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Madiot attacca il potere dei giganti. E Gianetti risponde

26.04.2023
6 min
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I numeri non mentono. Le grandi classiche della primavera hanno premiato sempre e comunque il ristrettissimo lotto di fenomeni che sta caratterizzando il ciclismo contemporaneo: il pupillo di Gianetti Pogacar primo a Fiandre, Amstel e Freccia (e se non fosse caduto alla Liegi…), Van Der Poel autore della doppietta SanremoRoubaix, Evenepoel al bis di Liegi, Van Aert che batte i due rivali VDP e Pogacar alla E3 Saxo Classic e fa un grazioso regalo a Laporte alla Gand-Wevelgem e mettiamoci pure Pidcock alla Strade Bianche. I nomi sono sempre gli stessi.

Tutto ciò, al di là dell’immenso talento dei nominati, si traduce anche in uno strapotere dei rispettivi team. Tre gare su quattro finiscono sempre nel ristrettissimo lotto delle stesse formazioni: Uae Team Emirates, Jumbo Visma, Alpecin Deceuninck, Soudal QuickStep e possiamo aggiungerci anche Ineos Grenadiers, in ripresa negli ultimi giorni. Agli altri restano solo le briciole. E se dalla parte dei tifosi c’è chi comincia a lamentarsi perché vincono sempre gli stessi e si perde interesse, dall’altro è nello stesso ambiente che arrivano stoccate non di poco conto.

Marc Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)
Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)

Madiot contro il sistema

A innescare la miccia è stato Marc Madiot, team manager della Groupama FDJ che, intervistato dalla Derniere Heure, ha sottolineato come tutto ciò non sia figlio solo del talento dei campioni, ma anche e forse soprattutto delle differenze di budget in seno allo stesso WorldTour.

«Qui le squadre giganti controllano tutto – ha detto – noi siamo lassù nelle corse a tappe e nelle classiche. Ma non vinciamo e non vinceremo. Non possiamo».

Parole pesanti, che meritavano una replica da chi è chiamato in causa e a rispondere è Mauro Gianetti, suo omologo all’Uae Team Emirates.

«Immaginavo che sarei stato chiamato su questo argomento», è il suo esordio, ma la discussione, seppur delicata e per certi versi provocatoria, lo vede estremamente pronto a ribattere. «Ci sono dei momenti in cui alcuni campioni fanno la differenza sugli altri, è sempre stato così. Che cosa si dovrebbe cambiare? Credo che metterci a rincorrere nuovi regolamenti in ogni periodo storico probabilmente non sarebbe la strada giusta».

Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno
Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno

Gli investimenti delle aziende

«E’ proprio il richiamo del ciclismo attuale – prosegue – che ha portato grandi aziende internazionali a essere coinvolte e questo è un bene per l’evoluzione di questo sport. Aziende che rappresentano anche Paesi, come nel nostro caso».

Gianetti tiene a mettere l’accento proprio sull’aspetto commerciale: «Il ciclismo è un veicolo pubblicitario che attrae moltissimo per qualsiasi tipo di filosofia, marchio o prodotto che voglia essere così promosso a livello mondiale. Vediamo tante aziende che si affacciano al ciclismo, aziende di livello altissimo che scelgono questo in luogo di altri sport, come lo stesso calcio».

Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo
Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo

Ipotesi salary cap

Madiot però parla di un sistema da rivedere ed equilibrare com’è stato fatto in altri sport, ad esempio nel basket Nba con l’introduzione del “salary cap”, sarebbe possibile farlo anche qui o il ciclismo è più vicino a un sistema di libero mercato come esiste nel calcio?

«Questo è un discorso abbastanza complesso – replica Gianetti – non si può ridurre la discussione al salary cap senza che pensiamo a costruire le infrastrutture per introdurlo. Ad esempio bisognerebbe rimettere completamente mano al calendario di corse, ai roster delle squadre da ridurre drasticamente.

«Non possiamo farlo senza avere un’identificazione di cosa siano le gare importanti o meno, perché oggi sotto questo aspetto c’è un po’ di confusione per il pubblico, quello non propriamente addentro al nostro mondo che non capisce quali siano le gare realmente importanti. Se ne può parlare, va benissimo, purché sia fatto in un contesto globale. Ma non dimentichiamo un fatto: i fenomeni rimangono fenomeni. Chi li ha è avvantaggiato e lo sarà sempre perché così è sempre stato».

Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)
Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)

Le differenze con il basket

Proviamo allora ad allargare un po’ il discorso anche oltre le provocazioni di Madiot: potrebbe essere pensabile un sistema di reclutamento per juniores e under 23 diciamo simile a quello dei draft americani con le squadre più arretrate nel ranking del WorldTour che abbiano una preferenza nella chiamata?

«Siamo talmente lontani dal concetto nel ciclismo – osserva Gianetti – che anche in questo caso non è pensabile di copiare questa regola. Il sistema attuale non lo permette, il corridore deve avere il diritto di scegliere la proposta migliore, economicamente e non solo. Non siamo il basket, il ciclismo è qualcosa di diverso. Ci sono tanti aspetti da valutare nella scelta di un team o di un corridore, così sarebbe tutto semplicistico.

«Se c’è la voglia di fare qualcosa – prosegue – deve essere fatto a livello globale. Ma anche lì è difficile trovare la quadra, perché ovviamente gli organizzatori hanno degli interessi che sono diversi da quelli delle squadre e l’Uci deve stare in mezzo a cercare di gestire al meglio».

Thomas e Geoghegan Hart, stelle della Ineos che sta riemergendo dopo un avvio difficile
Thomas e Geoghegan Hart, stelle della Ineos che sta riemergendo dopo un avvio difficile

Il problema delle leggi diverse

«E’ da quando sono nel mondo del ciclismo – rilancia Gianetti – che si sente parlare di riforme, eppure ci sono stati cambiamenti nel WorldTour che hanno comunque portato benefici. Guardiamo le aziende che sono entrate in questo mondo, la Tudor ad esempio, ma anche colossi come la Ineos, parliamo di aziende veramente mondiali. Queste sono entrate con investimenti che indubbiamente costituiscono un rischio. Ma pur non avendo una garanzia totale, sanno che almeno per 2-3 anni avranno diritto alla partecipazione nelle gare più importanti a livello televisivo e d’immagine».

Nella sua intervista Madiot mette l’accento su un punto: le squadre appartenenti al WorldTour non partono alla pari, perché alcune, come le francesi, devono sottostare a una legislazione diversa, con i corridori impiegati a tempo pieno e quindi con tasse e contributi da pagare, come a dire: «Spendiamo di più e otteniamo forzatamente di meno».

Evenepoel a Liegi ha scritto l’ultima delle grandi imprese di questa straordinaria primavera a pedali
Evenepoel a Liegi ha scritto l’ultima delle grandi imprese di questa straordinaria primavera a pedali

Il ciclismo, sport planetario

«E’ vero – sottolinea Gianetti – ma la forza del ciclismo è che è uno sport mondiale, il che per certi versi è anche una debolezza. Se tutte le squadre avessero sede nello stesso Paese, sarebbe tutto più semplice, anche per l’adozione delle regole di cui abbiamo detto, ma non è così e chiaramente la Federazione mondiale deve cercare formule per mettere tutti il più possibile alla pari, ma non è semplice. Considerate che non c’è altro sport planetario come il ciclismo: si corre in tutti i Continenti, ogni marchio viene diffuso in ogni Paese, neanche il calcio ha questo potere».

Madiot nella sua intervista sottolinea come quasi il 75 per cento delle gare finisca nelle mani di un pugno di team, è una situazione destinata a cambiare?

«Diciamo che è una situazione figlia di un periodo straordinario – conclude Gianetti – perché ci sono questi fenomeni che fanno un bellissimo ciclismo, quantomeno tra di loro. E’ chiaro che arriveranno altri fenomeni, perché vediamo generazioni di ragazzi giovani e ambiziosi forti che stanno crescendo. Nulla dura per sempre. Per cui è chiaro che bisogna continuare a lavorare seriamente e impegnarsi. Poi io sono chiamato direttamente in causa grazie a Tadej e vorrei che questo tempo durasse ancora molto a lungo, intanto che c’è godiamoci il momento spettacolare del ciclismo attuale».

Guarnieri: «Tra Demare e Gaudu sarà più facile di ciò che sembra»

02.03.2023
6 min
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Le convivenze sportive, come quelle di tutti i giorni, vivono e sopravvivono di compromessi, belli o brutti che siano. Non ne è esente la Groupama-Fdj che quest’anno, con l’enorme ringiovanimento dell’organico, potrebbe avere qualche problema in più a far coesistere in alcune gare Demare e Gaudu (entrambi in apertura, foto Facebook/Groupama-Fdj).

La prima che faranno assieme sarà la Parigi-Nizza che parte questa domenica e, in questa ottica, potrebbe essere una prova generale per il Tour de France. Nel frattempo si è un po’ affievolito il polverone di fine gennaio suscitato dalle avventate dichiarazioni di Gaudu su Discord rivolte indirettamente a Demare, di cui abbiamo già parlato. Resta tuttavia la curiosità di vedere come si comporteranno i diretti interessati.

Proprio alla “corsa verso il sole” ci sarà anche Jacopo Guarnieri, che conosce benissimo entrambi. Al 34enne piacentino della Lotto-Dstny, che sappiamo non ha paura di esporsi o sottrarsi alle responsabilità, abbiamo chiesto cosa ne pensi. E lui, che domani partirà per la Francia (dove sarà assente Ewan e lavorerà per De Lie), ci ha risposto vestendosi da pompiere.

Marc Madiot sulla vicenda Gaudu-Demare ha pensato al bene della squadra più che alle loro ruggini (foto Facebook/GroupamaFdj)
Madiot sulla vicenda Gaudu-Demare ha pensato al bene della squadra (foto Facebook/GroupamaFdj)
Jacopo qual è il tuo punto di vista sulla questione?

Più che il mio punto di vista, prendo in considerazione i protagonisti. O meglio, contestualizzo loro in base alle idee su come vengono divise le squadre per una gara a tappe. Ci sono dinamiche ben precise tra velocista e scalatore. Non sempre ci vuole una squadra più per uno che per l’altro oppure divisa a metà. Basta avere gli uomini giusti. Guardate Cadel Evans che vinse il Tour nel 2011 con una squadra formata da compagni adatti alle classiche.

Gaudu dopo il quarto posto dell’anno scorso al Tour voleva una formazione tutta per sé.

Sì, ci sta il suo ragionamento. Ma a mio modo di vedere, lo scalatore dovrebbe pensare così solo se può avere in squadra altri scalatori di altissimo livello. Se ci sono, bene. Altrimenti meglio portare compagni che ti possano aiutare in pianura e tenerti coperto in quelle tappe rese difficili dal maltempo. Immagino che Madouas rifarà il Tour, dove l’anno scorso è andato forte (10° nella generale, ndr). Lui secondo me lavorerà per David, che a sua volta non credo farà grandi proclami di vittoria. Per fortuna però non sarà compito mio scegliere la squadra.

Perché, nei tuoi anni in Groupama-Fdj, ti è capitato di dare consigli su chi portare ai tuoi diesse?

No, no (sorride, ndr), era solo un modo di dire. Sicuramente sarà una questione che riguarderà Madiot. Lui non ha mai chiesto nulla ai corridori, giustamente. E noi, quantomeno quelli di seconda fascia come me, non ci siamo mai permessi di dire nulla. Magari poteva capitare che fosse uno dei capitani a battere i pugni per avere un uomo in più per lui. Ad esempio ricordo che al Tour 2021, dove c’erano sia Arnaud (Demare, ndr) che David, il nostro treno dovette rinunciare a Sinkeldam per uno scalatore.

Alla Groupama-Fdj hanno spesso mandato Demare da una parte e Pinot o Gaudu dall’altra. E’ così difficile trovare un equilibrio tra velocista e scalatore in una formazione per un grande giro?

A volte capita che non ce ne sia tra due velocisti o due scalatori che partono alla pari. Sono scelte che si fanno, come dicevo prima. Sappiamo che per la generale, gli uomini di classifica possono incappare sempre in problemi vari. Se invece hai anche un velocista vincente, meglio puntare su quello perché può sempre salvarti la corsa. E’ una scelta che spesso le squadre fanno per mettersi al sicuro, specie se sei un team francese al Tour. Poi può essere che quest’anno Arnaud, che aveva fatto il Giro un anno fa, voglia semplicemente tornare in Francia col solo obiettivo delle vittorie di tappa senza puntare alla maglia verde, dove in quel caso avrebbe una concorrenza agguerrita con gente come Van Aert o lo stesso Pogacar.

Ciò non toglie però che si sia scatenato un bel caos. Ti era mai successo in carriera una situazione simile?

No mai, anche se sono cose che capitano. Siamo sempre stati tutti bravi a convivere. O comunque ci siamo sempre lavati i panni sporchi in casa. Leggendo quello che è successo recentemente con Gaudu, che comunque ha chiesto scusa a Demare, direi che sicuramente non è un buon punto di partenza. Probabilmente, anzi sicuramente non doveva saltare fuori questo problema o quanto meno non con queste modalità. Personalmente penso sia più una roba ingigantita dai media, tant’è che siamo qui a parlarne anche noi. E la penso un po’ come Madiot, che ha ridimensionato la cosa.

La coesione fra Gaudu e Demare sembra un po’ forzata rispetto al passato. Può essere data dal fatto che corridori esperti come te siano andati via?

Da quest’anno ci sono tanti ragazzi giovani in Groupama che sono andati a rinforzare più la pattuglia degli scalatori. Non sono certamente loro che possono e devono sistemare eventuali problemi. Tuttavia però mi sento di dire, forse con un pizzico di orgoglio senza essere presuntuoso, che le partenze inaspettate di Sinkeldam e me hanno danneggiato un po’ Arnaud. Per lui sono cambiate molte cose. Non prendete però come esempio il UAE Tour che è una corsa che per i treni non ha mai dato indicazioni importanti, vedi anche noi della Lotto-Dstny. Io laggiù non mi sono fasciato la testa per gli automatismi da trovare e così deve fare anche Arnaud. Deve solo abituarsi a situazioni nuove.

Cosa si sente di dire Jacopo Guarnieri in versione fratello maggiore a Gaudu e Demare?

Non devo dare loro consigli in particolare. Li vedrò alla Parigi-Nizza, dove avranno interesse reciproco a lavorare bene assieme. E secondo me sarà così. Posso solo dire che parlerà la strada. E a quel punto si accorgeranno che tutta questa situazione sarà ben più facile di quello che sembra.

Lite tra Gaudu e Demare. Mauduit la chiude così

01.02.2023
5 min
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Acque agitate in casa Groupama-FDJ. Negli ultimi giorni le cronache relative al team francese, si sono occupate delle polemiche roventi innescate da David Gaudu nei confronti del suo coequipier Arnaud Demare (nella foto d’apertura de L’Equipe i due “contendenti”). Il più giovane, quarto lo scorso anno al Tour, non ci è andato leggero, prendendo spunto dalla presenza del velocista nel ritiro della squadra dedicato prevalentemente agli scalatori.

Philippe Mauduit, classe 1968, è uno dei diesse della squadra francese (foto Groupama-FDJ)
Philippe Mauduit, classe 1968, è uno dei diesse della squadra francese (foto Groupama-FDJ)

«Al Tour non ce lo voglio»

«Ha scelto lui di venire, se poi è distrutto di che si lamenta? – sono state le parole espresse da Gaudu – vuole venire al Tour? Il posto non è garantito, anzi vorrei che non venisse. Non ce lo voglio».

A questo Gaudu, un fiume in piena, ha fatto seguire altro: «Tra me e lui non va, mi manca di rispetto dal 2017, l’ho sentito io dire: “Non salgo in ascensore se c’è Gaudu” e durante delle riprese ha anche tentato di farmi cadere. Non lo sopporto e lo sa benissimo».

Successivamente, come sempre succede, Gaudu ha ritrattato, affermando che erano parole che dovevano rimanere riservate e che ha chiesto scusa alla squadra e al diretto interessato. Ma la frattura è ben lungi dall’essere sanata.

Lo stesso team manager del team, Marc Madiot ha detto: «Non m’interessa molto che siano amici, se devono correre insieme lo faranno e infatti alla Parigi-Nizza dovranno farlo. Non sempre se sei amico di qualcuno significa anche che ci lavori bene insieme. Quella di Gaudu è stata una ragazzata».

Un estratto della chat dove sono comparse le roventi parole di Gaudu su Demare
Un estratto della chat dove sono comparse le roventi parole di Gaudu su Demare

Conta la corsa

Madiot per certi versi minimizza, ma il tema resta e per saperne di più abbiamo chiesto lumi al diesse della squadra Philippe Mauduit, che spiega innanzitutto come sono trapelate le parole “dell’enfant prodige” transalpino.

«Partecipava a una di quelle chat associate ai videogiochi, rispondendo ad alcune domande, non pensava che sarebbero uscite da quel contesto. Diciamo che è stata una leggerezza cadere nelle provocazioni e David si è scusato per questo. Noi siamo allineati con la posizione di Madiot, quel che conta è la squadra».

Far coesistere due persone di primo piano che non si sopportano (anche se va detto che da Demare non c’è stata alcuna replica) non è semplice: «Noi guardiamo quel che avviene in corsa e in allenamento, quel che si fa per la squadra. Se la diatriba coinvolge il lavoro, allora diventa un problema e noi lo affrontiamo come tale. Sanno bene entrambi che i primi penalizzati sarebbero loro, se non si fa ciò che viene chiesto.

«Non mi sembra una storia così eclatante, sono cose che nell’ambiente possono succedere: considerate che un team ciclistico coinvolge qualcosa come 140 persone, impossibile che tutti vadano d’accordo, ma la collaborazione deve essere sempre massima».

Gaudu ha chiuso 4° all’ultimo Tour e ora punta decisamente al podio. Esordirà al Tour des Alpes Maritimes
Gaudu ha chiuso 4° all’ultimo Tour e ora punta decisamente al podio. Esordirà al Tour des Alpes Maritimes

Demare senza treno

Va anche detto che, in base alle loro caratteristiche tecniche, Gaudu e Demare non avranno così tante occasioni di coesistenza.

«Questo è vero – continua Mauduit – ma ci saranno comunque, come alla Parigi-Nizza. Vorrei chiarire un punto sul Tour de France: se Demare non ci sarà, non è certo per le parole di Gaudu. Noi dobbiamo valutare quel che è meglio per la squadra e nel prossimo Tour ci saranno poche occasioni per i velocisti, al massimo sei tappe».

L’occasione viene buona anche per chiarire un aspetto tecnico legato proprio a Demare, che ricordiamo da quest’anno sarà privo del suo “pesce pilota” abituale, Jacopo Guarnieri.

«Arnaud – dice Mauduit – sa bene che non può avere un treno a lui dedicato, ma è così ormai già da un paio d’anni. L’ultima Parigi-Tours l’ha vinta correndo senza un treno, giocandosi le sue carte da solo. Se guardate, ormai i veri e propri treni per velocisti sono pochissimi, inoltre bisogna considerare che ormai vere volate non ci sono quasi più: trovi sempre o una salitella finale che fa selezione, o una curva in prossimità dell’arrivo che scompagina il gruppo e così via».

La volata vincente di Demare alla Parigi-Tours 2022, senza un treno a lui dedicato
La volata vincente di Demare alla Parigi-Tours 2022, senza un treno a lui dedicato

Un team, più obiettivi

Probabile quindi che Demare venga dirottato sul Giro d’Italia, dove comunque le occasioni per uno sprint non saranno poi molte di più: «Probabile, non sicuro. Quando gestisci un team devi valutare bene che cosa vuoi ottenere. Se hai il corridore che va per vincere, come Pogacar o Vingegaard, allora costruisci la squadra su di lui. Se hai un corridore che può – e il verbo è importante – salire sul podio non puoi vincolare tutto il team a questo, devi pensare anche alle tappe, devi fare una valutazione generale per portare a casa quanto più possibile».

«Demare si deve adattare a correre senza un treno, ma anche i compagni devono adattarsi a non avere una squadra completamente bloccata pensando alla classifica. Per questo dico che David e Arnaud devono collaborare, quel che conta è il team».

L’addio di Pinot nato nei lunghi giorni del lockdown

14.01.2023
7 min
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Al momento di annunciare il suo ritiro, sorridendo, Thibaut Pinot ha detto che la prima cosa che farà dopo l’ultima corsa, sarà vendere i rulli. Leggere L’Equipe è fare soprattutto un viaggio fra ricordi comuni e sensazioni che tutti abbiamo provato un paio di anni fa. Qualcuno le ha elaborate lasciando la posizione in cui è cresciuto per dare vita a un nuovo progetto. Altri, come Pinot, hanno immaginato la loro vita fuori dal ciclismo.

«Se torno un po’ indietro – racconta – ho iniziato a pensarci durante il lockdown. Era la prima volta che mi sentivo me stesso. E’ stata, tra virgolette, una vacanza imposta, senza stress, senza pressioni, senza correre dappertutto. Da quel momento mi sono posto molte domande. Sul fatto che vivevo a 1.000 all’ora, che non mi stavo godendo i momenti. C’erano corridori sui rulli, io invece mi sono preso il tempo per dedicarmi alla mia fattoria, alla mia vita».

Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ
Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ

«Facciamo ogni giorno 4-5 ore di allenamento, ma ho l’impressione che ne servano 24. Hai sempre dentro una vocina che ti ricorda che sei un ciclista. Durante il lockdown, per la prima volta da quando ero piccolo, non avevo più la pressione di pensare sempre alla bici. Ho avuto un assaggio della vita che mi attende. Ripartire fu difficile perché significava lasciare i tre mesi migliori dopo tanto tempo».

Madiot e i paradossi

Madiot lo sapeva. Il burbero Marc, che a Porrentruy con mezzo busto fuori dall’ammiraglia festeggiò la prima tappa al Tour del 2012, ricorda di quando Pinot (al secondo anno da pro’) prese un treno da Melisey per pranzare con lui a Parigi, pregandolo di schierarlo in quel Tour.

«Il ritiro l’ho sentito arrivare – racconta – non sono sorpreso. Abbiamo avuto una conversazione in autunno e mi ha confermato quello che prevedevo. Il suo arrivo ha segnato l’inizio di una nuova era, la seconda nascita della squadra. Per molti corridori gli anni del ciclismo a due velocità sono stati un trauma, la generazione di Pinot ci ha fatto ritrovare uno slancio sportivo.

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera

«E’ un romantico, un ragazzo con dei paradossi. Vuole stare tranquillo nel suo mondo e allo stesso tempo racconta la sua vita sportiva su Strava. Si allena duramente, ma al contempo non ha mai accettato tutte le possibilità di migliorare che gli sono state offerte. La sua realizzazione assoluta per me è la vittoria sul Tourmalet nel 2019. Un giorno gli chiesi se volesse vincere il Tour e se ci pensasse la mattina mentre si radeva. Lui rispose di no, capii che ci pensavo io al posto suo. Per me Thibaut si è spento con la caduta di Nizza al Tour 2020. La ricostruzione è stata lunga e dolorosa, Nizza è il punto di svolta».

Via dalla pressione

Un altro 90 che lascia il gruppo. Non si può parlare di ritiro prematuro, ma è arrivato prima di quanto si sarebbe immaginato. Più tardi di Dumoulin e Aru, ad esempio, ma con qualcosa che li lega.

«E’ stata una benedizione – dice – che non abbia vinto il Tour. Ovviamente sono poche le persone che possono capirmi. Volevo vincerlo e se non ci sono riuscito, è stato un segno del destino. Sarei diventato un personaggio pubblico, cosa che non volevo. Ogni volta che vincevo una tappa al Tour, non avevo fretta di tornare a casa perché sapevo che avrei avuto persone davanti al cancello. Quindi non riesco nemmeno a immaginare come sarebbe stato se avessi vinto il Tour de France. A casa non ci sarei tornato più…

Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)
Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)

«Avevo degli obiettivi, li ho raggiunti quasi tutti. Adesso ho solo la rivincita col Giro, non mi va di lasciarlo con il ricordo di un ospedale, perché il Giro resta la corsa più bella. Il ciclismo ha preso un terzo della mia vita e ora voglio dedicarmi alla mia seconda passione, gli animali, la natura. Se potrò avere il futuro che sogno è anche perché non ho vinto il Tour. La mia vita sarebbe cambiata troppo, per questo non me ne pento».

La vita del campione

Lo incontrammo per la prima volta ai mondiali di Mendrisio 2009, dopo la fresca vittoria al Giro della Valle d’Aosta. Aveva il futuro fra le mani, la Francia era certa che fra lui, Bardet e Barguil sarebbe uscito il prossimo vincitore del Tour.

«Sono già arrivato – ragiona – oltre le mie aspettative. Quando sono diventato professionista, non avrei mai pensato di vincere così tante belle gare. Mi rassicuro così. E poi sono rimasto onesto, nella mia filosofia ciclistica e per tutta la carriera. Ne sono soddisfatto. Avevo il potenziale grezzo per vincere più gare, un grande Giro per esempio, ma nel ciclismo di adesso questo non è abbastanza.

«Il Giro 2018 è stato un clic (fu portato in ospedale disidratato e con complicazioni renali nel giorno dell’impresa di Froome sul Finestre, ndr). Quando ti arrendi e finisci in ospedale in terapia intensiva, ti accorgi che è la vita non è solo ciclismo. Quell’esperienza mi ha aiutato ad accettare il ritiro dal Tour del 2019. Prima non sopportavo il fallimento, mi faceva molto male, ma dopo il 2018 è diventato diverso, mi sono detto che non potevo continuare a rovinarmi la vita. Non ho mai voluto la carriera di un campione, non è mai stato facile per me. Nei giorni del gruppetto al Tour, mi nascondevo nel mezzo perché non volevo che la gente mi riconoscesse. Mi vergognavo…».

Il più in alto possibile

Chissà se averlo annunciato prima toglierà il fuoco di dosso o gli permetterà di correre divertendosi come da under 23. Il programma è ricco, le aspettative ancora alte.

«Sono motivato a vincere il più possibile – dice – farò di tutto per questo. Ho detto in anticipo che il 2023 sarà l’ultima stagione, per liberarmi da questo peso e divertirmi per il tempo che resta. Non faccio una croce sul muro ogni mattina per i giorni che passano. Mi sento molto meno nervoso e più libero. Ho sempre detto che quando non sarei stato più in grado di vincere, avrei smesso.

«Sono sempre stato lucido riguardo alle mie capacità. Andrò al prossimo Tour con l’obiettivo di aiutare Gaudu. Perché il mio ultimo anno sia bello, devo esserci. Fosse solo per tutti quelli che mi hanno supportato. Da me ci si aspettava che lo vincessi, non ci sono riuscito. Il Tour e la Vuelta dell’anno scorso sono stati frustranti. Ma anche questo fa parte del viaggio che porterà alla pensione».

La Groupama-FDJ sceglie la qualità di Julbo

17.12.2022
3 min
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Nei giorni scorsi il team Groupama-FDJ, la formazione diretta da Marc Madiot, ha definito un accordo di partnership tecnica con il brand Julbo. Si tratta di un accordo pluriennale caratterizzato da due passaggi ben distinti. Dal prossimo anno, Pinot e compagni utilizzeranno caschi firmati Julbo mentre nel 2024 ai caschi si aggiungeranno anche gli occhiali. Diverso il discorso per la formazione continental del team francese, quella che per intendersi quest’anno ha dominato la scena internazionale con Lenny Martinez, Romain Gregoire e Lorenzo Germani. I ragazzi del team continental già dal prossimo anno utilizzeranno caschi e occhiali Julbo.

Immagine dell’esterno della sede dell’azienda, nel dipartimento dello Jura (foto DomDaher)
Immagine dell’esterno della sede dell’azienda, nel dipartimento dello Jura (foto DomDaher)

Eccellenze francesi

L’accordo tra Julbo e Groupama-FDJ può essere considerato a pieno diritto l’incontro fra due eccellenze francesi. Se da una parte abbiamo un team “storico” del ciclismo transalpino, dall’altra abbiamo un’azienda con ben 134 anni di esperienza, essendo stata fondata nel 1888 nel dipartimento dello Jura, in quella che può essere considerata la patria dell’industria francese dell’occhialeria.

Pur conservando lo spirito familiare delle origini, oggi Julbo è un brand dal respiro internazionale in grado di proporre al mercato prodotti high-tech che spaziano dall’alpinismo allo sci in tutte le sue discipline e sfaccettature. Propone oggi occhiali di alto livello anche per vela, running, enduro e naturalmente per ciclismo su strada.

Il primo è stato Gaudu

La collaborazione tra Julbo e Groupama-FDJ non è una novità assoluta. Dal 2021 David Gaudu, uno degli atleti più promettenti della formazione transalpina, utilizza occhiali Julbo. Visti i suoi problemi con la vista, Julbo ha realizzato per lui degli occhiali con lenti correttive attraverso il proprio sistema collaudato RX Lab.

Anche Lenny Martinez, stella della formazione continental e pronto al debutto nel WorldTour, già nel corso di questa stagione utilizzava occhiali Julbo.

Christophe Beaud, CEO di Julbo (foto Jeremy Bernard)
Christophe Beaud, CEO di Julbo (foto Jeremy Bernard)

Parola ai manager

L’accordo con la Groupama-FDJ rappresenta un momento importante nella storia dell’azienda. La conferma arriva dalle prime dichiarazioni rilasciate da Christophe Beaud, CEO di Julbo.

«La partnership con la Groupama-FDJ – spiega – segna una nuova pietra miliare nella storia del nostro brand. E’ il risultato di una strategia implementata per un lungo periodo di tempo. Abbiamo iniziato realizzando occhiali da alpinismo. Successivamente abbiamo diversificato la nostra attività in vela, sci freeride, sci nordico, trail running, enduro e mountain bike. Dopo essere diventati fornitori ufficiali de L’Etape du Tour, ora rivolgiamo la nostra attenzione al ciclismo su strada. Abbiamo sviluppato i prodotti ideali per questo sport e ora è il momento giusto per noi».

Marc Madiot, General Manager della Groupama-FDJ ha espresso con queste parole la sua soddisfazione per la nuova partnership tecnica.

«A nome dell’intero team ciclistico Groupama-FDJ – dice – sono particolarmente orgoglioso di annunciare questa collaborazione con il marchio Julbo. Sostenere l’innovazione francese è nel DNA del nostro team e Julbo ha sede nella nostra regione, nello Jura. Come il nostro team, è un’azienda familiare che è cresciuta attraverso le sue esperienze sportive. La nostra partnership è più di una semplice sponsorizzazione. Questa è una vera collaborazione, una condivisione di competenze tra i nostri due team di ricerca e sviluppo, al fine di produrre l’attrezzatura più efficiente e i migliori risultati possibili per i nostri corridori».

Julbo

Calpe, incontriamo Germani. Primi passi nel WorldTour

17.12.2022
5 min
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Il bello di essere a Calpe in questi giorni è che ovunque ti giri trovi una squadra. Così, risalendo dalla cena, ci siamo ritrovati davanti all’hotel in cui alloggiano la Total Energies e la Groupama-FDJ. Qualche giorno fa, scambiando messaggi con Lorenzo Germani, ci aveva raccontato che arrivati tutti insieme all’aeroporto di Alicante dalla Francia, dalla presentazione e dalla cena con i fans della squadra, erano stati portati in un albergo. Li attendevano un rapido pranzo e le bici. Per cui i corridori hanno mangiato, si sono cambiati e hanno pedalato fin qui. Giorno salvo e un’ora di auto in meno.

Il tricolore degli under 23 è nella hall e lo raggiungiamo. E’ un giorno speciale: quello del discorso motivazionale di Marc Madiot. Avendone visto qualche pezzetto sui social, la cosa ci incuriosisce. Così prendiamo lo spunto e ficchiamo un po’ il naso.

Presentazione della squadra e serata con i tifosi, il 2023 del team è iniziato così (foto Groupama-FDJ)
Presentazione della squadra e serata con i tifosi, il 2023 del team è iniziato così (foto Groupama-FDJ)
Com’è questo primo ritiro con la WorldTour?

Una bella emozione. Penso al percorso che ho fatto, a dov’ero fino a ieri. Oggi mi trovo qui in mezzo a loro e fa un po’ strano. Ho trovato ragazzi tranquilli e gentili, che ti fanno entrare nel loro gruppo senza problemi. L’ansia dal primo giorno è durata solo il primo giorno…

In che modo ti stai allenando?

Piuttosto che iniziare a marzo come in continental, quest’anno partiremo molto prima, a gennaio. Io debutterò al Tour Down Under, quindi bisogna farsi trovare pronti. Non ho ancora un programma di allenamento. Mi hanno spiegato per sommi capi e avrò tutto in mano per fine ritiro. Comunque ci sarà da lavorare di più, il carico sarà superiore. E poi, col fatto che comunque non si corre tutti i weekend, si faranno dei richiami di forza in palestra tutto l’anno e terrò fissa la corsa a piedi, per essere proprio un atleta a 360 gradi.

Da solo sul traguardo di Carnago: la maglia tricolore U23 è di Lorenzo Germani
Da solo sul traguardo di Carnago: la maglia tricolore U23 è di Lorenzo Germani
Interessante punto di vista…

Facendo solo ore di bici, si possono creare degli squilibri. Invece facendo esercizi di core, la palestra e anche la corsa a piedi, le cose cambiano. Abbiamo fatto un esame delle ossa e il risultato che io ho le ossa un po’ più fragili. Facendo la corsa a piedi, il contatto col suolo e i continui traumi ne migliorano la resistenza. Cosa che in bicicletta non sarebbe possibile.

Hai parlato di ansia.

La sera che sono arrivato – racconta Germani – mi è venuto a prendere Julian Pinot all’aeroporto. Lui è il fratello di Thibaut, fa il preparatore e ho un po’ più di confidenza perché vive a Besancon. Quindi gli ho fatto una battuta su quale onore fosse trovare proprio lui. Invece quando arrivi da solo alla reception per fare il check in e vedi che dietro nella hall ci sono Kung, Gaudu, Pinot e Molard, che erano già là perché avevano fatto la presentazione, pensi che per andare in camera dovrai passare là davanti e che fai, ti nascondi? Insomma, ti viene un po’ l’ansietta. Però si trattava solo di partire, perché sono ragazzi tranquilli. Il gruppo è unito, non hanno lasciato fuori noi più giovani. Perciò siamo tutti entusiasti di riprendere la stagione e ora toccherà soltanto alle corse parlare.

Thibaut Pinot è uno dei fari del team e nel 2023 correrà al Giro (foto Groupama-FDJ)
Thibaut Pinot è uno dei fari del team e nel 2023 correrà al Giro (foto Groupama-FDJ)
Cosa ti è parso del discorso di Madiot?

Bisogna viverlo per crederci. Quei pezzi che si vedono nei social sono molto intensi, ma durano due minuti. Qui è stato davanti a noi per un’ora e sempre con la stessa carica. Tanto da pensare che avesse preso tre caffè prima di venire oppure che ce l’abbia proprio nel sangue. E in effetti è così, perché si comporta allo stesso modo dalle 8 del mattino a colazione fino alla sera a cena, quando ti dice buona notte. E’ un discorso che ti motiva e ti dà ti da quel qualcosa in più, la carica per iniziare.

La sensazione è che aver firmato il contratto ti abbia fatto andare più forte durante la stagione.

La svolta c’è stata quando durante il Giro d’Italia U23 mi hanno proposto di passare nella WorldTour. Più che la svolta è stata la tranquillità di avere realizzato un sogno, di essere arrivato a un nuovo punto di partenza. Passare non è fermarsi, è un punto di partenza. Però da quel momento ho capito che non dovevo dimostrare qualcosa ed è stata la svolta. Ho cominciato a correre per divertirmi, mi allenavo pensando a dove sarei stato l’anno dopo. E quindi pure durante la corsa ho trovato la tranquillità di sentirmi non dico superiore, ma con la consapevolezza che se mi hanno offerto di passare, allora valgo qualcosa.

Madiot ha spiegato la squadra alla stampa: i suoi discorsi ai corridori sono ben altro: chiedere a Germani (foto Groupama-FDJ)
Madiot ha spiegato la squadra alla stampa: i suoi discorsi ai corridori sono ben altro (foto Groupama-FDJ)
Un punto di partenza…

La carriera inizia adesso e quindi dovrò continuare a progredire, cercare nuovi stimoli e nuove cose in cui migliorare. Il corpo ha vent’anni, sono ancora giovane e devo svilupparmi del tutto. Quindi penso che a vent’anni puoi solo migliorare fisicamente e intanto crescere in tanti aspetti, dal ritmo che ti mette una gara WorldTour agli allenamenti. Sono pronto per iniziare e intanto ho comprato un cappellino rosa?

Perché?

Per convincerli a portarmi al Giro, ma sono irremovibili. Hanno detto che semmai si potrà parlare della Vuelta, ma il Giro è troppo presto…

Guarnieri guida d’eccezione per Germani e i suoi fratelli

16.08.2022
4 min
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Peccato che abbia deciso di andarsene e non concluderà il suo percorso alla Groupama-FDJ accanto a Demare. Per Germani sarebbe stato un grande riferimento. E allora, nel tentativo di ovviare al problema, abbiamo chiesto a Jacopo Guarnieri di raccontare l’ambiente dello squadrone francese al giovane italiano che vi approderà dal 2023 assieme alla nidiata degli otto talenti della Continental francese. Madiot li avrebbe tenuti ancora un po’ nel team dei giovani, ma quando si è accorto delle sirene di altre squadre WorldTour, ha preso il coraggio a quattro mani e li ha fatti firmare in blocco. Parliamo di Romain GregoireLenny MartinezReuben Thompson, Enzo Paleni, Laurence Pithie, Sam Watson, Paul Penthoet e appunto Lorenzo Germani. 

Guarnieri assieme a Bennati, nell’avvicinamento agli europei di Monaco, corsi come ultimo uomo
Guarnieri assieme a Bennati, nell’avvicinamento agli europei di Monaco, corsi come ultimo uomo
Che ambiente troveranno nella WorldTour?

Non sarà un trauma, visto che arrivano dallo stesso ambiente. Useranno gli stessi materiali, hanno gli stessi allenatori che escono dall’Università di Besancon. Alcuni di loro hanno già corso tra i pro’. Non sarà uno shock, non vivranno lo spaesamento che ebbi io inizialmente alla Liquigas.

C’è continuità nel metodo?

Siamo tutti seguiti nell’allenamento e nella nutrizione. Non scopriranno cose mai viste prima.

La Groupama ha dei giovani in organico, ma non sembra una squadra di giovani: sarà necessario un cambio di pelle?

Dovranno farlo, ma del resto la voglia di ringiovanire era già emersa. E forse anche il fatto che io cambi squadra rientra in quest’ottica, anche se in certe dinamiche non c’è mai un solo fattore scatenante. Io forse avrei gestito diversamente la situazione, perché il mio ruolo non lo affronti mettendoci un giovane. Ma sull’argomento preferisco non dire altro.

Germani ha firmato il contratto prima ancora di vincere il campionato italiano, segno di grande fiducia
Germani ha firmato il contratto prima ancora di vincere il campionato italiano, segno di grande fiducia
La continental sembra avere un livello altissimo…

In realtà ormai il livello delle continental è alto anche in Italia. I giovani che passano sono tutti ben preparati, si ha un approccio scientifico con il ciclismo. Altrimenti uno come Baroncini, che correva al Team Colpack, non avrebbe potuto vincere un mondiale da under 23. E comunque basta poco per vedere se i corridori che passano sono ben inquadrati oppure no. Lo sport sta andando verso il tutto e subito.

Significa che avranno poco tempo per dimostrare quanto valgono?

Per fortuna troveranno un ambiente familiare, rilassato. L’aspetto umano è tenuto in grande considerazione, su questo possono stare tranquilli. Come dicevamo prima, può esserci il limite che non abbiano mai avuto tanti giovani tutti insieme. E a proposito di questo, anche se non lo leggeranno mai, il consiglio voglio darlo alla squadra.

A proposito di cosa?

Mi auguro che non abbiano la dead line fissata al secondo anno di professionsimo, perché questi sono ragazzi giovanissimi e magari due anni potrebbero essere un periodo troppo breve.

Gregoire è il nome su cui sono puntate le maggiori attenzioni, soprattutto in Francia. Qui vince la Liegi U23
Gregoire è il nome su cui sono puntate le maggiori attenzioni, soprattutto in Francia. Qui vince la Liegi U23
Se l’aspetto umano è tenuto da conto, magari il rischio non ci sarà…

Lo spero. Mi ricorda la Liquigas dei tempi che furono, in cui non eravamo solo corridori, ma anche persone.

Hai avuto contatti con questi ragazzi?

Purtroppo no, tranne un ritiro prima del Covid, ma c’erano altri nomi e un’altra consistenza. Negli ultimi due anni sono cambiate le modalità dei ritiri e avendo fatto solo corse WorldTour, non sono riuscito a incrociarli. Magari ne troverò qualcuno di qui a fine stagione. Magari proprio lo stesso Germani.

Fra i punti in comune tra il campione italiano under 23 e Guarnieri (che dal prossimo anno correrà alla Lotto-Destiny), c’è anche Manuel Quinziato, agente di entrambi. E conoscendo il bolzanino e l’attenzione per certe sfumature, siamo abbastanza sicuri un incontro fra i due potrebbe esserci presto.

Da Levitan a Prudhomme, ricordi gialli di Jeanie Longo

08.08.2022
4 min
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Felix Levitan era a suo modo un genio. Giornalista parigino classe 1911, fu il terzo organizzatore de Tour de France, dopo Desgrange e Goddet e fu il primo a portare nella corsa il concetto di business. Fu anche colui che nel 1984 creò il Tour de France delle donne. L’operazione di ASO nel rilanciarlo è stato più un riprendere il discorso che iniziarne uno nuovo. Perché delle potenzialità del ciclismo femminile si era accorto anche quel giornalista visionario con la fronte alta e il fiuto per gli affari.

Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)
Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)

A ruota delle americane

«Negli anni ’80 in Francia – ricorda Jeanie Longo, sul podio della Tour Eiffel con Marion Rousse per lanciare il Tour Femmes (foto Le Monde in apertura) – c’erano gare interregionali in abbondanza e alcune internazionali che stavano nascendo. Negli Stati Uniti erano più avanti di noi, le donne avevano già squadre sponsorizzate. Il Tour of Colorado era la gara più importante e soprattutto c’erano buoni premi anche per le donne. Ci andai nel 1981. Correvamo sugli stessi percorsi degli uomini, con la stessa copertura mediatica. Non so se fu per caso, ma proprio nel 1981 Levitan portò il primo americano al Tour de France e nel 1984 creò il Tour de France femminile. Fu l’esplosione del nostro ciclismo».

La francese, classe 1958, ha una bacheca piuttosto affollata. L’oro olimpico su strada di Atlanta davanti a Imelda Chiappa. Nove mondiali su strada (6 in linea, 3 a crono). Nove mondiali su pista. Tre Tour de France.

Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)
Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)

Campi Elisi per due

La prima edizione del Tour donne andò a un’americana, Marianne Martin: ottimo per il flusso degli sponsor. Poi ne vinse due l’azzurra Maria Canins, proprio davanti a Jeanie Longo. E a partire dal 1987 e per tre anni, i ruoli si invertirono. Per tre anni infatti, la francese precedette l’italiana.

«Penso che il signor Levitan fosse un innovatore – ricorda Longo – forse anche un visionario. Come direttore del Tour de France, sapeva come fare le cose al momento giusto. Non appena lanciò il Tour femminile, fu un’esplosione. All’epoca, i vincitori sfilavano sui Campi Elisi per salutare il pubblico. Io lo feci con Roche, Delgado e Lemond. Sono momenti straordinari, scolpiti nella mente».

Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)
Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)

«Ma non erano solo gli Champs Elysées – prosegue – anche i passi di montagna, tutto… Ricordo che negli angoli più sperduti, c’era gente che mi incitava. La gente si abituò presto ad avere il Tour femminile prima di quello maschile. Ho avuto la maglia verde per due anni, poi la gialla per tre di seguito. I duelli con Maria Canins. La gente ci aspettava, il pubblico era enorme. Un anno, nella tappa dell’Izoard, mio marito era sull’ammiraglia con le due porte anteriori aperte come uno spazzaneve».

Resistenze superate

Il ciclismo forse non era pronto per tutto questo, tanto che dal gruppo stesso si levarono alcune voci di dissenso. Marc Madiot, che oggi ha una delle squadre femminili WorldTour più importanti accanto a quella degli uomini, fu autore di un battibecco proprio con Longo.

«Marc però cambiò presto parere – sorride – anche se quell’episodio mi viene spesso ricordato. All’epoca aveva delle idee preconcette sul ciclismo femminile, le stesse che aveva Fignon. Si sbagliavano, ma erano influenzati dall’idea generale che il ciclismo professionistico fosse solo per uomini. Le cose però cambiarono in fretta. Il fatto che io fossi una donna e avessi preso una maglia gialla che normalmente era riservata ai gentiluomini, fece sì che le persone abbiano preso coscienza di tutte le lotte che conducemmo per farci ascoltare. Per questo fu un colpo molto duro quando nel 1989 il Tour si fermò. Ancora oggi ci sono atlete che mi ringraziano per l’ispirazione. E’ questa immagine che mi piace, perché non è solo quella del ciclista che ha vinto, ma in qualche modo va oltre lo sport».

Madiot 2022

Rotta verso il Tour, Madiot lancia una provocazione

08.06.2022
5 min
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La Groupama FDJ per il Tour de France è un “work in progress”, ma questa volta la pattuglia francese non si accontenterà di volate vincenti come è avvenuto al Giro d’Italia. Marc Madiot è stato chiaro, da qui al 1° luglio, giorno di partenza della Grande Boucle, si costruirà la squadra che dovrà essere pronta a scalare la classifica. Vincere? Madiot non è persona da grandi annunci, ma certamente si va per fare classifica. Per salire più su possibile, senza aver paura di guardare la cima…

Le vittorie di Démare al Giro avevano un po’ addolcito un bilancio che era stato fino allora deficitario. Prima della corsa rosa erano arrivati il successo di David Gaudu in una tappa alla Volta Ao Algarve e quello di Thibaut Pinot nella frazione finale del Tour of the Alps, dopo essere stato secondo il giorno prima. Poi, tanti piazzamenti, alcuni anche prestigiosi come i podi di Madouas al Fiandre e di Kung alla Roubaix, ma le aspirazioni erano ben altre.

In un’intervista a Le Quotidien du Sport, Madiot ha fatto il punto della situazione, non lesinando giudizi pesanti ma facendo anche un’analisi molto specifica sull’andamento di questi primi mesi: «Ci sono stati alti e bassi, difficoltà, infortuni, ma per fortuna c’è ancora tanto da fare e il verdetto si darà solo a fine stagione. Quel che è certo però è che esso deriverà dai risultati: Démare non ci ha rimesso sulla giusta rotta».

Gaudu Delfinato 2022
Gaudu in trionfo sul podio della terza tappa del Delfinato, una liberazione per lui…
Gaudu Delfinato 2022
Gaudu in trionfo sul podio della terza tappa del Delfinato, una liberazione per lui…

Tutta colpa del Covid…

Un giudizio che sembra significare come in casa Groupama ci sia stata maretta: «Un capo di una squadra deve essere pragmatico, il resto conta poco. Non potevo essere contento, nelle classiche siamo andati bene e abbiamo fatto il nostro, Kung è stato efficiente e si è messo in evidenza. Ma è nelle corse a tappe che siamo mancati e per noi quelle sono un marchio di fabbrica. Abbiamo pagato la caduta di Gaudu alla Parigi-Nizza e il successivo ritiro al Giro dei Paesi Baschi. Poi Storer si è ammalato al Giro di Romandia».

Sulle cause di tanti acciacchi, Madiot ha portato la sua personale analisi, destinata a generare discussioni: «Il Covid ha colpito duro. Ha lasciato conseguenze pesanti dimostrando che tutta la vicenda è stata gestita male. I corridori hanno minori difese immunitarie perché utilizzando continuamente le mascherine non ne abbiamo più sviluppate. Nel gruppo non solo il Covid, ma qualsiasi virus si diffonde a macchia d’olio proprio perché i fisici dei corridori sono inermi.

Pinot Alps 2022
Per Pinot una bella vittoria al Tour of the Alps, ma sarà pronto per il suo 9° Tour?
Pinot Alps 2022
Per Pinot una bella vittoria al Tour of the Alps, ma sarà pronto per il suo 9° Tour?

I problemi delle mascherine

«Ne ho parlato con i medici della squadra – ha proseguito nella sua disamina Madiot – a dicembre, nei raduni prestagionali, nessuno si è ammalato, ma lì avevamo le mascherine. Nelle prime gare sono fioccati gli ammalati, ma non solo per colpa del covid, ecco che anche influenze, bronchiti e altro si sono diffusi. Probabilmente non avremmo dovuto utilizzare le mascherine in preparazione, i fisici dei corridori forse da una parte si sarebbero ammalati, ma dall’altra rafforzati e difesi meglio per la stagione delle corse».

Storer 2022
Dopo la splendida Vuelta 2021, il neoacquisto Storer (qui con Sivakov) reclama un ruolo di spicco al Tour
Storer 2022
Il neoacquisto Storer (qui con Sivakov) reclama un ruolo di spicco al Tour

Gerarchie dopo la Svizzera

Tutto questo comunque fa parte del passato. Ora Madiot è proiettato con nuova verve sulla nuova avventura al Tour, ma se gli si chiede con che obiettivi e soprattutto uomini, resta abbottonatissimo: «Questo mese sarà fondamentale, voglio vedere come andranno Gaudu e Storer al Criterium du Dauphine con il primo che mi ha già dato segnali più che positivi e poi Pinot al Giro di Svizzera, alla fine avremo le idee più chiare su quali saranno le gerarchie della squadra e gli uomini da inserire per costruirla». Una scelta anche per favorire un po’ di concorrenza fra i tanti galli nel pollaio.

Su un aspetto Madiot si sente comunque sicuro: i suoi ragazzi sono pronti a collaborare come si è visto anche al recente Mercan Tour Classic Alpes Maritimes, dove Pinot, sapendo di non essere ancora al massimo della forma (andrà in Svizzera proprio con quell’obiettivo) si è messo a disposizione dei compagni tirando in maniera veemente per tutta la prima parte per poi passare il testimone a Reichenbach. Alla fine, nella gara vinta dal danese Fuglsang (Israel Premier Tech), Gaudu è stato 3° e il giovane Martinez 8°. A chi gli chiedeva alla fine come fosse andata, Pinot ha risposto serafico: «Gaudu era più avanti di me, era giusto lavorare per lui, peccato solo che non sia arrivata la vittoria».

Stewart Mayenne 2022
Jake Stewart dopo ottime esperienze fra i big è pronto per il GIro U23
Stewart Mayenne 2022
Jake Stewart dopo ottime esperienze fra i big è pronto per il GIro U23

Giro U23, attenti a Stewart…

Già, quella vittoria che rischia di diventare un’ossessione. Intanto però Madiot, coadiuvato da suo fratello Yvon che cura la formazione Under 23, guarda anche al Giro d’Italia di categoria dove conta di portare un team molto competitivo, con il 20enne Paul Penhoet per le volate e i due inglesi rampanti Lewis Askey e Jake Stewart (quasi omonimo dell’ex campione del mondo di formula 1 e che ha fatto molto bene quando è stato chiamato nella squadra maggiore) per la classifica. Considerando l’armata dei rivali dell’AG2R Citroen, anche qui se non arriva qualche risultato…