Nieri: «La Qhubeka ridiventa una vera development»

01.11.2022
5 min
Salva

«Come l’anno scorso avevo detto che era una perdita non avere più il team Qhubeka dei pro’, adesso che è tornato dico che sarà un guadagno», Daniele Nieri direttore sportivo del Team Qhubeka commenta così il ritorno della prima squadra.

Douglas Ryder, ex team manager della Qhubeka WT, torna in pista con la Q36.5, una professional. La squadra avrà sede in Svizzera, un’anima sudafricana e un grande apporto italiano, tra cui quello di Vincenzo Nibali. Tra le due squadre, la professional e la continental, pertanto ci sarà un certo contatto, proprio come avviene con le WorldTour e i rispettivi team development.

Daniele Nieri (classe 1986) è in ammiraglia già dal 2018
Daniele Nieri (classe 1986) è in ammiraglia già dal 2018

Development sul serio

E infatti Nieri è molto chiaro: «Si ritorna development nel vero senso della parola. L’anno scorso avevo detto che la perdita della Qhubeka ci avrebbe dato qualche limite in termini di calendario e di possibilità per i ragazzi. Ma al tempo stesso avrebbe aumentato la visibilità mediatica su di noi. Quest’anno è il contrario».

Dal punto di vista tecnico e pratico quindi la squadra dei giovani ci guadagna. Sapere di avere un punto di appoggio “in alto”, nel professionismo, vuol dire molto.

«Oltre al calendario superiore che andremo a fare, i ragazzi qualora lo meriteranno, potranno fare delle esperienze con la prima squadra e perché no, passare con loro nella stagione successiva.

«A gennaio faremo il ritiro in Spagna tutti insieme. Non sappiamo ancora le date di preciso ma staremo insieme. Sarà un’ottima occasione di crescita».

Nicolò Parisini (in foto) si è ben distinto in stagione
Nicolò Parisini (in foto) si è ben distinto in stagione

(Quasi) dodici

L’organico definitivo della Qhubeka sarà comunicato tra qualche giorno, ma Nieri ci anticipa che i ragazzi dovrebbero essere dodici, due sono ancora in ballo. Rispetto alla passata stagione c’è un grande rinnovamento e un certo ringiovanimento della rosa. Il prossimo anno ci saranno solo due atleti di quarto anno.

«E ne restano solo quattro di quelli in rosa nel 2022 – dice Nieri – tra questi Raffaele Mosca».

Ma in arrivo ci sono anche tre ragazzi italiani, uno svizzero e cinque ragazzi africani provenienti da un po’ tutto il Continente.

«Con i ragazzi africani non ho avuto molte possibilità di parlare personalmente, ma ci siamo scambiati dei messaggi. Però con due di loro, qualche confronto in più c’è stato. E ci ha parlato soprattutto Kevin Campbell (uno dei manager del team, ndr) che li ha diretti all’Avenir. In Francia hanno corso con il team dell’Uci e a dargli supporto tecnico, staff e mezzi, eravamo noi».

Qui il Tour du Rwanda. Il livello delle corse esotiche, tra cui quelle africane, sta crescendo nettamente
Qui il Tour du Rwanda. Il livello delle corse esotiche, tra cui quelle africane, sta crescendo nettamente

Calendario mondiale

Daniele Nieri ha parlato di un calendario più importante. Gare U23 ma anche esperienze con la professional e corse all’estero. Nel ciclismo che si espande a livello mondiale un progetto simile non può esimersi dal fare determinate esperienze.

E poi basta pensare che nel 2025 i mondiali si disputeranno in Rwanda… Bisogna insistere.

«Faremo di certo anche noi delle corse in Africa – spiega Nieri – e le faremo sia noi che la professional. Rwanda e Amissa Bongo ormai sono corse vere, ci vanno le squadre buone, ci sono in ballo punti Uci. E sì: ci vogliamo andare».

Le prime uscite, soprattutto con ragazzi africani di primo anno, non sono semplici da gestire (foto Instagram)
Le prime uscite, soprattutto con ragazzi africani di primo anno, non sono semplici da gestire (foto Instagram)

Solidaretà totale

Lavorare con ragazzi che arrivano da Paesi lontani, con culture sportive (e non solo sportive) molto diverse dalle nostre non è facile. E non lo è anche nel concreto. Magari in allenamento, specie nei primi mesi, Nieri e il suo collega Simone Antonini, si ritrovano corridori che hanno parecchia differenza tra di loro, specie con gli atleti di primo anno. Coordinarsi non è facile. Non è così scontato trovare una certa coralità in tempi brevi.

«Chiaro che cerchiamo di prendere chi va più forte – spiega Nieri – ma prima di far firmare un ragazzo non valutiamo solo i dati, ma andiamo a vedere anche la persona. 

«Per quanto riguarda l’integrazione è un bel lavoro. Per un ragazzo dei nostri stare con loro non è facile. I ragazzi africani sono bravissimi, gli darei un polmone se ce ne fosse il bisogno, ma certe differenze sono evidenti. Differenze anche culturali: l’uso dei social, del telefonino, dell’alimentazione, usare GoogleMap… In questo caso mi danno una grossa mano i ragazzi italiani».

«Dico loro di stargli vicino, di aiutarli nella vita quotidiana. Devono essere bravi a capire tutto ciò. In questi anni ho avuto un ragazzo che non è stato bravo… di più. Ed è Luca Coati. Una spanna sopra a tutti. Luca ha svolto un grande lavoro.

«E tra tutti si è stabilito un così bel rapporto che Tesfatsion, per esempio, nonostante abbia cambiato squadra ha preso casa vicino a me. Ed Henok Mulubrhan scherzando Coati lo chiama “Amore”! Fuori dalla bici gli si deve dare una mano e in gara li si deve aiutare a leggere la corsa».

Giochi del Mediterraneo: Amadori vede un’Italia d’attacco

25.06.2022
5 min
Salva

I Giochi del Mediterraneo sono sempre stati forieri di grandi soddisfazioni per il ciclismo italiano: nelle ultime tre edizioni la vittoria nella gara maschile è sempre arrisa alla nostra nazionale. Alla sua guida, in tutte queste occasioni, c’era Marino Amadori che sa bene come si affronta una gara del genere ma soprattutto qual è la sua importanza.

«Molti pensano che essendo riservata a poche Nazioni – afferma il tecnico della nazionale under 23 – sia una gara semplice, ma non è così. Squadre come Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia arrivano sempre con il coltello fra i denti e riuscire a gestire la gara con pochi uomini portando a casa il massimo risultato non è semplice. Oltretutto dopo tre successi consecutivi è chiaro che tutti guardano a noi, saremo additati come quelli da battere a ogni costo e questo va tenuto nel dovuto conto».

Mediterranei Duranti 2018
Lo sprint vincente di Jalel Duranti all’ultima edizione dei Mediterranei, disputata a Tarragona (ESP) nel 2018
Mediterranei Duranti 2018
Lo sprint vincente di Jalel Duranti all’ultima edizione dei Mediterranei, disputata a Tarragona (ESP) nel 2018
E’ in base a questo che hai scelto la tua squadra?

Sì, ma anche in base al percorso. Sono 154 chilometri senza importanti asperità, ma rispetto al passato le novità ci sono. Ero abituato a percorsi in circuito, qui invece si tratta di un tracciato in linea verso Ain Témouchent e ritorno, con solo negli ultimi 2 chilometri un po’ di ondulazione più pronunciata, ma niente di che.

Che cosa hai chiesto ai tuoi al momento della selezione?

Di comporre una squadra aggressiva perché solo così si può portare a casa il risultato. Tutti guarderanno noi, lo ripeto e dovremo essere pronti ma soprattutto capaci di prendere in mano la corsa, di esserne parte attiva e non seguire semplicemente gli eventi. So ad esempio che la Francia ha in squadra un velocista molto forte e questo dobbiamo tenerlo presente. Anche noi abbiamo un velocista che è capace di far male come Davide Persico, ma non dovremo correre pensando alla volata di gruppo, sarebbe un errore.

Come sono scaturiti i nomi che hai chiamato?

Il regolamento dei Giochi è chiaro: possono correre under 23 ed Elite appartenenti esclusivamente a squadre continental. Puppio e Manlio Moro saranno chiamati al doppio impegno considerando anche la prova a cronometro. Di Persico ho già detto, poi ci saranno Belleri, Pinazzi, lo stesso Puppio e Zurlo che saranno gli uomini chiamati a tenere le redini della corsa e impostare la tattica più valida al bisogno, mentre Coati, Giordani e Zambelli potranno entrare nelle fughe e magari essere proprio loro a dare vita a qualche azione. Non mi stupirebbe che la gara si concludesse con un’azione solitaria o con uno sprint molto ristretto.

Che valore ha una gara del genere?

Rispondo con una semplice annotazione: nell’ultima edizione disputata a Tarragona in Spagna e che vincemmo con Duranti, al 14° posto giunse un certo Tadej Pogacar… E’ una manifestazione che conta davvero, che va interpretata con grande rispetto per la maglia che si indossa, inoltre sappiamo bene che è una vetrina per tutto il ciclismo in un consesso multisportivo e questo ai ragazzi lo ripeto sempre.

Tu come detto hai una certa esperienza, anche al di fuori della gara che cosa sono i Giochi del Mediterraneo?

Un’Olimpiade in piccolo e già questo dice che si tratta di una bella esperienza da vivere. Chi partecipa è ancora molto giovane, affronta un’esperienza diversa dal solito, ti trovi a vivere giornate con campioni di tutti gli sport perché ogni disciplina porta il meglio disponibile. Anche noi abbiamo sempre onorato la prova con gente importante: quattro anni fa nella nostra nazionale c’era gente come Battistella, Sobrero, Covi, Affini che vinse la crono (con Amadori nella foto di apertura, ndr)… Io dico sempre che è una manifestazione che insegna molto, che ti fa vivere lo sport a 360 gradi. Usciamo dal nostro guscio e ci confrontiamo con un pezzo di mondo importante per una medaglia che vale molto. Non è un mondiale o un europeo, questo è chiaro, ma ci teniamo molto, e poi dopo aver vinto le ultime tre edizioni non vedo perché non dobbiamo continuare sulla stessa strada…

Ryder 2021

Ryder: «Vorrei tanto che Pozzovivo restasse in Qhubeka…»

07.01.2022
5 min
Salva

Douglas Ryder non ha mai smesso di sognare. Chiusa la sua carriera decennale da corridore, ha pensato a un sistema per sviluppare il ciclismo nella sua Africa. Era convinto che un team proveniente da lì e in grado di arrivare al Tour de France sarebbe stato il veicolo migliore per promuovere il ciclismo. Nel 2015 il suo sogno è diventato realtà. La Dimension Data non solo ha partecipato alla Grande Boucle ma a tutte le grandi prove e da lì non ha mai smesso. Fino a quest’anno.

Il suo team, diventato Qhubeka NextHash dopo vari cambi di sponsor, ha perso la licenza WorldTour dopo grandi problemi economici riscontrati per oltre un anno. Ryder aveva dato con ampio anticipo facoltà ai suoi corridori di trovarsi nuove squadre, molti lo hanno fatto, alcuni continuano ad avere fiducia che possa ritrovare la strada per il successo. Anche perché quello di Ryder non è un progetto come gli altri: vive il suo impegno come una missione legata alla diffusione del ciclismo nel suo continente. Non per niente tramite la Qhubeka ha distribuito qualcosa come oltre 75 mila biciclette ai bambini africani. Se il prossimo anno i mondiali si svolgeranno in Rwanda, un po’ di merito è anche suo. Quando ha iniziato la sua avventura, un’idea del genere andava ben oltre l’utopia.

Il 51enne sudafricano non ha perso nulla del suo spirito pur in questi mesi così travagliati e non si nasconde nel raccontare le traversie vissute: «Abbiamo pagato il momento che viviamo. I costi di attività sono altissimi, abbiamo retto finché abbiamo potuto. Ci siamo impegnati per trovare nuovi sponsor attraverso una decina di agenzie di marketing e contattando un centinaio di aziende, ma senza risultato. Le difficoltà erano già sorte nel 2020, ma eravamo riusciti a risolvere la questione con il grande supporto della Qhubeka, ma i problemi sono andati aumentando».

La Qhubeka, con altri nomi, ha iniziato la sua storia nel 2008 e ha militato nel WorldTour dal 2016 al 2021
Qhubeka Nexthash 2021
La Qhubeka, con altri nomi, ha iniziato la sua storia nel 2008 e ha militato nel WorldTour dal 2016 al 2021
Hai qualche rimpianto, qualcosa che avresti potuto fare per evitare questa situazione?

Non sai quante volte ho pensato se i miei piani erano troppo ambiziosi… Credo che sicuramente a conti fatti si poteva fare di più, ma l’impegno che mi ero assunto era grande e gli sforzi sono stati totali. E’ chiaro che abbiamo subìto gli influssi di un periodo difficile, il Covid ha fortemente pesato sul mercato e trovare uno sponsor è stato arduo. Il tutto poi è diventato ancora più difficile con la diffusione di Omicron proprio dal mio Paese. Le aziende sono impaurite in questo momento e quelle poche che azzardano lo fanno soprattutto nel calcio per provare a ridurre al minimo le incertezze.

Tu hai cercato di essere molto corretto con i tuoi corridori dando loro anticipata libertà di trovare un nuovo team, che cosa pensi però di persone come Pozzovivo che sono rimasti legati al tuo team fino all’ultimo?

Domenico è una persona meravigliosa, meravigliosa (lo ripete più volte, ndr). Trovo incredibile come si sia ripreso dopo il suo incidente e il suo apporto, il suo credere nel nostro progetto ci ha dato grande forza. Non lo nascondo, vorrei tanto trovare uno sponsor tale da poter continuare la nostra esperienza in comune. Ma come Domenico devo dire grazie anche ad altri corridori, come Antonio Puppio che non hanno mancato di farci sentire il loro sostegno a dispetto delle obiettive difficoltà che hanno vissuto e vivono.

Pozzovivo Qhubeka 2021
Domenico Pozzovivo è ancora legato alla Qhubeka. Ryder spera in una sua permanenza
Pozzovivo Qhubeka 2021
Domenico Pozzovivo è ancora legato alla Qhubeka. Ryder spera in una sua permanenza
Quali sono ora i tuoi progetti?

L’obiettivo è di andare avanti con il nostro team continental, trovando i fondi per seguire l’attività e dare spazio a un team di categoria inferiore ma che conserva grandi qualità. Con noi correranno Luca Coati, Kevin Bonaldo, Mattia Guasco, Nicolò Parisini che arriva dalla Beltrami TSA-Tre Colli, Jacopo Menegotto dalla General Store Essegibi F.lli Curia e Raffaele Mosca. Avremo molti corridori italiani e seguiremo la stagione nel vostro Paese, per il resto ci saranno corridori africani, prevalentemente da Etiopia, Eritrea e Sud Africa.

Pensi che senza un team nel WorldTour, l’evoluzione del ciclismo africano subirà un arresto?

Spero proprio di no, perché ci sono molti talenti che sanno emergendo, anche più che resto del mondo. La situazione che stiamo vivendo rappresenta un grande ostacolo, un freno alla crescita, questo è indubbio. Guardate però quel che avviene nelle rassegne iridate: avere al via 20-25 atleti africani credo sia lo specchio della crescita del movimento sparsa per il continente.

Ryder Hagen 2018
Ryder con Edvard Boasson Hagen, uno dei tanti campioni passati per il suo team (foto Getty Images)
Ryder Hagen 2018
Ryder con Edvard Boasson Hagen, uno dei tanti campioni passati per il suo team (foto Getty Images)
Dopo una carriera lunga 10 anni, come si sta evolvendo il tuo lavoro di team manager?

Questa è una bella domanda… Il ciclismo è cambiato molto da quando correvo, le esperienze sono utili ma bisogna essere al passo con i tempi. Essere un team manager significa essere pronto a ogni tipo di opportunità, guardare il mondo del ciclismo nel suo insieme considerando in primis la nostra realtà africana e le differenze che comporta. Bisogna considerare i rapporti con i media, le ore di trasmissione ciclistica in Tv e tutto deve tramutarsi in opportunità per vendere i nostri marchi, quelli di chi ci sostiene. Per me è particolarmente gratificante quando tutto ciò permette a un giovane corridore di affermarsi e trovare la sua strada. E’ difficile ma per me è importante anche perché il mio non è un lavoro come gli altri diesse, il nostro impegno è teso verso la promozione delle charities a favore dei nostro progetti benefici.

Sei ottimista per il futuro?

Certo! Il team è grande con un importante brand e un grande supporto. Abbiamo dalla nostra grandi ambassador non solo per il team in se stesso, ma per quello che rappresenta e in questo senso non posso dimenticare l’impegno di Fabio Aru che ci ha dato un incredibile supporto, come anche l‘esempio di Pozzovivo. Noi vogliamo continuare a supportare le giovani generazioni e, se tutto va bene, poter riallacciare la storia riportando nel 2023 il team nel WorldTour. Magari con uno sponsor italiano…

Azzurri magistrali. L’oro degli under 23 è arrivato così…

25.09.2021
6 min
Salva

Semplicemente magistrali. Perfetti. Gli azzurri di Marino Amadori hanno corso il mondiale U23 senza errori. Non solo per la vittoria di Baroncini. Sono stati sempre attenti. Sempre nelle prime posizioni. Davanti nei momenti cruciali. Hanno corso… bene. Hanno rispettato le consegne del cittì e i fondamentali di questo sport. Compattezza, umiltà, cattiveria agonistica, lucidità, forza, acume tattico.

Ci sono due fotogrammi simbolo, a nostro avviso.

Il primo. A 20 chilometri spaccati dal termine, quando davanti c’era ancora Luca Colnaghi, gli azzurri si spostano su un lato della strada e confabulano qualcosa. In quel momento la corsa non è nel vivo: di più! C’è tensione, adrenalina, tanto più che si pedala nel circuito cittadino.

Il secondo. All’imbocco dello strappo in cui è scattato “Baro”, ben quattro azzurri piombano davanti per prenderlo in testa. Il gruppo era allungato. Era il momento X. E loro c’erano. A quel punto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di grande era forte. Ci sono venute in mente le parole di Filippo della vigilia («Lo strappo ai -6 può essere decisivo») e il finale della Coppa Sabatini in cui ha mostrato una super condizione. Sarebbe partito: sicuro.

Marino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche il cittì si è lasciato andare ai sorrisi
Marino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche lui si è lasciato andare

Capitan Zana

A richiamare tutti sull’attenti è stato Filippo Zana, che dal cittì ha ricevuto le chiavi della squadra. Negli ultimi tre chilometri ha chiuso persino sulle mosche.

«Diciamo di sì dai – ammette col sorriso il corridore della Bardiani Csf Faizanè – la cosa più importante è aver portato a casa la vittoria. A volte mi sono un po’ arrabbiato. Però penso sia servito a spronare i ragazzi e a riportare l’attenzione giusta. Perché? Perché certe volte eravamo un po’ in ritardo su alcune azioni. Si poteva fare meno fatica.

«Se poi si hanno le gambe e tutti hanno le gambe è più facile. Abbiamo corso da squadra e sono davvero contento: per la maglia, per noi, per Amadori, per “Baro” che è davvero un bravo ragazzo».

Parola Colnaghi e Coati

Una grossa fetta di questo successo spetta poi a Luca Colnaghi. Luca è entrato in un attacco che per lunghi tratti poteva anche essere buono. 

«A me piace aspettare le volate – dice Luca Colnaghi – ma mi sono ritrovato in questo gruppetto. Quando sto bene seguo l’istinto e l’istinto mi ha detto di provarci. E’ stato il punto chiave della corsa credo, perché così ho potuto dare il mio contributo e la squadra si è potuta risparmiare un po’». 

Qualche istante dopo ecco che in zona mista sfila dietro di lui l’altro Luca, Coati. Lui è il più pacato e forse tra i più freschi in volto degli azzurri.

«Siamo partiti con un solo obiettivo – dice il corridore della Qhubeka Continental – vincere. E ce l’abbiamo fatta. All’inizio pensavo venisse fuori una corsa un po’ più dura nel giro grande. Ma non è stato così, poi Colnaghi è entrato nella fuga e ci ha permesso di stare sulle ruote. Il resto… lo ha fatto Filippo!».

Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini (a sinistra) e Andrea Morelli (al centro)
Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini e Andrea Morelli

Gazzoli l’altra cartuccia

Dopo essere scesi dal palco, in quanto anche vincitori della Coppa delle Nazioni, man mano gli azzurri arrivano ai nostri microfoni. Ormai la folla si è dileguata e il cielo inizia ad farsi scuro su Leuven. Non per noi italiani, non per gli azzurri. 

«Oggi abbiamo dimostrato chi è la nazionale italiana U23 – dice Michele GazzoliE’ tutto l’anno che corriamo da padroni e infatti abbiamo vinto la Coppa della Nazioni e questo è frutto di un grande lavoro di squadra. Abbiamo dato un grande spettacolo. Cosa ci ha detto Marino prima del via? Di essere una squadra. Sapevamo cosa dovevamo fare: vincere! C’era solo una soluzione. Sapevamo quali erano i punti importanti. Sapevamo come muoverci e con chi muoverci. E sapevamo che Baro sarebbe partito lì. Io mi dovevo tenere pronto eventualmente per la volata finale.

«Ho mancato il podio per 50 metri. Sono partito un po’ troppo presto, ma va bene così. L’importante è aver preso la maglia». 

Marco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insieme
Marco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insieme

Frigo: amico prezioso

Infine, lo abbiamo tenuto per ultimo, anche se è stato tra i primi con cui abbiamo parlato, c’è Marco Frigo. Marco è stato colui che ha fatto le veci del cittì quest’inverno quando è venuto a provare il percorso su richiesta di Amadori. E’ stato compagno di stanza di Baroncini e vero uomo squadra in corsa: attento, generoso… Spesso Marco resta nell’ombra, ma ieri soprattutto è stato un grandissimo.

«Su un percorso così l’esperienza alla Seg (squadra olandese in cui milita, ndr) si è fatta sentire – racconta Marco – e l’ho messa a disposizione dei miei compagni. Perché su un tracciato del genere è importante non solo risparmiare energie fisiche, ma anche mentali. Già nel trasferimento e nella prima parte di gara ci sono state tante cadute. Per questo stare davanti è stato fondamentale. E si è visto. Baroncini nel finale è stato palesemente il più fresco ed è riuscito a concretizzare. E un ulteriore riprova è il risultato in volata degli altri (senza sprinter, ndr): segno che abbiamo corso bene».

«Vero io sono in camera con lui – riprende Frigo – Ma non solo qui. E’ dall’Avenir praticamente che siamo insieme. Che dire: è un ragazzo davvero bravo. Se la merita. In camera era un paio di giorni che parlava di questa azione. Mi diceva sempre: quello è il punto giusto. Poi stamattina (ieri per chi legge, ndr) abbiamo guardato la gara degli juniores insieme e lì è dove ha attaccato il norvegese. Quindi è come se avesse avuto la prova che quel che diceva fosse giusto. Era la mossa da fare. In questi giorni abbiamo anche riguardato le corse che passavano da queste parti per vedere come prendevano i muri.

«Come l’ho tenuto tranquillo? Filippo è tranquillo di suo! Una cosa che mi piace di lui è che crede tanto in sé stesso. Era convinto che se avesse attaccato lì sarebbe andato all’arrivo. E ha avuto ragione».

Lapeira e Verre dominano la domenica dei dilettanti

19.04.2021
3 min
Salva

Non solo classiche del Nord e professionisti. La scorso weekend ci ha regalato anche tanto sul fronte degli under 23. E l’Italia ne è stata protagonista con due grandi eventi: il Trofeo Città di San Vendemiano e il Trofeo Città di Meldola. Due gare davvero tirate al massimo e che hanno visto al via qualcosa come 342 ragazzi, senza contare che il giorno prima moltissimi dei protagonisti di Meldola sono stati gli stessi della gara del sabato, vinta da Luca Coati. Anche qui altri 188 partenti.

A San Vendemiano Paul Lapeira (Ag2r Citroen) precede Jacopo Menegotto (General Store)
A San Vendemiano Paul Lapeira (Ag2r Citroen) precede Jacopo Menegotto (General Store)

La Marsigliese in Veneto

Partiamo dal Gp Industria e Commercio di San Vedemiano. Ad abbassare la bandierina del via oltre alle consuete autorità locali, anche Moreno Argentin che in questi giorni di classiche delle Ardenne deve aver sentito forte il richiamo delle corse. Con lui anche Bugno.

La gara prevedeva una prima parte più facile e poi il circuito con il mitico Ca’ del Poggio, ormai teatro del grande ciclismo: un piccolo stadio delle due ruote, anche se senza pubblico a causa del Covid. E proprio su questo strappo si delineava il grosso della corsa. Davanti infatti erano in otto, ma tra di loro mancavano tre dei grandi favoriti: Juan Ayuso, Luca Colnaghi e Andrea Pietrobon, rientrati in un secondo momento con altri contrattaccanti. Dopo le cinque tornate si presenta a San Vendemiano questa manciata di atleti e il più veloce di loro è il francese Paul Lapeira, un buon passista al primo successo internazionale.

«Sapevo di stare bene ed ero venuto qui per puntare alla vittoria – ha detto il portacolori della Ag2R Citroen – Quando ho visto che la nostra azione prendeva il largo ho capito che saremmo potuti arrivare. Nel finale sono partito un po’ lungo, ma sono riuscito a resistere fino alla fine». Lapeira sta comunque attraversando un buon periodo di forma. Pochi giorni prima era giunto terzo in un’importante gara in Svizzera.

Da segnalare che Ayuso (Colpack-Ballan) ha aiutato il compagno di squadra Mattia Petrucci, il quale ha chiuso al terzo posto e che lo stesso Lapeira poteva contare sull’apporto di due compagni di squadra. Secondo, Jacopo Menegotto, della General Store.

Rossella Dileo e Alessandro Verre, la linguaccia post vittoria è ormai un rito in Colpack
Rossella Dileo e Alessandro Verre, la linguaccia post vittoria è ormai un rito in Colpack

Verre succede a Pantani

Poco più a sud invece, sulle strade romagnole Luca Coati ci ha confidato che avrebbe cercato il bis dopo la vittoria del sabato a Mordano, ma il portacolori della Qhubeka non è riuscito nell’impresa.

Livello leggermente più basso a Meldola rispetto a San Vendemiano, ma comunque gara tiratissima e di sicuro più dura altimetricamente rispetto a quella veneta, tanto che, nota curiosa, l’ultimo a vincere questo evento fu Marco Pantani. Il percorso era molto nervoso, con la salita di Teodorano a farla da padrona, una scalata posta tra l’altro in posizione strategica: era infatti a 14 chilometri dall’arrivo. E poteva essere un trampolino ideale.

La corsa ha vissuto su un grande tentativo composto da sei uomini, i quali però sono stati riacciuffati all’ultimo giro. Il loro vantaggio non è mai stato elevato e si era capito che le speranze sarebbero state poche. Nonostante la salita posta in quel punto, ai 3 chilometri dal termine il gruppo (quel che ne restava, cioè circa 30 atleti) è tornato compatto, ma proprio in quel momento sono scattati Alessandro Verre e Gianmarco Garofoli. Un vero colpo da finisseur per loro.

Nello sprint finale il corridore della Colpack Ballan però ha la meglio. Garofoli infatti aveva fatto parte dei sei della fuga ed era più stanco. Terzo un buon Antonio Puppio (per l’occasione in azzurro). Con questo successo e dopo la consueta “linguaccia” con la responsabile organizzativa del team, Rossella Dileo (ormai segno distintivo dei successi Colpack) Verre può vantarsi di essere l’unico corridore della nuova generazione ad essere succeduto a Pantani.

Coati-Nencini, pareggiati i conti. ExtraGiro, si va…

18.04.2021
4 min
Salva

Nel ciclismo c’è sempre la possibilità di una rivincita, basta crederci. A Bubano di Mordano, nella “100° Anniversario Antonio Placci” nell’ambito delle manifestazioni di aprile di ExtraGiro, Luca Coati con la maglia della nazionale italiana – davanti al cittì Davide Cassani – conquista una splendida vittoria superando in una volata di gruppo Tommaso Nencini della Petroli Firenze-Hopplà (in apertura, foto Instagram), che lo aveva battuto lo scorso 27 febbraio alla Firenze-Empoli nella prima gara stagionale.

Considerando che sul terzo gradino del podio è salito Gregorio Ferri, compagno di Nencini, si può dire che Coati (che nel 2019-2020 correva a sua volta nella squadra gestita da Piscina e Provini) abbia vendicato quell’ordine d’arrivo in Toscana, dato che sul traguardo di Empoli alle sue spalle erano finiti Bonaldo e Puppio, suoi compagni in maglia Qhubeka

Il veneto cresciuto nella Ausonia Pescantina, curiosamente sa vincere solo ad alte velocità: nel 2019 nel circuito ad Alzano Scrivia a quasi 48 di media, l’anno scorso alla crono di Ponsacco a 49 ed ora sul traguardo di via Lume sfiorando i 47.

Luca Coati dopo l’arrivo, raccontando lo sprint al cittì Cassani
Luca Coati dopo l’arrivo, raccontando lo sprint al cittì Cassani
Luca innanzitutto che gara e volata sono state?

E’ stata una corsa velocissima, la squadra nonostante la giovanissima età media ha fatto un lavoro impeccabile per me che ero deputato a disputare lo sprint. Il mio compagno Puppio mi ha pilotato in modo magnifico fino ai 300 metri e poi è toccato a me completare l’opera.

Sei stato agevolato dal malinteso dei due della Petroli Firenze?

No, ero in terza posizione fino all’ultima curva dietro un atleta della Biesse Arvedi (Carlo Alberto Giordani, ndr) e quando è partito lui, sono partito anch’io. Oggi sentivo di avere la gamba giusta.

Come ti trovi nel team continental della Qhubeka?

E’ una formazione tranquilla, ci fa lavorare bene, siamo seguiti al 100 per cento in tutto. Li ringrazio perché se sono arrivato in forma a questo appuntamento, guadagnandomi la convocazione in nazionale, è merito anche loro.

Che effetto fa vincere con l’azzurro addosso?

E’ senz’altro una grande emozione. Ringrazio anche tutto lo staff azzurro, a cominciare dal cittì Marino Amadori.

A proposito, stessa domanda che avevamo fatto a Puppio, il passaggio al professionismo è da conquistare o è già fatto?

No, ce lo dobbiamo meritare gara dopo gara. Adesso sono in un buon periodo di forma e devo sfruttarlo. Speriamo bene.

Prossimi obiettivi?

Non ne ho uno preciso, voglio fare bene in tutte le corse cui partecipo. Ad esempio la vittoria di oggi ha un valore particolare anche perché l’organizzazione è da professionismo.

Ferri sta ritrovando lo spunto, ma nel finale la Petro Firenze ha pasticciato
Ferri sta ritrovando finalmente lo spunto

Ferri cresce

Sconsolato in cerca di spiegazione e riscatto c’è Gregorio Ferri che, dopo un 2020 deludente, sta ritrovando il giusto colpo di pedale come due anni fa e finora gli manca solo la vittoria (per lui anche un secondo e un quarto posto in stagione). Prima di salire sul palco delle premiazioni prova ad analizzare la volata con Nencini, senza trovare forse una vera risposta. Cose che capitano ma che lasciano tanto rammarico.

Gregorio che finale è stato?

Eravamo stati compatti fino a 3 chilometri dall’arrivo, poi c’è stata una gran confusione in gruppo con spallate e ci siamo persi, non ci siamo più capiti bene. Mio fratello Edoardo ci ha tenuti davanti tanto, poi è toccato a Ferrari portarmi fino ai 500. A quel punto ho perso Nencini, non sapevo dov’era poi l’ho visto spuntare e partire ai 250 metri. Anche se un po’ chiuso, sono uscito e alla fine ho fatto terzo in rimonta.

Un gran caos insomma.

Sì, non ho ben capito cosa sia successo dietro di me, tant’è che dopo il traguardo un altro corridore è venuto a chiedermi spiegazioni sul mio spostamento a sinistra, ma io non me ne sono accorto. Anzi chiedo scusa a tutti se ho fatto una scorrettezza, mi dispiace ma non è da me farle. Speriamo che vadano meglio le prossime gare, saranno tutte rivincite.

Ci tenevi a fare bene visto che abiti non troppo distante da qua.

Esatto, abito a Calcara di Valsamoggia e volevo fare bene. Dobbiamo sfruttare al meglio queste gare per intenderci meglio. Abbiamo lo stimolo per rimediare il prima possibile a questo doppio piazzamento che brucia un po’, anche perché la gamba gira bene.

Coati, un po’ cronoman e un po’ velocista

31.03.2021
4 min
Salva

Avere la crono nel Dna non è un qualcosa che appartiene ai giovani italiani. Sono davvero pochi coloro che ci lavorano. Tra questi c’è Luca Coati, talento della Qhubeka Continental. Un profilo alquanto particolare quello del veronese che vive a pochi passi da Zardini e Formolo. Lui oltre a cavarsela contro il tempo è anche un buon velocista.

E’ seguito a stretto giro da Daniele Nieri, uno dei diesse più apprezzati da ragazzi.

Coati (sulla destra nascosto da Mareczko) è stato quarto nella 1ª tappa della Coppi e Bartali
Coati (sulla destra nascosto da Mareczko) è stato quarto nella 1ª tappa della Coppi e Bartali
Luca, che inizio di stagione è stato?

Un buon inizio di stagione. Ho fatto una buona preparazione. Ho cambiato squadra e modo di gestirmi. E i risultati si sono subito visti, sono partito abbastanza forte.

Perché cosa è cambiato?

Vengo dalla Casillo-Petroli Firenze di Matteo Provini e lui aveva un metodo di allenare diverso, parecchio diverso rispetto a quello attuale. Adesso faccio più forza, prima più velocità. I chilometri invece sono gli stessi più o meno. Sono lavori che mi rendono tranquillo, mi fanno stare bene. Magari non si spinge forte come succedeva prima. Avevo proprio bisogno di cambiare aria. Mi si è presentata questa occasione e non ci ho pensato due volte. La Qhubeka ha molti sbocchi ed è una delle migliori squadre continental in Italia. E adesso posso dirlo: è stata la scelta giusta.

Che corridore senti di essere? A noi risulti essere una ruota veloce…

Sì, sono abbastanza veloce. Ma mi difendo bene anche a crono e infatti ho colto la mia vittoria da U23 l’anno scorso nella crono di Ponsacco. 

Hai preso il via alla Coppi e Bartali, ma anche te sei rimasto coinvolto nella “strage di Riccione”, in quella tappa vi siete ritirati in tanti, come mai? Cosa ti è successo?

Ho avuto mal di stomaco. Un dolore fortissimo e non riuscivo a spingere, anche ad andature normali. Ogni volta che c’era una variazione di ritmo, ogni strappo… mi riveniva su tutto. E’ stata una giornata no. Così in accordo con il team sono tornato a casa. Ho fatto tre giorni di riposo. E poi ho iniziato a lavorare in vista delle gare di aprile, tra cui il Gp Liberazione e una gara a cronometro. Poi penseremo al Giro U23.

Coati (21 anni) ha corso con la Casillo fino allo scorso anno, ora è con la Qhubeka continental
Coati (21 anni) ha corso con la Casillo fino allo scorso anno, ora è con la Qhubeka continental
Crono: già due volte è emerso questo termine. Come nasce il tuo interesse per questa specialità?

Nasce da juniores, quando ero all’Ausonia. Dai test e dagli allenamenti mi dicevano che ero portato per questo esercizio. E lavorandoci su… Il problema è che non ho mai avuto il materiale per lavorare bene. Non tutte le squadre hanno la possibilità di fornire le bici per tutto l’anno. Mentre nelle ultime due stagioni ho avuto la bici “fissa” appositamente per me ed ho potuto fare di più. Quest’anno ce l’avevo già a dicembre e mi sto preparando al meglio. Uno dei miei obiettivi di stagione è andare bene a crono. Anche all’italiano che, se non sbaglio, c’è il 26 giugno.

Cosa ti passa per la testa quando sei sulla bici da crono?

Beh, sono uscite corte, nelle quali solitamente faccio dei lavori. E’ difficile pensare. Però… mi immagino la corsa e mi mentalizzo sulla gara. Le crono sono prove corte e bisogna essere subito concentrati. Servono degli automatismi essenziali che devono essere messi in moto sin da subito.

La prima vittoria da G4 di Coati. Lo sprinter vincente lo ha sempre avuto
La prima vittoria da G4 di Coati. Lo sprinter vincente lo ha sempre avuto
Torniamo alla strada. Prima tappa della Coppi e Bartali: primo Mareczko, secondo Cavendish, quarto Coati. Nomi importanti…

Eh, “Kuba” lo conoscevo già, Cavendish è sempre stato il mio idolo. E’ stato un riferimento e non avrei pensato a tanto. C’è da dire però che è stata una gara anomala, molto corta e nella quale tutti avevano ancora il pieno di energie. C’è stato anche molto nervosismo e infatti c’è stata una caduta nel finale e fortunatamente ero dalla parte opposta. La volata c’è stata quasi più per prendere la posizione. Sono uscito bene dall’ultima curva ed è andata bene.

Hai paura in volata?

Paura no, ma in futuro mi servirà un po’ più di cattiveria.

A casa quando hanno visto l’ordine d’arrivo cosa ti hanno detto?

Probabilmente avevano messo il transponder sbagliato e all’inizio anziché il mio, risultava il nome di Sunderland e anch’io non capivo bene. Poi quando tutto si è sistemato e l’ho detto a casa erano felici, soprattutto mio zio Nicola Chesini, ex pro’. E’ lui che mi ha messo in bici da G4. Zio mi ha scritto subito.