L’inglese e il Tour, la realtà e i sogni: parliamo con Martinez

20.02.2025
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L’ultima volta lo avevamo incrociato quasi di sfuggita a dicembre mentre assieme a Kreuziger usciva dal garage dell’hotel Cap Negret di Altea, dove si stava svolgendo il ritiro del Team Bahrain Victorious. Ne avevamo approfittato per parlare con tutti i corridori raggiungibili, ma su Lenny Martinez era stato posto un veto irremovibile. Quale che fosse l’accordo o il disaccordo con la Groupama-FDJ, vigeva il divieto assoluto di intervistarlo e fotografarlo fino al nuovo anno. Per cui il saluto era stato fugace e non privo di sguardi.

Lenny Martinez, il figlio di Miguel, ha 21 anni, è alto 1,68 e pesa 52 chili: la quintessenza dello scalatore. E’ entrato nel WorldTour a 19 anni nel 2023 e ha già vinto sei corse, fra cui l’ultimo Trofeo Laigueglia. A distanza di due mesi da quell’incontro fortuito, la stagione del giovane francese è iniziata di buona lena alla Valenciana vinta dal compagno Buitrago (in apertura, eccolo in salita seguito da Piganzoli). E nell’imminenza della Classic Var di domani, stamattina siamo riusciti finalmente a parlarci, prima che uscisse in allenamento.

Lenny ha sempre il suo buon umore coinvolgente, anche se è sensibile l’aumentare delle attese rispetto a quando lo incontrammo per la prima volta in un Giro della Lunigiana che sembra lontano cent’anni, invece era appena quello del 2021.

Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Come procede l’integrazione in questo nuovo team in cui si parlano l’inglese e l’italiano, ma quasi per niente il francese?

Sono molto contento. L’integrazione sta andando molto bene. Ora ogni cosa passa per l’inglese, ma sto riuscendo a inserirmi. Ci sono alcuni dello staff che parlano un po’ di francese, come il mio allenatore e un’altra persona: si possono contare su due mani. Ma non credo che parlare inglese sia un problema. Al contrario, è qualcosa che mi arricchisce molto e che mi aiuterà a crescere, anche come uomo. Perché qui non c’è scelta, è così e basta e di certo nei prossimi anni sarò in grado di parlarlo molto bene.

Hai notato altre differenze rispetto a Groupama?

Certo che ci sono, ma sono comunque differenze minime e credo che sarebbe stato così in qualunque squadra fossi andato. Si tratta di piccole percentuali che possono determinare la differenza tra vincere o meno. La Groupama-FDJ è un’ottima squadra e lo è anche il Team Bahrain. Insomma, stiamo facendo più o meno lo stesso lavoro. Direi che per me la differenza principale è che qui sono veramente in un gruppo internazionale, sia in termini di corridori che di staff. La Groupama invece ha un DNA totalmente francese.

Sei in grado di dire a che punto sei della tua crescita?

A 21 anni si può fare un bilancio, ma ho ancora molti anni di professionismo davanti a me e molti anni di progressi da fare, quindi voglio prendermi il mio tempo anche per fare il punto. Serve pazienza, devo continuare a lavorare e progredire.

Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
A che punto della scorsa stagione ha deciso di cambiare squadra?

Prima che iniziasse. Con la Groupama avevo iniziato a parlare da parecchio, era giusto ovviamente parlare prima con loro. Lo abbiamo fatto a lungo, ma ho preso la mia decisione poco prima della prima gara, diciamo intorno a febbraio (singolare notare che il team francese abbia continuato invece a tenere aperta la possibilità di rinnovo fino all’estate inoltrata, ndr).

Chi è il tuo allenatore ora al Bahrain?

Il mio allenatore è Loic Segart, il fratello di Alec: quello che corre alla Lotto Dstny e va come un treno nelle cronometro, saprete certamente chi sia. La cosa buona è che Loic parla francese ed è stato molto bello scoprire che avrei lavorato con lui perché su certi aspetti molto tecnici è bello poter parlare la mia lingua. In più è un allenatore molto giovane e questo lo trovo positivo. Invece non ho ancora un direttore sportivo di riferimento. Potrei pensare a Roman Kreuziger, perché quando c’è un problema, gli mando un messaggio. E’ presente a quasi tutte le gare, quindi direi che forse è lui.

Come è passato l’inverno?

Molto bene, direi. Siamo stati in ritiro in Spagna come già con la FDJ l’anno scorso. Ho fatto più o meno la stessa preparazione e lo stesso allenamento, forse un po’ diverso per dei dettagli, dato che ogni allenatore ha metodi di allenamento diversi. Nel complesso, ho fatto forse qualche ora in più e abbiamo variato alcuni lavori specifici. Il corpo ha avuto bisogno di un po’ di tempo per adattarsi e ora dobbiamo vedere se tutto questo funziona bene anche su di me, ci vorrà un po’ di tempo.

Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Nell’intervista fatta ad Altea a dicembre, Rod Ellingworth ci ha parlato di un progetto Tour de France legato a te. Puoi dirci di cosa si tratta?

Credo che per un corridore francese come me, il Tour de France sia importante e penso che nei prossimi anni sarà la corsa più importante del mio calendario. E’ vero, c’è un progetto che coinvolge me, ma anche altri corridori come Santiago Buitrago e Antonio Tiberi, che sono entrambi leader per le classifiche generali. Poi ci sono gli altri corridori. L’obiettivo è migliorare ogni anno e fare in modo che tra qualche anno io sia competitivo al Tour de France.

Come descriveresti oggi il tuo rapporto con Marc Madiot?

Con Marc Madiot vado molto d’accordo, non ho avuto conflitti o altro. Ci siamo scambiati messaggi di auguri per capodanno, quindi non c’è nessun problema. Le nostre strade si sono separate, ma credo che la vita sia così. Però è sempre stato una persona molto buona e lo ringrazio per tutti questi anni.

Che effetto fa pensare che Romain Gregoire sarà di nuovo un rivale come quando eravate juniores?

Non è un problema, è un avversario come ce ne sono tanti altri. Non credo che dovrei concentrarmi su uno solo. Spero che Romain stia bene, è in una buona squadra e farà i suoi risultati. Resta un ottimo amico, ma non voglio passare tutto il tempo a lottare con lui. Ma so che è molto forte e gli auguro di vincere tante corse. Come lo auguro anche a me…

Liegi, domani si corre e Van der Poel ha pronta la sorpresa

20.04.2024
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LIEGI (Belgio) – «Ci proverò, ma sarà difficile. Non ho il terreno giusto – dice Van der Poel – e davanti questa volta c’è Pogacar, che è davvero forte in questo tipo di gare. Penso che la stagione sia già stata molto buona e penso che le gare passate fossero le più adatte a me, ma sono qui per provare a vincere».

Il campione del mondo risponde quasi annoiato alle domande che lo speaker deve necessariamente fargli, altrimenti come la scalda la poca gente accorsa sotto al palco? Piove a sprazzi e a sprazzi viene fuori un timido sole, di base però fa ancora freddo. E fredda è pure la presentazione delle squadre, la terza lungo l’argine dell’Ourthe, in un viale senza poesia né nobiltà, ai margini della città. Dopo la Sanremo scacciata da Milano, la Liegi fuori dal centro della città in cui era accolta come una regina lascia un sapore sempre più strano.

Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)
Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)

La ciliegina sulla torta

Siamo quasi certi che Van der Poel abbia in mente qualcosa di veramente grande per domani. Il suo pullman è l’ultimo in attesa di ripartire, in questa sorta di passerella meccanica in cui i corridori vengono scaricati, presentati, applauditi, intervistati e riportati in hotel. A costo di sembrare vecchi, ricordiamo che fino a prima del Covid, gli atleti passavano fra il pubblico, firmavano autografi e posavano per foto. Oggi c’è distacco e chissà quanto sia positivo.

«Ho ricaricato le batterie – dice il campione del mondo – sono andato in Spagna e sono riuscito a fare qualche buon allenamento al caldo. Sono tornato in Belgio giovedì sera per fare la recon del percorso con i miei compagni di venerdì, ma alla fine ho deciso di farne a meno. Diluviava e anche se non partecipo dal 2020, credo di conoscere queste strade a memoria. Non credo che l’Amstel significhi che sono in calo di forma: non avevo gambe, ma non ero neppure tanto male. Certo però Pogacar sarà un rivale difficile da sorprendere: è un corridore di classe purissima che correrà sul suo percorso preferito. Però penso che posso vincere. Se non ne fossi convinto, non parteciperei nemmeno. Ma tutto dovrà essere perfetto. E se dovesse andare bene, sarebbe anche più della ciliegina sulla torta».

Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)
Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)

Il malumore di Madiot

Hanno presentato le donne insieme agli uomini: le stesse squadre sullo stesso palco. E mentre il meccanismo andava avanti, abbiamo trovato il modo di fare due domande a Marc Madiot. Il team manager spesso ribelle della Groupama-FDJ ha espresso nei giorni scorsi una serie di valutazioni molto chiare sulla sicurezza delle corse.

«E’ tutto il sistema che non funziona – dice – a cominciare da chi valuta i percorsi. Dopo la caduta nei Paesi Baschi, sono stati accusati gli organizzatori, ma credo sia tempo che le valutazioni vengano fatte con qualche mese di anticipo da persone davvero indipendenti. E questa è la minima parte, perché dobbiamo parlare anche dei corridori.

«Avete fatto caso che la prima cosa dopo l’arrivo è spingere un tasto sul manubrio? Sono delle macchine che producono watt, in corsa come a casa. Dalla macchina gli dicono come è fatta la curva, poi però succede che il gps non ti segnala che ci sono anche i tombini e il corridore cade. E così passiamo alle radio, che dovrebbero essere uguali per tutti e solo con informazioni di servizio. E poi alle biciclette, che sono sempre più al limite. L’UCI potrebbe mettere mano a tanti aspetti per rendere questo ambiente più sicuro, ma si batte per la lunghezza dei calzini. Perciò domani andrò in corsa e i dimenticherò di tutto. Perché la Liegi è la Liegi e quando si comincia comanda l’istinto».

Pidcock alza il tiro

Quelli della Ineos Grenadiers sono venuti con Pidcock e Bernal, il primo per fare la corsa, il secondo per continuare a migliorare sulla strada di un pieno recupero. E Pidcock, che ha vinto l’Amstel poi si è congelato alla Freccia Vallone, ha lasciato intendere di aver recuperato.

«Sicuramente mi sono riscaldato – sorride – e non posso dire di essere orgoglioso della mia prestazione di mercoledì, ma ho preferito prevenire che curare. Per domani mi sento veramente bene. Questa è una delle mie gare preferite: so quanto sarà difficile, ma sono pronto per affrontare la sofferenza che certamente ci sarà. L’anno scorso arrivai secondo dietro Remco e se ci penso, dico che la feci molto bene. Tatticamente e anche fisicamente tirai fuori il massimo di quello che avevo, ma questa volta ci arrivo meglio. Il podio va bene, ma vincere una Monumento avrebbe un altro sapore».

Pogacar è passato e ha ripetuto quello che ha detto ieri. La sua presenza, al pari di quella di Van der Poel alla Roubaix, è il fattore con cui fare di conto. Eppure non deve essere facile sentire tutti gli occhi puntati e sapere che sono tutti lì ad aspettare una tua mossa. Lui se la ride e strizza l’occhio, probabilmente il segreto è tutto nella leggerezza.

A chi piace il taglio dei budget? Agli agenti proprio no

04.04.2024
6 min
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Se ne parlerà dal 2026, ma ad ora il budget cap per i team resta una cosa scritta. Lo ha stabilito il Consiglio del ciclismo professionistico, senza averlo chiarito troppo nei dettagli. Forse perché avendo davanti del tempo, si sarà pensato di descriverlo successivamente nei dettagli. Ad esempio non si è capito se si stia parlando di un tetto per il budget delle squadre o di un salary cap, ovvero una limitazione del monte stipendi, che forse avrebbe più senso, se l’obiettivo è evitare la concentrazione di grossi corridori nelle stesse (poche) squadre.

Puoi spendere tutti i soldi che vuoi, ma puoi farlo in ricerca scientifica e materiali: il tetto degli ingaggi farà sì che i corridori che vogliono guadagnare di più passino a un’altra squadra. Lo scopo non è farli guadagnare meno, ma ritrovarli leader in altre formazioni e rendere il ciclismo un po’ più equilibrato. Esso viene applicato nello sport professionistico americano, sarebbe se non altro curioso vederne gli effetti sul ciclismo.

E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)
E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)

Fra Madiot e Gianetti

Quando iniziammo a parlarne, era poco più di una boutade. Nacque da uno sfogo di Marc Madiot, rammaricato per il fatto che la semplice differenza di regime fiscale tra la Francia e altri Paesi determini una notevole differenza fra il potere d’acquisto della sua Groupama-FDJ rispetto ad altri team. Al francese rispose Mauro Gianetti, re del mercato con la UAE Emirates, dicendo che non fosse il caso di parlarne nel momento in cui grossi sponsor hanno messo il naso nel ciclismo.

E’ vero che si parla di sport professionistico, ma non possono essere i soldi la prima discriminante di cui tenere conto. Perciò è altrettanto palese che l’imposizione di un tetto non trovi d’accordo chi ha più capacità di spesa e anche chi su essa può costruire la fortuna dei propri atleti. Come dire alla gallina che può fare un numero massimo di uova d’oro e poi basta.

La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati
La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati

Agenti contro

Alex Carera, che di mestiere fa l’agente dei corridori e con la A&J All Sports che ha fondato con suo fratello Johnny cura gli interessi di fior di atleti (per qualità e quantità), davanti alla novità ha storto il naso. In realtà non si parla di far guadagnare meno il singolo atleta, ma di farlo guadagnare altrove, ma è chiaro che il fantasma di una riduzione di budget possa preoccupare chi deve spuntare ogni volta il miglior contratto. E’ meglio essere fra i tanti leader ben pagati della stessa squadra o essere il leader meglio pagato di un’altra?

«L’ipotesi di mettere un tetto ai budget – dice Carera – è una delle più grandi stupidaggini che potrebbero fare. A mio avviso chi ha proposto questa idea non ha capito che non risolve il problema. Semmai quello che andrebbe fatto sarebbe dare la possibilità alle squadre che hanno un budget inferiore di trovare sponsor e risorse per crescere a loro volta. Per creare più interesse e competitività, si devono far crescere le altre, non limitare le cinque migliori. Non esiste che metti dei limiti, anche perché non stiamo parlando di budget di 500 milioni di euro, parliamo di 40 milioni».

Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Magari fosse così per tutti…

Se il ciclismo diventasse più appetibile, credo che più manager sarebbero in grado di trovare questi soldi. Seconda cosa: se un manager trova 40 milioni e un altro ne trova 20, vuol dire che il primo è più bravo. E se uno è più bravo, la meritocrazia deve sempre essere premiata. E’ come dire: se io sono più bravo a fare una salita e impiego 5 minuti meno di te, devo mettere un peso così arriviamo insieme sulla cima.

In realtà la salita non è uguale per tutti. 40 milioni in Francia o in Italia hanno meno potere di acquisto che in altri Paesi…

Ma quella è la tua scelta. Se la soluzione è che tutte le squadre devono affiliarsi in un unico Paese, per esempio la Svizzera, per avere gli stessi costi e gli stessi benefici, allora è un discorso. Ma non è il salary cap che risolve il problema, tutt’altro. Anche perché, fatta la regola, trovi la soluzione. Quel tipo di limitazione ha grossi effetti soltanto per i grandi campioni e per loro la soluzione la puoi trovare facilmente.

Come?

Anziché fare un contratto con il pay agent, cioè la società sportiva, lo fai con lo sponsor personale e allora cos’hai risolto? Ma non è quella la via da seguire per risolvere i problemi. Bisogna fare in modo che i manager possano trovare i 20-30 milioni di euro e questo si ottiene rendendo il ciclismo ancora più appetibile. Negli ultimi 12 mesi abbiamo avuto la grandissima fortuna di avere delle aziende a livello mondiale che si sono interessate. Finalmente ci sono Lidl, Decathlon, Red Bull… Finalmente entrano grandi marchi e tutti ne hanno beneficio. I ciclisti, lo staff, gli agenti, i direttori sportivi, gli organizzatori e anche i media, se le aziende vogliono investire in pubblicità. Ma voglio aggiungere una cosa…

Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Quale?

Negli ultimi tre anni hanno obbligato le squadre ad avere il devo team che ti costa un milione e mezzo e la squadra delle donne che oggi ti costa tre milioni, quindi in totale fanno quattro milioni e mezzo. Quindi da una parte ti dicono di adeguarti e ti obbligano ad avere un budget più grande e poi adesso mettono un tetto? Lo capite che qualcosa non torna? E poi non è solo questo…

Stai per dire che i soldi non fanno la felicità?

Non basta avere i soldi per vincere. Ineos Grenadiers ha vinto tanto da quando si chiamava Team Sky e aveva il doppio del budget di tutti gli altri. C’era un netto squilibrio di forze. Però adesso che gli altri hanno un livello più simile, perché nessuno ha il budget di Ineos ma arrivano a un 10 per cento in meno, di colpo vincono meno. Visma, UAE, Lidl-Trek e Soudal nel ranking sono davanti alla Ineos, che da parte sua non ha il devo team e nenanche la squadra femminile. Hanno 50 milioni di budget contro i 40 di Visma e UAE, che però hanno il devo team e le donne.

Quindi?

Quindi se si vuole che tutti ragionino alla pari, facciamo che prima li mettiamo tutti nelle stesse condizioni, ma non con un budget cap. Oppure, se proprio devi metterlo, facciamo che tutti ce l’abbiano e che poi si ragioni veramente alla pari.

Groupama-FDJ: budget dimezzato dalle tasse, si lavora di fantasia

04.01.2024
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Il tempo che il fratello Yvon decidesse di andare in pensione a 61 anni e Marc Madiot ha pensato di affidare il suo ruolo a Philippe Mauduit (foto Instagram/Groupama in apertura). Il direttore sportivo di Tours, approdato nel team dal 2019 dopo esperienze notevoli nelle principali squadre WorldTour, ne è così diventato responsabile del Settore Corse. Nel frattempo il team ha perso Thibaut Pinot e Arnaud Demare e, come ci ha raccontato Lorenzo Germani nei giorni scorsi, si affida a corridori ormai navigati come Gaudu e Kung e alla linea verde dei giovani saliti nel 2023 dalla Continental.

A 61 anni, Yvon Madiot ha deciso di andare in pensione. Al suo posto Mauduit (foto Groupama-FDJ)
A 61 anni, Yvon Madiot ha deciso di andare in pensione. Al suo posto Mauduit (foto Groupama-FDJ)
E’ cambiato tutto, insomma…

No, sembra che sia così. Alcune cose si sono mosse, ma la squadra c’è da quasi 30 anni e un po’ di aspetti si dovevano migliorare. Però non ci sono sconvolgimenti, perché alla fine la filosofia rimane la stessa. Sappiamo chiaramente che non abbiamo un budget che ci permette di giocare tra i grandi. Ci sono squadre che possono spendere 40 milioni, noi ne abbiamo 22-23, ma dopo che abbiamo pagato tutte le tasse in Francia, ne rimangono solo 12-13. Come fai? Dunque sappiamo dove siamo. L’unica cosa che abbiamo provato quest’inverno è stato di portare nella squadra uno spirito più giovane e dinamico, per offrire nuovi servizi e nuove opportunità ai corridori.

Il tuo ruolo cambierà, nel senso che farai più scrivania e meno ammiraglia?

L’obiettivo era di fare un po’ meno corse ed essere più disponibile per i colleghi, in una gestione amministrativa dello sport che ha bisogno di grande attenzione perché tutto funzioni nel modo migliore. Faccio questo lavoro da 25 anni, non sono stanco, però era il momento giusto per fare qualcosa di diverso. Sono ormai cinque stagioni che sono in squadra, ne conosco bene il funzionamento e ho qualche idea che vorrei portare. Prima non potevo, perché chi c’era sopra non era favorevole, invece adesso ci posso provare. Ripeto: non abbiamo un budget che ci permette di comprare corridori a 3-4-5 milioni, allora bisogna essere un po’ creativi per migliorare tutto il possibile e far crescere i ragazzi.

Nel 2023 avete fatto passare tutti i ragazzi della continental, mentre Pinot e Demare sono andati via. Come immagini il futuro della squadra?

In cima abbiamo sempre Gaudu, anche Madouas che ha vinto nuovamente il campionato nazionale e Stefan Kung, che è un ragazzo molto valido nelle classiche. E subito dietro di loro, quasi allo stesso livello, ci sono giovani come Gregoire, Martinez, Watson e anche Lorenzo Germani. Sono giovani che dimostreranno le loro qualità.

Martinez ha fatto un’annata notevole…

Se guardate bene, a parte la Vuelta, Martinez è arrivato davanti in tutte le gare a tappe del 2023. Ha vinto la Mont Ventoux Challenge e ha anche fatto un quarto alla Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes. Non dico che questi ragazzi ci abbiano sorpreso, perché l’anno prima si erano già affacciati nella squadra WorldTour e avevamo visto che avessero delle qualità. Però hanno dimostrato che sono cresciuti bene e ora speriamo che continuino a farlo.

Valentin Madouas ha conquistato nuovamente la maglia tricolore. Ha 27 anni (foto Groupama-FDJ)
Valentin Madouas ha conquistato nuovamente la maglia tricolore- Ha 27 anni (foto Groupama-FDJ)
Cosa possiamo aspettarci da Germani?

Per me Lorenzo è uno dei pochi ragazzi che sa fare tutto. Ha la capacità di vincere il giorno che gli dai libertà, secondo me diventerà un ottimo leader. Uno capace di organizzare la squadra in corsa, che prende la parola nella riunione sul pullman, ma anche nel debriefing. Lorenzo ha questa intelligenza, lui vede molto bene la corsa. Ha una grande capacità di analisi di quello che si fa in corsa, prima della corsa e anche dopo. E’ molto giovane, però è bravissimo e può crescere ancora.

Sarà dura senza Pinot e Demare?

Sicuramente, per tutto quello che portavano in termini di carisma. Pinot vinceva poche corse all’anno, l’anno che ne ha centrate di più saranno state 5-6, ma faceva sempre spettacolo: basta vedere quello che è successo al Lombardia. Un ragazzo così ci mancherà per forza. A livello di punti, l’anno scorso è quello che ne ha fatti di più, ma noi non siamo una squadra che guarda queste cose. Comunque Pinot si è sempre alternato con Demare. C’era l’anno che uno andava e l’altro no e viceversa. Per noi i punti non sono mai stati una grande preoccupazione e speriamo che non lo saranno. Quando non hai bisogno di contare i punti, vuole dire che va tutto bene. Le squadre che sono costrette a contarli per rimanere nel WorldTour sono in difficoltà e questo non lo vogliamo.

Dopo anni con Lapierre, dal 2024 la squadra francese correrà su bici Wilier Triestina (foto Groupama FDJ)
Dopo anni con Lapierre, dal 2024 la squadra francese correrà su bici Wilier Triestina (foto Groupama FDJ)
Il programma prevede la presentazione, poi Australia e insieme un nuovo ritiro in Spagna?

Esatto. Alla presentazione di Parigi non facciamo venire tutti i corridori, spesso vengono quelli che il giorno dopo partono per il ritiro e fanno scalo in città. Al massimo ne abbiamo 5-6. Poi inizieranno i ritiri, a gennaio ne abbiamo quattro diversi in base alle caratteristiche tecniche. C’è chi salirà sul Teide e chi starà a livello del mare, ma gennaio è un mese importante.

E tu quando sarai in gruppo? Quando ci vediamo?

Da programma, dovrei fare 3-4 giorni alla Parigi-Nizza e poi faccio un salto alla Tirreno-Adriatico. Perciò manca poco. Intanto vi auguro buon anno, vedo che il sito sta andando bene. Tanti auguri, buon lavoro.

Secondo anno in vista, Germani cambia ritmo e ambizioni

28.12.2023
6 min
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CALPE (Spagna) – Quando nel corso della scorribanda spagnola siamo entrati nell’hotel in cui alloggia anche la Groupama-FDJ in coabitazione con il Movistar Team e la Total Energies, l’incontro con Lorenzo Germani era in cima alla lista degli appuntamenti. Il ciociaro è l’ultimo italiano rimasto nella squadra di Madiot ed è uno di quelli da cui ci si aspetta un segnale.

Con 22 anni a marzo, Germani si accinge a vivere il secondo anno nel WorldTour e nello scriverne ci rendiamo conto di essere vittime della nevrosi per cui si vorrebbe tutto e subito. Probabilmente accade perché i suoi amici della continental, da Martinez a Gregoire, sono passati ugualmente lo scorso anno e si sono già fatti vedere in modo importante. La realtà è che la squadra francese è nel pieno di una metamrofosi. Pinot ha smesso e Demare è passato alla Arkea-Samsic e così in pochi mesi il gruppo ha cambiato faccia.

Al via del Romandia, Germani ai primi passi nel WorldTour, Pinot ormai sulla porta del ritiro
Al via del Romandia, Germani ai primi passi nel WorldTour, Pinot ormai sulla porta del ritiro

Il discorso di Madiot

Germani lo troviamo in un divano nella hall da cui si vede la spiaggia di Calpe in pieno sole. Il ritiro è agli sgoccioli, la testa è già alle Feste e poi all’inizio della stagione. La squadra ha da poco fatto le foto ufficiali con le nuove bici Wilier Triestina, che però non si possono ancora mostrare. Germani dice che sono molto veloci, sia quella da strada sia quella da crono. Per il montaggio hanno mantenuto Shimano, come prima con le Lapierre. Il ritiro di Pinot ha lasciato un bel vuoto di carisma, come si riparte?

«Marc Madiot – attacca Germani – ci ha fatto uno dei suoi discorsi di inizio, prendendo l’ultima frase detta da Pinot alla squadra prima di andarsene: “Prendetevi cura della squadra”. Quindi ha detto che per tutti noi, che nel 2023 eravamo la nouvelle vague, il 2024 sarà un nuovo inizio. C’è stato un bel cambiamento anche all’interno dello staff, alcuni sono andati in pensione e sono arrivati dei nuovi. Marc resta comunque molto ambizioso, sono arrivate nuove figure nel campo della performance perché possiamo avere sempre qualcosa di più. Quindi ha concluso che non dobbiamo sentirci spaesati perché certi personaggi se ne sono andati. Mancheranno, ma abbiamo l’organizzazione per non farli rimpiangere».

Al posto di Yvon Madiot andato in pensione, Mauduit (qui con Gaudu) è capo della Direzione Corsa (foto Groupama-FDJ)
Al posto di Yvon Madiot andato in pensione, Mauduit (qui con Gaudu) è capo della Direzione Corsa (foto Groupama-FDJ)
E sarà davvero così?

Di sicuro sarà difficile non sentirne la mancanza. Penso sul piano dei punti, visto che Thibaut e Demare ne facevano tantissimi. Quest’anno toccherà a noi, a Gregoire e Martinez, che hanno la mia età. Insomma, il tempo dell’apprendistato sta per terminare e bisogna cominciare a portare dei frutti. Ora la squadra è nelle mani di Kung, Gaudu, Madouas e di certo Gregoire e Lenny Martinez, che ha fatto una stagione incredibile. Poi immagino una seconda linea con Rudy Molard e Geniets e Pacher.

E Germani?

Germani farà un calendario molto più WorldTour di quello che ha già fatto e che è stato ugualmente importante. La squadra ha fiducia in me, vedono che lavoro bene e faccio quel che devo. Prima del 10 gennaio non possiamo dare i dettagli, ma farò un calendario molto italiano, quindi è abbastanza prevedibile che sarò a Laigueglia, poi Strade Bianche, Tirreno, Sanremo e Giro d’Italia. In avvio si sta ragionando sul Provence e Drome Ardeche.

A che punto sei della tua crescita?

Dopo la Vuelta, mi sento più forte fisicamente e con più esperienza. Per conferma, aspetto di vedere le prime gare e come reagisce il fisico. La preparazione è cambiata perché non farò l’Australia. Quindi dato che inizio a metà febbraio, ho affrontato una ripresa più light. Per il resto sarà tutto uguale, a partire da quando si inizieranno a fare l’intensità e i vari lavori. Posso dire che ho chiesto di lavorare di più. Va bene crescere per gradi e il fatto che siamo giovani, però voglio anche spingere il limite un po’ più avanti. Perciò ho chiesto di aumentare l’intensità, le ripetizioni e le ore.

Da quando ha chiesto di allenarsi di più, Germani torna spesso a casa spossato… (foto Instagram)
Da quando ha chiesto di allenarsi di più, Germani torna spesso a casa spossato… (foto Instagram)
Vedere Martinez e Gregoire già a un livello così alto è un pungolo?

Dal momento che la squadra va bene, lo stimolo a lavorare meglio viene da sé. Il fatto di essere cresciuti ciclisticamente insieme, mi spinge a cercare di restare con loro, diciamo così.

Sembri sempre molto posato ed educato, anche se chi ti conosce meglio dice che in corsa sei una iena. Chi ha ragione?

Sono calmo, ma in realtà non sono calmo (sorride, ndr). Sapeste tutto quello che mi gira per la testa… A volte non parlo e mi tengo tutto dentro, ma in corsa è diverso. Metto i paraocchi come i cavalli da corsa, guardo solo la linea che c’è davanti e faccio il massimo. I timori reverenziali li ho avuto in parte il primo anno, poi ho concluso che sono un corridore come gli altri. Ho un contratto come pure Van der Poel. Lui prende milioni e io prendo migliaia, ma questo è un altro discorso. I timori reverenziali non te li puoi permettere, perché alla fine siamo tutti sulla stessa strada e su una bicicletta. Non è scritto da nessuna parte che uno ha dei privilegi, in corsa siamo tutti corridori.

Quindi riparti più cattivo?

Già prima della Vuelta avevamo parlato del non avere paura e di non porci limiti. Così ho fatto e la Vuelta è andata bene. Soprattutto noi giovani abbiamo corso con lo stesso piglio che avevamo messo in luce nella continental. Senza paura. Forse è vero che un grande Giro ti cambia il motore, perché sento di avere più forza e più resistenza. Magari a livello di picco non sarò cresciuto in egual misura, ma mi sento più solido.

La Vuelta è stata il primo Giro di Germani e l’ha corsa in modo sbarazzino. Qui in fuga verso l’Angliru
La Vuelta è stata il primo Giro di Germani e l’ha corsa in modo sbarazzino. Qui in fuga verso l’Angliru
Quando hai chiesto di lavorare di più, la squadra come l’ha presa?

Ne ho parlato con l’allenatore. Lui sa che non sono mai rientrato a casa da un allenamento davvero morto, quindi è stato d’accordo purché si aumenti nel modo giusto. Il desiderio sarebbe quello di ricominciare ad alzare le braccia al cielo, ma visto il calendario che faccio, sarà difficile. Io voglio continuare a progredire e crescere, poi per vincere c’è tempo. Però a fine 2024 mi scade il contratto, per cui non mi dispiacerebbe dare un segnale.

In nazionale eri sempre assieme a Milesi e Garofoli. Uno ha vinto il mondiale crono, l’altro ha avuto sfortuna, ma ha detto che accetterebbe la convocazione per mondiale U23 e per Tour de l’Avenir. Tu cosa ne pensi?

Assolutamente no. Dal momento in cui ho fatto la Vuelta, ho deciso che non avrei accettato più la chiamata di Amadori, per rispetto dei veri under 23. Se mi avessero chiesto di scegliere tra Vuelta e Avenir, ovvio che avrei scelto la Vuelta. In generale penso che bisognerebbe fare quello che ci fa crescere, non quello che ci fa vincere soltanto perché siamo andati correre con ragazzi di livello inferiore.

Pensi che vinceresti facilmente il mondiale U23?

Non ho detto questo, solo che non mi apporterebbe nulla a livello di crescita. E’ vero che non preparo una corsa per vincerla da due anni, ma credo che i veri U23 abbiano diritto a giocarsi la sola loro corsa che ha la televisione per tutto il giorno. Quelle che faccio io hanno sempre la diretta. Io almeno la penso così. Però (ghigna, ndr) ero certo che Gianmarco avrebbe risposto così.

Esame Vuelta per Gregoire, talento coi piedi per terra

27.08.2023
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Roman Gregoire si è presentato al via della Vuelta con un buon sapore in bocca. La vittoria al Tour du Limousin, con l’aggiunta non trascurabile di due tappe ha portato il talento francese al centro delle attenzioni. Avevamo raccontato del debutto nella corsa spagnola del blocco giovanissimo della Groupama-Fdj, compreso il nostro Germani, ma è innegabile che per ora Gregoire sia quello che ha mostrato qualcosa di più.

Gregoire è arrivato alla Vuelta di certo in condizione, con le vittorie al Tour du Limousin
Gregoire è arrivato alla Vuelta di certo in condizione, con le vittorie al Tour du Limousin

Lo scalino del WorldTour

Un metro e 76 per 64 chili, vent’anni compiuti a gennaio, il ragazzino che da junior e under 23 dominava spesso in lungo e in largo, ha vissuto questa prima stagione da professionista con numeri a dir poco interessanti. Delle sue cinque vittorie, tre sono traguardi intermedi, mentre due le classifiche finali di due corse a tappe: La Quattro Giorni di Dunkerque e appunto il Limousin.

«Ma la Vuelta – dice – è lo step successivo e francamente è ancora un punto interrogativo. Mentre nelle gare di livello inferiore le cose stanno andando per il verso giusto, il WorldTour resta un gradino da salire. Per il momento manca ancora un po’, ma questa Vuelta può davvero aiutarmi a progredire fino al livello che serve».

Nella cronosquadre di apertura a Barcellona, la squadra francese è arrivata 5ª a 6″ dalla DSM (foto Groupama-FDJ)
Nella cronosquadre di apertura a Barcellona, la squadra francese è arrivata 5ª a 6″ dalla DSM (foto Groupama-FDJ)

La festa del ciclismo

Nel caldo afoso di Barcellona, la vigilia della corsa è stata dedicata alle videoconferenze destinate ai media, alle quali hanno partecipato Evenepoel, Vingegaard, Roglic, Thomas o Ayuso. Prima del via, il clima è sempre mediamente festoso, per cui la comparsa di Gregoire in uno degli schermi dedicati alle interviste ha suscitato curiosità. Con lui c’erano il compagno Lenny Martinez e il diesse Vaugrenard (foto Groupama-FDJ in apertura): nessuno dei giornalisti francesi collegati ha osato proporlo come successore di Evenepoel sul podio della Vuelta, ma certo la curiosità di capire cosa aspettarsi dal ragazzino di Besancon nella gara di tre settimane è parsa alta.

Lui stesso non sa ancora cosa dire, se non sottolineare il fatto che questo debutto è privo di grandi attese e soprattutto di pressioni. Fare bene. Fare esperienza. E se possibile vincere una tappa.

«Per il momento mi avvicino a questa Vuelta con una certa rilassatezza – ha spiegato – durante la presentazione delle squadre mi è sembrato di trovarmi in grande festa del ciclismo e cercherò di approfittarne. Sono felice di essere qui».

La Vuelta sarà una scoperta per Gregoire, qui ai massaggi. L’obiettivo è una tappa (foto Groupama-FDJ)
La Vuelta sarà una scoperta per Gregoire, qui ai massaggi. L’obiettivo è una tappa (foto Groupama-FDJ)

Un gesto coraggioso

Chiaramente, Gregoire è in Spagna per imparare sperando di farlo rapidamente e in modo intelligente, per non finire come tante grandi speranze francesi, portate rapidamente sugli scudi, adorato un po’ troppo in fretta e poi messe in un angolo. Madiot però questa volta ha scelto di alzare l’asticella, schierando il suo gruppo migliore, nel percorso di rinnovamento della squadra.

«Penso che il suo sia stato un gesto forte – ha ammesso Gregoire – un vero segno di fiducia. L’obiettivo primario per me e per tutti noi è la vittoria di tappa. Non abbiamo fatto ricognizioni, solo tanti allenamenti in altura, ma ho studiato le mappe e le tracce GPS per immergermi nel percorso. So che il giorno in cui deciderò di provarci, dovrò andare al 100 per cento».

Il giorno in cui Pinot ha detto addio al Tour

29.07.2023
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Chi lo conosce meglio è certo che l’abbia fatto apposta. Thibaut Pinot in fuga nella tappa di Le Markstein vuole vincere, ma soprattutto passare in testa davanti al punto del Petit Ballon in cui si sono raccolti i suoi tifosi. Le “Virage Pinot”, la curva Pinot. Un’atmosfera da stadio, nel palcoscenico della montagna. Tremila persone lungo 500 metri di una strada larga due metri e mezzo. Solo per lui. Il suo nome scritto in tutte le salse, interpretato, storpiato, reso simpatico.

L’amico Vichot

Fra loro c’è anche Arthur Vichot, professionista fino al 2020, due volte campione nazionale e per nove stagioni compagno di squadra di Thibaut.

«Quando sei corridore e lo vivi dall’interno – dice – non ti rendi conto dell’emozione che questo ragazzo riesce a trasmettere alle persone. Ma dall’esterno basta guardarsi intorno per capire quanto sia fantastico. Sono passati due anni e mezzo da quando ho smesso, ma già quando non correvo più con lui (Vichot ha corso le ultime due stagioni alla B&B Hotels, ndr) mi sono reso davvero conto di quanto significhi per le persone. Thibaut è un’icona generazionale nel ciclismo e lo sta dimostrando come mai prima d’ora».

In fuga solitaria sul Petit Ballon, la salita di casa. Pinot ha salutato così i suoi tifosi di una vita
In fuga solitaria sul Petit Ballon, la salita di casa. Pinot ha salutato così i suoi tifosi di una vita

Il giorno più bello

Thibaut sa che sono tutti lì e sotto quella scorza dura e irsuta ha già deciso da un pezzo che non può andarsene dal Tour de France senza averli salutati. Anche la gente del Giro gli ha voluto bene, in qualche misura è uno di noi. Ma oggi è un giorno ben più speciale. I corridori lo sanno e lo sentono. E anche se a volte sembrano vivere in un mondo tutto loro, hanno bisogno dell’abbraccio di folla per poggiarci sopra i loro sogni. Per questo attacca. Forse in cuor suo sa che non andrà al traguardo, ha capito che Pogacar vuole vincere quell’ultima tappa e non farà alcuno sconto.

La corsa è tutta lì, in quell’attesa. I cellulari diffondono le immagini: sanno che sta arrivando. La giornata è perfetta per correre e per aspettarli e a un certo punto il tam tam fra tifosi dalle curve più in basso anticipa il suo arrivo. E lui passa, un po’ ingobbito e un po’ saltellando sui pedali, come cento volte nelle sue giornate di allenamento nel silenzio di una montagna che ora invece brulica di suoni, voci, occhi e sentimenti.

Nel suo essere a volte burbero, Pinot ripenserà a questo giorno come a uno dei più belli della sua carriera, anche più delle vittorie, che non sono state poche né banali.

Settimo all’arrivo a 33″ da Pogacar: «Non ho vinto, ma forse queste emozioni valgono di più» (foto Groupama-FDJ)
Settimo all’arrivo a 33″ da Pogacar: «Non ho vinto, ma forse queste emozioni valgono di più» (foto Groupama-FDJ)

Come Bugno

Quando passa, il mare si apre. Thibaut si guarda intorno, ma resta concentrato. Passa da campione, non da ex corridore, anche se alle sue spalle Vingegaard, Pogacar e Gall si fanno ora minacciosi. Sanno tutti che sarà ripreso per l’ennesima volta, ma in fondo non importa per un corridore che per loro è sempre stato un simbolo di autenticità ed emozioni vere. E’ in piccolo la storia di quel genio malinconico di Gianni Bugno, amato più per le sconfitte che per le grandi vittorie. E anche questa volta Pinot ha fatto la sua parte: il risultato non conta. Il risultato dirà che Pogacar ha vinto l’ultima tappa di montagna del Tour, il campione della Groupama-FDJ arriva settimo a soli 33 secondi. Non come un ex corridore, ma da vero combattente.

«Ho vissuto emozioni incredibili – racconta – con i brividi per tutta la tappa. Le emozioni di un successo rimangono speciali, ma qui siamo andati oltre lo sport. Significa che lascio una traccia nel cuore delle persone ed è quasi più bello di una vittoria. Il mio pubblico, la mia regione, il mio palcoscenico era questo. Questa è stata la mia giornata e queste saranno le mie ultime immagini del Tour».

Le sue parole dopo l’arrivo erano piene di emozione (foto Groupama-FDJ)
Le sue parole dopo l’arrivo erano piene di emozione (foto Groupama-FDJ)

Cose da film

Gli raccontano che tra il pubblico c’era anche Vichot e lui si volta e sorride, in questo giorno che sa di addio e a suo modo di nuova rinascita.

«Non ho visto Arthur – dice e ride – ma deve avermi mandato una trentina di video! Ho superato quella curva da solo ed è stato pazzesco. Sono riuscito a scambiare qualche occhiata con la mia famiglia, ma c’erano così tante persone che faccio fatica a rendermi conto che tutto questo era per me. Non credevo che sarei passato da quelle parti da solo, così quando me ne sono reso conto, mi sono chiesto se fosse vero o no. Sarebbe stato bello chiudere la giornata con una vittoria, ma certe cose succedono solo nei film. Ovviamente ci credevo, ma ho faticato a trovare il giusto ritmo ai piedi del Platzerwasel. Con un po’ più di freschezza, avrei potuto farcela».

All’arrivo di Le Markstein, dove ha ottenuto il 7° posto, per Pinot anche il premio per la combattività
All’arrivo di Le Markstein, dove ha ottenuto il 7° posto, per Pinot anche il premio per la combattività

Emozione Madiot

Sul traguardo di Le Markstein, con gli occhi gonfi e quella faccia da schiaffi che non vuole darti mai soddisfazione, Marc Madiot questa volta fa fatica a dissimulare l’emozione (nella foto Groupama-FDJ di apertura, la sua commozione è palpabile). Quando ci abbiamo parlato durante il secondo riposo, scherzando ha detto che il suo giorno critico sarà l’addio dopo il Lombardia – l’ultima corsa di Pinot – ma questa volta pensiamo che abbia decisamente sbagliato la previsione.

«Gli elenchi delle vittorie – dice il francese – sono righe su un pezzo di carta. Thibaut ci lascia qualcos’altro. La sua è una storia lunga. Mi sbagliavo a pensare che avrei accusato questo colpo al Lombardia, è stato molto peggio qui. Faceva davvero caldo, proprio non riuscivo a stare fermo su quel sedile».

Fuori dal Tour, rabbia Demare: «Arrabbiato e disgustato»

14.06.2023
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Quante possibilità ci sono che Gaudu vinca il Tour de France? E quante per Pinot? Zero, poco più. Forse per questo nella testa di Arnaud Demare l’esclusione dalla corsa francese sembra non avere senso. Il francese, che dal 2012 ha portato 93 vittorie alla Groupama-FDJ, proprio in queste ore sta smaltendo la delusione più pesante. Sapeva che il prossimo anno non ci sarà più posto per lui nella squadra di Besancon, ma sperava e credeva di essersi meritato il posto per indossarne la maglia al Tour per l’ultima volta.

Il 4 giugno, l’ultima vittoria di Demare alla Brussels Cycling Classic
Il 4 giugno, l’ultima vittoria di Demare alla Brussels Cycling Classic

La chiamata di Madiot

Glielo ha detto Madiot giovedì scorso con una telefonata che il francese non si aspettava. «Senti Arnaud – gli ha detto il team manager – non ti porto al Tour». E in un colpo nella sua testa è nata la sensazione di essere stato preso in giro.

«Sono arrabbiato – dice a L’Equipe – disgustato. Ho lavorato sodo. Durante l’inverno ho rinunciato ad avere un treno, avendo capito che l’obiettivo per la squadra è la classifica. Alla Parigi-Nizza ho dimostrato di essere un grande professionista e un buon compagno di squadra. Ho lavorato per gli scalatori. Ho investito su me stesso organizzando dei ritiri personali. Avremmo potuto fare grandi cose insieme. Non si trattava di scegliere fra me e Pinot. Avremmo potuto correre benissimo insieme».

Madiot infine ha scelto per una squadra di scalatori (foto facebook/GroupamaFdj)
Madiot infine ha scelto per una squadra di scalatori (foto facebook/GroupamaFdj)

Solo otto posti

Madiot non cambia idea, lo conosciamo bene, anche se Demare gli ha spiattellato in faccia la sua delusione. Il dato oggettivo è che finora il 2023 di Arnaud non sia stato indimenticabile, con due sole vittorie, figlie però anche del non avere più il suo solido treno.

«E’ una scelta prettamente sportiva – spiega il manager francese – confermo che ad aprile avevo deciso che Arnaud sarebbe andato al Tour. Ma la situazione di Pinot si è notevolmente evoluta, così ho deciso di creare una squadra esclusivamente per la montagna. Non è stata una scelta facile, perché ad Arnaud sono grato, anche se dirà il contrario. E’ con noi da dodici anni, non ho critiche da fargli e si è meritato di essere al Tour. Ma abbiamo solo otto posti e ho ragionato con l’obiettivo di puntare al podio. Nessuna pressione da parte di corridori o direttori sportivi. E’ una mia decisione, capisco la sua amarezza e alla fine la condivido. Ha ragione ad essere deluso».

Gaudu, alle spalle di Demare, ha chiaramente detto di non volerlo al Tour (foto/GroupamaFdj)
Gaudu, alle spalle di Demare, ha chiaramente detto di non volerlo al Tour (foto/GroupamaFdj)

Gaudu non c’entra?

Il riferimento è chiaramente agli attacchi sferrati verso Demare da Gaudu, che ha vinto il Tour de l’Avenir del 2016 e lo scorso anno si è avvicinato al podio del Tour, chiudendo al quarto posto a più di 5 minuti dal terzo posto di Thomas.

«Quando Madiot mi ha chiesto di calmare le acque – dice Demare – sono stato molto professionale. Sappiamo tutti che rilasciando quell’intervista, David è scivolato. Ha voluto dire la sua, ma non è lui il manager. Alla Parigi-Nizza ho dimostrato di essere riuscito a calmare i toni, di aver lavorato per lui e per la squadra e lui ha fatto un’ottima Parigi-Nizza (Gaudu ha chiuso secondo a 53″ da Pogacar, ndr). Alla fine Marc mi ha ringraziato dicendo che sono stato un gentiluomo. Ripeto: c’era modo di fare grandi cose insieme».

Il Giro d’Italia ha mostrato un Pinot a livelli altissimi: e se al Tour facesse meglio di Gaudu?
Il Giro d’Italia ha mostrato un Pinot a livelli altissimi: e se al Tour facesse meglio di Gaudu?

Addio dal 2024

Il primo colpo di Madiot è arrivato lo scorso inverno, con lo smantellamento del suo treno. Guarnieri alla Lotto Dstny e Sinkeldam alla Alpecin-Deceuninck sono stati il chiaro segno del rapporto che si andava chiudendo.

La conferma, il secondo colpo, è venuto infatti a fine maggio. Si era appena conclusa la Boucles de la Mayenne, in cui Demare aveva vinto una tappa e fatto secondo in generale, quando Madiot gli ha confermato che nel 2024 non ci sarà più posto per lui. La squadra sta ringiovanendo l’organico, il passaggio di tanti giovani dalla Development ha imposto un cambio di rotta.

«Ma io – spiega Demare – mi sono saputo adattare, ho sempre dimostrato di saper assecondare l’evoluzione del ciclismo, anche se era evidente che la squadra stesse investendo meno sul mio treno. Pensavo che mi avrebbero lasciato la scelta, pensavo di contare qualcosa ai loro occhi…».

L’esclusione dal Tour non è una novità per Demare, che negli ultimi anni ha spesso ripiegato sul Giro
L’esclusione dal Tour non è una novità per Demare, che negli ultimi anni ha spesso ripiegato sul Giro

Il futuro incerto

Del futuro ora non ha voglia di parlare. Dice che i parenti avevano preso le ferie in funzione del Tour e che sua moglie aveva già prenotato gli hotel nelle zone dei giorni di riposo, per raggiungerlo con la famiglia.

«Non ho ancora fatto la mia scelta – dice Demare – ma ci sono delle proposte. Vedere il rispetto delle altre squadre è davvero bello. Ho voglia di avere nuovamente un treno, di fare grandi corse. E’ molto motivante. Ho ancora la vittoria nelle gambe e nella testa, ma non ho ancora scelto la squadra con cui conquisterò le mie future vittorie».

Madiot attacca il potere dei giganti. E Gianetti risponde

26.04.2023
6 min
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I numeri non mentono. Le grandi classiche della primavera hanno premiato sempre e comunque il ristrettissimo lotto di fenomeni che sta caratterizzando il ciclismo contemporaneo: il pupillo di Gianetti Pogacar primo a Fiandre, Amstel e Freccia (e se non fosse caduto alla Liegi…), Van Der Poel autore della doppietta SanremoRoubaix, Evenepoel al bis di Liegi, Van Aert che batte i due rivali VDP e Pogacar alla E3 Saxo Classic e fa un grazioso regalo a Laporte alla Gand-Wevelgem e mettiamoci pure Pidcock alla Strade Bianche. I nomi sono sempre gli stessi.

Tutto ciò, al di là dell’immenso talento dei nominati, si traduce anche in uno strapotere dei rispettivi team. Tre gare su quattro finiscono sempre nel ristrettissimo lotto delle stesse formazioni: Uae Team Emirates, Jumbo Visma, Alpecin Deceuninck, Soudal QuickStep e possiamo aggiungerci anche Ineos Grenadiers, in ripresa negli ultimi giorni. Agli altri restano solo le briciole. E se dalla parte dei tifosi c’è chi comincia a lamentarsi perché vincono sempre gli stessi e si perde interesse, dall’altro è nello stesso ambiente che arrivano stoccate non di poco conto.

Marc Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)
Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)

Madiot contro il sistema

A innescare la miccia è stato Marc Madiot, team manager della Groupama FDJ che, intervistato dalla Derniere Heure, ha sottolineato come tutto ciò non sia figlio solo del talento dei campioni, ma anche e forse soprattutto delle differenze di budget in seno allo stesso WorldTour.

«Qui le squadre giganti controllano tutto – ha detto – noi siamo lassù nelle corse a tappe e nelle classiche. Ma non vinciamo e non vinceremo. Non possiamo».

Parole pesanti, che meritavano una replica da chi è chiamato in causa e a rispondere è Mauro Gianetti, suo omologo all’Uae Team Emirates.

«Immaginavo che sarei stato chiamato su questo argomento», è il suo esordio, ma la discussione, seppur delicata e per certi versi provocatoria, lo vede estremamente pronto a ribattere. «Ci sono dei momenti in cui alcuni campioni fanno la differenza sugli altri, è sempre stato così. Che cosa si dovrebbe cambiare? Credo che metterci a rincorrere nuovi regolamenti in ogni periodo storico probabilmente non sarebbe la strada giusta».

Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno
Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno

Gli investimenti delle aziende

«E’ proprio il richiamo del ciclismo attuale – prosegue – che ha portato grandi aziende internazionali a essere coinvolte e questo è un bene per l’evoluzione di questo sport. Aziende che rappresentano anche Paesi, come nel nostro caso».

Gianetti tiene a mettere l’accento proprio sull’aspetto commerciale: «Il ciclismo è un veicolo pubblicitario che attrae moltissimo per qualsiasi tipo di filosofia, marchio o prodotto che voglia essere così promosso a livello mondiale. Vediamo tante aziende che si affacciano al ciclismo, aziende di livello altissimo che scelgono questo in luogo di altri sport, come lo stesso calcio».

Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo
Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo

Ipotesi salary cap

Madiot però parla di un sistema da rivedere ed equilibrare com’è stato fatto in altri sport, ad esempio nel basket Nba con l’introduzione del “salary cap”, sarebbe possibile farlo anche qui o il ciclismo è più vicino a un sistema di libero mercato come esiste nel calcio?

«Questo è un discorso abbastanza complesso – replica Gianetti – non si può ridurre la discussione al salary cap senza che pensiamo a costruire le infrastrutture per introdurlo. Ad esempio bisognerebbe rimettere completamente mano al calendario di corse, ai roster delle squadre da ridurre drasticamente.

«Non possiamo farlo senza avere un’identificazione di cosa siano le gare importanti o meno, perché oggi sotto questo aspetto c’è un po’ di confusione per il pubblico, quello non propriamente addentro al nostro mondo che non capisce quali siano le gare realmente importanti. Se ne può parlare, va benissimo, purché sia fatto in un contesto globale. Ma non dimentichiamo un fatto: i fenomeni rimangono fenomeni. Chi li ha è avvantaggiato e lo sarà sempre perché così è sempre stato».

Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)
Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)

Le differenze con il basket

Proviamo allora ad allargare un po’ il discorso anche oltre le provocazioni di Madiot: potrebbe essere pensabile un sistema di reclutamento per juniores e under 23 diciamo simile a quello dei draft americani con le squadre più arretrate nel ranking del WorldTour che abbiano una preferenza nella chiamata?

«Siamo talmente lontani dal concetto nel ciclismo – osserva Gianetti – che anche in questo caso non è pensabile di copiare questa regola. Il sistema attuale non lo permette, il corridore deve avere il diritto di scegliere la proposta migliore, economicamente e non solo. Non siamo il basket, il ciclismo è qualcosa di diverso. Ci sono tanti aspetti da valutare nella scelta di un team o di un corridore, così sarebbe tutto semplicistico.

«Se c’è la voglia di fare qualcosa – prosegue – deve essere fatto a livello globale. Ma anche lì è difficile trovare la quadra, perché ovviamente gli organizzatori hanno degli interessi che sono diversi da quelli delle squadre e l’Uci deve stare in mezzo a cercare di gestire al meglio».

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Il problema delle leggi diverse

«E’ da quando sono nel mondo del ciclismo – rilancia Gianetti – che si sente parlare di riforme, eppure ci sono stati cambiamenti nel WorldTour che hanno comunque portato benefici. Guardiamo le aziende che sono entrate in questo mondo, la Tudor ad esempio, ma anche colossi come la Ineos, parliamo di aziende veramente mondiali. Queste sono entrate con investimenti che indubbiamente costituiscono un rischio. Ma pur non avendo una garanzia totale, sanno che almeno per 2-3 anni avranno diritto alla partecipazione nelle gare più importanti a livello televisivo e d’immagine».

Nella sua intervista Madiot mette l’accento su un punto: le squadre appartenenti al WorldTour non partono alla pari, perché alcune, come le francesi, devono sottostare a una legislazione diversa, con i corridori impiegati a tempo pieno e quindi con tasse e contributi da pagare, come a dire: «Spendiamo di più e otteniamo forzatamente di meno».

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Il ciclismo, sport planetario

«E’ vero – sottolinea Gianetti – ma la forza del ciclismo è che è uno sport mondiale, il che per certi versi è anche una debolezza. Se tutte le squadre avessero sede nello stesso Paese, sarebbe tutto più semplice, anche per l’adozione delle regole di cui abbiamo detto, ma non è così e chiaramente la Federazione mondiale deve cercare formule per mettere tutti il più possibile alla pari, ma non è semplice. Considerate che non c’è altro sport planetario come il ciclismo: si corre in tutti i Continenti, ogni marchio viene diffuso in ogni Paese, neanche il calcio ha questo potere».

Madiot nella sua intervista sottolinea come quasi il 75 per cento delle gare finisca nelle mani di un pugno di team, è una situazione destinata a cambiare?

«Diciamo che è una situazione figlia di un periodo straordinario – conclude Gianetti – perché ci sono questi fenomeni che fanno un bellissimo ciclismo, quantomeno tra di loro. E’ chiaro che arriveranno altri fenomeni, perché vediamo generazioni di ragazzi giovani e ambiziosi forti che stanno crescendo. Nulla dura per sempre. Per cui è chiaro che bisogna continuare a lavorare seriamente e impegnarsi. Poi io sono chiamato direttamente in causa grazie a Tadej e vorrei che questo tempo durasse ancora molto a lungo, intanto che c’è godiamoci il momento spettacolare del ciclismo attuale».