Da Elisa Balsamo che lascia la Polizia a immaginare un futuro analogo per gli atleti dei gruppi sportivi di Polizia e militari il passo è piuttosto lungo. La scelta della campionessa del mondo ad ora si pone come un’eccezione, ma le parole di Nicola Assuntore, il responsabile delle Fiamme Oro, ci hanno spinto ad approfondire il tema. Prima con il presidente Dagnoni e poi con Marcello Tolu, segretario generale della Federazione, che sul fronte specifico ha una delega importante.
Nuovi progetti
Dagnoni non vuole immaginare un futuro del ciclismo italiano senza il supporto dei corpi militari e anzi conferma che la FCI sta cercando di ampliare i termini e il terreno di tale collaborazione.
«Abbiamo già fatto un accordo con l’Esercito – dice – per le discipline che finora erano stato sottovalutate. Potrebbero rientrare nel discorso il settore velocità su pista, come anche la MTB e la BMX. Il supporto di questi corpi militari sostiene il ciclismo dove non c’è professionismo e sappiamo bene che in Italia al momento è inimmaginabile, ad esempio, fare il velocista su pista per mestiere. Magari si potrebbe pensare che avendo le donne ormai uno stipendio più sostanzioso, il supporto dei Corpi sia meno determinante.
«Tuttavia la riflessione che va fatta è che grazie a questo supporto, una volta che smetteranno di correre, avranno un posto di lavoro a tempo indeterminato. Gli stipendi delle WorldTour femminili non sono da sogno per tutte, forse a qualcuna potrebbe convenire tenersi il posto nel Corpo di Polizia e restare in una continental. Grazie alle Fiamme Azzurre, un atleta come Lamon ha potuto allenarsi, crescere e diventare campione olimpico. Ma per questo ho delegato Marcello Tolu. E’ stato capo delle Fiamme Azzurre, fu lui a crearne il Gruppo Sportivo…».
La parola al segretario
Marcello Toluì, segretario generale FCI, ben si presta alle domande e si capisce che il tema gli stia a cuore. Al di là degli schieramenti e di risultati elettorali che si fa fatica ad accettare, è necessario capire cosa stia facendo l’attuale gestione federale su un tema che il professionismo rischia di complicare.
Segretario, ci descrive la situazione?
Il ciclismo femminile è quasi sfociato nel professionismo (in apertura Elia Viviani e la compagna Elena Cecchini, entrambi professionisti, ma con grosse differenze, ndr). Quasi perché in Italia questo status ancora non esiste. Perché un conto è avere un contratto depositato con un minimo salariale e altro è esserlo a 360 gradi con contributi e copertura assicurativa. Per intenderci, siamo nei parametri del calcio dilettantistico, che obbliga comunque ad avere un contratto al minimo, ma non è professionismo. Dal prossimo anno però alcune questioni andranno chiarite, federazione per federazione, Paese per Paese. Se anche in Italia il professionismo delle donne sarà equiparato a quello che prevede la Legge 91, allora potrebbe porsi qualche problema. Altrimenti le cose potrebbero rimanere come sono.
In che senso?
Se l’Uci intende per professionismo il fatto che ci siano un contratto depositato e una copertura assicurativa, noi possiamo sostenere che questi atleti hanno già un contratto e tutte le garanzie di un posto nella Pubblica Amministrazione. Perciò si potrebbe immaginare una deroga da applicare ai GS dei corpi di Polizia o quelli militari. Chiaramente nei prossimi mesi approfondiremo il tema con l’UCI. Perciò rispettiamo la scelta di Elisa Balsamo, ma non crediamo che essa avrà ripercussioni giuridiche sul Sistema Sport Italia. Facciamo due conti…
Prego.
Facendo il conto dello stipendio nel Pubblico Impiego, comprensivo della parte contributiva, ad eccezione di pochi professionisti che un domani potrebbero vivere di rendita, senza quei gruppi sportivi lo sport agonistico italiano sparirebbe. Per noi sono linfa vitale, per loro sono vita. Come fai a vivere di sport senza un’entrata? A carico delle famiglie? Non si può. Alcuni smetterebbero, per questo stiamo cercando di strutturare progetti quadriennali per supportare nella preparazione olimpica degli ambienti che finora sono stati sottovalutati. La velocità, ad esempio, il fuoristrada, la BMX in cui siamo fortissimi. Io dico una cosa…
Cosa?
Il nostro è un sistema unico al mondo. C’era qualcosa di simile nella ex Unione Sovietica e di più blando in Germania e Spagna. Teniamocelo stretto, perché grazie a una legge si riconosce allo sport un immenso valore sociale.
Qualcuno obietta che un funzionario pubblico non possa percepire altri stipendi.
Esiste una legge e la cosa più bella è che è tutto alla luce del sole. La legge prevede dei paletti e gli atleti e tutti i gruppi sportivi sono perfettamente al suo interno. Piuttosto adoperiamoci, come dicevo poco fa, per includere nella famiglia della Federazione le discipline che per anni sono state lasciate alla porta. Non è per caso che nella conferenza stampa di Milano, nella presentazione di tutti i tecnici per la prima volta presenti, il professionismo sia stato tenuto per ultimo. Non perché sia meno importante, ma perché possa contribuire a dare visibilità a tutto il sistema.
Servirebbe un cambiamento culturale…
Io sono arrivato a elezioni già fatte, ma ciò che noto è che in passato la Federazione non sia stata in grado di intercettare le istanze emergenti. Noi ci stiamo provando e personalmente lo vivo come una sorta di ribellione. Bisogna far uscire il ciclismo dalle vecchie logiche, dalle parrocchie contrapposte e chiuse. Ma per farlo serve il supporto di tutti quelli che gli vogliono bene.