Bike Passion… il meglio per passione!

03.08.2023
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MONZA – “Il meglio per passione!”. E’ questo lo slogan scelto da Bike Passion per presentarsi al pubblico. Stiamo parlando di un’azienda tedesca, ma con un’anima fortemente italiana, specializzata nella commercializzazione di brand che offrono prodotti davvero unici. Per capire fin da subito di quale tipologia di prodotti stiamo parlando, basta citare il marchio Lightweight, le cui ruote ancora oggi rappresentano il desiderio non molto velato di tanti ciclisti.


Per conoscere meglio la realtà Bike Passion, siamo venuti a Monza per incontrare Andrea Rovaris, Product Marketing and Sales dell’azienda.

Staff Bike Passion a Eurobike: da sinistra Giovanni Mastrosimone, Claudia Raggi, Dino Favoino, Andrea Rovaris
Staff Bike Passion a Eurobike: da sinistra Giovanni Mastrosimone, Claudia Raggi, Dino Favoino, Andrea Rovaris

Per quanti ancora non conoscono la realtà Bike Passion, da dove vogliamo iniziare?

Dal 2005. Anno in cui nasce Bike Passion, che è la scommessa, vera e propria, di Giovanni Mastrosimone. Una scommessa, ad oggi, sicuramente vinta. A quell’epoca Giovanni lavorava nel campo dell’automotive e gli venne proposto di iniziare a occuparsi delle ruote Lightweight in Italia. Fino a quel momento nessuno ne sapeva niente, anche se le ruote Lightweight avevano già avuto un debutto nel mondo dei professionisti e fu un debutto vincente. Pochi infatti sanno che, quando Johan Museeuw nel 1996 divenne campione del mondo a Lugano, aveva proprio delle Lightweight.

Inizialmente avete avuto delle difficoltà nel farle conoscere?

Ho parlato volutamente di scommessa in quanto nel 2005 Lightweight era un marchio sconosciuto e, per di più, le nostre ruote erano estremamente costose, e lo sono ancora per la verità. Soprattutto, eravamo in un periodo in cui non esistevano i social media e quindi era davvero molto complicato farsi conoscere. La spinta iniziale fu che, proprio in quel periodo, gli atleti più forti iniziarono ad acquistare di tasca propria le nostre ruote, che erano di gran lunga più leggere e performanti rispetto a quelle che avevano in dotazione nelle loro squadre. 

Questo che cosa comportò?

Il gap prestazionale fu così ampio, che l’ingresso del marchio Lightweight nel mondo del professionismo costrinse le aziende che producono ruote e componenti a mettere a punto contratti di fornitura “blindati” per le squadre, per evitare di vedere gareggiare i loro atleti con prodotti di un altro brand. In un certo senso, si può dire che l’impostazione degli attuali accordi di sponsorizzazione tecnica sia stata indirettamente plasmata da Lightweight.

Una piccola curiosità: nel 1996 Musseeuw vinse il mondiale con le ancora sconosciute ruote Lightweight
Una piccola curiosità: nel 1996 Musseeuw vinse il mondiale con le ancora sconosciute ruote Lightweight
Oggi Bike Passion non significa solo Lightweight, ma anche altri brand. In attesa di poterli conoscere in maniera più approfondita, ci può descrivere con una frase ogni singolo marchio?

Lightweight, tecnologia per andare nello spazio, condensata in una coppia di ruote. SLF Motion, la ricerca spasmodica della riduzione degli attriti. Schmolke Carbon, il primo costruttore di manubri da corsa in carbonio. Stoll, biciclette in cui tutto è esasperato e minimale. SWI, dal mare alla strada attraverso l’utilizzo di carbonio nato per le vele più evolute al mondo. Revoloop, poliuretano evoluto, leggero e riciclabile. THM, artigianalità e qualità ai massimi livelli.

Cosa accomuna fra loro tutti questi marchi?

Dietro a ciascun marchio ci sono costruttori che producono con un livello tecnico “esasperato”, di difficile o impossibile industrializzazione e che, per questo, sostengono costi di realizzazione estremamente elevati, come le performance dei loro prodotti.

Prodotti non per tutti…

Siamo noi per primi ad essere consapevoli che il nostro sia un portfolio di oggetti costosi. Dobbiamo però tenere presente che ogni prodotto è il risultato di un processo lungo, complesso, estremamente curato. Dalla progettazione, fino ai materiali utilizzati, rappresentiamo aziende che tendono ad evitare scorciatoie e, inevitabilmente, tutto questo influisce sul prezzo finale. Il nostro obiettivo è anche quello di far capire alle persone che il costo dei nostri prodotti è determinato dal lavoro che racchiudono e che, di conseguenza, ne rispecchia il valore tecnico.

Davvero nessuna scorciatoia…

Non sarà mai possibile realizzare una ruota Lightweight o un telaio Stoll attraverso un processo industriale. Il costo elevato è dovuto principalmente a questo.

Una nostra visita allo stand di Bike Passion a Eurobike e due parole con Andrea Rovaris
Una visita allo stand di Bike Passion a Eurobike e due parole con Andrea Rovaris
Come scegliete i brand con i quali collaborare?

Possiamo tranquillamente dire che ci permettiamo il lusso di lavorare con i brand che ci piacciono. Quelli che ci fanno innamorare dei loro prodotti.

Come avviene la selezione?

Tra le mansioni che ricopriamo Giovanni Mastrosimone ed io, c’è proprio il compito di selezionare i marchi che, per le loro caratteristiche, si adattano alla filosofia Bike Passion. Intuito il potenziale di una soluzione tecnica, c’è il test del prodotto su strada, il vero termometro di un prodotto. Infine il primo contatto con l’azienda, spesso informale, per verificare che ci sia una compatibilità di intenti e anche affinità personale. La collaborazione con SLF Motion, ad esempio, è nata guardando la Strade Bianche. Da una chiacchierata sulla corsa, siamo finiti col far debuttare SLF Motion al World Tour, con il Astana Qazaqstan Team.

Come è strutturata la vostra realtà?

La nostra sede è a Suessen a circa 50 chilometri da Stoccarda. Possiamo tranquillamente affermare che abbiamo una struttura agile. Siamo infatti in cinque. Oltre a Giovanni Mastrosimone, che ne governa il timone, Bike Passion può contare su un account manager, un addetto all’assistenza e un direttore operazioni che coordina il magazzino, evasione degli ordini e quant’altro. Infine ci sono io.

Di cosa si occupa Andrea Rovaris?

Oltre a ricoprire la carica di Product Marketing and Sales, provo per primo i prodotti che abbiamo intenzione di commercializzare. Dopotutto, ho più di 20 anni esperienza come collaudatore nel settore. Vogliamo infatti essere sicuri della reale qualità ed efficienza, perché siamo convinti che ogni singolo componente debba contribuire a rendere migliore la prestazione dell’utilizzatore finale, sia un professionista o un semplice praticante.

Il marchio di biciclette Stoll è ideato perché tutto sia “minimal”
Il marchio di biciclette Stoll è ideato perché tutto sia “minimal”
Chiudiamo con un’ultima domanda relativa alla vostra presenza alla recente fiera di Eurobike. Perché avete deciso di presentarvi a Francoforte con un vostro stand?

La nostra presenza a Eurobike può essere considerata come un ulteriore passo in avanti nel nostro processo di internazionalizzazione. Ormai Bike Passion ha intrapreso un percorso che la sta portando a rappresentare i propri marchi, anche al di fuori di Italia e Svizzera. Alla Spagna, aggiunta di recente, seguiranno prossimamente altri Paesi: Eurobike ci è servita per presentarci ai mercati su cui non ci siamo ancora affacciati.

Un impegno ambizioso?

Uno sforzo organizzativo non indifferente, ma il risultato ottenuto ci ha pienamente soddisfatti e ulteriormente incoraggiati. Siamo una realtà consolidata da quasi vent’anni, ma che vuole crescere ancora.

Bike Passion

Filippo Colombo, un biker doc, che va forte anche su strada

07.05.2022
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C’è un corridore che al Giro di Romandia vestiva la maglia della nazionale svizzera. Agli appassionati della strada il suo nome magari non dirà molto, ma per i biker è un vero campione. Stiamo parlando di Filippo Colombo (in apertura, foto Maxime Schmid).

Il ticinese ha chiare origini italiane. Vive a Lugano e, come dicevamo, nella Mtb è uno dei ragazzi più forti. Se la gioca con Nino Schurter, Van der Poel, Avancini… e per disputare le Olimpiadi (quelle di Tokyo) nella nazionale svizzera devi andare davvero forte, vista la quantità e la qualità degli atleti che ci sono.

Ma Filippo è anche un super appassionato della strada. La prima volta che lo incrociammo era in Costa Azzurra, durante un ritiro invernale. Non aveva neanche 18 anni. Alex Moos, ex stradista e all’epoca direttore di quella squadra, la Bmc, se lo portò dietro. C’era Le Roi, Julien Absalon, in quel gruppo.

Filippo, partiamo da questo Romandia: come è andato?

Direi che è andato bene. Non avevo mai corso prima in una gara WorldTour e non sapevo cosa mi aspettasse. Prima, su strada, avevo fatto gare minori, molte delle quali erano delle under 23. Quindi non sapevo che ritmi avrei trovato. Per questo l’obiettivo primario era riuscire a finire la corsa. Alla fine sono riuscito a fare anche qualche chilometro davanti. E’ stata una nuova esperienza, speriamo sia appagante per il futuro e per le prossime gare.

Futuro: dov’è quello di Filippo Colombo?

In mtb. Adesso c’è la Coppa del mondo (domenica prossima in Germania c’è la seconda tappa, ndr) e da questo momento in poi integrare l’attività su strada con quella offroad non sarà facile. Però vediamo un po’ cosa si potrà fare.

Tu avevi già corso su strada. Lo scorso anno addirittura sfiorasti la vittoria in Turchia. Come mai hai questa passione?

La strada è un qualcosa che mi piace, ma la mia passione resta la mtb e non ho dubbi a riguardo. Certo però che mi piacerebbe integrarla sempre di più con la strada. Fare queste corse è per me un ottimo allenamento. Senza contare che gli ultimi 20-30 chilometri sono adrenalinici. Tutto cambia, è un rischio diverso rispetto alla mtb, si va forte, c’è tensione.

Lo scorso anno Colombo (sullo sfondo) fu secondo Grand Prix Alanya alle spalle di Gabburo
Lo scorso anno Colombo (sullo sfondo) fu secondo Grand Prix Alanya alle spalle di Gabburo
Però vedere i Pidcock e i Van der Poel che fanno certi numeri anche in Mtb è un incentivo in qualche modo? Non pensi che puoi riuscirci anche tu?

Certo che può servire. Sono esempi da seguire o comunque bisogna cercare di emulare, con tutte le proporzioni del caso. Sono i migliori al mondo. Ma certo è difficile andare come loro.

E’ difficile, però proprio Diego Ulissi, con cui esci spesso, ci ha detto che hai davvero un gran motore…

A Lugano ci sono pochi biker, ma molti stradisti e sì, quando loro sono a casa sfruttiamo spesso queste occasioni per uscire tutti insieme. C’è Diego, ci sono Bettiol, Nibali, Pozzovivo, Honoré… Ecco, Michael forse è la persona con cui esco di più. E poi è arrivato anche Bagioli, anche se ancora non lo conosco.

Uscire con i professionisti su strada, tenere il loro ritmo: ti aiuta ad andare forte poi nella mtb?

Sì, sicuramente è un buon metodo di lavoro. Lo scorso anno con le tante gare che ci sono state non ci siamo allenati tanto assieme. Ma andare con loro mi ha fatto capire quanto vadano forte. Provare a stare con loro è di grande aiuto. Poi ognuno ha il suo piano di allenamento e suoi lavori da fare. Ma in linea di massima si cerca di partire insieme.

Sei ancora abbastanza giovane (Colombo è un classe 1997): se dovesse arrivare una chiamata dalla strada rinunceresti?

Se si tratta di correre solo su strada sì. Se invece mi dessero la possibilità di combinare le due discipline, come appunto fanno Van der Poel e Pidcock, ci penserei. Ci penserei moltissimo.

E che tipo di corridore potresti essere? Con le tue caratteristiche e la tua potenza potresti essere un ottimo finisseur?

Dopo l’esperienza fatta al Romandia posso dire ancora di più che potrei giocarmi qualche tappa un po’ mossa, perché devo ammettere che sulle salite lunghe rispetto a me gli stradisti fanno un altro sport. La tipologia di corsa ideale per me quindi potrebbe essere una classica. Ma come profilo altimetrico, intendo. Perché chiaramente mi manca la distanza. Alla fine sono discretamente veloce e tengo bene su salite di 10′-15’.

Un Van der Poel insomma…

Eh – ride – diciamo qualcosa del genere!

EDITORIALE / Nibali e la Sicilia, la terra dove tutto ebbe inizio

04.10.2021
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In qualche modo era già successo. Nibali andò a rifugiarsi a casa sua in Sicilia e cominciò a macinare chilometri su chilometri, circondato dagli affetti di sempre. Il racconto della strada che lo portò a vincere il Giro di Lombardia del 2015 dopo l’esclusione dalla Vuelta resta uno dei capitoli più belli nella storia del campione siciliano. Perciò vederlo andare all’attacco nella tappa di Mascali al Giro di Sicilia e vincere davanti alla sua famiglia e alla sua gente altro non ha fatto che riallacciare quel filo.

Nelle interviste dopo la vittoria, commosso come quando centrò la vittoria al campionato italiano del 2014 dopo un lunghissimo periodo di astinenza, Vincenzo ha analizzato la durezza degli ultimi due anni, degli infortuni e di tutto quello che a vario titolo gli ha fatto perdere la serenità. E proprio da questa si dovrebbe forse ripartire tutti per portare il ciclismo su strade più agevoli.

La vittoria di Mascali ha sbloccato il campione dopo 2 anni difficili
La vittoria di Mascali ha sbloccato il campione dopo 2 anni difficili

Stress eccessivo

Nei giorni scorsi ci siamo confrontati in maniera schietta con Michele Bartoli, il quale ha raccontato che tanti corridori non riescono più a sostenere il peso dei tanti ritiri in altura e chiedono da tempo, ma spesso senza esito, di farne a meno. Quanti giorni trascorrono a casa durante la stagione delle corse? Pochi. Si fanno carico giornalmente di pressioni e impegni che stando al di fuori non è neppure possibile immaginare. Forse potremmo chiederci e potrebbe farlo chi li consiglia se, proprio in nome della serenità, le vite che vengono loro proposte siano il meglio assoluto.

Sicuramente fra le pressioni e le sollecitazioni che li schiacciano e portano via la serenità ci sono anche le attese e i giudizi dei media. Non saremo mai grati abbastanza ad Elisa Longo Borghini per averci fatto notare certi particolari e capire in che modo alcune espressioni possano ferire, sia pure inconsapevolmente, l’atleta che le riceve

Nibali, un’eccezione

In ogni caso, davanti alla serenità ritrovata da Nibali sulle strade di casa e davanti alla possibilità di vederlo risplendere ai suoi livelli come è già successo in passato, viene da chiedersi se non ci sarebbe da rispolverare un ciclismo in stile classico, dove il campione era ispirazione per i bambini e i ragazzi delle sue zone, che in qualche modo raccoglievano da lui il testimone. Come per decenni è accaduto su tutte le strade d’Italia, prima che i campioni venissero convinti della bontà di esili dorati, ma non sempre funzionali al loro buon vivere.

Diciamolo subito, anche in questo Nibali è un’eccezione. Nato campione in Sicilia, cresciuto in Toscana fino a livelli fantastici, Vincenzo ha scelto Lugano come base per la sua famiglia e città in cui far crescere sua figlia ed ha una solidità a prova di nostalgia. Ma i corridori giovani che non hanno famiglia, hanno in quei luoghi l’ambiente migliore?

Così sul podio del Lombardia 2015, dopo la rinascita con suo padre in Sicilia
Così sul podio del Lombardia 2015, dopo la rinascita con suo padre in Sicilia

Fisco spietato

Le obiezioni sono note e perfettamente condivisibili. Il sistema fiscale italiano li priverebbe della metà dei guadagni così faticosamente conquistati, come accade quotidianamente a tutti noi e per importi decisamente inferiori. In attesa e nella speranza che il Governo studi una normativa ad hoc, la nuova frontiera pare essere San Marino, che avrebbe predisposto per gli sportivi un regime fiscale super agevolato e dove gli affitti sono sensibilmente inferiori rispetto ad esempio a Monaco.

Ma non sarebbe meglio se nei momenti di stanca, di riposo o scarsa serenità, svegliandosi la mattina, il corridore si trovasse accanto la sua famiglia, gli amici e le voci di sempre? E’ solo per caso che Nibali per due volte, ricollegandosi con la grande storia che lo ha reso campione, abbia avuto bisogno della Sicilia per ritrovare se stesso?

Casa Ulissi, valigia pronta. Domani si ricomincia

02.04.2021
4 min
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Sembra facile, pensa Ulissi, ti mettono il timbro sulla patente di corridore e riparti. Tutto sommato, non aspettava altro, dopo che già il 2020 era cominciato con la dannata quarantena negli Emirati. La paura, l’incertezza, le domande sono alle spalle. E forse quello che gli permetterà di passare sopra a questo intoppo, la presenza cioè di una miocardite, è proprio il fatto che ci abbia convissuto per anni senza saperlo. Non varrebbe la pena chiedersi come mai i suoi dottori non se ne siano accorti prima? Probabilmente sì, ma adesso l’importante è che domani al via del Gp Indurain in Spagna ci sarà anche lui. Per le domande ci sarà semmai tempo dopo.

«Quasi quasi – scherza – ho dovuto riprendere gli appunti di come si fa la valigia per le corse». L’ultima l’aveva chiusa dopo il Giro d’Italia, cinque mesi fa. Un periodo lunghissimo, durante il quale i suoi colleghi si allenavano, si incontravano, correvano. E lui a casa, con i parenti intorno e semmai qualche corridore di ritorno dai suoi viaggi.

Avuto il via libera, Ulissi si è lanciato negli allenamenti a testa bassa (foto Instagram)
Avuto il via libera, Ulissi si è lanciato negli allenamenti foto Instagram)
Bentornato Diego, permetti la domanda: quante tracce lascia tutto questo nella testa?

Ne lascia, ne lascia. E’ stato tutto un fatto di testa. Fisicamente non ho sentito niente, sono sempre stato bene. Ma di colpo mi è piovuta addosso questa diagnosi e la testa ha lavorato parecchio. E’ stato un misto di paura e sconforto. La speranza di tornare e fare quello che ho sempre fatto. E la paura di non poterlo più fare. Poi finalmente è arrivato il nulla osta, come una liberazione.

Puoi fare una sintesi per chi non ha seguito la vicenda?

Avevo delle extra sistole ventricolari, le ho sempre avute. Solo che quest’anno sembravano aumentate e allora s’è deciso di fare degli accertamenti e da una risonanza si è vista una vecchia miocardite, che probabilmente risale a prima che passassi professionista. Ebbi nello stesso periodo polmonite, mononucleosi e citomegalovirus che potrebbero averla provocata.

Non una bella cosa da scoprire…

Infatti all’inizio ho avuto paura, soprattutto per la mia salute. Non me l’aspettavo, come un cazzotto che non sai da dove arriva. In quei momenti la carriera passa in secondo piano. Un po’ mi sono isolato, ma l’affetto delle persone accanto mi ha aiutato a passarci in mezzo. Ho passato delle bellissime Feste in famiglia. Qualche amico veniva a trovarmi. E per non ingrassare troppo, visto che mi sono fermato proprio nel periodo in cui si rischia di farlo, ho fatto un po’ di palestra e qualche camminata con suoceri e genitori, in attesa dell’esito dello studio elettrofisiologico.

Ulissi ha chiuso il 2020 con due vittorie al Giro (qui Agrigento) e l’8° posto nel ranking Uci
Ulissi
Al Giro del 2020, ha vinto 2 tappe: qui ad Agrigento
Ma poi se ingrassato davvero?

No, ma perché ho la fortuna che non mi succede. Ho preso forse un chilo e mezzo, poca roba.

La carriera viene in secondo piano, ma ogni tanto ci pensavi?

Più che pensare, speravo che fosse solo un brutto sogno. In cuor mio, la pensavo da corridore e non ci potevo credere che fosse finita. Voglio smettere quando lo dico io. Per fortuna gli studi che abbiamo fatto e che era doveroso fare hanno detto in primis che non sono mai stato in pericolo di vita e poi che posso tornare a correre. E’ stata una liberazione. Ho ripreso ad allenarmi, facendo la vita di prima, ma sempre monitorato. E per togliermi gli ultimi dubbi, ho fatto anche degli allenamenti massacranti e la risposta è stata quella di sempre.

Così domani si ricomincia?

Con il Gp Indurain e poi vediamo. Un programma di massima c’è già, ma lo valuteremo di volta in volta. Mi serve correre con la speranza di essere pronto per fare il Giro. Mi piacerebbe essere protagonista nelle tappe adatte a me.

Cosa dicono le gambe?

Che va bene. Sono rimasto a Lugano ad allenarmi con i corridori che di volta in volta tornavano dalle corse. L’ultimo test vero l’ho fatto con Vincenzo (Nibali, ndr) prima che andasse sul Teide: mi ha tirato il collo. Prendo nota, gli restituirò… il favore. Ho la fortuna che con poco riesco ad entrare in condizione, ma la differenza è che loro hanno già corso e io no. Per fortuna ho fatto il Giro…

Si riparte: Lia è un po’ triste, Anna è ancora piccola per capire (foto Instagram)
Si riparte: Lia è un po’ triste, Anna è piccola per capire (foto Instagram)
Cioè?

E’ stata una fortuna aver corso sino alla fine di ottobre, perché ho ripreso da una base più alta. Perciò vedo dei buoni numeri, ma so che mi servirà un mesetto di sforzi e fatica per andare a posto.

Cosa dicono le donne di casa di quella valigia accanto alla porta?

Lia capisce tutto e un po’ le dispiace quando parto, però le ho fatto capire che, mai come questa volta, è un bene. Anna, la piccolina, è vivace. Ha da poco compiuto un anno e quindi non si rende conto. Diciamo che con loro le mie giornate sono state frenetiche. E adesso Arianna si ritroverà da sola, con la fortuna che i suoceri sono in pensione e possono venire su per aiutarla. E poi ha sofferto anche lei ed è contenta che finalmente si riparta.

Un Aru tutto nuovo: zero stress e… carpe diem!

04.02.2021
5 min
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Conclusa con sua grande soddisfazione la parentesi del cross, Aru ha finalmente trascorso in Spagna i giorni del primo ritiro con il Team Qhubeka Assos. C’erano compagni e staff da conoscere, il nuovo preparatore da incontrare e tanti chilometri da mettere nelle gambe. E poi, dopo una decina di giorni di buon lavoro, Fabio è tornato a Lugano in auto, per evitare rischi inutili e soprattutto perché il volo diretto è stato soppresso. Ridendo al momento di chiudere lo sportello, ha fatto notare che si era talmente abituato a stare in macchina per le trasferte del cross, che non sarebbero stati quei 1.500 chilometri a mettergli paura. Ora però la stagione sta finalmente per iniziare. Il debutto è previsto al Tour de la Provence, gara di 4 tappe dall’11 al 14 febbraio, che il penultimo giorno propone l’arrivo allo Chalet Reynard, sul Mont Ventoux, dove l’anno scorso vinse Quintana. Fabio racconta e riflette. Consapevole di essere davanti a una svolta importante della carriera.

Fabio Aru compirà 31 anni a luglio, è passato professionista nell’agosto del 2012. Ha corso con Astana e Uae Team Emirates
Aru compirà 31 anni a luglio, è pro’ dall’agosto 2012
Soddisfatto di quello che hai visto?

Molto bene, oltre le aspettative. Ho trovato un ambiente tranquillissimo, in cui si vede la voglia di fare. Mi sembra un gruppo molto affiatato, si capisce che lo staff non è cambiato, perché funziona tutto benissimo.

Una squadra tutta nuova, giusto?

Ci sono 17 corridori nuovi su 25 in totale. Alcuni li conoscevo, come Simon Clarke. Altri sono stati una piacevole scoperta, come Lindeman in arrivo dalla Jumbo e Armée dalla Lotto.

Hai conosciuto anche i nuovi tecnici?

Certo, anche quelli che magari non vedevano di buon occhio la mia partecipazione alle gare di ciclocross. Ci siamo spiegati, almeno abbiamo cominciato a farlo. Loro hanno capito la mia posizione e siamo pronti per partire.

Nessun rimpianto per non essere andato ai mondiali, giusto?

Avevo preso la decisione il lunedì dopo l’ultima gara a Variano di Basiliano, nel paese di Pontoni. Poi ho seguito la prova di Coppa del mondo di Overijse, quindi ho parlato con Scotti, risultati alla mano. Dorigoni, che va più forte di me, ha preso un giro. Non mi andava di partire per il mondiale ed essere fermato. Sarebbe stata una partecipazione forzata. Ci siamo trovati tutti d’accordo. Non si è trattato di fare un favore a qualcuno, ma la scelta giusta. In ogni caso, aver partecipato a quelle gare ed essere stato ai ritiro della nazionale è stato per me il top. Dal 5 gennaio sarei dovuto andare sul Teide, ma mi ha dato di più correre a Porto Sant’Elpidio e ai campionati italiani.

Il cross ha costretto Aru a lavori brevi e intensi, da conciliare con il lavoro di fondo
Nel cross lavori brevi e intensi, da conciliare con il fondo
Hai seguito i mondiali?

Certo, ma posso garantirvi che in tivù non ti rendi conto. Avete visto come andavano Van der Poel e Van Aert? Lasciate stare il primo tratto sulla sabbia, dove arrivavano lanciati dal ponte. Quello che faceva impressione era il passaggio nell’acqua, sul bagnasciuga. Abbiamo provato passaggi simili in ritiro, l’acqua ti frena e affondi nella sabbia bagnata. A ogni pedalata fai 800-1.000 watt. In quei tratti erano mostruosi.

Torniamo alla squadra…

Quando vai in un nuovo ambiente, non sai mai cosa aspettarti. Questa stava per chiudere, ho pensato che potessero esserci dei problemi. Invece ho trovato un grande clima e soprattutto persone serene. Nelle squadre in cui sono stato, in Astana soprattutto, c’era davvero tanta pressione. Con Saronni, subito dopo, era lo stesso. E il resto è tutto una bomba, i mezzi e le bici Bmc che sono dei veri missili. Lo capisci subito, ad esempio, se il magazzino è gestito bene. E poi c’è il vestiario Assos, ovviamente di ottima qualità.

Il 13 febbraio, appuntamento a Chalet Reynard, sullo stesso arrivo della corsa a piedi di Froome al Tour 2016. Aru fu 12°
Il 13 febbraio, a Chalet Reynard. Al Tour del 2016 Aru fu 12°
Avete lavorato tanto?

Siamo riusciti a fare 1.000 chilometri, avendo tutte le sere due meeting.

Con chi ti allenerai?

Mi seguirà Mattia Michelusi, mi piace il suo metodo. Non faremo le stesse cose del passato, quantomeno correggeremo quelle che non vanno.

Di fatto la tua preparazione è sempre stata simile a se stessa.

Quando sono passato nel 2012, non mi assisteva nessuno. Poi sono stato affidato a Mazzoleni e a seguire è arrivato Slongo. Il primo anno feci il programma di Vincenzo (Nibali, ndr), con il Teide a inizio stagione e il debutto in Argentina. Diciamo che lo schema che funzionava non è stato più toccato. Anche alla Uae, con Tiralongo, si è cercato di tenere la stessa linea.

Ora cambia qualcosa?

Ora seguo la squadra, con l’eccezione della scelta del cross, per il quale ho saltato l’altura di gennaio e di cui abbiamo condiviso la bontà. Ho visto come lavorano e mi piace. Abbiamo concentrato due ritiri in uno e la programmazione delle giornate è stata eccezionale.

Giornata di lavoro in Spagna, in un mix di intensità e lavoro di fondo
Giornata di lavoro nel ritiro spagnolo
Bici nuova, posizione nuova?

Ho voluto cancellare tutti i cambiamenti degli ultimi anni, tornando all’assetto che avevo quando facevo i risultati migliori. Diciamo che se le cose non vanno, si cominciano a cercare spiegazioni anche in queste cose. Si cambia, ma invece di migliorare, spesso si peggiorano le cose.

Come va con gli italiani del team?

Conoscevo abbastanza bene Pelucchi, ma adesso sto scoprendo anche Nizzolo e Pozzovivo, con cui sono nel gruppo degli scalatori. Domenico sa tante cose, con lui si parla parecchio.

Quale sarà il tuo approccio con le corse?

Vivrò gara per gara. Quindi inizierò in Provenza e poi vedremo, ma la cosa più importante è che sono felice e non vedo l’ora di iniziare la mia nuova stagione.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016

Gasparotto, il tricolore, l’Amstel e Scarponi…

12.12.2020
7 min
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L’ultima volta che Gasparotto è ripartito da casa dei genitori, era ancora un corridore. La Vuelta era finita da poco e probabilmente Enrico aveva in testa la possibilità di correre fino alle Olimpiadi. A cose normali, il 2020 sarebbe stato il suo ultimo anno, con Tokyo e il mondiale di Martigny in maglia svizzera. Lo aveva deciso, poi il Covid ha cambiato tutto.

«Per cui – dice – dover telefonare a mio padre per dirgli che smettevo, è stato un passo importante. Lui correva, ma non è mai riuscito a passare professionista. Ce l’ha fatta il figlio. E da quando era in pensione, senza nulla togliere a mia madre, un momento bello della sua giornata era sedersi davanti alla televisione per guardare le mie corse. Quando gli ho detto che era finita, mi ha ricordato che passando professionista gli avevo detto che avrei smesso a 38 anni. E poi ha aggiunto che se c’è riuscito lui, ci sarei riuscito anche io. L’ho ringraziato per essermi rimasto accanto senza mai intromettersi. E quel punto si è messo a piangere».

Enrico Gasparotto 2005
In maglia tricolore nel 2005, da neoprofessionista. Gasparotto: una sorpresa per tutti
Enrico Gasparotto 2005
Nel 2005, neopro’ e campione italiano

Non è facile raccontare l’addio di un corridore che hai visto ragazzino, è come perdere un pezzetto di te. La storia di Enrico in particolare ha vissuto momenti molto forti, cui non è stato possibile restare indifferenti. Dalle vittorie al brusco risveglio durante il viaggio di nozze, quando scoprì di non avere più un contratto. Certi risvegli lasciano il segno e il cammino compiuto da “Gaspa” per riprendersi quello che aveva perduto è stato uno dei momenti più belli da raccontare. Anche se alla letteratura più commerciale certe storie non interessano. E’ meglio osannarli se vincono e per il resto fingere che non esistano. Questa chiacchierata avrebbe meritato una birra, la possibilità di guardarsi negli occhi, ma il periodo lo impedisce. La birra ci sarà di certo al momento di scriverla e sarà una La Chouffe, come quella che ci consigliò anni fa.

La porta si è chiusa.

Non me ne rendo conto al 100 per cento, perché siamo a dicembre e c’è il Covid. Forse quando a febbraio non andrò sul Teide e saranno ricominciate le corse, allora sarà diverso. Adesso mi sveglio al mattino e se fuori nevica, sono contento perché non devo uscire o inventarmi il modo per fare fatica.

Enrico Gasparotto, maglia rosa, Giro d'Italia 2007
Cronosquadre in Sardegna: vince la Liquigas e Gasparotto prende la maglia rosa
Giro 2007, in maglia rosa dopo la cronosquadre
Avresti voluto continuare fino a Tokyo?

Ho cercato l’opportunità per farlo. Il 2020 sarebbe stato l’ultimo anno. Avevo avvisato mio padre che mi sentivo pronto. Poi durante il lockdown ho cominciato a pensare di spostare la riga più avanti, perché l’idea di fare le Olimpiadi mi stuzzicava. Però l’opportunità non è arrivata e non me la sono sentita di andare in giro a pregare dopo una carriera così. Ho preferito chiudere il discorso. 

Come avevi immaginato l’ultimo anno di Gasparotto?

Ogni corsa sarebbe stata l’ultima. Avrei avuto il tempo di salutare, ma la pandemia ha segnato tutti. Le classiche si sono corse senza pubblico e l’Amstel non si è neanche fatta. Ma sono contento della mia carriera. Il campionato italiano. La maglia rosa. Passare con il Giro d’Italia per il mio paese. La prima Amstel. Le difficoltà che mi hanno portato alla Wanty. La risalita grazie a un mental coach per riconquistare quello che avevo già vinto prima, quindi la seconda Amstel. Aver ricevuto i messaggi privati di tanti giovani mi riempie di orgoglio.

Enrico Gasparotto, Tre Giorni La Panne, 2008
Nel 2008 batte Paolini nella prima tappa della Tre Giorni di La Panne
Enrico Gasparotto, Tre Giorni La Panne, 2008
Nel 2008, prima tappa alla Tre Giorni di La Panne
Non solo messaggi privati…

Mi hanno detto che Ganna nella conferenza dopo i mondiali ha ringraziato Gaspa e Sobrero per averlo aiutato a restare tranquillo. Il fatto che a 24 anni, sul tetto del mondo, si sia ricordato di me… E prima nemmeno eravamo particolarmente amici, ci siamo avvicinati proprio in quel ritiro sopra Macugnaga. Ma mi hanno scritto Battistella, Sobrero, Gino Mader. Persino Tao Geoghegan Hart mi ha mandato un bellissimo vocale, ringraziandomi per i consigli che gli avevo dato sul Teide, allenandoci due volte insieme. Non sono arrivato al punto di mettermi a piangere, ma certo pensandoci un po’ di magone mi viene.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2012
Nel 2012 la prima Amstel Gold Race di Gasparotto in maglia Astana
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2012
Amstel Gold Race, la prima nel 2012

Lo sai, più o meno. Ma se vuoi che un campione possa salutare bene il suo pubblico, devi permettergli di mettersi a nudo. E se accetta di farlo, chi lo ha applaudito per quello che ha fatto in bici, lo amerà scoprendo l’uomo che c’è dietro l’armatura.

Ci sono stati momenti duri?

Su tutti, i due lutti. Hanno segnato una svolta. Uno è stata la morte di Demoitié, che era mio compagno di squadra (fu investito da una moto alla Gand del 2016 ed è poi morto all’ospedale di Lille, ndr). E poi la morte di Scarponi.

Eravate amici?

Scarpa è uno dei quattro ciclisti in attività che c’erano al mio matimonio. Un’amicizia nata all’Astana, durante una serata a Calpe, mi pare. Lo sapete com’era, era capace di trattarti come il migliore amico e contemporaneamente pensare che fossi chissà cosa. Grazie a questo, era amico di tutti e nemico di nessuno. Ma io sono uno diretto e così glielo chiesi cosa pensasse davvero di me. Restammo a parlare tutta la notte in camera mia. Dovevamo fare capodanno insieme, le Feste insieme e… non ci siamo riusciti. E mi dispiace (la voce si strozza, ndr). Faccio fatica ancora adesso ad andare a Filottrano. Andai al funerale e non ci sono più tornato. Ho paura, penso per un senso di protezione pensando a quanto potrei stare male. Ho incontrato i suoi genitori e mi veniva da piangere. Faccio fatica a non farlo ogni volta che vedo Anna e i gemelli. Forse adesso avrò più tempo…

Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Torna dalla luna di miele con Anna e scopre di essere rimasto senza squadra: è il 2016
Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Con Anna, sempre al suo fianco
Già, il tempo. Il tempo sana tutte le ferite. Hai pensato a cosa farai adesso?

Mi piace essere sempre attivo, impegnarmi in qualcosa che tocco con mano. Aver smesso così tardi non aiuterà. Alla mia ex squadra avevo presentato un progetto, offrendomi di correre per metà anno e poi con un ruolo da talent scout. L’età media dei corridori si è abbassata e nei team serve qualcuno che vada in giro a scovare talenti. I procuratori fanno l’interesse degli atleti, non delle squadre. Matxin è stato un grande talent scout per la Quick Step

Saresti un ottimo direttore sportivo.

Il progetto ora è prendere la licenza Uci da direttore e da trainer. L’esperienza di questi anni assieme ai più giovani mi ha fatto capire quanto sia cambiato questo ambiente. E’ più facile che i corridori si aprano con quelli che hanno sofferto assieme a loro. Si confidano più facilmente. Per questo le squadre sono contente di ragazzi come Pellizotti e Popovych, perché arrivano dove altri diesse non arrivano. Poi se diventi bravo, vai avanti. Altrimenti largo ai giovani.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Nel 2016 vince la seconda Amstel in maglia Wanty e riconquista il WorldTour
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Nel 2016 la seconda Amstel di Gasparotto
Cosa ha detto Anna, tua moglie, della scelta di smettere?

La cosa più bella di tutta questa avventura è stato il suo supporto. Mentre io facevo il mio percorso con il mental coach, lei studiava per diventarlo. Quello che mi è piaciuto in questi anni è vederla serena. La vita cambia e lei è più tranquilla di me. Gliel’ho chiesto se sia vero o sia facciata per non turbarmi. Avere accanto una persona così mi rende felice e più sereno davanti a ogni cosa che affronterò. E’ fondamentale, perché ho fatto lo sportivo, ma sono un uomo.

Ci sarà ancora la bici nella vita di Gasparotto?

In questi giorni ho camminato in montagna, fatto scialpinismo, usato le ciaspole e la mountain bike. Ma sono caduto e mi sono fatto male alla schiena. Per ora mi entusiasmano di più altri sport, poi magari quando riprenderò la bici da corsa sarà come tornare a casa. Ma spero anche di poter tornare a casa davvero, in Friuli, per salutare le persone che in questi anni ho trascurato. E rivedere la mia stanza. In cui mio padre ha sistemato tutti gli articoli di giornale, le maglie e i trofei. E’ uguale a quando l’ho lasciata. Solo ci abbiamo messo il letto matrimoniale.

Enrico Gasparotto, mondiali Imola 2020
A Imola per Gasparotto il primo mondiale della carriera, in maglia svizzera: arriva 46°
Enrico Gasparotto, mondiali Imola 2020
A Imola 2020 il primo mondiale della carriera
Meglio smettere così che nel 2015, quando non volevi andare alla Wanty?

Assolutamente. Se avessi smesso allora, avrei avuto addosso tanta rabbia. Quando arrivò quel contratto, rimasi a pensarci per due giorni e per fortuna accettai, perché si trasformò in una spinta fortissima. Vinsi l’Amstel e ritrovai un posto nel WorldTour. Voglio smettere ed essere contento. Non diventare uno di quei cinquantenni pieni di rancore che parlano male del ciclismo. Non sarebbe stato giusto per tutto quello che il ciclismo ha rappresentato nella mia vita.

Domenico Pozzovivo, Giro d'Italia 2020

Il viaggio del Pozzo verso un’altra ripartenza

11.12.2020
4 min
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Dopo aver partecipato al mondiale su rullo vinto da Osborne, il Pozzo si è messo nella macchina di sua moglie Valentina e da Lugano ha fatto rotta su Cosenza. Obiettivo: il caldo. In Svizzera nevicava da giorni e prima di andare sul Teide, qualche giorno in famiglia con tiepidi panorami italiani è quello che serviva. Gli interventi sono finiti. Gli antibiotici hanno portato via l’ultima infezione. C’è ancora tanta fisioterapia da fare per il braccio sinistro, ma la stagione può finalmente iniziare con un’impronta di normalità.

«Il fatto di recuperare il braccio al 100 per cento – sorride – è da dimenticare. Sono già fortunato ad averlo ancora qui con me. Ogni tanto mi accorgo di qualcosa che non riesco a fare o che sarebbe meglio fare con il destro, come sollevare una cassa d’acqua. Ma va bene così. In più la squadra si è salvata, anche se per l’impegno che ci stavano mettendo, speravo ce la facessero. Mi piaceva restare nel progetto di Qhubeka Charity. Mi ero mosso per cercare qualcosa, quando però era già tardi per cercare. Restare nel WorldTour era importante».

Domenico Pozzovivo, Jakob Fuglsang, Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Sull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: era una tappa alla sua portata
Domenico Pozzovivo, Jakob Fuglsang, Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Sull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: poteva vincere
Cambierà tanto con l’assenza di Riis?

Mi aveva voluto lui e mi aveva spinto a credere in me, sentirò la sua mancanza. Nei suoi confronti la mia stima è massima. La squadra è cambiata tanto. Alcuni se ne sono andati per scelta, altri non sono stati confermati.

Ti aspettavi di tornare così forte?

Avrei scommesso di tornare, ma a un certo punto qualche dubbio era venuto anche a me. Diciamo che cominciava ad affiorare. Quando i dottori mi dicevano che ero avviato verso un buon recupero e che avrei avuto una vita normale, io nella mia testa pensavo a quanto mi mancasse per tornare al Giro d’Italia.

Quanto è importante il gruppo di Lugano?

Tanto, soprattutto per chi come Vincenzo (Nibali, ndr) e me fa sacrifici da tanti anni. Avere stimoli nuovi ci aiuta. La fatica passa meglio, anche il tempo passa meglio. E quando non avresti voglia, il fatto che vengano a chiamarti e ti trascinino fuori è fondamentale. Ti fa superare i momenti difficili. Poi ci si trova anche al di fuori, ovviamente.

Sei contento dell’arrivo di Aru?

Sono contento innanzitutto per lui. Trova la situazione ideale per potersi rilanciare. Non avevamo tanti uomini di classifica al di fuori del sottoscritto, quindi avremo tutto lo spazio.

Non c’è rischio che vi pestiate i piedi?

Non siamo la Ineos o la Jumbo-Visma che porta cinque leader in ogni corsa a tappe, penso ci converrà dividerci per coprire tutto il calendario. Fabio è uno del gruppo di Lugano, si va d’accordo. Il gruppo in realtà è diviso fra quelli che vivono in centro come Vincenzo, Diego ed io e quelli più spostati verso il Mendrisiotto, come Fabio e Cataldo. Si parte ognuno da casa sua e ci si trova dopo una ventina di chilometri.

Domenico Pozzovivo, Uae Tour 2020
Allo Uae Tour di inizio stagione, per Pozzo seconda corsa dopo l’incidente
Domenico Pozzovivo, Uae Tour 2020
Allo Uae Tour, seconda gara del 2020 per Pozzo
Che cosa ti ha lasciato il Giro?

Grandissima soddisfazione, perché era esattamente quello che volevo. Non stavo lavorando per una vita normale, volevo di nuovo il vento in faccia e il fatto di essere lì in mezzo a lottare. Devo dire che al di là del piazzamento, è stato uno dei Giri che mi ha dato le soddisfazioni maggiori. Facendo la tara, potevo stare nei primi dieci e se a Sestriere non avessi avuto problemi meccanici, magari ci sarei riuscito. Considerando che, nei tempi normali, il Giro non avrei dovuto neanche farlo…

Vincere una tappa?

Per come si era messa alla fine, era abbastanza irrealistico. Forse sull’Etna, dove la condizione era già buona, ma la fuga ormai era imprendibile. Non ho rammarichi.

Come arrivi alla ripresa?

Lanciato e motivato. Spero non ci siano intoppi. Dopo questi giorni a Cosenza, andrò sul Teide, da solo o con i compagni fa lo stesso. Lo sai che sto bene anche da solo. E per il resto, dita incrociate e fiducia. Non mi sento vecchio, non avrei mai voluto smettere per un incidente…

Aru, 10 ore nella neve e oggi bici con Nibali e Ulissi

06.12.2020
5 min
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«Sulla strada ci sono cumuli di neve come in montagna – dice Aru – non ne ho mai vista tanta insieme. Anche Gasparotto che è qui da quasi dieci anni mi ha detto che così è la prima volta».

 

Felice e leggero come un bimbo per la firma con la Qhubeka-Assos, Fabio è rientrato da una ciaspolata di dieci ore. Dietro casa c’è un monte di 1.500 metri e assieme a Davide Orrico ha provato a raggiungere la vetta. Si sono arresi poco prima per le cattive condizioni del meteo e questo non gli è andato giù. Certe volte in montagna è bene non scherzare.

Fabio Aru, Diego Ulissi, campionati italiani 2017
Con Ulissi (e dietro Nocentini) sul podio campionati italiani 2017
Fabio Aru, Diego Ulissi, campionati italiani 2017
Con Ulissi ai campionati italiani 2017

Le parole di Scinto

Mentre l’accordo era ormai in dirittura di arrivo, saputo della sua voglia di riscatto, hanno provato a conquistarlo Scinto, che per primo ha avuto l’idea, poi Reverberi e Savio. Uno con la sua storia vale l’investimento, perché poi si racconti quello che s’è fatto per rilanciarlo. La sensazione però è che Fabio non abbia mai voluto ripartire da una professional.

«Ho ascoltato tutti – dice – e le parole di Scinto mi sono piaciute. Ci sono stati amici che hanno provato a convincermi per altre soluzioni, ma l’accordo con l’attuale Ntt è arrivato prima che uscisse la notizia. Sono stati tanto in difficoltà. Lo sponsor li ha mollati senza preavviso. Tanti corridori sono stati lasciati liberi, il prossimo sarà un anno di ripartenza. Il primo step sarà l’incontro con i preparatori su Zoom. Faremo il ritiro a gennaio, ma qui in Ticino siamo un bel gruppetto, con Nizzolo, Pozzo e Simon Clarke. E l’opera di Qhubeka Charity è stata decisiva. Sono stato alcune volte in Madagascar, ho toccato con mano certi problemi e capire cosa ci sia dietro questa squadra mi rende orgoglioso».

Dieci ore in montagna con la neve al ginocchio
Dieci ore con la neve al ginocchio

Solo un anno

Il suo contratto ha durata di un anno e di più forse neppure sarebbe stato possibile, vista la situazione della squadra e tutto quello che Fabio dovrà dimostrare.

«Mi sta bene così – dice Aru – non è un fatto di soldi e credo che non avrei firmato per tre anni, dopo l’esperienza con la Uae. Non sai mai come ti trovi per un periodo così lungo e se va male liberarsi non è facile. Mi hanno convinto le parole di Douglas Ryder. Non quelle prima che firmassi, ma quelle dopo. Zero castelli in aria, ma grande entusiasmo per il progetto. Non lo conoscevo, sembra una persona davvero a modo. Mi ha anche detto che se volessi, sarei liberissimo di fare anche qualche gara di ciclocross. Michieletto da Scorzè mi ha già invitato. E la cosa onestamente mi stuzzica. Sarebbe un bel modo per ripartire su strada avendo già addosso qualche bello sforzo. Delle bici Bmc mi hanno detto tutti benissimo, soprattutto Pozzovivo con cui capita spesso di allenarsi. Assos ha ottimo materiale. Credo di aver fatto la scelta giusta».

Fabio Aru, Tour de France 2017, maglia gialla
Dopo i tre anni nerissimi alla Uae, si ripartirà dal fantastico 2017?
Fabio Aru, Tour de France 2017, maglia gialla
Dopo i 3 anni in Uae, si ritornerà al super 2017?

Natale a casa

Fra una parola e l’altra sul ciclismo, entrano anche le battute sulla famiglia e presto si capisce il motivo per cui parli così piano.

«La bimba sta dormendo – dice Aru – stiamo cercando di darle degli orari più giusti, perché in certi giorni ci fa impazzire. Adesso si è addormentata, per questo parlo piano. Adesso c’è anche da capire cosa fare per Natale. Non riesco a scendere in Sardegna e nemmeno a Torino dai genitori di Valentina. Dovremmo andare prima del 20 dicembre e tornare dopo il 7 gennaio, ma mi sembra troppo. Spero che qua non continui a nevicare per tutto il tempo. Le strade sono pulite, ma per allenarmi ho anche la gravel. Non potrà andare avanti tanto a lungo, no? E per la palestra ho fatto un investimento. Ho quattro macchine in casa, riesco a fare tutto bene…».

Aru con Davide Orrico fin quasi alla cima del monte
Con Davide Orrico quasi fino alla cime

Stima per Matxin

Non hai avuto paura di doverti accontentare? Il fatto di firmare così tardi può essere stato uno stress, certo minore tuttavia avendo la solidità economica per aspettare. Fabio ha spesso ribadito la seccatura verso chi in questo periodo gli ha fatto i conti in tasca, ma il fattore va comunque tenuto in considerazione.

«Non ho mai avuto questa paura – ribadisce Aru – anche se capisco che dicembre sia parecchio avanti. Avevo zero pensieri, perché sono stato vicino anche ad altre realtà. Lo avete visto, c’era anche l’Astana e prendo atto della nuova politica sui giovani. Per quello che so, Martinelli e anche altri sarebbero stati contenti di riavermi. Ma sono cambiate parecchie cose e va bene così. Quel che mi premeva era voltare pagina.

«Parlando della Uae Team Emirates, non posso usare la parola finalmente. E’ vero che sul piano delle prestazioni sono stati degli anni orribili, ma non ho avuto soltanto esperienza negative. Certo ho sbagliato alcuni passaggi, ma non l’ho fatto da solo. Già sono sardo, quindi chiuso. Capire di essermi fidato delle persone sbagliate, ha lasciato delle cicatrici. Per fortuna però ho incontrato anche degli uomini in gamba. Un nome su tutti è quello di Matxin, davvero una brava persona, che con me è stato eccezionale.

«Il primo anno fu un disastro per tante cose, ma rispetto ad allora l’ambiente della squadra è migliorato tanto. Da arrivare quinto al Tour con una tappa vinta e la maglia tricolore, a una stagione così brutta, qualcosa evidentemente non andava. E le ultime uscite dopo il mio ritiro dal Tour hanno confermato che non tutto è ancora ben chiaro. Perché Saronni ha usato quelle parole, che hanno messo in dubbio tutta la gestione tecnica e la scelta di portarmi al Tour?».

 

E’ parso anche a noi il modo di colpire altri, di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Segno di un equilibrio interno che ancora in certi momenti vacilla.

Un’ultima cosa, prima di lasciare voi alla domenica e Fabio e la sua gravel all’allenamento con Ulissi e Nibali. Stasera vedrete Aru nuovamente in diretta Instagram con Lello Ferrara. A modo suo, anche quel novello Pulcinella ha avuto un ruolo in questa storia.

Dario Cataldo, Uae Tour, 2020

Cataldo ci guida nel ciclismo dei dettagli

03.12.2020
4 min
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Dario Cataldo si prepara a trascorrere il Natale in Svizzera. Non tanto perché non vorrebbe tornare dai suoi genitori in Abruzzo, ma per semplice senso di responsabilità.

«Sono convinto anch’io – dice – che se andassi in macchina, non mi fermerebbero e al massimo avrei da pagare una multa. Ma so anche che se vado in un negozio con la mascherina o anche al ristorante e la sera torno a casa mia, sono molto più protetto e rischio di fare meno danni che se andassi giù e dentro casa dei miei ci togliessimo tutte le protezioni. Bisogna essere onesti nell’ammetterlo…».

E così nella sua casa a pochi passi dal confine italiano, l’abruzzese ha ripreso gli allenamenti in modo ancora blando con motivazioni che vanno dalla voglia di riscatto personale a quella di dimostrare alla Movistar di aver scelto bene.

Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Il prossimo anno alla Movistar arriva Miguel Angel Lopez. Eccoli insieme alla Vuelta 2018
Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Alla Movistar lo raggiunge Miguel Angel Lopez
Stato d’animo di Cataldo?

Sono tranquillo e molto concentrato. In quel poco di stagione che si è fatta, hanno dominato sempre gli stessi. Ci sono corridori che normalmente avrebbero fatto vedere qualcosa, ma sono rimasti schiacciati. Capisco che uno come Nibali senta forte la voglia di rifarsi, perché lui ha responsabilità maggiori. Io sento lo stesso stimolo per me stesso, perché sono stato al di sotto di quello che avrei potuto e voglio dimostrare ciò che so fare. Preparare Tour e Giro così ravvicinati forse mi ha messo in difficoltà più di quanto avrei creduto.

Hai mai discusso sull’opportunità di farne uno solo?

No, davvero. Con le corse tutte sovrapposte, ho detto subito che avrei fatto quel che c’era da fare, mettendoci il massimo impegno. Ovviamente sapevo che sarebbe stata dura, ma avevo in testa che il mio focus principale sarebbe stato comunque il Giro con Soler capitano. Per questo non sono arrivato in super forma all’inizio del Tour, ma di colpo Soler lo hanno portato in Francia togliendolo dal Giro. Mentre io a metà della Boucle, che è stata super esigente, ho iniziato a sentire la fatica e ad imbarcare acqua. E con questa difficoltà addosso, al Giro non ho avuto il picco in cui speravo.

Come è andata nella Movistar che in un solo colpo ha perso Quintana, Landa e Carapaz?

I giovani scalpitavano ed è stato un peccato non aver fatto la stagione normale. Dopo il Tour, Soler si è rifatto vincendo una tappa alla Vuelta. Mas è stato quinto sia in Francia che in Spagna. Non ha brillato, ma credo che tanti firmerebbero per i suoi risultati. Diciamo che è stato un anno complicato anche per le novità e magari dal prossimo andrà tutto meglio. E poi arriva il piccolo Lopez

Andrà d’accordo con Mas e Soler?

Non è un gallo che crea scompiglio e noi non siamo Ineos, con 15 capitani. Abbiamo corso insieme all’Astana, lo conosco. Si divideranno la stagione cercando di portare a casa il meglio in ogni momento.

Come ti stai allenando?

Piano. Su strada, Mtb e qualche camminata. Dal 2020 lavoro con Patxi Vila (ex professionista basco che fino al 2019 era con Sagan alla Bora-Hansgrohe, ndr). E’ molto, molto, molto preparato. Una persona che stimo e ha la testa giusta per il suo lavoro. Mi ha cambiato qualche abitudine, come quella di farmi lavorare sulla forza. Non lo facevo, ma è bastato incrociare i test prima e dopo e ho capito che è necessario. E comunque anche i cambiamenti di preparazione richiedono adattamenti.

Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Al Tour del 2020, Cataldo pedala sulle strade bianche verso La Roche sur Foron
Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Tour 2020, sulla strada per la Roche sur Foron
Impossibile dimenticare una cena al tuo primo anno con Sky e la tristezza dei piatti che ordinasti…

E’ cambiato tutto. Sono cambiate le teorie con cosa, come, quando e perché. Si seguiva una linea nutrizionale che gli studi successivi hanno sconfessato o aggiustato. Ora si parla di alimentazione funzionale, in base all’allenamento o la corsa e addirittura in base al momento della giornata.

Mai più da soli?

Devi avere persone molto aggiornate per seguirti. Prima potevi avere delle linee in cui tenere il bilancio delle quantità e delle calorie. Ora si distingue fra quali tipi di grassi mangiare, quali proteine e quando. Essendo uno sport di endurance, tutto quello che facciamo noi ha una ricaduta in termini di salute sulle persone normali. Il bello è che tutti ormai seguono ke stesse linee e le nuove generazioni sono nate con questo imprinting.

Secondo te è il motivo di tanto ricambio?

Una buona parte. O stai al passo o sei fuori sin dalle prime corse. Andare a correre indietro di condizione per prepararsi ti porta più sberle che giovamenti. Il ciclismo è sempre stato duro, ma ora si sta andando tanto verso l’esasperazione.

Come in Formula Uno…

Il dettaglio fa la differenza. Il ciclismo ormai è velocità, bellissimo sotto l’aspetto sportivo. Ma in gruppo parliamo di come arginare tutto questo spingersi verso il limite. E non potendo limitare l’uomo, si ragionava di intervenire sulla bici. Che pesi di più e sia meno aerodinamica, per abbassare le andature. Ma sono discorsi che durano poco, il tempo di rendersi conto che sarebbe brutto fermare lo sviluppo delle bici. E’ uno sport bellissimo, che deve trovare i suoi equilibri.