha rallentato. Quindi un parziale in linea con quello che ci saremmo aspettati in una crono piatta, cioè Remco più veloce».

Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Invece nei tratti precedenti?

Dal secondo al terzo intertempo c’era la discesa e Pogacar ha fatto il miglior tempo, perché abita lì. Jorgenson il secondo. Almeida, Buitrago e Tejada hanno fatto una bella discesa perché si giocavano il piazzamento. Sono andati bene anche Ciccone e Matthews, gente che ci vive o che ci ha vissuto. Remco è andato come Yates, che era in ritardo ai primi intermedi ma sempre intorno all’ottavo, nono posto e nell’ultimo tratto è scivolato tutto indietro. Nel senso che era in ritardo in salita e una volta che si è reso conto di non poter vincere la crono, non ha preso rischi. Si è visto che in discesa non era proprio lineare nelle curve.

Quindi un risultato che si poteva scrivere anche prima che corressero?

Alla fine di un Grande Giro è sempre così, quelli di classifica sono più performanti. Primo, perché ultimamente dedicano anche loro tanto tempo all’allenamento e all’aerodinamica. E poi perché quel percorso ha penalizzato gli specialisti. Campenaerts nell’altra crono era arrivato 5° a 52″ da Evenepoel: a Nizza invece è finito 13° a 3’14” da Pogacar. La prima non era una crono piatta, però Evenepoel l’ha fatta a 52,587 di media. A Nizza, Pogacar ha fatto 44,521, vuol dire che è stata dura. Quindi è normale che siano arrivati davanti quelli di classifica, che avevano più riserva. Specialisti non ce n’erano, tranne Campenaerts e Sobrero. Matteo mi ha detto di averla fatta a tutta. E’ arrivato 19° e con le forze che gli erano rimaste si è preso quasi 4 minuti.

In conferenza stampa Remco ha detto che la discesa era troppo pericolosa e avendo l’obiettivo delle Olimpiadi non ha voluto rischiare.

Può essere, perché la discesa non era semplicissima. Se uno abita lì e va a farla cinque volte al mese, è un’altra cosa. Non era pericolosa, però c’erano tantissime curve, dove se sei sicuro di poter lasciare i freni, guadagni 13-14 secondi. Invece nell’altra crono, Remco aveva fatto una bella discesa, perché magari l’aveva vista 2-3 volte come gli altri. E poi a Nizza, una volta che non aveva il miglior tempo in salita, cosa aveva da guadagnare a rischiare? Il terzo posto era consolidato e il secondo irraggiungibile. Avrà visto negli intertempi dov’era rispetto a Vingegaard, ha capito che la crono non la vinceva e ha deciso di non prendere rischi.

Secondo te chi ha puntato al cambio di bici ha fatto un passo falso?

C’era una strategia alternativa possibile: partire con la bici da strada e cambiarla in cima alla seconda salitella. Però c’erano 3 chilometri piatti all’inizio e già lì, con la bici da crono rispetto a quella da strada, guadagnavi minimo 15 secondi. Poi speri di riguadagnarli in salita con la bici più leggera? Può essere, ma sulla prima salita andavano a 24 di media, Pogacar anche a 28. A quelle velocità la bici da crono è ancora vantaggiosa. Altra cosa: noi abbiamo avuto da poco la bici da crono con i freni a disco. E se c’è un feedback che tutti mi hanno dato è di trovarsi meglio come guidabilità anche rispetto alla bici da strada. L’unico svantaggio resta il peso, perché una bici da crono pesa mediamente un paio di chili in più.

Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Uno svantaggio che riesci a colmare con le velocità?

Vi faccio questo esempio. Io ho seguito Durbridge e avevamo davanti Silvan Dillier, che correva con la bici da strada e non andava certo a spasso. Vedendo come muoveva le spalle, si stava impegnando. Durbridge è andato regolare, eppure gli è arrivato sotto già sulla prima salita. Poi ha recuperato e in discesa Dillier con la bici da strada ci ha staccato perché noi siano andati prudenti. Ma quando siamo arrivati alla parte in pianura finale, si è messo a ruota irrispettoso delle regole, ma dopo un chilometro si è staccato. Lottavano per il 50° posto quindi non so neanche se avrà preso la penalità, però è stato divertente vedere questa differenza. Storia simile con Yates.

Cioè?

Ho seguito anche Simon e davanti a lui è partito Gall, che era 13° in classifica e ha scelto la bici da strada. Mi è sembrata una scelta assurda. Infatti, nonostante Yates avesse la bici da crono, lo ha preso sulla prima salita. L’ha passato in discesa e Gall non è più rientrato. E proprio a causa della crono ha perso una posizione. L’anno scorso a Combloux fu diverso, perché la crono era divisa in due: prima la pianura e poi quasi tutta salita. Però quando la velocità media è sopra il 23-24 all’ora, io prendo sempre la bici da crono.

I ragazzi ti hanno spiegato perché con i freni a disco la bici si guida meglio? 

Prima quando avevi i freni rim e le ruote lenticolari o in carbonio, la frenata non era lineare. Adesso con i dischi è come sulla bici da strada. Prima era un problema cambiare da un giorno all’altro. Adesso frenano allo stesso modo, è un passaggio naturale. Corridori come Sobrero avevano la sensibilità per passare senza problemi da una all’altra, però la maggior parte è contenta di questo cambiamento. Adesso usano la stessa forza, staccano alla stessa distanza dalla curva e la frenata è più lineare.

Cambiando argomento, in casa UAE Emirates hanno sottolineato l’importanza della doppia guarnitura 46-60 con 11-34 dietro: perché secondo te?

Partiamo col dire che a Nizza serviva la doppia corona, la mono non andava bene. Se avessi dovuto scegliere, avrei voluto un 60-44, che per noi non era disponibile. Noi avevamo il 58 come corona più grande, l’ideale sarebbe stato un 60 o un 62, perché gli ultimi chilometri erano proprio veloci. Perciò Pogacar con il 60 è andato bene e in salita con il 46×34 era giusto. Secondo me aveva il 46-60 perché il limite del salto tra le due corone sono 14 denti. Io ho chiesto di avere il 44-60: se riescono, siamo a posto perché avremmo una copertura più grande di percorsi. Il 46×34 lo spingi bene, ma idealmente sarebbe meglio avere il 44×30, così ho una scala più lineare. Se metto il 34, uno fra il 17 e il 19 devo tenerlo fuori, invece con il 30 potrei rimetterlo. Però comunque il 46-60 è stato una buona scelta.

Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Perché è stato giusto non usare la monocorona?

Si può usare quando c’è una strada molto veloce o una discesa. Però di solito, se c’è una discesa, prima c’è stata una salita. E se, come in questo caso, non è pedalabile, allora ti serve la doppia corona. Non puoi correre con il 62×38. Anche perché se usi il 62, già passare dal 13 al 14 è un bel salto rispetto a quando hai il 53. Se poi mi togli anche dei rapporti dietro e ne fai due ogni volta per montare il 38, finisce che ti serve anche una catena lunga un chilometro… Io sono più un fan della doppia corona.

Dipende anche dai percorsi?

Ormai mettono sempre sia la salita ripida che la discesa veloce, quindi devi avere l’opzione di due corone. La mono va bene nella crono di Desenzano al Giro, ma già in quella di Perugia secondo me non andava (Pogacar che ha vinto aveva la doppia, Ganna che ha fatto secondo aveva la monocorona, ndr). Le crono più belle in un Giro sono quelle dove ci sono salita e discesa. Diverso magari se si parla di una crono dei mondiali o delle Olimpiadi.

Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
L’anno scorso ai mondiali, la salitella al castello di Stirling premiò Evenepoel e penalizzò Ganna…

Sono scelte che fanno in base ai posti che devono raggiungere, cercando di non favorire i passisti o gli scalatori. Le Olimpiadi ad esempio quest’anno strizzano di più l’occhio agli specialisti, ma non so con quale criterio l’abbiano disegnata così. Chi organizza fa una proposta. Poi c’è una commissione che approva e penso che scelgano un percorso che possa creare la massima indecisione nella vittoria. In un Giro invece è diverso. E soprattutto la crono finale, se la fai dura, sai già che arriveranno davanti quelli di classifica. Al netto di ogni ragionamento, è così che va a finire.

Pinotti e la nuova Paternoster: «Bisogna lavorare di più»

14.04.2024
4 min
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Allo stesso modo in cui, vinto il Fiandre, Elisa Longo Borghini ha ringraziato Paolo Slongo, nelle parole di Letizia Paternoster è risuonato più volte quello di Marco Pinotti. La trentina non ha ancora vinto grandi corse su strada, ma è innegabile che rispetto allo scorso anno le prestazioni di questa primavera siano nettamente superiori. Per cui si è accesa la stessa curiosità. E come qualche giorno fa contattammo Paolo Slongo sul Teide, ora è la volta di Pinotti che risponde da Andorra. Si lavora in funzione del Giro d’Italia, i preparatori in questa fase hanno le loro tante cose da fare.

Letizia Paternoster è sempre stata allenata da Dario Broccardo, Maestro dello Sport che con Pinotti collaborò negli anni della BMC. Tutto quello che sa sulla cronometro a squadre, ammette onestamente il bergamasco, l’ha imparato dal tecnico trentino. Allora in che modo Marco è entrato nella routine della “Pater”?

«Ci tengo a confermare – inizia – che Letizia è sempre seguita da Broccardo. Ma io mi occupo di sovraintendere alla preparazione degli atleti, per cui quando lo scorso anno è arrivata, ho iniziato a seguire anche il suo lavoro. Devo dire che la prima sensazione era che non lavorasse abbastanza e soprattutto mi sono accorto che non caricava i file. Siccome non sono uno che le manda a dire, gliel’ho fatto presente e forse lei ha visto in questo una forma di attenzione. A un certo punto, all’inizio del nuovo anno, mi ha chiesto in che modo avrebbe potuto cambiare la preparazione. Voleva fare bene al Nord, ma era febbraio e non c’era tanto tempo. Io ho obiettato che avremmo dovuto parlarne con Broccardo, ma mi ha detto che lo avrebbe fatto lei. E così ho cominciato a darle qualche consiglio».

Crono di Monte Lussari al Giro 2023: Pinotti sulla moto alle spalle di Filippo Zana
Crono di Monte Lussari al Giro 2023: Pinotti sulla moto alle spalle di Filippo Zana
Parlando di te, Letizia ha fatto riferimenti alla necessità di crescere nell’esperienza e nella resistenza.

E ha ragione. E’ certamente un’atleta di talento, che però da solo non basta. Bisogna lavorare: gliel’ho detto subito. Si è visto alla Roubaix. Le sono mancati gli ultimi 20 chilometri, proprio perché non ha la resistenza di base necessaria. Ma ugualmente, anche se 21ª a 2’14”, è stata la migliore delle nostre e questo conferma il talento. Invece per il discorso dell’esperienza, mi chiedeva chi curare e come muoversi in gara.

E tu?

E io, consapevole che sia adatta a quelle corse, le ho dato qualche consiglio. Ero consapevole che non avessimo una squadra per chiudere sugli attacchi delle altre, soprattutto alla Roubaix, e che lei non potesse seguirle tutte. Al Fiandre siamo andati bene e tutto sommato anche alla Roubaix finché le gambe hanno tenuto.

Hai parlato di poco lavoro.

Quando mi ha cercato, sono stato un po’ duro. Le ho detto che non avrei voluto perdere tempo. Avevo visto da poco un suo file e c’era scritto che aveva fatto 5 ore a 90 watt medi. Davanti alla mia durezza, deve aver apprezzato il fatto che io guardassi quotidianamente il suo lavoro. Si è sentita supportata e si è rimboccata le maniche. Le manca l’abitudine a certe distanze, ma si sta impegnando e i risultati si iniziano a vedere.

Dario Broccardo, Maestro dello Sport trentino, è stato tecnico federale e ha collaborato con la BMC. Qui a Richmond 2015 con Oss e Quinziato
Broccardo è stato tecnico federale e ha collaborato con la BMC. Qui a Richmond 2015 con Oss e Quinziato
Sentendola parlare, è parsa un’atleta più consapevole.

E’ più matura, ma questo fa parte del processo di crescita. Sta imparando a fare le sue scelte, facciamo l’esempio della Roubaix. Dopo il Fiandre, avrebbe dovuto lavorare su pista. A noi come squadra è un discorso che interessa relativamente, ma ci siamo impegnati a lasciarla libera di andare. Invece lei ha deciso di voler tornare su per correre ancora. Mi ha detto che per Broccardo andava bene: ci ha parlato lei. Ha fatto un giorno in pista e poi è tornata al Nord.

In che modo state gestendo la preparazione olimpica?

Ho parlato con Dario. In questa fase stiamo valutando che non facendo il Giro d’Italia, Letizia potrebbe non avere un programma abbastanza importante in vista di Parigi. Come squadra, corriamo il Thuringen Ladies Tour con la Devo Tem, quindio lei non può partecipare. Quindi farebbe la Ride London e il Womens Tour, che è poco. Altre faranno un calendario più pesante di lei.

Nella Coppa del mondo di Milton, per Paternoster arriva l’argento nell’eliminazione (foto FCI)
Nella Coppa del mondo di Milton, per Paternoster arriva l’argento nell’eliminazione (foto FCI)
Perché non può fare il Giro d’Italia?

Perché finisce il 14 luglio e non avrebbe tempo per fare i lavori specifici che servono per la pista.

Non credi che questa sovrapposizione con Broccardo potrebbe generare qualche confusione?

Dario la conosce da tempo e lei si fida. Non so come andrà avanti la collaborazione. Se mi chiederà consiglio, io glielo darò. Ma Dario è uno bravo e con lo studio può certamente tenersi al passo con le nuove tendenze della preparazione. Certo che Letizia ha bisogno di lavorare di più: quello che faceva prima non può assolutamente bastare.

Cronosquadre: un allenamento, mille benefici. A lezione da Pinotti

22.01.2024
4 min
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Proprio in questi giorni, specie nella settimana che si è appena conclusa, i team hanno lavorato molto sulla cronosquadre. Perché? In fin dei conti in programma, al momento ce ne sono solo due: quella della Parigi-Nizza e quella della Coppi e Bartali (che neanche è WorldTour). 

Il fatto che le squadre ci abbiano lavorato tutte e per di più negli stessi giorni ci ha incuriosito e per questo abbiamo chiamato in causa Marco Pinotti, tecnico della  Jayco-AlUla. Il grande ex cronoman italiano era in Spagna al seguito dei suoi ragazzi, almeno per la prima di queste sessioni di cronosquadre.

Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco, dunque, perché si lavora sulla cronosquadre se poi questa disciplina è praticamente assente dai calendari? 

La spiegazione è semplice: si lavora sulla cronosquadre perché questi sono gli unici momenti dell’anno in cui si hanno a disposizione tutti, o quasi, i ragazzi insieme. Secondo motivo: le strade della Costa Valenciana consentono di svolgere questo lavoro con una certa sicurezza ed efficienza.

Però di cronosquadre ce ne sono talmente poche che si potrebbe pensare di farla fare solo a coloro che eventualmente saranno chiamati in causa, no?

Dobbiamo però pensare che è un esercizio che va comunque curato. Un professionista deve saperlo fare. E poi, e questo è un aspetto centrale, è molto utile ai fini della preparazione. Puoi fare doppia fila, lavorare a velocità più alte, far fare certi ritmi anche ai corridori da grandi Giri… E’ un lavoro tecnico che ha i suoi benefici.

Come stare in sella appunto su una bici da crono…

Esatto. Spendi del tempo su questa bici in modo, se vogliamo, anche più allegro. Una cronosquadre deve essere nell’arsenale di un corridore, anche se in stagione ce ne saranno solo due. Forse tre, se dovesse disputarsi quella della Delfinato.

Girmay approfitta dei compagni per simulare “dietro motore” a pochi giorni dalla partenza per il Down Under (foto Instagram)
Girmay approfitta dei compagni per simulare “dietro motore” a pochi giorni dalla partenza per il Down Under (foto Instagram)
Tu in passato ci lavoravi, però all’epoca c’era anche il mondiale per squadre…

E infatti ai tempi in cui ero nella Bmc, questi lavori si facevano sin da dicembre. Il mondiale chiaramente portava una motivazione diversa per lavorare su questa disciplina. Un velocista difficilmente andrebbe sulla bici da crono da solo e invece può essere utile anche per le sue caratteristiche fisiologiche. Pensiamoci un attimo: la sua volata dura 15”-20”, ebbene passa in testa a tirare per 20”-30” poi recupera e di nuovo torna in testa a prendere aria. La stessa cosa vale per lo scalatore, non tanto per lo sforzo, ma perché si abitua a sviluppare certe velocità. Per lui è un po’ come simulare il dietro motore, ma con un lavoro di miglior qualità ed efficienza.

Lavorare per la cronosquadre significa anche sviluppare i materiali?

No, quello si fa individualmente e in altro modo. E’ utile, specie per i neopro’ e i più giovani, per sviluppare le loro posizioni e il feeling con i materiali. Un conto è uscire da soli con la bici da crono: ad andare a 50 all’ora, dopo un po’ fai fatica. Con i compagni invece viaggi costantemente a 55 e più. Quindi prendi un certo feeling con la bici a determinate velocità, senti e capisci il comportamento delle ruote…

Perché quelle sono da gara?

Sì, quelle sì. Se non ci sono condizioni particolari si utilizza un setup da gara, almeno per la bici. Magari non si hanno il body e il casco aero. Siamo sempre su strada con traffico aperto e alcuni modelli hanno le orecchie coperte, non ti fanno sentire bene determinati rumori, clacson…

Come si svolge un allenamento per la cronosquadre?

Di solito, prima di partire, si dà una spiegazione del percorso che si andrà a fare e come. Poi c’è una macchina davanti e una dietro. Ormai nella zona di Calpe abbiamo un percorso collaudato e lì andiamo. Il primo giro non lo si fa a tutta e diventa una sorta di ricognizione, utile soprattutto ai nuovi arrivati. 

Un’auto davanti e una dietro, così Pinotti “blinda i suoi ragazzi. Lo stesso fanno comunque anche gli altri team
Un’auto davanti e una dietro, così Pinotti “blinda i suoi ragazzi. Lo stesso fanno comunque anche gli altri team
I ragazzi hanno la radio?

Non tutti, giusto un paio che fanno da referenti. Parli con loro per dirgli di stare attenti alla rotatoria, al bivio, all’ostacolo… Darla a tutti sarebbe complicato.

Quali dati si ottengono, Marco?

Dipende dagli esercizi che si vanno a fare. Sono principalmente dati soggettivi: dopo la sessione parlo con i ragazzi e ascolto i loro feedback, osservo molto il loro linguaggio non verbale. Posso fare dei confronti con gli anni precedenti magari riguardo alle velocità, le frequenze cardiache, ma poi dipende molto dal vento che c’è, se girano in otto o in cinque… Le variabili sono parecchie. Semmai, appunto parlando con i ragazzi, si prendono dei feedback che poi verifichiamo in pista e la settimana successiva li riportiamo poi anche su strada.

Gruppi diversi: come li fai?

Eh, volete sapere troppe cose! Questo è un aspetto molto importante, che può incidere sulla prestazione…

Crono e lavori specifici: non solo Roglic li fa sui rulli

06.12.2023
7 min
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«Se fossi ancora corridore – riflette Marco Pinotti alla fine della chiacchierata – forse anche io farei sui rulli i lavori specifici per la crono. Sempre che la pista su cui li ho sempre fatti fosse chiusa. Altrimenti non avrei dubbi e tornerei a Dalmine…».

Un passaggio dell’incontro con Giampaolo Mondini, parlando dell’arrivo di Roglic alla Bora-Hansgrohe e di conseguenza su bici Specialized, continuava a risuonarci nelle orecchie. Per mandare via il ronzio, serviva un esperto di crono e preparazione, per cui ci siamo rivolti a Marco Pinotti.

«Una cosa molto interessante che mi ha detto Primoz – aveva raccontato Mondini – è che lui usa la bici da crono anche tre volte a settimana, però sui rulli, come fanno i triatleti (in apertura, lo sloveno sui rulli in un’immagine da Instagram, ndr). Magari prima fa l’uscita su strada, poi se deve fare un’ora di variazioni di ritmo, le fa sui rulli. Mi ha spiegato che è soprattutto un fatto di sicurezza, perché i lavori con la bici da crono si fanno ad alta velocità e le strade di Monaco non sono le più adatte».

La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)
La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)

Un’abitudine diffusa

In realtà, quella che poteva sembrare un’originalità dello sloveno ha preso la forma di un’abitudine ormai radicata: «Anche qua (riferendosi alla Jayco-AlUla di cui Marco è preparatore, ndr) tanti australiani fanno lavori sui rulli – è stata la prima risposta di Pinotti su whatsapp – per una questione di sicurezza delle strade e per mantenere la posizione. Io li facevo in pista».

E allora andiamo a capire quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli e se ci siano delle criticità, legate ad esempio alla dimestichezza con la bici, ai valori fisiologici espressi e alle temperature che si raggiungono sui rulli. Pinotti prende il filo del discorso e si incammina.

«Il primo con cui ho avuto questo tipo di esperienza – dice – è stato Patrick Bevin, il neozelandese che avevo quando eravamo al CCC Team. L’ho seguito per un anno e mi diceva che i lavori specifici li faceva sui rulli. Io ne prendevo atto, anche se viveva a Girona, che non dà l’idea di un posto così trafficato. Non è che fossi troppo favorevole, perché va bene lavorare in posizione, però dopo quando vanno in bici sanno fare le curve? Fra gli australiani è una cosa abbastanza comune. Magari fanno sui rulli il lavoro più impegnativo, poi escono con la bici strada e allungano».

Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)
Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)

Sicurezza e valori certi

Quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli è facile da intuire. Si tratta di quelli che richiedono strada libera perché si svolgono ad alta velocità, con la visibilità limitata dal fatto che con la bici da crono si tende spesso a guardare verso il basso.

«Magari si tratta di lavori di alta intensità – dice Pinotti – e non continui. I classici over-under, cioè un minuto in soglia e due minuti sotto. Oppure 40 secondi sotto e 20 secondi sopra. Lavori un po’ strutturati che su strada sono difficili da programmare. Difficilmente si ha la strada libera e senza traffico o rotonde. Per cui c’è sicuramente la componente della sicurezza e un po’ l’esigenza di fare bene il lavoro. Fare per quattro volte 10 minuti consecutivi su strada non è semplice. Magari puoi aggiustarti un po’ andando a cercare qualche pendenza. Ma se qualcuno è un po’ più fissato sui valori, quindi preferisce avere dati privi di variazioni, allora sul rullo li ha proprio esatti. Potrei obiettare che le curve e l’esigenza di frenare le hai anche in gara, ma se è una necessità legata alla sicurezza, allora alzo le mani.

«Sono lavori che si fanno in pianura, mentre con la bicicletta da strada si fanno per la maggior parte in salita, quindi la velocità è più bassa e c’è meno traffico. Se anche vuoi trovare la strada secondaria in pianura, l’imprevisto può sempre saltar fuori. Perché con la bici da crono vai a 50 all’ora e ti trovi quello allo stop che sottovaluta la velocità del ciclista e si immette lo stesso. Basta un attimo e ci scappa l’incidente…».

E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara
E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara

Meglio in pista

Servono rulli di nuova generazione, chiaramente. Fare certi lavori con quelli di una volta, che frenavano la gomma posteriore e davano una pedalata a scatti, sarebbe impensabile e poco produttivo.

«I nuovi rulli hanno la pedalata molto simile a quella su strada – spiega Pinotti – ma certo non ti danno l’abitudine a guidare la bici fra gli imprevisti della strada. Non perché uno improvvisamente diventi incapace di fare le curve, ma perché comunque stare in posizione e assorbire le folate di vento, che è l’ostacolo principale, è soprattutto un fatto di esperienza. E poi ci sono l’asfalto irregolare, le buche, gli ostacoli improvvisi. Per questo io preferivo andare a fare i miei lavori in salita oppure nella pista di Dalmine

«E’ una pista abbastanza lunga – fa notare Pinotti – alla fine il vento c’è e c’è anche la sicurezza. E poi comunque piuttosto che stare fermo come sul rullo, ti muovi e hai ventilazione naturale. Poi possono esserci tante variabili. Magari Roglic sta sui rulli anche per stimolare l’adattamento al caldo: ci sono tanti studi in questo senso. Ma se lo scopo è solo fare lavori specifici, allora è bene che ci siano ventilazione e temperatura sufficientemente bassa».

Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa
Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa

Watt e sudore

L’adagio è ben noto: un’ora sui rulli, vale come un’ora e mezza su strada. E se questo è vero per il semplice girare le gambe, quando si passa sul fronte dei lavori specifici, che sono brevi e di durata controllata, le cose cambiano?

«A livello generale – sorride Pinotti – una differenza c’è. Se io faccio un’ora e mezza di rulli, in termini di consumo in kilojoule è come farne due su strada. In pratica pedalo sempre e la potenza media che ne deriva viene più alta. Invece su strada c’è il momento in cui non pedalo, per cui la potenza media si abbassa. Invece se parliamo di lavoro specifico, non c’è grossa differenza. Parliamo di piccoli intervalli, quindi se sei a casa e pedali in un ambiente adeguatamente ventilato, dovresti riuscire a non sentire tanta differenza».

Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre
Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre

Ottimizzare il tempo

Però ci piace tornare alla frase da cui questo articolo ha avuto inizio, al fatto che se fosse ancora corridore e fosse impossibilitato a usare la pista, anche Pinotti sceglierebbe di fare i suoi lavori sui rulli.

«Ovviamente – sorride – continuerei a preferire la pista. Però la stagione fredda crea delle situazioni che vanno calcolate. Qui dove abito, d’inverno le strade sono ancora meno percorribili, perché nelle vallate fa troppo freddo. Quindi se l’alternativa fosse vestirmi come un palombaro e fare l’impossibile per trovare una strada su cui fare dei lavori, magari finirei col farli sui rulli. Sarebbe il modo migliore per ottimizzare il tempo e risolvere il problema sicurezza.

«In effetti, se non vuoi fare i lavori in salita, perché non sei comodissimo e stando basso non respiri bene, per avvicinarti al modello della gara dovresti fare i lavori in pianura, dato che la maggior parte delle crono ormai sono in pianura. E non è tanto raccomandabile farli su strade con il limite a 50 e doverlo superare con la bici. Ed è peggio quando dobbiamo preparare la cronosquadre. A volte si affittano gli autodromi, ma non sempre si può. Quest’anno ne avevamo una alla Parigi-Nizza. Ho guardato di trovare una strada adatta intorno Parigi, ma invano. Alla fine abbiamo scelto di non far niente e siamo stati bravi lo stesso (la Jayco-AlUla concluse al 3° posto, a 4″ dalla Jumbo-Visma, ndr).

Parla Artuso: pronto il piano della Bora per Sobrero

18.11.2023
6 min
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L’arrivo di Roglic ha trasformato la Bora-Hansgrohe in un cantiere. Il progetto tocca quasi tutti, dato che il gruppo di lavoro che si va formando attorno allo sloveno sarà ampio e necessariamente di prima qualità. Lo stesso Sobrero, che aveva scelto la squadra tedesca prima che si sapesse di Primoz, potrebbe farne parte. Così si intuisce parlando con Paolo Artuso, che del piemontese sarà il preparatore. Ce ne aveva parlato proprio Matteo, raccontando la sua scelta.

Nel team dei tanti capitani, Artuso segue la preparazione di sette corridori. Bob Jungels, Marco Haller, Dani Martinez appena arrivato dalla Ineos Grenadiers, l’iridato juniores 2022 Herzog, Adria in arrivo dalla Kern Pharma, Aleotti e Sobrero.

«Herzog l’anno scorso – dice l’allenatore veneto, arrivato alla Bora nel 2023 – ha avuto mille problemi, forse legati al Covid. Aleotti è andato forte, ma sempre nei momenti sbagliati. Poi dipende anche dal calendario, perché se vai a fare la Tirreno con Hindley, devi tirare: c’è poco da fare. Per cui da un lato hai la percezione delle buone prestazioni e gli fai i complimenti, dall’altro guardi i risultati e vedi che non ha portato a casa poi molto. Il prossimo anno vogliamo migliorare…».

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Veniamo a Sobrero, che idea ti sei fatto dopo averlo incontrato?

L’ho visto due volte, devo ancora farmi un’idea precisa. Ho parlato con Pinotti che lo allenava, perché abbiamo una buona relazione, quindi ci sentiamo abbastanza di frequente. Mi ha dato un po’ di indicazioni. Lo abbiamo preso per dargli un po’ di spazio, ovviamente, ma anche per supporto ai capitani. Stiamo completando tutti i calendari. Vorremmo che Matteo avesse le sue occasioni prima della Tirreno o della Parigi-Nizza e poi potremmo metterlo al fianco di Primoz. L’idea è di bilanciare le due parti.

Se questo è il piano, va da sé che Sobrero dovrà fare un inverno piuttosto impegnativo…

Un inverno allegro, ma non troppo pesante, perché altrimenti è lunga arrivare alle Ardenne. Ormai si è capito che la differenza nel ciclismo e negli sport di endurance la fai con la consistenza degli allenamenti. Devi lavorare bene per durare tanti mesi. Matteo viene da un bel break invernale, anche più lungo del solito, perché esce da un 2023 con 83 giorni di gara. Tranne uno stacco a maggio, ha gareggiato ogni mese a partire da febbraio. A giugno ha fatto lo Svizzera, poi i campionati nazionali, quindi secondo me doveva fare il Tour. Invece lo hanno mandato in Austria, dove ha vinto, segno che per il Tour sarebbe stato pronto. Poi Polonia e Vuelta, fino alle ultime corse di stagione. A quel punto era stanco mentalmente e per questo gli abbiamo accordato uno stacco più lungo.

Anche Aleotti è fra gli atleti di Artuso: nel 2023 è andato forte, concretizzando però poco
Anche Aleotti è fra gli atleti di Artuso: nel 2023 è andato forte, concretizzando però poco
Però è già andato in galleria del vento.

Sì, a Morgan Hill, per fare tutta la parte di aerodinamica. A breve andremo in pista in Germania per trasformare in qualcosa di concreto tutto quello che abbiamo raccolto in California e ottimizzeremo il tutto nel ritiro di Palma de Mallorca, dove magari faremo ancora un salto in pista. Fra le cose da provare c’è anche il materiale Sportful, con cui torniamo a collaborare. Sono capi molto veloci, per cui si sta lavorando anche su questo.

Che informazioni ti ha girato Pinotti?

Mi ha detto che a livello numerico Matteo ha ottimi valori. La cosa buona è che lui, essendo molto intelligente a livello tattico, fa meno fatica di altri. Questo si vede anche dai file, paragonando la stessa gara fatta da due corridori simili. E si vede che Sobrero risparmia più di altri. Poi Pinotti mi ha spiegato come hanno lavorato e ho notato che abbiamo uno stile di allenamento abbastanza simile, per cui Sobrero continuerà a lavorare in modo coerente.

Il punto più alto della collaborazione fra Pinotti e Sobrero si è avuto a Verona, vincendo l’ultima crono del Giro 2022
Il punto più alto della collaborazione fra Pinotti e Sobrero si è avuto a Verona, vincendo l’ultima crono del Giro 2022
Sobrero ha avuto negli ultimi anni due diverse letture: prima uomo da corse a tappe, poi per le classiche. Voi cosa pensate?

Ho già detto anche a lui che dovremo dividere la stagione in due. Una prima parte fino alla Liegi, in cui la preparazione sarà più improntata su lavori più brevi, anche dal punto di vista della palestra, pur non trascurando il fondo. Dopo le Ardenne si farà un break e nella seconda parte andremo a lavorare maggiormente sull’endurance. Se sarà nel gruppo del Tour, perché io sono sempre un po’ contrario a fare il Giro con uno che ha corso le Ardenne, bisognerà fare delle scelte. Io sto spingendo in questa direzione.

Come arriverà alle Ardenne?

Ci sarà da studiare l’avvicinamento giusto. Possono esserci due corse a tappe, che possono essere Parigi-Nizza o Tirreno, poi Catalunya o Baschi. Sicuramente a febbraio lo porterei a fare un bel blocco di altura con cui saremmo coperti sino a fine aprile. Poi, se i capi accettano il programma, tornerà in altura per preparare il Delfinato e prima del Tour farà il Top Up Camp. Infine, nella terza parte di stagione potrà avere i suoi spazi. C’è il Canada, insomma, ci sono le corse in Italia. Sarà una pedina preziosa per Primoz, ma è anche giusto dargli il suo spazio. E’ giovane e ha dimostrato che può vincere le corse, quindi avrà il mio massimo supporto.

Come nel 2023, Sobrero dovrebbe chiudere la prima parte di stagione a Liegi. Poi stacco, altura, Delfinato e Tour
Come nel 2023, Sobrero dovrebbe chiudere la prima parte di stagione a Liegi. Poi stacco, altura, Delfinato e Tour
Dove farete le vostre alture?

A febbraio sul Teide. Per maggio abbiamo due opzioni, Tignes o Sierra Nevada. Mentre sicuramente a giugno, tra Delfinato e Tour, andremo a Tignes, dove è possibile fare anche qualche ricognizione sulle tappe. Chi invece andrà alla Vuelta, probabilmente farà altura a Soelden, che è sponsor della squadra.

Nelle Ardenne, Sobrero andrà per tirare?

Quella è una questione che compete ai direttori. Se alla Liegi ci saranno Roglic, Hindley e Vlasov, avranno bisogno di appoggio. Mentre forse l’Amstel è un po’ più tecnica, quindi più adatta alle sue capacità tecniche di limatore. La Liegi è la corsa più onesta, se non hai gambe non la vinci.

Hai parlato di palestra: ci sarà per tutto l’anno o sarò soltanto una fase invernale?

In realtà vorrei portarla avanti il più possibile. Quando saremo a ridosso delle corse, la diminuiremo, però l’idea è di fare sempre dei richiami. La palestra ti dà una grossa mano, perché fai i lavori che in bicicletta non sono possibili. Ovviamente però c’è una linea sottile, fra la palestra per migliorare la prestazione o farsi del male. 

Sobrero è volato nella galleria del vento Specialized per lavorare sulla posizione da crono, che è già buona
Sobrero è volato nella galleria del vento Specialized per lavorare sulla posizione da crono, che è già buona
Squadra nuova, preparatore nuovo: cosa si fa invece con la nutrizione?

Rispetto allo scorso anno, abbiamo implementato anche l’attenzione sulla nutrizione. Adesso i nutrizionisti sono tre, perché dal 2024 si aggiungerà Giacomo Garabello che arriva dall’Astana. Così i corridori hanno un riferimento fra tutte le figure dello staff e Sobrero lavorerà proprio con Giacomo e come lui anche Aleotti.

Dove avverrà il debutto di Sobrero in maglia Bora-Hansgrohe?

Ci sono due opzioni. Una è il Saudi Tour, l’altra la Valenciana, una delle due, tra fine gennaio e i primi di febbraio. E da lì in avanti per lui sarà aperta la stagione della caccia.

L’esperienza della Doni, nel WorldTour per una settimana

31.10.2023
6 min
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Tutto è nato da una foto. Era quella di Luca Vergallito insieme a Chiara Doni alla Tre Valli Varesine femminile. Ci aveva stupito alquanto la presenza di Chiara, in divisa Team Jayco-AlUla e Luca ci aveva specificato come si trattasse di uno stage di tre mesi con la formazione australiana offerto alla lombarda, anche lei protagonista dello Zwift Contest anche se fermatasi in finale. Dietro quella foto c’era una storia che vale la pena di essere raccontata, partendo non dalla stessa Chiara ma da chi ha reso possibile quel contatto: Marco Pinotti.

Chiara insieme a Luca Vergallito, con cui ha condiviso la Zwift Academy
Chiara insieme a Luca Vergallito, con cui ha condiviso la Zwift Academy

Un programma molto ridotto

«Avevo seguito con interesse la Zwift Academy e avevo saputo che, al di là della vittoria di Luca, anche la Doni era andata benissimo, vincendo addirittura alcune delle prove, ma non era poi stata selezionata soprattutto a causa dell’età. Ho guardato i numeri che aveva messo in mostra e ho chiesto un po’ in giro, nessuno aveva dato seguito alla cosa, così ho pensato che poteva essere il caso di provarla.

«Gli stagisti possono gareggiare con i team dal primo agosto – prosegue il preparatore bergamasco – il problema però è che nei tre mesi successivi il calendario del team, all’infuori delle gare WorldTour e degli impegni già calendarizzati con le atlete assunte, era molto scarno. Di fatto c’erano a disposizione solamente due date, quella del Giro dell’Emilia e della Tre Valli Varesine. Noi potevamo offrirle questo e lei ha accettato».

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla

Le dinamiche del gruppo

Che impressione ne avete avuto? «Quella di una ragazza fisicamente molto ben preparata, addirittura sorprendente nella sua condotta di gara per un’atleta che non aveva mai avuto alcuna esperienza nel ciclismo professionistico. So che aveva fatto delle Granfondo, ma sono una cosa molto lontana dalle gare vere e proprie e lei stessa se ne è resa conto. Non nascondo anzi che alla vigilia avevo un po’ di timore perché pedalare in gruppo per chi non è abituato a farlo non è per nulla semplice, è anzi rischioso».

E Chiara come se l’è cavata? «Le sue stesse compagne di squadra sono rimaste sorprese di quel che è riuscita a fare, anche se era evidente la sua disabitudine alle dinamiche del gruppo, ancora di più alla Tre Valli che ha un percorso più difficile».

Per Chiara Doni i problemi maggiori erano nello stare in gruppo e tenere le posizioni
Per Chiara Doni i problemi maggiori erano nello stare in gruppo e tenere le posizioni

Un motore invidiabile

Perché allora la cosa non ha avuto un seguito? «Purtroppo non c’erano posti per il team principale per il 2024, con soli 16 contratti disponibili dopo la fusione con la Liv Racing. Io ho provato a spingere per aprire la possibilità di un 17° posto, ma non c’è stato nulla da fare. Forse è pesata la carta anagrafica, forse anche il suo scarso curriculum agonistico. Resto però dell’idea che se magari fosse riuscita a portare un risultato, magari una top 10 in una delle due gare, avrei avuto magari qualche carta in più da giocare per farla assumere».

L’esperienza però si acquisisce, se i numeri ci sono… «E posso assicurare che Chiara li ha, io che un po’ di occhio ce l’ho posso dire che ha uno dei motori più forti dell’intero circuito internazionale. Avrebbe bisogno di fare esperienza in una squadra più piccola, che le permettesse di fare più gare nel corso della stagione, so che qualche team era anche interessato. Ma parliamo di una ragazza che ha anche una professione avviata, deve capire lei se questi sacrifici possono essere sostenuti, se ne vale la pena. Mi dispiace sinceramente che la cosa non si sia ulteriormente concretizzata, perché di qualità ne ha e tante…».

Per Doni quest’anno la vittoria nella Granfondo di New York (foto organizzatori)
Per Doni quest’anno la vittoria nella Granfondo di New York (foto organizzatori)

Un futuro nel gravel

Sono passate le settimane, l’attività è ferma e Chiara Doni è tornata alla sua attività alla sua attività di responsabile assicurazione qualità/affari regolatori e convalida nel settore medicale, con orari di lavoro davvero molto pesanti e giornate che si concludono solo in serata. L’esperienza alla Jayco AlUla le ha fatto maturare una decisione: «Nel 2024 continuerò a correre qualche Granfondo, anche se non mi sento appartenere a quell’ambiente ed a quel tipo di gare. Inoltre, sotto la spinta ed il supporto di Swatt Club, proverò a partecipare a cimentarmi in qualche evento gravel per divertirmi e raggiungere buoni risultati».

Che esperienza è stata? «Bellissima. A cominciare dai giudizi positivi delle compagne, come la Santesteban che per me era un riferimento e una guida e che mi ha detto di essere rimasta stupita per quel che ho fatto. Effettivamente però l’esperienza conta. Faccio un esempio: quando ci si avvicinava a una rotonda, perdevo tante posizioni in gruppo perché non avevo le capacità tecniche per farmi rispettare, così poi dovevo faticare per risalire e spendevo tante energie che alla fine paghi. Magari con un pizzico di fortuna in più avrei anche portato a casa un risultato migliore, soprattutto all’Emilia».

La lombarda fra l’australiana Allen e la trinidegna Campbell. Un’esperienza indimenticabile
La lombarda al fianco di Jessica Allen, una delle colonne del team australiano

Tutto per colpa della catena…

Le immagini di quella corsa sono ancora nitide nella sua mente: «Alla prima frenata sono andata dritta e sono caduta in quanto la bici aveva alcuni problemi all’impianto frenante. Sono rientrata presto, ma l’urto aveva leggermente deformato il cambio, fatto sta che quando mettevo il 32 per andare più agile in salita la catena saltava. La prima volta ho perso 40” per riprendere il gruppo, ma alla curva delle Orfanelle è successo di nuovo e lì sono andati via oltre due minuti. Ho cambiato la bici, ma ormai era tardi per rientrare, però la gara volevo finirla».

Riprovarci? «Non avrebbe senso, metterei a rischio la mia carriera professionale di 12 anni. Fosse stato per uno stipendio nel WorldTour avrebbe avuto una ragion d’essere, altrimenti non saprei come gestire le spese. So che posso dare dai 2 ai 4 anni di attività a pieno regime, ma in un team continental non ne varrebbe la pena».

Chiara con la maglia dello Swatt Club. Quest’anno ha gareggiato anche ai mondiali Esports
Chiara con la maglia dello Swatt Club. Quest’anno ha gareggiato anche ai mondiali Esports

Il boccone amaro della Zwift Academy

L’età anche in questo caso ha pesato? «Dicono di no, ma io non posso togliermi dalla testa che abbia inciso, com’era stato al contest dov’ero stata nettamente la migliore in ogni prova, ma poi nel team hanno deciso di puntare su chi era arrivata dietro di me e quella decisione l’ho sofferta perché era stata ingiusta. Mi resta però il ricordo di una settimana bellissima, diversa dal solito, vissuta in una famiglia più che in una squadra. Qualcosa che mi ha fatto crescere come persona».