Il capitolo finale di una grande corsa a tappe racchiude le emozioni più profonde e i sentimenti si amplificano. Lorenzo Germani (in apertura foto Instagram) a Madrid ha portato a termine il suo primo grande Giro: la Vuelta. In Spagna, per tre settimane, ha pedalato, sofferto e sorriso, soprattutto quando sotto le sue ruote ha visto sfilare la linea del traguardo di Madrid. L’ultima delle 21 tappe previste dal percorso della Vuelta.
Atmosfera particolare
La soddisfazione di essere arrivato a Madrid per Germani è tanta, solo dopo l’ultima fatica ha potuto realizzare quanto successo in queste tre settimane.
«La partenza – racconta – è stata davvero tranquilla, non scherzo quando dico che siamo andati a 20 all’ora. Poi a pochi chilometri dal circuito finale si sono alzati i ritmi, e non poco: siamo andati a tutta. Il circuito non è affatto semplice, c’erano tre curve dove si ripartiva da fermi e lì le gambe facevano male.
«Si respirava un’aria diversa – continua Germani – sia alla partenza che all’arrivo. L’emozione di attraversare Madrid, con la consapevolezza di aver portato a termine un grande Giro, non la provi tutti i giorni. Tutti noi della Groupama eravamo davvero contenti e non vedevamo l’ora di tagliare il traguardo perché fino a quel momento la corsa non era davvero finita».
C’è una foto della 18ª tappa, che probabilmente fa capire cosa hai provato in questa terza settimana…
E’ stata difficile, ma probabilmente mi sentivo addirittura meglio rispetto alla seconda settimana. Il fatto che per due volte sono andato in fuga è un dato indicativo.
La prima delle due è arrivata nella tappa dell’Angliru, con Evenepoel.
In quella tappa ho seguito Cattaneo, che è uscito dal gruppo, insieme ad altri tre corridori. Poi a noi si è aggiunto Evenepoel e Cattaneo ha imposto un ritmo altissimo, la cosa che mi ha dato soddisfazione è aver resistito più degli altri compagni di fuga.
Poi Remco è partito e ti sei trovato solo sull’Angliru, com’è stato?
Orribile! Per fortuna avevo un buon vantaggio e quindi ero tranquillo per il tempo massimo. Gli ultimi due chilometri di scalata erano durissimi, però era pieno di gente a bordo strada.
Covi ci aveva detto che avere tanta spinta del pubblico aiuta, è vero?
Assolutamente sì, ti viene la pelle d’oca. Il tratto era davvero duro, ma anche a noi in fondo alla corsa non è mancato il calore. Trovi forza nuove e vai avanti di testa.
Qual era l’obiettivo di queste due fughe?
L’intenzione era uscire e far venire con me uno scalatore: Martinez o Gregoire, ma il piano non è riuscito. Però sono stato contento comunque, ho fatto tanta fatica e in più mi sono sentito bene. Ritrovarsi in testa alla corsa è molto bello.
Tre settimane quanto sono lunghe?
Infinite praticamente, da fuori sembra facile o comunque più semplice del previsto, ma è durissima. Avevo male ovunque, soprattutto al sedere (dice ridendo, ndr), ma per la mia professione e il mio futuro è una cosa ottima aver portato a termine uno sforzo del genere.
Il momento migliore della Vuelta?
Le due fughe, senza ombra di dubbio.
Il peggiore?
Il giorno del Tourmalet, sicuramente. Poi anche la tappa di sabato non è stata una passeggiata, anzi. La Jumbo ha tenuto la corsa chiusa, imponendo però un ritmo altissimo, per scongiurare attacchi.
L’insegnamento che hai portato a casa?
Ce ne sono tanti, la grande esperienza di fare un grande Giro mi ha permesso di crescere e di capire in cosa devo migliorare. Ora ho sicuramente voglia di tornare, nonostante la fatica (ride ancora, ndr).
Una squadra con 5 debuttanti, tutti soddisfatti?
Eravamo la squadra più giovane in corsa e fare questa esperienza tutti insieme ha fatto in modo di creare un grande gruppo. Ci siamo stretti ed uniti l’uno intorno all’altro, ora ci aspetta del meritato riposo.