Marcato in estasi: «Yates ha fatto una cavalcata alla Tadej»

25.08.2024
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«Non avevo mai sofferto così tanto», ha detto Adam Yates subito dopo l’arrivo. «Fa così caldo che dall’ultima salita ho avuto i crampi. Non sapevo davvero se avrei potuto continuare così. Ho avuto molta sfortuna negli ultimi grandi Grandi Giri, per cui sono felice di essere riuscito finalmente a vincere di nuovo una tappa. Abbiamo fatto molto bene come squadra, con Marc e Jay (Soler e Vine, ndr) nella fuga. Mi hanno lanciato alla perfezione. Dopodiché sono rimasto solo con Gaudu.

«Quando ho visto che stava attraversando un momento difficile per il caldo – prosegue il britannico – ho capito che avrei dovuto approfittarne. E da quel momento in poi è stata solo sofferenza e sofferenza fino alla fine. Se posso dirlo, non mi interessa la classifica. Oggi era tutta una questione di vittoria di tappa. Ho dato tutto quello che avevo perché non avevo niente da perdere».

Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor
Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor

La giornata perfetta

Difficile dire se Marcato lo abbia ascoltato, dato che il diesse vicentino sulla prima ammiraglia della UAE Emirates in quel momento la stava guidando fino all’area dei pullman. Di certo però la sua idea in questo momento è ben altra. E anche se i ritmi sono convulsi perché c’è da prendere l’aereo che porterà il gruppo al riposo di Vigo, c’è spazio per il ragionamento. Adam Yates ha vinto la tappa di Granada con una fuga di 58 chilometri. Ben altro stile rispetto ai colpi chirurgici in salita con cui ha vinto ad esempio il Giro di Svizzera.

«Hai presente – sorride Marcato – quando fai un piano e va tutto bene? Oggi è andata così. Siamo partiti prima per la tappa, perché magari Adam alla classifica non ci credeva ancora tanto. Noi invece pensiamo che tutto sia ancora possibile, vedendo come corrono. Nulla vieta che arrivi un’altra fuga come quella che ha dato la maglia rossa a O’Connor. Si sta correndo in situazioni meteo impegnative, diverse tappe si sono fatte sopra i 40 gradi. Anche oggi abbiamo fatto un gran lavoro di idratazione lungo il percorso per permettere ai ragazzi di non soffrire troppo. E devo dire che la prestazione è un gran segnale che dà tanta motivazione, perché è stata una grande performance di squadra».

Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro
Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro

Un colpo di calore per Tiberi

Granada ha accolto la nona tappa della Vuelta con il calore di una fornace e purtroppo il primo a farne le spese è stato Antonio Tiberi. L’italiano del Team Bahrain Victorious si è fermato una prima volta alle prese con il mal di testa e poi ha alzato bandiera bianca, vittima di un colpo di calore. La squadra ha messo in atto tutti i metodi per abbassare la sua temperatura, che hanno dato buon esito, ma non hanno scongiurato il ritiro.

Il ragionamento di Marcato non ha grinze. L’impresa di Adam Yates e quella di Carapaz riaprono la classifica e riportano dentro due uomini pericolosi. Si vedrà nei prossimi giorni se davvero il britannico non abbia davvero in animo di risalire posizioni. Intanto va al riposo con un minuto di ritardo dal podio e magari, sfogliando le tappe, capirà che l’occasione non va sciupata. Anche perché nonostante la vittoria di ieri, Roglic non appare ancora quello dei bei tempi, per cui nessun epilogo potrebbe stupirci. E O’Connor sarà un osso duro da mandare a casa. Oggi intanto ha sprintato e ha colto il terzo posto.

«Ho preso l’abbuono nello sprint per il terzo posto – ha detto il leader di questa Vuelta – non è esattamente la mia specialità, ma quei 4 secondi erano lì da prendere. Penso di aver dimostrato che non mi toglieranno questa maglia tanto facilmente. Il giorno di riposo sarà bello, anche perché sono saldamente al comando e con una squadra forte intorno a me. Felix Gall ha fatto un buon lavoro, ma in genere tutti i ragazzi hanno fatto la loro parte. Mi dà fiducia per il proseguimento di questa Vuelta».

Una cavalcata alla Tadej

Marcato va avanti nel ragionamento. Durante la riunione sul pullman ha fatto i complimenti ai ragazzi e dato le indicazioni più importanti per le prossime ore. Domani si riposa, ma prima è stato giusto riconoscergli la bontà del lavoro, all’indomani del ritiro di Almeida che sembrava la figura più vicina a un leader per la generale.

«Joao – racconta Marcato – era uscito benissimo dal Tour e teneva a fare bene. Si sono preparati entrambi alla grande, per cui sono partiti alla pari e poi sarebbe stata la strada a parlare. Ma visto che Adam aveva pagato tantissimo il caldo e sembrava fuori dai giochi, ci eravamo concentrati di più su Almeida. E le cose poi sono andate così. Per questo stamattina abbiamo detto che la cosa migliore sarebbe stata andare in fuga con Adam e due compagni. Lui poi ci ha messo del suo e ha fatto una cavalcata alla Tadej.

«Soler è stato fantastico e anche Vine. Ma quando ha visto che Gaudu soffriva e Carapaz si stava avvicinando – prosegue Marcato – Adam ha semplicemente fatto il suo passo, che però è bastato per andare al traguardo e aumentare il vantaggio. Ora il riposo sarà importante per ricaricare le batterie. Andrà gestito bene. La tappa di martedì ha una salita di prima categoria in partenza e se ci arrivi ingolfato, rischi di restarci. Vedremo come vorranno gestirlo…».

Ancora tutto da scrivere

Nell’angolo della EF Education, Carapaz ha appena dichiarato che vincere la Vuelta potrebbe diventare un obiettivo. In casa Red Bull-Bora invece, Roglic ricorda a tutti di aver avuto ancora fastidi dalla schiena e ci si chiede se lo sloveno stia bluffando o in realtà non fosse davvero pronto per rientrare e abbia dovuto farlo per esigenze di squadra. Come dicevamo ieri, la Vuelta è appena decollata. Vivremo le prossime due settimane senza un italiano in classifica, ma convinti che ne vedremo delle belle.

Quale UAE senza Pogacar? Un gruppo che cresce

28.02.2024
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L’anno scorso di questi tempi avevano già vinto 11 corse con sei corridori diversi, ma fra le vittorie era impossibile non annotare la Clasica Jaen Paraiso Interior e la Vuelta Andalucia, con quel diavolaccio di Pogacar che, al pari di Vingegaard, aveva cominciato subito col botto. Il 2023 fu la prima svolta, sia pure non drastica come quest’anno. Lo sloveno aveva rinunciato al UAE Tour vinto nelle due edizioni precedenti, per vivere una primavera meno impegnativa e contrastare meglio Vingegaard al Tour. Quest’anno che Tadej ha puntato su una stagione stellare fatta solo di grandi obiettivi, la musica è rimasta identica: le vittorie finora sono 10 per mano di sei corridori diversi, ma fra loro non c’è Pogacar.

Del Toro al Tour Down Under. McNulty alla Valenciana e al UAE Tour. Fisher-Black alla Muscat Classic e al Tour of Oman. Yates, anche lui in Oman. Ayuso e Hirschi con una vittoria ciascuno nell’ultimo weekend di corse in Francia. E ieri per poco Antonio Morgado non si portava a casa Le Samyn, con un colpo di reni malandrino che ha fatto tremare e non poco il gigante Laurenz Rex (foto di apertura). Quello ha alzato le braccia e Antonio si è infilato…

Al Tour of Oman, Finn Fisher-Black vince a Qurayyat la seconda tappa
Al Tour of Oman, Finn Fisher-Black vince a Qurayyat la seconda tappa

Il talento viene fuori

Con il portoghese in Belgio c’era Marco Marcato, che assieme a Baldato compone la coppia tecnica per il Nord, e con lui abbiamo affrontato il momento della squadra numero uno al mondo in questo suo cammino per non far rimpiangere il grande sloveno.

«Morgado ha perso veramente per poco – sorride il padovano – forse un paio di centimetri. Sono andato a vedere il photofinish perché la Giuria tentennava. Rex ha vinto, anche se ha rischiato, perché alzando le mani all’ultimo si è piantato e Antonio ha fatto un bel colpo di reni. In ogni caso è lì e a vent’anni ha dimostrato che può essere protagonista. Si è adattato bene alla categoria. Questi ragazzi non hanno tante paure di buttarsi e di farsi valere, quindi alla fine il talento e la bravura vengono fuori. Magari deve ancora capire i meccanismi, quando è importante star davanti a lottare per la posizione, ma questo valorizza ancora di più il suo talento. Si è adattato bene alla fatica e al tener sempre duro. E alla fine, considerando i corridori che c’erano e la selezione che c’è stata, ha fatto un grande sprint».

Ayuso e Hirschi hanno fatto doppietta nel weekend francese
Ayuso e Hirschi hanno fatto doppietta nel weekend francese

Una grande opportunità

Il ritorno a casa insomma ha lasciato in bocca un buon sapore. Ci sarà il tempo per ricaricare le batterie e poi Marcato preparerà la prossima valigia che porterà alla Parigi-Nizza e di lì nuovamente sulle strade del Nord fino alla Freccia del Brabante. Così, approfittando del tempo a disposizione, rileggiamo con lui l’inizio di stagione in attesa che sabato alla Strade Bianche il padrone torni al volante.

«Quando c’è Tadej – spiega – logicamente la squadra è incentrata su di lui. Comunque stiamo parlando del numero uno al mondo, quindi dobbiamo dargli sicuramente tutto il nostro supporto. Questo i compagni lo sanno e anzi sono ben felici di aiutarlo. Quando lavori per un leader così, sai che alla fine il lavoro viene ripagato. Secondo me lo spazio che si sta liberando adesso è un’opportunità anche per loro. Sicuramente hanno più responsabilità, però sono contenti di poter fare la corsa ed essere protagonisti. Insomma, non è solo il fatto di avere più responsabilità, ma maggiori opportunità. Almeno io la vedo così».

Jay Vine, leader de UAE Tour a partire dalla terza tappa, crolla sulla salita finale di Jebel Hafeet
Jay Vine, leader de UAE Tour a partire dalla terza tappa, crolla sulla salita finale di Jebel Hafeet

Tutti capitani

Per lo stesso motivo e per la rincorsa ai punti, quest’anno i piani di tanti ragazzi sono cambiati: non più tutti al servizio del capitano, ma ciascuno con lo spazio per assecondare il proprio talento. Non è un mistero che il UAE Team Emirates abbia reclutato alcuni fra i migliori atleti in circolazione e tenerli solo per tirare sarebbe un vero uno spreco. La differenza fra tirare e fare la corsa sta però nell’impatto psicologico. Jay Vine è stato leader del UAE Tour fino all’ultima tappa con arrivo in salita e ha perso in un solo colpo 4 minuti e la maglia.

«Quelle sono dinamiche – spiega Marcato – che non tutti i corridori gestiscono allo stesso modo. L’anno scorso Vine per esempio ha vinto il Tour Down Under, anche se è una corsa un po’ diversa. Quest’anno al UAE Tour, un po’ di pressione in più l’ha sentita senza dubbio. Abbiamo una squadra forte, non è per caso che l’anno scorso abbiamo vinto la classifica WorldTour e i nostri corridori migliori, se li prendi singolarmente, potrebbero andare tranquillamente in altre squadre a fare i capitani. Quindi a volte non è neanche semplice gestire la corsa avendo tanti talenti tutti insieme. La parte bella però è quando si aiutano fra loro, come nel giorno in cui Ayuso ha vinto la Faun-Ardeche Classic e il giorno dopo ha aiutato Hirchi a vincere la Faun Drome Classic.

«E con gli italiani sarà la stessa cosa. Covi avrà il suo spazio facendo gare su misura e anche Ulissi, un uomo su cui si può contare sempre. Diego avrà un calendario diverso dal solito, non facendo grandi Giri. Questo almeno è il programma, però le cose cambiano e se serve sappiamo che lui è comunque pronto».

Del Toro vince e stupisce, guidato da Marcato in ammiraglia

29.01.2024
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Sull’ammiraglia della UAE Team Emirates, al Tour Down Under, era seduto Marco Marcato. Il diesse ha seguito da dentro la prima corsa WorldTour stagionale, un appuntamento importante, per tirare le somme e trarre le conclusioni sull’inverno appena trascorso. In casa UAE Team Emirates la sorpresa è stata il giovane messicano Isaac Del Toro, fresco vincitore del Tour de l’Avenir. Nemmeno il tempo di capire che fosse arrivato nel WorldTour che ha messo le ruote davanti a tutti. 

«Purtroppo – racconta da casa Marcato mentre prepara le prossime trasferte – in Australia non era presente Jay Vine (vincitore della corsa nel 2023, ndr). Di conseguenza abbiamo ripiegato su una squadra a più punte. La sorpresa è stata Del Toro, che ha vinto una tappa ed è salito sul podio finale, conquistando il terzo posto. Il Tour Down Under ogni anno diventa sempre più importante e fare un risultato del genere fa ben sperare».

Per Del Toro e Morgado il Tour Down Under ha sancito il debutto nel WorldTour
Per Del Toro e Morgado il Tour Down Under ha sancito il debutto nel WorldTour

Aspettative contenute

La curiosità intorno al debutto di Del Toro era alta, se non altro per vedere come il vincitore dell’Avenir si sarebbe confrontato con i corridori di massimo livello. Non c’erano aspettative così alte, figuriamoci una vittoria. 

«Sia per Del Toro che per Morgado – racconta il diesse – era il debutto nel WorldTour. Sappiamo di che pasta sono fatti, ma di certo non avevamo aspettative troppo alte. C’era un punto di domanda sui loro nomi, il WorldTour è un mondo diverso con gare e atleti di massimo livello. L’idea era che Del Toro avrebbe avuto le sue opportunità, ma i punti di riferimento del team erano Ulissi e Fisher-Black».

Il primo successo

Poi però è successo che nella seconda tappa della corsa australiana l’ordine di arrivo sia stato dominato dal Del Toro. 

«La vittoria alla seconda tappa – conferma Marcato – è stata una sorpresa. Il ragazzo stava bene, lo aveva già dimostrato in ritiro, ma vincere è diverso. E’ stato bravo a cogliere l’occasione. In mattinata avevamo detto che se ci fosse stato un arrivo a ranghi ridotti lui avrebbe potuto anticipare la volata. C’era uno strappo impegnativo a un chilometro dall’arrivo e lo ha preso come trampolino di lancio. Ci aveva già impressionato, perché a meno 8 dal traguardo si era messo a tirare per chiudere sui fuggitivi, una volta rientrati ha trovato la forza di scattare».

Sulla salita di Willunga l’inesperienza porta alla perdita della maglia di leader
Sulla salita di Willunga l’inesperienza porta alla perdita della maglia di leader

Dall’ammiraglia

Una stoccata ad un chilometro dall’arrivo, cercata e anche programmata, in un certo senso. Anche se la gestione dall’ammiraglia non è stata semplice…

«In macchina – continua Marcato – non avevamo il video e la radio non dava informazioni complete. Per fortuna all’arrivo c’era uno schermo e Valerio Accardo ci aggiornava via telefono. Quando Del Toro è partito all’ultimo chilometro ci ha detto che sarebbe andato a vincere. Poi Accardo si è dovuto spostare per andare a raccogliere i corridori dopo il traguardo e non abbiamo avuto aggiornamenti. Dopo un paio di minuti radio corsa ha comunicato la vittoria di un corridore della UAE. Ci siamo sciolti in un’esultanza molto bella. Del Toro l’ho rivisto solo dopo il podio, mi ha raccontato della vittoria ma era incredulo, non si aspettava nemmeno lui un debutto così».

Un po’ di impazienza preclude a Del Toro la vittoria dell’ultima tappa, c’è tempo per imparare
Un po’ di impazienza preclude a Del Toro la vittoria dell’ultima tappa, c’è tempo per imparare

Insegnamenti e ambientamento

Il messicano ha poi colto il terzo posto finale al Tour Down Under, vincendo la classifica dei giovani. Si è mosso, ha fatto vedere tante cose ma con dei limiti di lettura della gara, cosa normale. Tutto fa parte del processo di crescita: vincere conta, ma anche la sconfitta insegna

«Si è messo in gioco – dice il diesse – ha provato ed è giusto così. Peccato perché in un paio di occasioni ha sprecato della buone chance. A Willunga, per esempio, era spesso fuori posizione e ha sprecato tante energie, cosa che ha pagato nella volata finale. Anche nell’ultima tappa ha fatto vedere buone cose, ma avrebbe dovuto pazientare di più, invece ha provato spesso a uscire di forza. E’ tutto giusto, mettersi in mostra e imparare dagli errori.

«In squadra si è ambientato bene – conclude Marcato – è un ragazzo intelligente che ascolta, elabora e mette in pratica. E’ rispettoso, chiede e impara dai più grandi, come da Ulissi che al Tour Down Under lo ha guidato bene. E’ partito forte, anche perché dopo il ritiro di dicembre è andato in Messico ad allenarsi. Si è allenato al caldo e questo lo ha aiutato nelle preparazione. Ora andrà a correre in Oman, senza fretta, di tempo per crescere ce n’è».

Qual è la vera dimensione di Hirschi? Risponde Marcato

27.09.2023
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Marc Hirschi è tra i plurivittoriosi dell’anno. Lo svizzero della UAE Emirates si sta rendendo autore di una stagione a dir poco positiva. Non ultimi i successi alla Coppa Sabatini e al Giro del Lussemburgo. Tuttavia nelle grandi corse non riesce a primeggiare. Il suo ultimo successo nel WorldTour risale al 2020, una tappa del Tour de France.

E dire che Marc era arrivato a giocarsi i mondiali. Ha vinto anche una Freccia Vallone. Come da nostra abitudine, per saperne di più abbiamo coinvolto Marco Marcato, direttore sportivo della squadra araba, che lo ha diretto anche nella breve corsa a tappe lussemburghese.

Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco, partiamo da questo 2023 di Hirschi…

Direi una stagione positiva. E’ un po’ tutto l’anno che ogni corsa che fa parte per vincere. E ci riesce o ci va vicino, come un cecchino. Nelle gare dove ha la possibilità di fare la corsa, difficilmente sbaglia.

E’ il miglior Hirschi?

Lo abbiamo gestito bene, mi sento di dire. E’ questa la strada per il miglior Hirschi. Lo scorso anno aveva subito questo intervento all’anca nella prima parte di stagione. Era rientrato alla Per Sempre Alfredo e l’aveva vinta. Però nelle corse WorldTour faceva più fatica.

Ora va meglio?

Sì, ora va meglio. Lo scorso anno fu convocato all’ultimo minuto per il Tour, in sostituzione di Trentin e non ci arrivò bene. Soffrì. Non era in condizione e quel Tour non gli ha permesso di esprimersi al top nel finale di stagione, nonostante abbia poi vinto l’ultima corsa dell’anno, la Veneto Classic. Ha dimostrato il suo valore nelle corse di un giorno e anche nelle brevi corse a tappe. E i risultati si vedono: sette vittorie solo quest’anno.

Vi aspettavate questa vittoria in Lussemburgo?

Hirschi aveva corso tanto e qualche dubbio ce l’avevamo anche noi. Sapete, a questi livelli quando sei un po’ stanco, una settimana voli, quella dopo non sei più brillantissimo. Lui invece ha colto il risultato pieno.

Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Lussemburgo, Peccioli, Appennino… ma è questa la dimensione di Hirschi?

Marc, come ho detto, è arrivato da noi con questo problema all’anca che si portava dietro da un po’. E in tutta la passata stagione piano, piano è tornato ai suoi livelli. Quest’anno c’è stata una conferma. Un miglioramento. E’ un corridore di primo piano.

Ci rendiamo conto che ci sono anche tanti campioni in UAE, questo gli complica le cose?

Logico che considerando i campioni che abbiamo, se lo porti a un Tour de France difficilmente troverà lo spazio per vincere una tappa o per fare la sua corsa. Ad un vincente come Marc devi dare le sue opportunità. Altrimenti lo perdi. E il corridore perde il suo istinto. Guardando all’anno prossimo, l’idea era di fargli fare queste gare che ha fatto, prendere sicurezza. E credo ne sia soddisfatto.

Letta in quest’ottica non fargli fare il grande Giro è stata una tutela nei suoi confronti dunque?

Noi abbiamo tanti campioni e dovevamo trovare appunto il modo di tutelarlo e al tempo stesso di dargli le sue possibilità ed essere protagonista. Il calendario internazionale non è fatto solo di Grand Tour ma di tante corse e questo ha consentito a Marc e alla squadra di raccogliere tanti punti. Quindi direi di sì: l’assenza di un GT lo ha tutelato.

Un calendario ad hoc dunque, basato su corse “minori”. Lui lo ha accettato?

Sì, sì…ha appoggiato la nostra scelta lo scorso inverno. Marc è un ragazzo intelligente. E’ consapevole e ha sposato questa linea. Una linea che ha dato ragione a tutti: sette vittorie, tra cui il titolo nazionale, e una classifica UCI che lo vede tra i top corridori al mondo.

Grande classe e potenza per lo svizzero
Grande classe e potenza per lo svizzero
Un Hirschi che torna Hirschi fa sì che vi ritroviate un altro capitano per le classiche del Nord?

Assolutamente sì, Marc va bene in quelle gare, soprattutto per quelle delle Ardenne. Può essere una seconda punta di tutto rispetto.

E per un Fiandre?

Lui è leggero, corre bene ma dipende dalla corsa che viene fuori. Meglio su percorsi come Amstel, Freccia e Liegi… il Fiandre sarebbe più un rischio mettiamola così.

Qual è l’obiettivo da qui a fine stagione per Hirschi? Ha molte gare in programma…

La sua voglia di correre è alta. Ed è alta proprio perché è motivato. A fine stagione il 50 per cento del gruppo non ha più voglia, tra chi guarda già alla stagione successiva e chi è davvero stanco, pertanto spesso è la motivazione a fare la differenza. Marc ha vinto, il suo morale è alto e ci sono parecchie corse adatte a lui.

Quindi si punta anche al Lombardia? Tanto più quest’anno che il finale non è durissimo e lui è veloce?

Non è certa la sua partecipazione, però è un tracciato che gli si addice. Di contro il tanto dislivello e le salite lunghe potrebbero svantaggiarlo, specie guardando la starting list. Ci sono tanti scalatori di primo ordine che potrebbero avere qualcosa in più di lui.

Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Ma lui lo vorrebbe fare questo Lombardia?

Conosce i suoi limiti, i suoi valori e dove può arrivare. Sa che per un Lombardia è al limite. Stiamo valutando la formazione, cosa che a fine stagione non è mai facile: bisogna fare la conta delle energie. Se dovessimo portare anche Adam Yates, allora potremmo dare la priorità ad un altro corridore che lavori per Tadej e Adam.

A proposito di Tadej, a Peccioli abbiamo visto un buon feeling con Pogacar, che tipo è Hirschi con i compagni?

Va d’accordo con tutti. E’ ben voluto e sa stare in gruppo. Ride e scherza. Da fuori può sembrare di poche parole, ma a tavola la battuta non gli manca. E’ un uomo squadra.

Tadej accusa il colpo, ma non si arrende

18.07.2023
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COMBLOUX – «Non è andato piano Tadej, è andato forte Vingegaard», è questa la sintesi di quanto raccolto nel clan della UAE Emirates pochi minuti dopo la cronometro individuale Passy-Combloux. Lo sloveno subisce forse la più importante sconfitta della sua carriera. Le altre (poche) volte in cui era stato battuto era stato lui a non essere al top, ma stavolta no.

Jonas Vingegaard gli rifila 1’38” e Tadej Pogacar a sua volta ne dà 1’14” a Wout Van Aert. Nessuno ipotizzava distacchi simili. Ieri Malori ci aveva parlato di circa 1” al chilometro, semmai il danese avesse guadagnato. E di una ventina di secondi ci aveva detto anche Contador questa mattina. Ma questo è davvero uno shock.

Ore 10:13, Tadej Pogacar arriva in zona bus per la ricognizione. Un breve salto sul bus e poi parte
Ore 10:13, Tadej Pogacar arriva in zona bus per la ricognizione. Un breve salto sul bus e poi parte

Preoccupazione caldo 

Tadej ormai lo abbiamo imparato a conoscere: se cade il mondo lui fa un passo di lato. Supera tutto con facilità, ma è sempre più probabile che c’è una cosa che turba la sua proverbiale serenità. E questa cosa si chiama caldo.

Questa mattina quando è arrivato in partenza per la ricognizione aveva detto ai suoi che nel pomeriggio non si sarebbe voluto scaldare sotto la tenda del bus. Aveva tirato su gli occhi, aveva visto dove avrebbe girato il sole e chiesto di fare i rulli da un’altra parte.

Il meccanico, Claudio Bosio tra i più saggi, aveva proposto il motorhome dei meccanici stessi. «Il nostro camion è tranquillo, c’è l’aria condizionata e lo abbiamo già liberato». A quel punto Andrej Hauptman, qui il primo diesse, aveva dato l’okay.

E in effetti il caldo c’è, ma non tanto per le temperature alte, quanto piuttosto per l’umidità.

Tadej parte. E va forte. «Ha siglato una delle sue prestazioni migliori di sempre», ci confida Matxin dopo l’arrivo. E forse questo è ancora più grave in ottica futura. Cosa può pensare il corridore? Fosse stato in giornata no, okay… ma così è difficile trovare appigli.

Hauptman ha parlato con noi. Ha allargato le braccia, ma senza nulla da rimproverare al suo atleta
Hauptman ha parlato con noi. Ha allargato le braccia, ma senza nulla da rimproverare al suo atleta

Onore a Vingegaard

«Incredibile – ha detto Hauptman – Jonas oggi ha fatto qualcosa di fantastico, ha anche guidato benissimo. Non possiamo non congratularci con lui. Il cambio bici? Non credo gli sia costato troppo o che abbia perso la crono lì. E comunque prima di fare certe scelte noi facciamo i nostri calcoli e avevamo visto che sulla bici da strada in salita Tadej riusciva ad esprimere più watt. Credo anche che abbiamo cambiato nel punto giusto, un punto ripido così da perdere meno tempo perché lì si va più piano».

«Cosa dire: domani è un altro giorno, ci aspetta una tappa molto dura. E lo stesso nella tappa venti. Da parte nostra continueremo a lottare per la maglia gialla. Intanto pensiamo a vincere la tappa».

Sentire un esponente del clan UAE Emirates che parla di tappa fa capire tante cose. E’ vero che sono parole raccolte a caldissimo, ma forse hanno visto che su certi valori proprio non ci sono, almeno se questo è il vero Vingegaard. Meglio dunque raccogliere quel che si può. Anche perché quando dicono di voler vincere la tappa bisogna considerare che Adam Yates è salito in terza posizione.

Pogacar ha già reagito una volta in questo Tour de France. E la speranza è che non si arrenda. La differenza però è che l’altra volta sui Pirenei era stato lui ad andare più piano. «Può starci che si demoralizzi, ma è un campione e saprà reagire», aggiunge Hauptman.

All’arrivo Tadej era stanco, ma non stremato. Forse era frastornato dalla prestazione di Vingegaard
All’arrivo Tadej era stanco, ma non stremato. Forse era frastornato dalla prestazione di Vingegaard

Ma quale resa…

«Un po’ sono deluso – ha detto Pogacar – se devo essere onesto non mi sono sentito al meglio nella seconda parte della crono, anche se comunque sono andato abbastanza bene. Ora però c’è un grande divario, speravo in un gap minore. Anzi, speravo di essere in giallo oggi. Spero oggi sia stata una tappa come quella del Marie Blanque e che domani possa avere gambe buone».

Tadej ha affrontato una crono difficile anche dal punto di vista del morale. Era prima felice per il vantaggio su Van Aert e poi ha saputo di perdere nei confronti di Vingegaard.

«E’ stato un piccolo shock – dice lo sloveno – ho cercato di limitare i danni e dare tutto».

Ma poi ecco le parole più belle: «Se domani piove posso promettervi che sarà una giornata interessante. Ci sono altre due tappe davvero difficili da affrontare. Può accadere qualsiasi cosa e chiunque può avere un passaggio a vuoto. Guadagnare due minuti non è facile, ma noi ci proviamo».

Sul podio per la maglia bianca il sorriso di Tadej non era il solito…
Sul podio per la maglia bianca il sorriso di Tadej non era il solito…

Questione di materiali?

Stasera riordineranno le idee, questo è certo. E tra coloro che avranno un bel da fare c’è Marco Marcato. Il direttore sportivo non era certo il volto della felicità, ma la sua disanima è stata più che mai lucida.

«Questo sicuramente era un test importante. Vingegaard è stato un gradino sopra agli altri oggi, ma ci sono ancora le tappe di domani e di sabato. Il ciclismo non è matematica. Nulla è scontato. Anche Vingegaard potrebbe pagare gli sforzi. Oggi tutti sono andati a tutta».

Con Marcato si parla anche di materiali. Sappiamo quanto ci lavorino in Jumbo-Visma. «Magari – spiega Marcato – delle differenze possono anche esserci, ma semmai ci fossero sarebbero nell’ordine dei secondi. Qui parliamo di quasi 1’40” in 22 chilometri e Pogacar stesso è andato più forte di molti di loro».

Lo sloveno ha siglato un’ottima prova, è il danese che è letteralmente volato. Ora in classifica ha un ritardo di 1’48”
Lo sloveno ha siglato un’ottima prova, è il danese che è letteralmente volato. Ora in classifica ha un ritardo di 1’48”

Non finisce qui

Marcato è stato un corridore e lo è stato fino a pochi anni fa. Certe sensazioni le ha ancora fresche e conosce questo ciclismo. Con lui si parla anche dell’aspetto psicologico.

Nelle tappe precedenti avevamo visto che ad un certo punto Tadej scattava e Jonas, seppur di poco, si staccava. L’ultima volta invece il danese non ha perso un centimetro e anzi ha rilanciato. Visto che sono sul filo certi dettagli possono fare la differenza? Possono insinuare qualche tarlo nella testa del corridore? Di Pogacar in questo caso…

«Probabilmente qualcosina avrà anche influito tutto ciò e un tarlo glielo avrà messo, però Tadej si è sempre rialzato. E’ un campione e secondo me ha ancora qualcosa da dare e da dire in questo Tour de France. Ne sono sicuro».

Marcato e le capacità di adattamento di Vine

30.01.2023
4 min
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Jay Vine non smette di stupire e di vincere. E’ già una storia il suo passaggio avvenuto non dalle categorie, ma tramite Zwift. Sono ancora fresche le sue imprese alla Vuelta. Ma quel che colpisce è come si pone di fronte alle novità. Jay viene, osserva, vince. Cambia squadra e alla prima gara… vince di nuovo.

Marco Marcato, diesse della UAE Emirates, ha guidato l’australiano al Tour Down Under e ci aiuta a scavare questa caratteristica di Vine, la sua capacità di adattamento e, chiaramente, le sue qualità.

Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco, dicevamo delle capacità di adattamento di Vine. Cosa ne pensi?

E’ stata una piacevole sorpresa. Sapevamo delle sue qualità ma da qui a pensare che potesse vincere subito una gara WorldTour con la nuova squadra ce ne vuole. Tanto più su un percorso così filante come quello del Down Under. C’erano salite brevi, mentre lui è più da salite lunghe. Ripeto: è stata una piacevole sorpresa.

Segno ulteriore che Vine si sa adattare e anche che stava bene…

Quello sicuro. Jay ha passato l’inverno in Australia al caldo. Era abituato dunque a certe temperature e rispetto agli altri corridori non ha dovuto adattarsi o far fronte al fuso orario. Sapevamo che poteva fare bene.

E non a caso lo avete messo in testa alla lista. Lui aveva il numero 1 finale sul dorso, quello che di solito spetta al capitano…

Beh, correva in casa, aveva appena vinto il titolo nazionale a crono, aveva buone sensazioni e così abbiamo deciso di puntare su di lui. Anche se Hirschi e Covi potevano fare bene. Ma Alessandro è caduto nel prologo ed è subito uscito di classifica. Poi quando nel finale della tappa decisiva davanti c’era anche lo svizzero, abbiamo deciso il tutto e per tutto puntando su lui.

Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Come ti è sembrato con le responsabilità da leader? 

Conoscevamo le sue qualità come detto. Sapevamo i suoi numeri, ma una corsa in bici non è fatta solo di valori fisici, ci sono altri fattori. Molti altri fattori. Lui è stato bravo ad integrarsi subito e a sfruttare al massimo le possibilità che si sono create strada facendo. Poi magari lo ha aiutato il fatto di correre in casa. Senza un Tadej (Pogacar, ndr) o un Almeida ci stava che potesse essere il leader. Io sono convinto che adesso prenderà più consapevolezza e correrà ancora di più da protagonista.

Marco, hai detto giustamente che in corsa non ci sono solo i numeri del fisico, ma anche altri fattori: ebbene, come si muove Vine tra questi “altri fattori”?

Lo conosco da poco. La prima volta che l’ho avuto tra le mani è stato a dicembre, ma da quel che ho visto mi è sembrato un ragazzo metodico, professionale al massimo. Per esempio, mi ha chiesto di vedere il finale della tappa di Campbelltown. L’ha visionata quattro volte. E non tanto per la salita, quanto per la discesa. E questo approccio mi è piaciuto parecchio. Essere professionali al 100% nel ciclismo moderno è importante. Fa la differenza fra l’arrivare davanti e il vincere. Il ragazzo ha testa.

Quindi il leader lo sa fare?

Sì, ha carisma. Ringrazia sempre, si è mosso da leader. E anche nelle interviste rilasciate mi è sembrato consapevole di questo suo ruolo, senza mai mettere in secondo piano la squadra. Sa che ne ha bisogno.

L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
Vine è uno scalatore o c’è di più? Al netto che ha vinto il campionato australiano a crono…

Si sta scoprendo. Non ha tantissima esperienza e forse neanche lui conosce i suoi limiti. Per esempio proprio a cronometro con noi è migliorato tantissimo nella posizione. Ha dimostrato anche in questo caso che sa evolversi, che sa adattarsi. In gruppo invece spreca ancora un bel po’.

E gli avevi affidato un uomo?

Un uomo specifico no, ma la squadra gli è stata vicino e lui si è fidato della squadra. Covi e Bax, i più limatori che avevamo in Australia, li seguiva da vicino. E non è così scontato. Ci sono molti ragazzi che non sono limatori, ma non si fidano dei compagni più scaltri. Jay si fida e questo è un vantaggio per lui.

Alla luce di queste prestazioni cambierà il suo calendario?

Non cambiamo programma (Vine dovrebbe fare il Giro, ndr). E’ importante rispettare le direttrici e i calendari, anche perché se poi lo cambi ad uno, per forza devi intervenire anche su quello di altri. Se poi ci sono delle necessità diverse, degli infortuni… è un altro discorso. Ma seguire e fidarsi di una programmazione a lungo termine è importante. 

Marcato, un altro Tour e sempre… in fuga

15.07.2022
5 min
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La sua ultima volta al Tour fu nel 2020, quando si ritrovò a lavorare per il giovane sloveno che al penultimo giorno ribaltò il trono di Roglic e conquistò la maglia gialla. Pochi se lo aspettavano, qualcuno poteva sperarlo. Marco Marcato era già nella fase in cui il corridore si chiede se valga la pena continuare, ma di fronte a quella ventata di entusiasmo rimase in sella per un altro anno e poi scelse di scenderne per salire sull’ammiraglia.

Ritorno in Francia

Il suo ritorno al Tour è avvenuto quest’anno, sull’ammiraglia che quotidianamente anticipa la tappa e svela trappole e segreti ai direttori sportivi. Un ruolo che ha preso piede da qualche anno, come in primavera ci raccontò Vittorio Algeri. Un ruolo in cui il padovano può mettere ancora a frutto il suo occhio di corridore, in una sorta di viaggio verso l’età adulta. Oltre alle strade infatti, Marcato ha iniziato a scoprire tutto ciò che c’è intorno ai corridori. E ha capito di aver vissuto per anni in una bolla estranea a tutto il resto.

Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire
Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire

«Ho visto un’organizzazione – racconta – che da corridore magari non vedevo. La gestione di tutti i mezzi, ad esempio. Anche il semplice fatto che per ogni tipo di targa, c’è un parcheggio dedicato. C’è una via di uscita dedicata ai mezzi fuori corsa e un punto prestabilito per rientrarci. Anche andare alla feed zone, alla zona rifornimento, non è così semplice. Insomma, tante cose che da corridore non riesci a vedere, non te ne accorgi. Sei impegnato a correre, quindi non vedi quello che ti succede attorno. Pensi ai chilometri e a dove sia la borraccia, ma per far sì che la borraccia sia lì, la squadra fa un grosso sforzo. Ci sono tanti che lavorano dietro».

Cosa ti pare del tuo ruolo?

Nuove esperienze, un punto di vista diverso. Anche il fatto che io sia davanti alla corsa per dare indicazioni a chi è dietro mi permette di capire tutta l’organizzazione. Quanto a me, segnalo le strade o se c’è qualche punto tecnico. Quindi ad esempio le rotonde da prendere a destra o sinistra, in base alla via più veloce. Le curve più pericolose. Poi anche il vento, che nelle prime tappe ha dato fastidio.

Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
La tappa del pavé?

Ho cercato di dare più informazioni possibili, lo faccio ogni giorno. Affinché i corridori abbiano chiara la situazione che li aspetterà nei chilometri successivi. Per la tappa del pavé sapevamo che Pogacar potesse fare bene, ma ugualmente ho segnalato le possibili cause di cadute o forature.

Di quanto tempo anticipi la partenza ufficiale?

Raggiungo la squadra per il meeting. Quindi ascolto un po’ quelli che saranno i programmi della giornata. E poi mi avvio davanti alla corsa, appunto per segnalare eventuali pericoli e situazioni che potrebbero creare appunto dei problemi durante la tappa.

Quindi la riunione si fa la mattina?

Si, normalmente la facciamo la mattina quando arriviamo al parcheggio dei bus. Di solito siamo lì un’ora e tre quarti prima della partenza, così abbiamo tempo per fare la riunione che dura circa mezz’ora. E poi restano il foglio firma e la partenza.

Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Fra voi direttori si fa un meeting dopo la tappa?

Sì, di solito si parla la sera, finita la tappa. Per capire quello che è stato e quello che sarà il giorno dopo. E come improntare la strategia della corsa. Ragioniamo da squadra, tutti dicono la loro opinione, poi è logico che alla fine le decisioni le prende il primo direttore. Giustamente si prende anche la responsabilità. Si dà ascolto a tutti e si fa sintesi.

Quando sul Granon si è staccato Pogacar avevi segnalato qualcosa?

C’erano dei punti pericolosi con delle rotonde anche per prendere la salita dei Lacets de Montvernier. Non ero tanto avanti, quindi la fuga non era ancora partita e nel caso in cui i corridori fossero arrivati a quel punto tutti in gruppo, sarebbe stato importante prenderla davanti, perché poteva dare dei problemi. Devi pensare anche a queste situazioni. Anche a fine discesa c’erano dei tratti tecnici. Le macchine dietro queste cose non possono saperle.

Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Ci sono anche gli strumenti per sapere come andrà la strada?

Abbiamo tutto quello che serve per vedere col computer le strade, le pendenze, tutto quanto. Però avere qualcuno avanti al momento giusto ti può dare delle indicazioni anche in base a come si sta evolvendo la corsa. Penso sia importante.

Dov’eri quando Tadej si è staccato?

Ai 6 chilometri. Stava ancora bene. Gli ho passato la borraccia e ho aspettato il momento di andare su. Non potete immaginare la sorpresa quando mi hanno raccontato come fosse finita…

Un cenno di Pogacar e UAE in testa. Poi l’esplosione allo sprint

07.07.2022
5 min
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Rafal, cosa pensi quando Pogacar vi chiede di tirare? «Mamma mia – risponde Majka sfinito – quando chiede di tirare è un problema. Non è mai per caso. E’ un corridore che veramente va fortissimo. Quest’anno va anche più dell’anno scorso. Mi sono allenato con lui quasi due mesi prima del Tour, non mi sorprende quello che sta facendo, perché si sa che è veramente un fenomeno. E quando ci ha chiesto di passare davanti nel finale, era già tutto scritto. Ce l’aveva nelle gambe».

La tattica di Van Aert

Pogacar ha vinto la tappa di Longwy, iniziata nel segno della maglia gialla in fuga. Adesso sulla tattica di Van Aert e dei suoi si comincia a mugugnare. La battuta più ricorrente che si sente è che una volta si pensava che fosse Van der Poel quello delle fughe illogiche, ma forse anche Wout a volte si fa prendere la mano.

«Credo di aver capito la sua tattica – ha appena detto Pogacar nella conferenza stampa – l’ha fatto perché era l’unico modo per vincere senza distruggere la squadra. Sapeva che per arrivare in volata, avrebbero dovuto tirare tutto il giorno. Ma devo dire che è stata una mossa ardita, era impossibile in tre resistere al ritorno del gruppo. Non abbiamo neppure dovuto tirare troppo. E una volta lì davanti, ho seguito il mio istinto».

Qualunque mossa faccia Van Aert, accenna Gianetti tornando verso il pullman, diventa credibile. Per questo alla fine erano tutti attenti. Non preoccupati, mancava ancora troppa strada.

L’occhio di Marcato

Il pullman del UAE Team Emirates è il primo che si incontra in cima al rettilineo. Appena lo sloveno ha tagliato il traguardo, Gianetti è corso verso il traguardo. Marcato invece si è messo ad accogliere i corridori. Prima McNulty, poi Majka, che nel finale hanno aperto la strada per la volata di Tadej. Le pacche sulle spalle sono davvero fragorose.

«Stiamo ricevendo un po’ di critiche dai media riguardo alla squadra – dice l’ex corridore padovano – però oggi abbiamo dimostrato che quando serve, noi ci siamo. E’ andata bene. Ora che lo osservo da fuori, vedo che Tadej è consapevole che sta bene e può fare bene. E’ arrivato qui determinato, ha preparato questo Tour al 100 per cento. E adesso dobbiamo raccogliere un po’ i frutti di tutto.

«Noi all’interno sapevamo che ieri poteva far bene, perché sappiamo come approccia quel tipo di corse e che la bici la guida bene. Il punto di domanda era per possibili cadute o forature, ma per quanto riguarda le sue capacità sul pavé eravamo tranquilli. Magari pensavamo che arrivasse la fuga, ma è andata così. Di sicuro fra lui e Van Aert c’è un po’ di rivalità e si vede…».

Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina
Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina

La calma di Matxin

Arriva l’ammiraglia, altri abbracci. Da una parte scende Hauptman, che non ha mai grande voglia di parlare. Dall’altra spunta Matxin, che viene preso d’assalto da Eurosport e poi dal resto.

«Stamattina nella riunione – racconta – ci siamo detti che era difficile lavorare tutto il giorno per tenere una fuga a distanza. Per cui abbiamo fatto la nostra corsa, credendo ai nostri corridori. Abbiamo aspettato Bennett che ha bucato due volte e Hirschi che ha male al ginocchio, anche se c’era Van Aert davanti. Sapevamo che potevamo andare a prenderlo.

«Aveva due minuti e per far rientrare tutti lo abbiamo fatto arrivare anche a quattro. Erano in tre, abbiamo chiesto di stare calmi e di non tirare. Poi ci siamo riuniti e abbiamo iniziato a menare. Ovviamente ci ha aiutato anche la EF Education-EasyPost che puntava alla maglia. Sarebbe stato perfetto per Powless prenderla, ma per un fatto di abbuoni non ci è riuscito ed è venuta da noi quasi senza volerla. Credo che la vittoria sia stata il suo modo di sdebitarsi con i compagni».

Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis
Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis

Alla Planche per vincere

Pogacar si guarda intorno e ascolta le domande, rispondendo col tono pacato di uno che non ha speso chissà quanto. Ma domani si arriva in salita e allora forse si vedranno altri sguardi.

«Domani voglio vincere – dice subito Tadej – perché ci sarà la mia famiglia per cui la tappa sarà più importante. E’ chiaro però che se andrà via la fuga e non riusciremo a controllarla, non sarà un disastro. In questi giorni è andato tutto bene e domani iniziano le montagne e sono contento di arrivarci in buona posizione. Se terrò o meno la maglia non posso dirlo ora, saranno le circostanze. Ma certo non è facile lasciarla andare».

La sesta tappa del Tour finisce in tasca al vincitore delle ultime due edizioni. Domani La Planche des Belles Filles risveglierà ricordi particolari di certo per Ciccone che lassù conquistò la maglia gialla, in Roglic che la perse e in Froome che là in cima si rivelò ormai 10 anni fa. Su tutti loro si allunga l’ombra di Pogacar. Il fatto che abbia detto di voler vincere ha già alzato la temperatura dello scontro.

Cosa serve per diventare un grande gregario? Marcato risponde

23.03.2022
5 min
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Il ciclismo è fatto di campioni che vincono le gare e dominano le grandi corse a tappe. Si parte in (quasi) duecento e uno solo vince: uno sport di squadra che vede la vittoria del singolo. Ci sono due ruoli nelle corse in bici, chi vince e chi lavora per far vincere (il gregario). Tutti vorrebbero appartenere alla prima categoria, ma non è possibile. Allora come si fa a ritagliarsi il proprio spazio rimanendo in questo mondo per tanti anni? Marcato ad esempio, che in apertura è in testa al gruppo sui Campi Elisi al Tour del 2020, c’è rimasto per 17 anni… 

Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia
Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia

Un ruolo quasi obbligato

«Gregari – inizia Marco – si diventa per spirito di adattamento, non per scelta. L’aspirazione di tutti è quella di vincere le corse, ma alzare le braccia sotto lo striscione d’arrivo è roba per pochi. Nei primi anni da professionista impari a capire quale può essere il tuo ruolo all’interno della squadra, giocandoti, com’è giusto, le tue opportunità».

«E’ un compito difficile quello del gregario, è molto apprezzato dalle squadre, ma meno dalla gente comune. I team, soprattutto quelli WorldTour, guardano al ranking. Di conseguenza sono molto legati alle vittorie, quindi o vinci o aiuti a far vincere».

Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti
Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti

Bisogna imparare da giovani

Ultimamente c’è una tendenza ad evitare questo ruolo, come a non volersi rassegnare ad una carriera differente da quella sognata. Così alcuni corridori inseguono per tanti, forse troppi anni il successo senza mai raggiungerlo e di conseguenza le opportunità finiscono, così come le loro carriere.

«Vero – risponde l’ex corridore della UAE Team Emirates– ma bisogna partire da prima, da quando si è dilettanti. Se uno corre in una squadra che lo coccola, lo porta sul palmo a giocarsi le gare, sempre coperto ed al sicuro, poi soffre enormemente il passaggio al professionismo. Sono pochi i corridori che passano giovani e sono già capitani. Si deve imparare a sacrificarsi e correre in tutte le situazioni già da under 23».

Quello del gregario è un ruolo importante, bisogna saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri
Il gregario saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri

Saper cambiare

«E’ chiaro che una volta capito che il tuo ruolo è quello del gregario, cambia anche la tua idea di ciclismo. Se prima eri abituato ad andare forte nel finale di corsa, ora devi specializzarti nel dare il massimo in altre situazioni. Finire la corsa diventa un di più (Formolo alla Sanremo, dopo il grande lavoro per Pogacar si è ritirato, ndr)».

E allora come cambia la mentalità e l’approccio all’allenamento? «Un esempio – riprende Marcato – è imparare a stare al vento, non ripararti ma riparare, pensare anche per gli altri. Se stai risalendo il gruppo e c’è uno spazio minuscolo, non ti ci fiondi dentro, ma aspetti un momento migliore. Devi pensare che hai un filo invisibile che ti unisce al tuo capitano e non devi farlo spezzare».

Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco
Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco

Tutti per uno e uno per tutti

Il rapporto tra leader e gregario è solido e molto delicato, si costruisce nel tempo e la fiducia è alla base di tutto.

«Fiducia è la parola fondamentale – dice – se non c’è quella, non si va da nessuna parte, ovviamente va costruita nel tempo. Il gregario, soprattutto quello di fiducia, deve imparare ad essere anche un po’ psicologo, saper spronare il capitano, motivarlo. Vi faccio l’esempio di Richeze e Gaviria. Fernando si fida ciecamente di Max. Se il primo si butta nel fuoco, il secondo lo segue a ruota. Questo vale anche per i corridori giovani, che sono forti ma inesperti. Per loro avere un compagno di cui fidarsi e che li guidi in tutte le fasi della corsa è fondamentale».

Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa
Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa

Da gregario a diesse

Si è notato, negli anni, come i grandi gregari siano poi diventati bravi diesse. Come se questo lavorare per gli altri li porti ad avere una naturale visione d’insieme.

«Sicuramente – conclude Marcato – uno che ha lavorato molto per gli altri è abituato a considerare la squadra come un insieme. Solo se hai provato certe cose in prima persona sai cosa vuol dire. Questo, una volta che ti siedi in ammiraglia, ti aiuta a sapere cosa stai chiedendo ai tuoi corridori».