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Boato Roglic. Conquista tappa, maglia e Slovenia

27.05.2023
6 min
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MONTE LUSSARI – Pazzesco. Paz-ze-sco… Neanche Agatha Christie avrebbe potuto scrivere un finale così intenso del Giro d’Italia. Merito suo e se vogliamo anche di Enzo Cainero che si è inventato questa scalata. Per Primoz Roglic: tappa e maglia rosa.

Il Lussari era una bolgia. Da Tarvisio al Monte era una fila continua di sloveni e di bandiere della Slovenia. Slovenia che è qui a poche centinaia di metri. Sulla bandiera spunta il Monte Tricorno. Vediamo la sua cima verso Est fare da sfondo al set di questa sfida. Capite che clima, anche mistico, che c’era?

Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano
Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano

Un conto col destino

Si dice che ogni sloveno nella vita dovrebbe scalare questa montagna. E’ un simbolo. E questo simbolo guardava Primoz scalare il Lussari. Non poteva andare come al Tour del 2020 un’altra volta, nella famosa crono della Planche. Dopo incidenti, cadute, fratture, la sorte non poteva metterci lo zampino di nuovo con quel guaio meccanico. Stavolta le cose dovevano andare nel verso giusto. 

Scrivere questo articolo, stando ancora quassù è una vera emozione. Fuori dalla sala stampa la gente inneggia a Roglic e persino a Sepp Kuss. Cantano l’inno. Non ci si può non far travolgere dall’entusiasmo. Ma dobbiamo mantenere i nervi saldi e raccontare le cose come sono andate. Quindi andiamo con ordine.

In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento
In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento

Sale la tensione

Questa mattina il capitano della Jumbo-Visma è stato l’unico a fare la scalata, parzialmente in bici. Ha percorso gli ultimi 1.500 metri. «Sono salito in bici quando era finito il pezzo duro», ha detto lo stesso Primoz. Mentre saliva vedeva già i suoi tifosi a bordo strada. Ma cercava di essere concentrato. Quando è ripassato qualche minuto dopo e si stava cambiando in auto li ha salutati.

Poi è tornato al bus. A Tarvisio. La riunione con il direttore sportivo Marc Reef e lo staff, per decidere il ritmo e la bici. Poi ancora via in una camera d’albergo nelle vicinanze affittata dal team per l’occasione. Poco dopo le 15 rieccolo al bus. Riscaldamento, rulli, partenza.

In mattinata lo staff giallonero non aveva voluto parlare. Bocche cucite sulle scelte tecniche a partire dalla monocorona. Clima tranquillo, ma concentrato… diciamo così.

Alle 17:11 scatta Roglic. La tensione è palpabile. Ma le birre e la gioia fanno superare tutto al pubblico, mentre Roglic è ben più teso.

«Nella prima parte – ha detto lo sloveno – sono stato tranquillo. Ho cercato di prendere il mio passo, di non fare dei fuorigiri. Poi è iniziata la scalata e pensavo solo a spingere bene. Mentre salivo avevo i brividi. E’ stato stupendo con tutti quei tifosi. Loro sarebbero stati contenti a prescindere dal risultato, ma per fortuna sono riuscito a ripagarli».

Brividi gialloneri

Intanto i suoi compagni si radunano davanti al podio. Persino Sepp Kuss che dovrebbe stare sulla sedia del leader, dietro le quinte. Fremono. Sono una squadra anche in questo caso. 

Primoz sta guadagnando terreno. E quando al secondo intermedio il vantaggio diventa netto ecco che gioiscono. Ma è una gioia effimera. L’immagine successiva vede Roglic fermo per un problema meccanico. 

Si alzano. Si mettono le mani nei capelli. Sembra tutto perso.

«In quel momento – spiega Roglic – ho cercato di ripartire subito. Poi però mi sono spaventato un po’ perché su quella pendenza non ci riuscivo. Per fortuna che sono intervenuti il mio meccanico e quel tifoso. Un tifoso grosso, che mi ha dato davvero una grande spinta! Lo ringrazio. Un po’ di questo successo è anche il suo.

«E’ stato un brutto momento, però devo ammettere che mi ha anche aiutato a recuperare un po’».

Quell’istante è stato quello del tutto o niente. Basta calcoli. Basta agilità da laboratorio. Primoz inizia a spingere forte. Quando si alza sui pedali stavolta fa velocità. E si vede.

Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic
Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic

Il Lussari esplode

Al terzo intermedio, nonostante tutto, Primoz è ancora davanti e Geraint Thomas non ha più la stessa pedalata. E’ di nuovo il boato. I volti dei Jumbo-Visma sotto al palco si riaccendono.

Primoz taglia il traguardo in testa. Ma c’è da attendere Thomas. Sono minuti interminabili. Poi il verdetto. Primoz Roglic è maglia rosa. Il Lussari esplode.

Kuss alza la bici al cielo. I tifosi inneggiano anche a lui. E’ stato un grande protagonista di questa corsa. 

«Sono senza parole – dice lo statunitense – Un finale da mangiarsi le unghie. Il momento dell’incidente è stato spaventoso, ma sapevo che Primoz avrebbe potuto superare le avversità. Non riesco a immaginare quanta pressione e quanto stress abbiano avuto, penso anche a Thomas. Una crono come questa, alla fine di tre settimane… incredibile».

«Io un leader di questa squadra? No, non sono un leader, sono solo un atleta molto felice del lavoro che riesce a fare. Aiutare ragazzi come Primoz mi rende contento». 

«E’ stato onore combattere con Thomas – ha concluso Roglic – Geraint è un grande atleta. Un corridore onesto. Io ho lavorato per arrivare al meglio a questo momento. Ho avuto paura dopo la caduta della seconda settimana. Avevo battuto l’anca e non ero al meglio. Ma ogni giorno miglioravo. Ora però pensiamo alla tappa di domani.

«Qualcosa è cambiato stamattina. Quando dopo la ricognizione scendendo a valle ho visto tanta gente ho capito quello che mi aspettava. Sarebbe stato bellissimo. Io mi volevo divertire. E mi sono divertito».

Sitip festeggia i suoi 10 anni in maglia rosa

20.05.2023
3 min
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E’ l’oggetto dei desideri dei ciclisti che per tre settimane si sfidano sulle strade del Giro d’Italia. Stiamo naturalmente parlando della maglia rosa. Anche quest’anno a realizzarla è stata Castelli e nel farlo si è avvalsa del supporto tecnico di Sitip, fornitore ufficiale del tessuto utilizzato per la sua realizzazione. 

Decimo anniversario

L’edizione 2023 del Giro rappresenta per l’azienda bergamasca (Sitip ha la sua sede a Cene, in Val Seriana, ndr) qualcosa di davvero speciale. La collaborazione con la corsa rosa è iniziata esattamente dieci anni fa, nel 2014. In tutto questo periodo la maglia rosa è cambiata non solo per quel che riguarda il design, ma anche nei tessuti utilizzati che l’hanno resa un capo tecnico dalle grandi prestazioni.

Sitip offre il suo supporto tecnico nella realizzazione della maglia rosa da dieci anni
Sitip offre il suo supporto tecnico nella realizzazione della maglia rosa da dieci anni

Una tappa importante nella collaborazione fra Sitip e il Giro d’Italia si è avuta nel 2020. In quell’anno Sitip ha dato vita ad una produzione finalizzata a ridurre l’impatto del processo di lavorazione sull’ambiente. I tessuti che nelle ultime tre edizioni sono stati usati per confezionare la maglia rosa provengono infatti da filati riciclati post-consumer. Anche nel 2023 Sitip continua su questa strada, sostenendo il binomio performance e sostenibilità.

Gli stessi tessuti sono stati naturalmente utilizzati per realizzare le maglie destinate ai leader delle altre classifiche individuali: ciclamino per la classifica a punti, azzurra per i gran premi della montagna e bianca per il miglior giovane.

Scopriamo le maglie

Per realizzare le maglie dei leader delle classifiche individuali, sono stati utilizzati tre tessuti della linea NATIVE Sustainable Textiles che si applica a tessuti prodotti con filati riciclati e sostanze chimiche a basso impatto ambientale e che consentono un minor consumo di risorse naturali, certificati Bluesign, OEKO TEX e GRS. 

I tessuti selezionati sono il Native Pirata, il Native-Game Light e il Native-Leader: prodotti da materiali provenienti da rifiuti di plastica reperiti nell’ambiente, principalmente bottiglie. I tessuti, ottenuti con poliestere riciclato ed elastan sono pensati per i capi activewear e in particolar modo per le maglie da ciclismo. 

La maglia è disegnata e realizzata con il principio del body mapping, per sposare la fisionomia di ogni corridore
La maglia è disegnata e realizzata con il principio del body mapping, per sposare la fisionomia di ogni corridore

Bielastici e a base pronto stampa per ogni tipo di personalizzazione, risultano confortevoli al tatto e a contatto con la pelle grazie alla tecnologia MICROSENSE Soft Performance. Il Native-Leader è stato realizzato anche con la tecnologia DRY Enduring Freshness che permette al tessuto di asciugarsi molto rapidamente favorendo l’espansione e la dispersione dell’umidità verso l’esterno, lasciando al corpo la sensazione di una piacevole freschezza. 

La mappatura del corpo

Il posizionamento dei tessuti nella maglia segue il principio del body mapping, ovvero l’applicazione alla parte del corpo in base alla sua funzionalità. Il tessuto Native Pirata è stato posizionato nella zona del collo, nelle maniche e nella parte frontale dove è richiesta maggiore protezione. Il Native-Game Light, grazie alla sua leggerezza è stato inserito nella parte della schiena così da consentire una maggiore traspirazione. Infine, il tessuto Native-Leader è stato scelto per la zona dei fianchi della maglia.

Sitip

Il viaggio rosa di Leknessund si ferma a Cesena

14.05.2023
4 min
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CESENA – I compagni e i fan lo chiamano “The Dog”, nessuno lo avrebbe mai detto, eppure Andreas Leknessund ha vestito la maglia rosa per cinque giorni. Per ricollegarsi al suo soprannome si può dire che sia stato un “underdog”, noi lo chiameremmo il meno pronosticato. Fin dal suo primo giorno in maglia rosa, indossata a Lago Laceno, non ha mai nascosto che questo sogno sarebbe dovuto finire presto e che non si sarebbe fatto illusioni. Crederci però non costa nulla e con il coltello fra i denti ha difeso il primato a Campo Imperatore e nella tappa di ieri rimanendo agganciato a pochi secondi dopo gli attacchi di Roglic. 

Oggi ha dovuto alzare bandiera bianca e riconsegnare la maglia a Evenepoel. Dopo l’arrivo lo abbiamo intervistato mentre in un’area defilata, in uno dei momenti più intimi ed emblematici. Con la maglia rosa addosso solo fisicamente e non più legittimamente.

«Sono stati cinque anzi nove giorni fantastici qui al Giro d’Italia – ha detto – specialmente quelli passati in maglia rosa. Sapevo che oggi avrei perso la maglia e non ne sono sorpreso, ma ho dato comunque il massimo. Sono molto felice e fiero di aver passato queste tappe in rosa. Ora non vedo l’ora che arrivi il giorno di riposo domani».

Qui Leknessund subito dopo la sua prova mentre si riveste con i colori DSM
Qui Leknessund subito dopo la sua prova mentre si riveste con i colori DSM

Gli insegnamenti in rosa

Al norvegese classe ’99 va dato atto che sia stato un esempio di sorriso, rilassatezza e genuinità in queste cinque tappe da leader. A lui piace dire di essere l’attuale ciclista professionista nato più vicino al Polo Nord. Forse questo animo glaciale gli ha permesso di coronare il sogno di vivere alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia la possibilità di vestire la maglia rosa. Gli abbiamo chiesto come sono stati questi giorni e cosa abbia imparato…

«Ho imparato molto – spiega Leknessund – da questi giorni da leader. Io in prima persona ma anche delle dinamiche del team che si hanno quando indossi questo primato. Avere tutta l’attenzione addosso. Stare sempre davanti, attenti a tutto, dal primo all’ultimo chilometro. E’ stato super speciale e mi sono goduto tutti questi giorni. Non è qualcosa a cui sono mai stato abituato».

Leknessund ha chiuso a 1’15” la prova contro il tempo di oggi
Leknessund ha chiuso a 1’15” la prova contro il tempo di oggi

Le prossime due settimane

Siamo alla nona tappa, è finita la prima settimana, ne mancano due. Per Leknessund e per tutto il gruppo il Giro non è ancora arrivato il giro di boa. Dopo un’inizio così per l’atleta del Team DSM non sarà facile riabituarsi e ritrovare nuovi stimoli per proseguire la sua corsa.

«Mi aspetto – dice Andreas – che ci siano altri bei giorni a venire. Per quanto riguarda la squadra, abbiamo avuto un ottimo inizio di Giro e credo anche che continueranno a migliorare. Sono sicuro che le ultime due settimane saranno buone come la prima. Adesso la generale non è più un obbiettivo, vorrei ancora andare a cercare una vittoria di tappa. Ho passato alcuni giorni in rosa e penso che anche vincere la tappa sarebbe davvero molto bello. Quindi per ora questo è l’obiettivo per il resto del Giro».

Ora l’unico obiettivo del norvegese è la vittoria di tappa
Ora l’unico obiettivo del norvegese è la vittoria di tappa

I favoriti secondo lui

Dopo cinque giorni corsi in vetta alla classifica, Andreas Leknessund ha imparato cosa vuole dire stare là davanti. Ha imparato a quale attenzione mediatica e sportiva sia sottoposta la maglia rosa. Nei giorni scorsi ha guardato negli occhi gli uomini di classifica per difendere la sua maglia. Così abbiamo deciso di chiedergli chi secondo lui sarà il favorito per la vittoria finale…

«Penso che sia un Giro – conclude il norvegese – davvero molto interessante. Durante la crono ho sentito che dopo il primo intertempo Remco stava andando molto bene. Ora ho visto che ha vinto. Tutti lo vedevano come il grande favorito prima del Giro e potrebbe esserlo ancora. Ma abbiamo visto ieri e penso anche oggi che ci sono altri ragazzi che hanno una buona forma e possono dire la loro. Quindi penso che il Giro sia completamente aperto e sarà davvero eccitante».

Evenepoel infallibile: crono perfetta e la maglia rosa

06.05.2023
6 min
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ORTONA – Cattaneo gli ha fatto da cavia. I meccanici della Soudal-Quick Step hanno montato sulla sua bici l’anteriore da 100 millimetri. E quando il bergamasco ha confermato che il vento stava calando, Evenepoel ha lasciato che montassero anche a lui la stessa ruota ed è andato alla partenza. Poco meno di 22 minuti dopo, il belga ha tagliato il traguardo davanti a tutti, rifilando distacchi pesanti in proporzione alla lunghezza della crono. Ganna, secondo, era contrariato ma anche arreso: più di così non poteva fare. E anzi, nel tratto di salita ha perso meno che in pianura.

Scelta la bici per la crono, ecco quella di scorta. Ruota da 100 all’anteriore
Scelta la bici per la crono, ecco quella di scorta. Ruota da 100 all’anteriore

Corona da 60

Remco arriva da noi dopo aver esaurito le interviste fiamminghe nella zona mista. I giornalisti belgi sono arrivati in massa, come pure i tifosi del piccolo belga. Per l’arrivo di Roma, se tutto va come sperano, ne arriveranno 600. Desta interesse la scelta da noi annunciata stamattina della guarnitura da 60 denti, che accoppiata alla ruotona anteriore lasciano capire che il campione del mondo volesse fare una gara d’attacco.

«Ogni crono che ho fatto negli ultimi tempi – spiega – l’ho fatta con il 60, mi ci trovo bene. Non è una rapporto facile da sostenere, ma alla Vuelta ho capito che posso girarlo bene e che può darmi un bel vantaggio. Con il 60 ho vinto in Spagna e sono arrivato terzo al mondiale, poi abbiamo vinto la cronosquadre al UAE Tour. Insomma, mi sento a mio agio».

Nel tratto pianeggiante della ciclabile, con il 60 e le ruote da 100, Remco ha scavato un bel solco
Nel tratto pianeggiante della ciclabile, con il 60 e le ruote da 100, Remco ha scavato un bel solco

Respinto Roglic

E’ calmo: di buon umore, ma calmo. Sa che il Giro è ancora lungo, ma sentirsi dare il benvenuto al momento del suo ingresso lo ha rimesso in pace con una corsa che l’ultima volta lo aveva respinto malamente.

«Era una prova abbastanza piatta – va avanti a spiegare Evenepoel – volevo andare con un bel ritmo dall’inizio fino della salita, poi fare il massimo nella scalata, recuperare il possibile dallo scollinamento all’ultimo chilometro e poi dare tutto nel finale. Saremmo stati contenti di guadagnare 15 secondi sui rivali diretti. Sarebbe stato già un ottimo inizio, invece ne abbiamo più di 30 ed è fantastico. Sarà banale, ma è meglio cominciare con un bel vantaggio che essere costretto a inseguire.

«In realtà però sono sorpreso del margine e che soltanto Ganna e Almeida siano stati sotto i 30 secondi. Su Roglic ho guadagnato più o meno come alla Vuelta (nella crono di Alicante gli prese 48”, ndr), ma questa era più breve. Il piano era di andare il più veloci possibile fin dall’inizio ed è andata davvero bene».

Rosa a orologeria

Nei giorni scorsi ha raccontato che il primo Giro di cui ha memoria è quello del 2008, vinto da Contador con la magia dell’Astana. Ora che lo stesso simbolo fascia lui, a tratti lo tocca col palmo della mano. E se non fosse per la mascherina con cui si protegge da ogni possibile insidia, siamo certi che sarebbe lì a sorridere.

«E’ un grande onore – dice – ma non penso che la maglia rosa fosse l’obiettivo più grande per oggi. Volevo guadagnare tempo, ma ovviamente è un bell’extra venuto con la vittoria di tappa. Ho già detto che è più importante per me averla a Roma, quindi adesso provo una bella sensazione, ma penso che non la terrò troppo a lungo, forse sarà meglio provare a cederla per non sfinire la squadra. Dipenderà dalla gara. Le prossime due tappe saranno per velocisti, la quarta è lunga e si presta a fughe e imboscate. Martedì potrebbe essere il giorno giusto per lasciarla andare. Ma prima per un paio di giorni voglio godermela. 

La bocca era mascherata, ma gli occhi ridevano in modo inconfondibile: la rosa non era belga dal 2001 con Verbrugge
La bocca era mascherata, ma gli occhi ridevano in modo inconfondibile: la rosa non era belga dal 2001 con Verbrugge

Un chilo di muscoli

Il bilancio è importante e l’occhio si sofferma su un aspetto che non è sfuggito in queste ultime settimane. Evenepoel è molto tirato nella parte superiore del corpo, ma le gambe sembrano toniche e più potenti. In precedenti interviste si è parlato di 2 chili di massa magra in più.

«In realtà – precisa lui – sono più pesante di un chilo rispetto alla Vuelta, ma ho la stessa percentuale di grasso. Quindi significa che è tutto peso funzionale. E’ solo il mio metabolismo, ci siamo accorti che sono uscito dall’inverno con più muscoli che durante la stagione. Quindi sono ai minimi quanto a percentuale di grasso e non posso scendere oltre, perché significherebbe perdere muscolo. Per cui d’ora in avanti si tratterà di portare questo livello fino all’ultima settimana, ovviamente cercando di stare in piedi sulla bici e di non ammalarmi. Questo è l’obiettivo».

Strane ricorrenze

Sua moglie Oumi lo aspetta sui gradini, con il cappello da pescatore in testa, i jeans e il mazzo di fiori. La maglia rosa si allontana al piccolo trotto, specificando che se e quando perderà il primato, sarà contento di indossare nuovamente la sua maglia iridata.

Nel 1990 del precedente scudetto del Napoli, Gianni Bugno indossò la rosa il primo giorno nella crono di Bari e non la perse più. Remco dice che la lascerà andare ed è possibile. Gli sfugge forse il fatto che al posto della rosa, indosserà certamente la bianca. Potrebbe essere davvero un Giro in cui non vedremo mai la maglia iridata. Ma per ora non glielo diciamo…

I privilegi dei corridori e le smorfie di “Juanpe” Lopez

23.12.2022
5 min
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In qualche modo si scambiarono il testimone sull’Etna. Mentre Juan Pedro Lopez indossava la prima maglia rosa della carriera, l’altro Lopez – il Miguel Angel dell’Astana – si ritirava per gli effetti di un’infiammazione. Per l’andaluso della Trek-Segafredo, 25 anni, che puntava a vincere la tappa ma dovette arrendersi a Kamna, si aprirono dieci giorni di scuola di ciclismo. Lo stesso intervallo di tempo, poco meno, che due anni prima aveva lanciato le quotazioni di Almeida. E proprio parlando con Matxin, tecnico della UAE Emirates e mentore del portoghese, giorni fa il discorso è caduto sullo spagnolo e su come quei giorni in rosa, terminati nel giorno di Torino (foto di apertura), potrebbero condizionare anche la carriera di “Juanpe” Lopez.

«Non lo so – dice Lopez – per ora è un bel ricordo, perché sono stati i 10 giorni più belli della mia vita. Questo però è un anno nuovo e vediamo che obiettivo possiamo raggiungere. Lo so che quando un corridore prende la maglia rosa o qualunque altra maglia di leader, nelle gare dopo ha sempre un po’ di responsabilità in più. Però per me è un bel ricordo, un bellissimo ricordo e basta…».

In dieci giorni di maglia rosa, Lopez ha costruito una popolarità che ancora lo segue
In dieci giorni di maglia rosa, Lopez ha costruito una popolarità che ancora lo segue

La scuola della Vuelta

“Juanpe” Lopez si muove e parla a scatti, come il personaggio di un cartone animato. E’ la personificazione della simpatia, con gli occhi che a tratti roteano e il gesticolare delle mani molto latino.

«Se mi ricordo quel giorno sull’Etna? Madre mia, certo – sgrana gli occhi – mi ricordo tutto. La salita. Quando ho attaccato a 9 chilometri dall’arrivo ho pensato che non sarei arrivato mai. Volevo vincere la tappa, non prendere la maglia. Ma alla fine forse è convenuto a me, perché dieci giorni in maglia rosa sono tanto. Una scuola. Ho imparato a soffrire un po’ di più per tenerla, ma conoscevo già la sofferenza nel ciclismo. Alla Vuelta l’anno prima avevo la sinusite. Non respiravo e ho lottato ogni santo giorno per arrivare. Chiedevo sempre via radio al direttore quanto fosse il ritardo dal primo perché pensavo che non sarei arrivato e quelle tappe mi hanno insegnato tanto a soffrire. Invece quando hai la maglia rosa va tutto sopra le nuvole, tutto come un sogno…».

Kamna e Lopez sulle rampe dell’Etna. E’ il 10 maggio 2022, uno avrà la tappa, l’altro la maglia
Kamna e Lopez sulle rampe dell’Etna. E’ il 10 maggio 2022, uno avrà la tappa, l’altro la maglia

Vittoria al Val d’Aosta

Chiusa quella porta, si lavora adesso per aprirne un’altra, cercando di individuare i margini e i limiti di un ragazzo di 54 chili che nella vita, prima della gloria sportiva, ha conosciuto la fatica del lavoro e sa apprezzare i vantaggi della sua posizione.

«La mia idea ogni anno – dice Lopez – è andare un po’ più avanti. La squadra mi darà ancora l’opportunità di fare classifica come è stato al Giro d’Italia. Ma non so dire dove potrò arrivare. Se ancora decimo o anche meglio. Il mio obiettivo di quest’anno però è alzare le mani al cielo. Vincere. Perché va bene che sono stato 10 giorni in maglia rosa, ma ancora non ho mai vinto. La mia ultima vittoria arrivò proprio in Italia, al Giro di Val d’Aosta nel 2019, quando correvo con la Kometa.

«Vincere da professionista è molto più difficile. Quando giocano due squadre di calcio, una vince e l’altra perde. Ma noi siamo 200 e la percentuale non è più cinquanta e cinquanta. Per questo non si fa tutto al 100 per cento, ma al 300 per cento, curando ogni tipo di dettaglio, anche il più piccolo. E’ pesante? A me piace. E se qualche corridore dice di soffrire la pressione, io gli rispondo che c’è in tutti i lavori. Nel nostro, riceviamo soldi per andare in albergo, per viaggiare, per farci un massaggio e per correre. Siamo privilegiati. Io quando vado in bici, sono il ragazzo più felice del mondo perché a me piace».

Con Valverde, ha smesso anche l’ultimo grande di Spagna: l’eredità passa a Juanpe e ai suoi… fratelli
Con Valverde, ha smesso anche l’ultimo grande di Spagna: l’eredità passa a Juanpe e ai suoi… fratelli

Debutto al Tour

Come un pugile molto leggero al centro del ring, “Juanpe Lopez” fissa gli obiettivi senza paura, infilandosi nella faretra delle nuove frecce spagnole e annunciando il debutto al Tour.

«Quando ho il numero sulla schiena, è bellissimo. Mi piace l’adrenalina, anche se le corse sono complicate e si rischia di cadere. Per questo è bello anche stare tutti insieme ad allenarsi, oppure farlo da solo. In Spagna adesso c’è un bel ricambio. Hanno smesso Valverde e Contador, ma alla Vuelta abbiamo visto Carlos Rodriguez e Juan Ayuso. Tanti si allarmavano perché non vedevano gli eredi dei grandi campioni, io ho sempre detto che serve pazienza e quest’anno abbiamo iniziato a raccogliere. Non sono più giovane, perché arriva uno come Ayuso che a 19 anni anni fa il primo grande Giro e va sul podio. Ma è sicuro che nei prossimi 5-6 anni la Spagna avrà un ciclismo meraviglioso.

«E io lì in mezzo posso fare lo scalatore, con 54 chili non mi vedo come sprinter. Per l’inizio di stagione, penso alla Vuelta Valenciana e all’Algarve. E da scalatore andrò a debuttare in Francia. Del resto, ho fatto la Vuelta, poi ho fatto il Giro, ora voglio andare al Tour. Ho parlato con la squadra e hanno detto che è una bella idea. Farò Tour e Vuelta, niente male come programma, no?».

I giorni dello Squalo / Giro d’Italia 2013, la prima rosa

28.08.2022
7 min
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Mancano 20 chilometri all’arrivo delle Tre Cime di Lavaredo, quando radio corsa gracchia che sulla salita finale ha iniziato a nevicare. I corridori del Giro vengono scossi da un brivido, ai giornalisti in sala stampa viene detto che dovranno stringere i tempi, perché vista la quantità della precipitazione, non si garantirà a lungo l’apertura della strada per la discesa.

«Quel giorno – racconta Valerio Agnoli – resta l’emblema della cattiveria di Vincenzo in bici. Avevamo gestito ogni cosa in modo perfetto con Tiralongo e un giovane come Aru, che già allora mostrava una determinazione non comune, tanto da arrivare quinto. Mi emozionai anch’io, quando arrivai in cima, quasi 7 minuti dopo Nibali. Il capitano che vince ti ripaga della fatica. Quando l’ho visto, si capiva che fosse felice, anche se da fuori non sempre lo lascia vedere. Ma “Vince” è fatto così. Non si accontenta mai, ha la vittoria cucita addosso».

Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già
Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già

Spauracchio Wiggins

E’ il Giro d’Italia del 2013, partito da Napoli sembra un secolo prima. Nibali ha già vinto la Vuelta del 2010, nel 2011 è arrivato terzo al Giro, anche se per la squalifica di Contador le statistiche annotano il suo secondo posto e la vittoria di Scarponi. Nel 2012 è andato al Tour, conquistando il podio alle spalle di Wiggins e Froome. E nel 2013, passato nel frattempo all’Astana, punta deciso sul Giro. In ammiraglia c’è Giuseppe Martinelli, che maglie rosa ne ha vinte in abbondanza, con Pantani, Garzelli, Simoni e Cunego e sa come si fa.

Tra i favoriti, spicca lo spauracchio Wiggins. Il britannico, che l’anno prima oltre alla maglia gialla ha vinto le Olimpiadi della crono nella sua Londra, non fa mistero di volere la maglia rosa. Ma il Giro e le salite italiane sono un’altra cosa. Se ne è accorto al Giro del Trentino, dove innervosito proprio da un attacco di Nibali, ha scagliato la bici contro una parete rocciosa, per un problema tecnico che gli ha impedito di inseguirlo.

E’ un Giro ferito. Nel giorno che precede l’impresa delle Tre Cime, proprio la neve ha fermato la corsa, guadagnando ai corridori un riposo inatteso, durante il quale la positività di Danilo Di Luca ha rischiato di affossare il bello di una corsa fino a quel punto super avvincente. Per questo Nibali ha sulle spalle il peso del pronostico, quello della neve che cade copiosa e quello del ciclismo italiano ancora una volta messo sotto accusa.

Il diluvio di Pescara

Agnoli ricorda. Per lui, che nel 2013 ha 28 anni ed è già professionista da 9 stagioni, la maglia rosa è un’esperienza già vissuta con Basso al Giro del 2010, quello della vittoria di Nibali nella tappa di Asolo e della lunga rincorsa dopo la fuga dell’Aquila.

Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale
Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale

«Wiggins – dice – lo avevamo già incontrato al Trentino e quel nervosismo era stato un segnale che avevamo captato chiaramente. Con un direttore come Martinelli, la gestione della squadra ne tenne sicuramente conto. Sapevamo ad esempio che Bradley soffriva le giornate di pioggia. Per questo quando il mattino della tappa di Pescara aprimmo la finestra (era la 7ª tappa, San Salvo-Pescara di 177 chilometri, ndr), immagino che lui si sia disperato, invece Vincenzo rideva. In quelle situazioni lui si gasava e chi invece gli correva contro, aveva il terrore addosso. Pescara fu un tassello importante, perché il Giro si vince tappa dopo tappa.

«Quel giorno “Vince” bucò. Mi guardo e mi chiese: “E adesso che facciamo?”. Mi fermai e gli diedi la ruota. Il mio compito in quei Giri non era cercare soddisfazioni personali, ma stargli accanto, corrergli addosso perché stesse lontano dai pericoli. Era stato lo stesso tre anni prima con Basso. Gli diedi la ruota e lo vidi andare via…».

Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa
Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa

La crono e la rosa

Pescara fu decisiva soprattutto a livello nervoso. L’indomani, si pensava infatti che la crono di Saltara avrebbe permesso a Wiggins di ammazzare gli scalatori. Percorso impegnativo di 54,8 chilometri, non una passeggiata: ideale per il campione che sulla crono aveva costruito la vittoria al Tour dell’anno prima. Solo che invece di arrivarci con lo stesso tempo di Nibali, quel 1’24” lasciato a Pescara continuava a ticchettargli nella testa.

«La sera prima della crono – sorride Agnoli – cercavo di scherzare per sdrammatizzare un po’. Certo, se vai ad analizzare i numeri e le statistiche, eravamo spacciati. Ma “Vince” stava bene e quel giorno è partito molto più cattivo del solito. La crono la vinse Dowsett, “Wiggo” arrivò secondo. Ma Nibali gli arrivò ad appena 11” e si prese la maglia rosa. Giorno indimenticabile. Capimmo che Wiggins non sarebbe rimasto a lungo un problema, anche se il Giro era ancora lungo».

La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente
La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente

Un uomo semplice

E’ il Giro di Uran che mette fuori il naso. Di Wiggins che sull’orlo di una crisi di nervi non riparte al mattino della 13ª tappa. Di Visconti che risorge dai suoi problemi e conquista prima il Galibier davanti al monumento di Pantani in un altro giorno frenato dalla neve, poi il traguardo di Vicenza. E proprio in quel giorno sulle Alpi francesi, si ha la sensazione che la maglia rosa voglia rispettare l’amico palermitano evitando di strozzare la sua vittoria.

«La cosa bella del ciclismo – conferma Agnoli – è che siamo avversari e possiamo sembrare acerrimi nemici, ma di base siamo tutti profondamente amici. E’ normale o almeno lo era allora fare qualche favore lungo la strada, perché sono cose che ti ritrovi. Gesti che si fanno per il rispetto che riconosciamo ai colleghi, per amicizia. E Nibali queste cose le ha. Magari da fuori possono averlo visto come un uomo chiuso, mentre la sua vera forza sta nella semplicità. Per questo in tutti i Giri che ho corso con lui, ci siamo soprattutto divertiti. Ogni giorno ce n’era una. Perché sa tutto lui e sa fare tutto lui e noi ci giocavamo sopra. Abbiamo sempre riso e scherzato un mondo».

Emozioni sulla pelle

Il Giro d’Italia del 2013 si conclude a Brescia proprio all’indomani delle Tre Cime, rese ancora più eroiche dal massiccio lavoro degli alpini sul percorso e sulla cima.

«Dopo il traguardo dell’ultima tappa vinta da Cavendish – ricorda Agnoli – per arrivare alla piazza del podio c’erano 3-400 metri, che feci accanto a lui. Avevo la pelle d’oca. Lo vidi che si fermava alla transenna per abbracciare i genitori. Vedevo la maglia rosa acclamata dalla gente, che era veramente tanta. E parte di quel simbolo lo sentivo mio, anche solo un pezzetto. Non rivivrò più momenti come quello, salire sul podio con tutta la squadra fu magnifico. Era Nibali e finalmente aveva vinto il Giro d’Italia».

«Per questo quando a Messina ha annunciato il ritiro – riflette l’amico – sono rimasto di sale. Ne aveva parlato altre volte, ma di colpo è parso deciso. Se ne sta andando un campione immenso, dove cavolo lo ritrovi uno così? E non parlo del ciclismo italiano, parlo del ciclismo mondiale. Smetterà un gigante. E adesso la mia sola preoccupazione è che mi toccherà allenarmi di nuovo per andare in mountain bike con lui. Sta finendo casa davanti alla mia, sono sicuro che tornerà presto a tirarmi il collo…».

Balsamo su Vos. A Tortolì come a Leuven, ma per la maglia rosa

01.07.2022
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La regina delle volate è lei, soltanto lei, Elisa Balsamo. Attualmente non ce n’è per nessuna, nemmeno se sei “sua maestà” Marianne Vos. A Tortolì, nella seconda tappa del Giro Donne, va in scena un replay del mondiale di Leuven col medesimo risultato con l’aggiunta del fotofinish. Balsamo rimonta e brucia Vos conquistando la prima vittoria da campionessa italiana e soprattutto la maglia rosa. Terza la promettente olandese Charlotte Kook del Team DSM in una top ten molto italiana grazie ai piazzamenti di Chiara Consonni, Rachele Barbieri, Marta Bastianelli e Silvia Zanardi.

Ventiquattro ore prima la 24enne della Trek Segafredo (esordiente al Giro Donne) ce lo aveva detto: «Se si arriva allo sprint ci proviamo». Tradotto: vinco e prendo la rosa. E così è stato malgrado l’olandese, la Vos avesse fatto tutto in modo perfetto. Volata lunga alle transenne dalla parte destra della sede stradale, nessuno dietro di lei. Solo una come l’iridata in carica (che oggi indossava la maglia verde dei gpm nonostante ieri non fossero stati assegnati) poteva passarla all’ultimo centimetro.

La volatona al fotofinish di Tortolì. Balsamo batte Vos e Kool
La volatona al fotofinish di Tortolì. Balsamo batte Vos e Kool

Il lavoro della Trek-Segafredo

Per settanta chilometri restano in testa in sei. Vitillo, Tonetti, Cesuliene, Rossato, Jaskulska e Pisciali raggiungono fino 3’20” come massimo vantaggio a circa trenta dalla fine. Davanti ci credono mentre dietro nessuno si scompone. Le squadre delle velociste tirano, il finale sembra segnato.

«Abbiamo lavorato dal primo all’ultimo chilometro – commenta Balsamo dopo il traguardo prima di essere travolta dagli abbracci delle sue compagne di squadra – Abbiamo preso in mano la situazione, soprattutto ai 10 chilometri dall’arrivo quando abbiamo ripreso la fuga. Gli arrivi in volata non sono mai semplici. Non so nemmeno cosa dire. Sono davvero contenta».

La maglia rosa della Balsamo è anche figlia della scelta di partire tra le prime nella crono di apertura prima che si alzasse il vento a condizionare la prova delle atlete del secondo blocco.

«Siamo arrivati al Giro Donne – prosegue la piemontese – con l’obiettivo di non prendere troppi secondi nel prologo. Sapevamo che con gli abbuoni potevamo puntare alla maglia rosa anche se non è mai semplice. E’ una grande emozione indossarla».

Un altro capitolo

Il testa a testa Balsamo-Vos ormai gode di tanti capitoli. Gli ultimi sono stati a favore dell’italiana che, ad esempio, Giorgia Bronzini che conosce benissimo entrambe, aveva battezzato come erede dell’olandese della Jumbo-Visma.

«Io la nuova Vos? – continua la nuova maglia rosa – Magari, ma non so. Per me correre con lei è sempre un onore. So che è un punto di riferimento, un modello. Salire sul podio con lei per me è sempre una cosa bellissima».

Ora questa maglia rosa può distogliere l’attenzione da Longo Borghini che potrà correre ancora più a fari spenti?

«Sicuramente – conclude Balsamo – l’obiettivo era quello di ottenere una vittoria per poi correre più serenamente perché, si sa, quando non si vince c’è sempre più tensione. Ci siamo riuscite già alla seconda tappa ed ora in avanti possiamo davvero divertirci».

La rivincita di Marianne

Dietro al palco delle premiazioni c’è Vos. E’ seduta al sole perché dentro le tende-spogliatoio c’è ancora più caldo. Parla alla radio con i suoi diesse per capire se ha fatto seconda o meno. Glielo confermano in linea e lei prende la notizia come se nulla fosse. La grandezza della 35enne fuoriclasse olandese è sempre stata anche quella di saper accettare in maniera impeccabile tutti i secondi posti della carriera (come quello di oggi). La sua sportività in questo senso sarebbe da insegnare ai ragazzini che accampano scuse e lamentele quando perdono in qualsiasi disciplina.

«Tutto il giorno abbiamo corso su grandi strade dove era difficile fare la differenza – racconta Vos – Nel finale ci sono stati tanti team che si sono organizzati per la volata. Siamo entrati in paese in testa, ma all’ultima curva ho perso qualche compagna perché ogni altra avversaria voleva stare davanti. A quel punto è partito lo sprint. Ho aperto e tenuto alta la velocità. Sapevo che Balsamo stava risalendo ed è andata come avete visto. Al momento è molto molto molto veloce (lo rimarca come se stesse riguardando gli ultimi loro arrivi gomito a gomito, ndr) e non c’è nulla da recriminare. No, non credo che sia la mia erede. Siamo due atlete diverse. Lei è un grande corridore, con grandi doti e potenzialità. Ognuna di noi è diversa dall’altra. Sta già facendo una grandissima carriera».

«Ci riproverò ancora, sia ad Olbia che fino alla fine del Giro Donne» La Vos ha già lanciato la volata per i prossimi giorni, a cominciare dalla terza frazione di domani, con partenza da Cala Gonone ed arrivo ad Olbia.

Hindley, non è un sogno. Due anni dopo la rosa è tua

29.05.2022
6 min
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Il 2020 lo ha seguito come un incubo per due anni, fino al momento in cui ha tagliato la riga e poi è entrato nell’Arena. Hindley continua a parlarne come di un momento davvero traumatico, che rende la conquista della maglia rosa qualcosa di speciale e anche un po’ folle.

«Al via ero nervoso – racconta – mi trovavo nella stessa situazione dell’altra volta. Avevo più confidenza con il percorso e con la bicicletta, ma continuavo a pensarci. Non volevo ripetere il 2020. Quando sono partito non pensavo alla maglia rosa né a vincere il Giro. Volevo fare la miglior crono possibile. Sapevo di dover dare tutto nella prima parte in salita e poi di scendere tranquillo, come poi ho fatto. Tagliare il traguardo ed entrare nell’Arena è stato davvero speciale».

Due anni lontano da casa

Hindley è arrivato mentre Sobrero stava ancora raccontando la sua vittoria. Lo sguardo trasognato. Le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo fisso verso l’altissimo soffitto della stanza. Poi finalmente è venuto il suo momento, che è stato pieno di umanità e gentilezza. Non è per caso che tutti i corridori del gruppo parlino bene di lui. E a chi dai microfoni della RAI ha appena finito di spiegargli che non tornare per tanto tempo a casa fa parte della bellezza del ciclismo, vale la pena far notare che Jai Hindley non vede la sua famiglia dal febbraio del 2020.

«Ho prenotato più volte dei voli – racconta – ma li hanno sempre cancellati. Passai a casa per 24 ore dopo l’Herald Sun Tour del 2020 e poi non l’ho più vista. Quando parti dall’Australia per diventare un corridore professionista, devi essere molto forte mentalmente. Non ti basta un weekend per tornare a casa. Lo scorso anno è stato duro in bici e giù dalla bici. Il Covid non ha colpito Perth e non ci sono casi da due anni, semplicemente perché sono stati chiusi gli aeroporti. E’ una situazione un po’ folle, ma è quello che ho vissuto. Da due anni sono ad Andorra, ma Perth è un bel posto in cui crescere. Sono orgoglioso delle mie origini. E penso che a fine anno finalmente tornerò laggiù».

Quanto è stato pesante lasciarsi alle spalle la sconfitta dell’ultima crono al Giro del 2020?

E’ stata una situazione surreale. Ho preso la maglia il penultimo giorno, come ieri. E il giorno dopo l’ho persa. E’ stato duro, c’è voluto parecchio tempo per superarlo. Il solo modo è stato lavorare duramente, trasformandola in una grande motivazione. Ma ammetto che smaltirla in famiglia sarebbe stato un’altra cosa.

Hai vinto il Giro il penultimo giorno e in tanti abbiamo pensato che avessi in mente di fare così sin dall’inizio…

Un grande Giro richiede di calcolare bene le energie che spendi. Ho imparato dalle occasioni precedenti che quelle che lasci sulla strada oggi, non le ritrovi domani. Siamo arrivati nell’ultima settimana con prestazioni simili tra noi. Continuavamo ad arrivare insieme, era difficile fare differenze. Non era previsto dall’inizio di attaccare a fondo sul Fedaia, ma alla fine è stato la conseguenza di come si erano messe le cose. In un Giro contano i programmi, ma anche la fortuna e la sfortuna. E alla fine ci siamo organizzati per fare l’attacco frontale nella penultima tappa.

Con un grande lavoro di squadra, concordi?

Ho avuto giorni duri, ma quello sul Fedaia per certi versi non è stato il peggiore. La squadra mi ha servito il finale su un piatto d’argento. Hanno lavorato tutti benissimo, ho avuto dei compagni fenomenali.

Hai mai avuto paura?

Non particolarmente, se non a Treviso quando ho bucato. Il gruppo stava andando fortissimo. Poi mi sono reso conto che ero entro gli ultimi tre chilometri e mi sono tranquillizzato.

E’ possibile che questo Giro sia un punto di inizio per la tua carriera?

Può darsi, ma credo di aver aperto gli occhi sulle mie possibilità come pro’ al Giro del 2020. Anche se finì male, ho scoperto che in queste corse poteva esserci un posto anche per me. E’ folle pensare che oggi ho vinto il Giro d’Italia, non riesco ancora a crederci.

Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Come proseguirà la tua stagione?

Esiste un programma, che credo sarà confermato. Dovrei fare sicuramente la Vuelta e poi mi piacerebbe correre i campionati del mondo in Australia. Non capita spesso di avere un mondiale nel tuo Paese, soprattutto se arrivi dall’altra parte del mondo.

Dopo la batosta del 2020 è cambiato il tuo rapporto con la crono?

Doveva cambiare per forza. La Bora-Hansgrohe ha investito tempo e risorse. Sono stato in California nella galleria del vento di Specialized per migliorare la posizione e già questo ha aiutato molto. Non posso dire di essermi specializzato, ma ci ho lavorato molto.

L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
La tua squadra ha voltato pagina e si è votata ai grandi Giri e, al primo assalto, tu hai vinto il Giro d’Italia…

Credo sia la prima volta che questa squadra conquista un podio e devo dire che se ci sono riuscito è stato perché tutti mi hanno dato il loro appoggio, dai corridori allo staff. Quando ci siamo visti al training camp di ottobre in Austria abbiamo messo questo risultato nel mirino. Esserci riuscito e fare parte di questo progetto mi rende molto orgoglioso.

La legge di Carapaz, padrone (pacato) del Giro

23.05.2022
4 min
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Richard Carapaz parla e si muove da padrone del Giro. Lo stupore di quella prima volta nel 2019 ha ceduto il posto a sguardi sempre sereni, ma anche taglienti. Difficile dire se si tratti di sicurezza o maturazione. Difficile dire se essere parte del team Ineos Grenadiers comporti anche una maggiore consapevolezza del ruolo di leader, ma certo il corridore dell’Ecuador appare molto più solido di qualche tempo fa. Mentre lo sentiamo parlare al termine del primo giorno in maglia rosa, vengono alla memoria le parole aspre contro la federazione del suo Paese a margine della vittoria olimpica, accusata di non averli assistiti. O quelle per chiarire la sua partenza dalla Movistar: lo tacciarono di essere stato sleale, rispose di non voler più stare nell’ombra di nessuno.

Nonostante il lungo sprint e la luce alle spalle di Carapaz, la giuria non gli ha dato i 2″ in cui sperava
Nonostante il lungo sprint e la luce alle spalle di Carapaz, la giuria non gli ha dato i 2″ in cui sperava

Eccezione Torino

Dopo la premiazione ha raggiunto i giornalisti e la sua analisi della corsa è stata lucida.

«E’ stata una tappa abbastanza matta – ha detto rivolgendosi al giorno di Cogne – all’inizio volevano entrare tutti in fuga, così sulla prima salita siamo andati molto forte. Poi abbiamo messo un po’ di ordine. Abbiamo tentato di mantenere la fuga a distanza di sicurezza e alla fine abbiamo fatto un buon lavoro di squadra.

«Ieri la corsa è stata poco gestibile (parlando della tappa di Torino, ndr), perché nel finale il percorso era molto complicato in punti diversi. La prima discesa era molto difficile e la Bora ci ha sorpreso con una corsa così aggressiva, come fosse una classica. A Cogne nel finale c’era ancora molta fatica. Alcune squadre volevano entrare nella fuga in modo da lasciare gli uomini di classifica più tranquilli dietro. Noi davanti abbiamo fatto un buon lavoro».

A dare acqua sul percorso di Cogne c’era anche Rod Ellingworth, tornato alla Ineos dopo un anno in Bahrain
A dare acqua sul percorso di Cogne c’era anche Rod Ellingworth, tornato alla Ineos dopo un anno in Bahrain

Accumulo di fatica

Sembra quasi una battuta di spirito quella di Landa, secondo cui il vero Giro comincerebbe martedì dal Mortirolo. Lo spagnolo viaggia con 59 secondi dal campione olimpico e finora in salita si è sempre staccato. Di certo il suo compito sarà quello di attaccare. Non si offenderà se Carapaz si limiterà a seguirlo. Cercando semmai di approfittarne.

«Il Giro in realtà è cominciato da due settimane – ha sorriso – e questo bisogna considerarlo. Credo che l’ultima settimana sarà decisiva e credo che l’accumulo di fatica si andrà a notare. Noi tenteremo di difenderci e mantenere la maglia che per la squadra è molto importante. 

«Abbiamo davanti tappe abbastanza dure – ha proseguito – alcune le conosco e questo mi dà molto morale. Potrò difendermi molto bene e se potremo guadagnare altro tempo, per noi sarà anche meglio».

A Cogne la Ineos ha fatto il gran lavoro che ci si aspettava
A Cogne la Ineos ha fatto il gran lavoro che ci si aspettava

Ineos davanti

Il Team Ineos finora non ha dato il senso di strapotere di altre occasioni, ma quando si è messo in testa sulle salite verso Cogne, è parso di rivedere l’antica corazzata. Il capitano/scalatore avrà dei validi scudieri, ma forse in qualche momento sarà chiamato a cavarsela da solo.

«Il piano con la squadra – ha detto – è sempre stare davanti. Ci abbiamo provato per tutta l’ultima settimana e quando abbiamo preso la maglia rosa a Torino, è stato motivante per tutti. D’ora in poi sarà meglio difendersi che attaccare. Abbiamo pochi secondi da gestire e tante tappe per aumentare il nostro margine, pensando alla crono finale».