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Con Ballan, segreti e aneddoti delle Classiche del Nord

01.02.2023
7 min
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Al Centro Canottieri Olona c’è una saletta privata che Garmin ha utilizzato come ritrovo per i giornalisti e gli invitati all’evento di cui vi abbiamo raccontato. All’interno di questa saletta, seduto su un divanetto, c’è Alessandro Ballan. La discussione parte dai rulli che andremo a provare e il campione del mondo di Varese 2008 racconta l’evoluzione di questi sistemi. 

«Quando correvo io le Classiche del Nord – racconta Ballan – gli smart trainer non esistevano e ci si doveva allenare in ogni condizione atmosferica. Mi ero fatto fare artigianalmente dei rulli classici ma facevo una mezz’ora o quaranta minuti al massimo, senza lavori specifici. Avevo anche un “ciclomulino” con il quale riuscivo a fare potenziamento e qualche lavoro, ma mi mancava il controllo dei dati».

Con l’avvento dei nuovi sistemi di allenamento cambierà anche il metodo di preparazione alle Classiche del Nord
Con l’avvento dei nuovi sistemi di allenamento cambierà anche il metodo di preparazione alle Classiche del Nord

Le prime esperienze

Nell’intervista fatta con Filippo Ganna era emerso il tema dell’esperienza nelle Classiche del Nord. Approfittando della presenza di Ballan, affrontiamo il discorso anche con lui. Alessandro racconta proprio di quanto le sue esperienze lo abbiano aiutato ad emergere. 

«In questo genere di corse – dice Ballan – ce ne vuole proprio tanta di esperienza: conoscere i percorsi ed i punti cruciali è fondamentale. Sapere dove avverrà la selezione o il tratto nel quale un corridore potrebbe scattare. Se in quei frangenti ti fai trovare in trentesima posizione, non sei tagliato fuori, ma sprechi un casino di energie.

«Errori così li ho pagati tanto in tutte le gare del Nord, ma soprattutto alla Roubaix. Per me quella è stata una corsa sfortunata. Nelle prime tre edizioni che ho disputato sono caduto ben sei volte. All’inizio l’ho odiata, non mi piaceva, ma quando è arrivato il primo terzo posto (nel 2006, ndr) ho capito che poteva essere per me. Purtroppo ho avuto degli episodi durante la mia carriera che mi hanno impedito di correrla con continuità e non sono mai riuscito a trovare il ritmo. E’ vero anche che nel corso delle ultime stagioni abbiamo avuto delle “mosche bianche” come Colbrelli che alla prima edizione è riuscito a vincerla. Io questo non me lo spiego – dice con una risata – se guardo a quel risultato mi dico che è impossibile».

La vittoria all’esordio alla Roubaix di Colbrelli ha stupito in positivo Ballan
La vittoria all’esordio alla Roubaix di Colbrelli ha stupito in positivo Ballan

Tanti fenomeni

I fenomeni, o comunque grandi campioni, che hanno ottenuto risultati importanti alla prima partecipazione nelle Classiche del Nord, esistono. Basti pensare a Pogacar, lo sloveno l’anno scorso ha fatto il diavolo a quattro e per poco non vinceva il Giro delle Fiandre.

«Sono corridori, in particolare Sonny – parla Ballan – che arrivano con una grande condizione. Anche se, devo essere sincero, se fossi arrivato alla mia prima Roubaix con la condizione di Varese 2008 non avrei mai pensato di poter vincere.

«Sono gare che necessitano di conoscenza del percorso e di fortuna. Perché non è solo un punto ma sono tanti, devi essere sempre concentrato. Fare le gare prima ti aiuta a conoscere il percorso. Il Fiandre  va a riprendere i percorsi dell’ E3 Harelbeke, di De Panne, di Waregem (ora Dwars Door Vlaanderen, ndr). Si prendono i muri da altri lati ma fare quelle gare aiuta molto. Aiuta a conoscere gli avversari, a capire chi sta bene. Puoi studiarli».

I punti di riferimento

Quando le strade sulle quali corri sono larghe due metri e una curva fatta dalla parte sbagliata ti potrebbe tagliare fuori dalla lotta per la vittoria, allora devi trovare dei punti di riferimento.

«Quelli sono importantissimi – precisa l’ex campione del mondo – sapere dove sei aiuta. Sul manubrio hai la lista dei muri e quando leggi un nome hai un riferimento. Per esempio sai che alla fine di quel muro ci sarà la stazione del treno».

«Le differenze tra Fiandre e Roubaix non sono poi così ampie. Dovete pensare ai tratti di pavé della Roubaix come a dei muri. Arrivi lanciato, cali di velocità ed esci dal settore che vai davvero piano. Se sei bravo riesci a “galleggiare” sulle pietre e a non perdere velocità.

«I tratti più difficili della Roubaix sono la Foresta di Arenberg e il Carrefour de l’Arbre. La foresta è dritta ma sale, anche solo dell’uno o due per cento ma si sente e lì per non “piantarti” devi essere forte. Il secondo, invece, ha delle curve che sono micidiali. E per non cadere devi saper guidare la bici benissimo».

L’occhio attento di Lefevere è in grado di capire quali atleti che possono vincere la Roubaix da come affrontano il pavé (foto Sigrid Eggers)
L’occhio attento di Lefevere è in grado di capire quali atleti che possono vincere la Roubaix da come affrontano il pavé (foto Sigrid Eggers)

Il regno dei belgi

Le Fiandre sono il regno dei corridori belgi. Loro che nascono e crescono su queste strade ne hanno una conoscenza ineguagliabile. E’ difficile competere con corridori del genere, soprattutto se mettono in campo anche l’astuzia.

«Sull’Oude Kwaremont – spiega ancora Alessandro – i corridori della Lotto e della Quick Step mettevano in atto il loro piano. Ai piedi del muro le indicazioni che i corridori hanno alla radiolina sono uguali per tutti: stare davanti. Così ti trovi duecento corridori che fanno la volata per arrivare davanti alla curva prima del muro. Poi normalmente i cinque o sei corridori davanti abbassavano la velocità (quelli della Lotto e della Quick Step, ndr) e una volta che si saliva sul pavé rallentavano ancora di più. Quando gli ultimi mettevano giù il piede per la velocità troppo bassa partivano a tutta, così dietro erano costretti a fare uno sforzo disumano per stare al passo». 

Ballan ha vinto il Giro delle Fiandre nel 2007, battendo Hoste in una volata a due
Ballan ha vinto il Giro delle Fiandre nel 2007, battendo Hoste in una volata a due

La capacità di guida

Questo particolare, che proprio di particolare non si tratta, non va sottovalutato. La capacità di guidare la bici è fondamentale per emergere dai tratti difficili e dalle situazioni che si vengono a creare

«Mi viene in mente Dario Pieri – dice Ballan – lui aveva una capacità di guidare sul pavé incredibile. Come lui ne ho visti pochi: Franco Ballerini, Tafi, Museeuw, Boonen. Sono corridori che riuscivano a galleggiare.

«C’è un’aneddoto su Lefevere, ai tempi di quando correvo io. Ad ogni Roubaix si metteva sul terzo tratto di pavé e guardava i primi quaranta corridori uscire. A seconda del movimento delle spalle e delle braccia riusciva a capire quali erano corridori che stavano bene e che fossero in grado di fare la differenza nel finale. Questo per far capire che è uno stile».

«Un altro dettaglio: ho sempre visto che chi arriva da altre discipline, che sia pista, BMX, ciclocross o mtb, ha un’altra capacità di guidare la bici. Quando c’è una caduta riescono a gestire la bici in maniera diversa rispetto a chi, come il sottoscritto, ha solo corso su strada. Hanno coraggio ed una dimestichezza diversa, Van Der Poel e Van Aert sono un esempio».

Ballan Varese 2008
L’anno successivo a Varese vinse il mondiale, è l’ultimo italiano ad aver indossato la maglia iridata
Ballan Varese 2008
L’anno successivo a Varese vinse il mondiale, è l’ultimo italiano ad aver indossato la maglia iridata

Quanto conta la mente

In corse del genere la testa fa tanto la differenza, la mente gioca un ruolo chiave tra la vittoria e la sconfitta. 

«E’ vero – afferma Ballan – quando alle prime partecipazioni prendi le batoste non devi arrenderti. Questa è già una prima selezione, ci sono corridori che dopo la prima Roubaix o il primo Fiandre, gettano la spugna. Io ho fatto l’ultima parte della mia carriera coinvolto nell’indagine (Lampre, ndr) che mi ha tenuto in ballo per sei anni. Da dopo Varese mentalmente parlando non ero libero, il mio pensiero era costantemente occupato da tribunale, avvocato… Non ho potuto fare gli ultimi anni della mia carriera come avrei voluto, Ballan c’era ma non era a posto con la testa».

«Dopo essere stato assolto, feci una dichiarazione nella quale dissi: “Mi basterebbe avere indietro le ore di sonno che ho perso in questi sei anni”. Io capisco Pantani, perché mi sono trovato nella stessa situazione. Per fortuna ero già sposato, avevo le bambine e dei punti fissi sui quali andare avanti. Se in quel momento avessi trovato una qualsiasi cosa che non mi avesse fatto pensare ai miei problemi l’avrei presa. La mia famiglia mi ha salvato».

Gilbert gregario a Tokyo? Le voci dal ritiro…

14.01.2021
4 min
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Con il traguardo dei 39 anni nel mirino, Gilbert è ripartito anche stavolta dal ritiro della Lotto Soudal. Le risposte delle gambe sono soddisfacenti e anche se il dolore al ginocchio è ben lontano dall’essere sparito, il belga può guardare con una certa fiducia all’inizio della stagione, con due insidie davanti al manubrio. Prima, il Covid che mette a rischio la ripresa. E poi l’assalto dei giovani, dato che Evenepoel potrebbe essere suo figlio.

«L’incidente è stato più complesso di quel che si pensava – dice Gilbert – ed è questo il motivo per cui è stato difficile tornare a un buon livello. Ma ora è tutto chiaro, compreso il fatto che posso spingere forte verso i miei obiettivi. Dovrei ricominciare all’Etoile de Besseges, col grosso rischio che la cancellino come è successo a Mallorca. Speriamo di non avere brutte notizie nei prossimi giorni».

Thomas De Gendt con i suoi 34 anni è uno dei senatori del team
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Quanto incide il Covid nella voglia di correre?

Quella c’è sempre, ce l’ho cucita addosso. Ogni giorno esco ad allenarmi e penso alla Sanremo. E’ il mio sogno, se riuscissi a centrarla sarebbe la grade conquista della mia carriera. Però tutti vorremmo che si tornasse al vero contatto col pubblico. Quando fai uno sport così, vuoi che ci sia attorno la gente. Senza, è uno sport diverso. Speriamo che tutto questo passi alla svelta, perché è dura per tutti e per tutti i lavori. E’ singolare accorgersi che abbiamo imparato a conviverci, ormai si fa tutto in videoconferenza…

Quanto incide il Covid in questo presunto cambio di generazione?

Non ci credo poi molto. Ricordo che nel 2017 le classiche furono vinte da corridori con più di 30 anni. Non è troppo sicuro che quest’anno vinceranno ancora i ragazzini, anche se nel 2020 sono stati impressionanti.

Non sempre il sole, così Degenkolb si rifugia sui rulli
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Tutti parlano di Olimpiadi, Gilbert cosa dice?

Io non ci ho proprio pensato, farò le cose passo dopo passo. Non mi metterò a parlare delle Olimpiadi prima di aver iniziato la stagione. Si corre in cinque, quindi ad ora direi che devono andare Evenepoel e Van Aert come capitani con tre aiutanti. Se fossi il selezionatore penserei così. Io fra gli aiutanti? Vedremo…

Cosa sai del mondiale nelle Fiandre?

Sarà duro, sempre in salita. Una sorta di Amstel, con un milione di curve. Un percorso molto tecnico. Per il Belgio sarà una bella ripartenza, per la quale dovremo essere molto professionali.

Credi che con Van Aert e Van der Poel in giro, le classiche siano ormai proibite?

Quei due sono sorprendenti per come passano da una disciplina e l’altra, ma secondo me a breve dovranno decidere da che parte stare, se non altro per un fatto di recupero. Non so quanto a lungo potranno reggere una simile intensità.

Si esce anche sotto l’acqua, ecco De Gendt e Van Meer
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Qualcuno li paragona a Cancellara.

Non scherziamo, Cancellara ha fatto cose di un altro pianeta. Ha vinto il Giro di Svizzera, ha vinto i mondiali crono. Ha vinto tutte le classiche del pavé e anche la Sanremo. Li vedo semmai più vicini a Sagan. Noi pensiamo sia normale quello che fa Peter, perché ci siamo abituati, ma è ugualmente impressionante.

Cosa pensa Gilbert di Evenepoel?

Le sue attitudini non le conosciamo noi e forse nemmeno lui. Si parla di grandi Giro, ma come reagirà sopra i 2.000 metri, nella terza settimana, quando si deciderà la classifica? Quelli capaci di vincere le classifiche spingono molti watt in situazioni limite. Se le salite fossero fino a quota 1.500, direi che sicuramente è pronto per vincere. Di Remco si può dire che è impressionante soprattutto mentalmente.

Come procede il ritiro?

Siamo divisi in gruppi di nove, come già a dicembre. Diciamo che è un modo di lavorare più efficiente, perché puoi parlare con tutti, anche a tavola. E’ molto più semplice che relazionarsi con 25 persone, com’era una volta quando le squadre erano più piccole…

Ehi Conca, Oldani ha qualcosa da dirti

17.11.2020
3 min
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Presto Filippo Conca raggiungerà Stefano Oldani alla Lotto Soudal. Entrambi classe 1998, saranno gli unici due italiani in questa storica squadra belga. E correre all’estero, si sa, per noi italiani non è mai facile, specialmente a 22 anni. 

Un po’ di esperienza però Oldani l’ha messa nel sacco. Ed è pronto a metterla a disposizione di Conca.

Un anno in Lotto, qual è stata la prima difficoltà?

La lingua. Non è stato facilissimo all’inizio. Era da un po’ che non parlavo inglese. Alla Kometa-Xstra Cycling comunicavamo soprattutto in spagnolo. Però devo dire che l’ho ripreso abbastanza velocemente. Ho visto che Conca ha qualche difficoltà, ma non se ne deve fare un problema.

Oldani al Giro d’Italia
Oldani al Giro d’Italia
Che ambiente hai trovato tu e che troverà Filippo?

Ai giovani soprattutto non mettono pressione. E’ un ambiente che mi è subito piaciuto molto. Alla Lotto, ma da quel che vedo anche in altri team stranieri, vivono le cose con più tranquillità. Spesso in Italia si parla troppo, si parla in tanti, alla Lotto si parla il giusto. A volte anche i corridori si lamentano delle tattiche, qui non succede. Meno parole, più fatti. Non sono mai stato infelice di essere l’unico italiano.

Vista così, ti immaginiamo con la valigia in mano che suoni al campanello della Lotto: “Ciao sono Oldani, corro con voi!”. E’ andata così?

Ah, ah, ah… Avevo un po’ d’ansia la prima volta. A me piace interagire, imparare e mi dava fastidio quando parlavano e non capivo. Ma una volta ripresa la padronanza della lingua, mi sono sbloccato ed è ritornato forte l’entusiasmo. Pedalavo e avevo Gilbert, Degenkolb o Ewan a fianco, magari sovra pensiero mi ritrovavo a sorridere da solo.

Quanto sei cresciuto quest’anno?

Ho fatto delle belle esperienze, anche se compresse in pochi mesi alla fine. Ho debuttato alla Strade Bianche ed è stato un po’ traumatico, poi il Giro e già questo mi ha fatto crescere molto.

Ma è vero che in Belgio i corridori delle loro squadre sono un po’ come i calciatori da noi?

Anche io chiedevo di questa cosa e per quel poco che ho visto nel ritiro che facemmo a dicembre scorso posso dire che nelle Fiandre può anche starci, ma in Vallonia… molto meno.

Avete bici Ridley, Helium e Noah: tu quale hai scelto? E quale consiglieresti a Conca?

Belle bici! Ne abbiamo quattro. Io ho scelto tre Helium e una Noah. Quest’ultima è il modello aerodinamico di Ridley. L’ho usata nella prima tappa della Tirreno. Però mi trovo meglio con la Helium: è più leggera e poi la sento anche più pronta. Per quanto riguarda Filippo, la sera dell’ultima tappa del Giro è venuto a ritirare la bici e ho visto che ha scelto una Helium. Il che ci sta visto che è uno scalatore.

Filippo Conca al Giro U23, chiuso al 5° posto
Filippo Conca al Giro U23, chiuso al 5° posto
Tu e Conca già vi conoscete, giusto?

Sì, eravamo compagni di camera al Tour de l’Avenir l’anno scorso.

E come lo vedi, teso?

Nella prima videoconferenza che abbiamo fatto era “tesuccio”, ma in confronto a me è già sciolto!

Ricapitolando che consigli gli daresti?

Di stare tranquillo perché è un ambiente… tranquillo. Di curare l’inglese e soprattutto di farsi trovare pronto. Perché il livello del WorldTour è incredibile. Sento di giovanissimi e juniores che vogliono passare subito, ma non è semplice “sopravvivere”. Filippo deve allenarsi al meglio e prepararsi anche mentalmente a prendere delle legnate. Io per esempio alla Tirreno che non ero in forma ho sofferto tantissimo, per fortuna al Giro è andata meglio.

Tim Wellens, Sabinanigo, Vuelta 2020

Wellens che colpo, Roglic che testa

24.10.2020
2 min
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La quinta tappa della Vuelta ha riservato ancora una volta una corsa scoppiettante. E ancora una volta gli uomini di classifica sono stati protagonisti. Tim Wellens per il traguardo di giornata, Primoz Roglic per la generale.

Si andava da Huesca a Sabinanigo: 184 chilometri nel Nord della penisola iberica, proprio a ridosso dei Pirenei. Nel finale tre salite hanno movimentato la tappa.

E bravo Wellens

A 70 dall’arrivo va via la fuga buona. Dentro c’è un volpone come Tim Wellens della Lotto che non si lascia sfuggire l’occasione, tanto più con due “giovani” come Guillame Martin (il “filosofo del gruppo) e Thymen Arensman. E dire che prima della fuga buona ci aveva provato anche il nostro Mattia Cattaneo, che però essendo in classifica non ha avuto spazio.

In vista dell’ultimo chilometro finale, con pendenze superiori al 10 per cento, il gruppo dei migliori aumenta, aumenta e di nuovo è battaglia. E guarda caso Roglic mette tutti in fila.

Primoz Roglic, Sabinanigo, Vuelta 2020
Primoz Roglic, sorridente verso Sabinanigo
Primoz Roglic, Sabinanigo, Vuelta 2020
Primoz Roglic, sorridente verso Sabinanigo

Costanza di rendimento

Quello che spicca è la continuità di rendimento di Primoz Roglic. Lo sloveno della Jumbo Visma è ancora al top. Il Tour, il mondiale, le classiche: per ora non sembra cedere di un millimetro.

Probabilmente perché sta correndo con una certa freschezza mentale, visto che non era in programma. La partecipazione alla corsa spagnola l’ha chiesta lui stessa. Dopo la Liegi, Roglic ha deciso di buttarsi nella mischia. Una decina di giorni di riposo a casa, a Monaco, con la famiglia gli sono bastati per riprendersi.

Era il campione uscente e non voleva mancare. Tuttavia è consapevole dei suoi limiti. Sa che probabilmente non terrà questa gamba fino alla fine. E non a caso il suo obiettivo era quello di vincere la prima tappa. Obiettivo centrato.

Forza mentale

La vera perla Roglic l’ha compiuta partecipando al mondiale. Nella condizione mentale con cui usciva dal Tour non era facile. Una sconfitta come quella subita da Pogacar non si digerisce in poco tempo. Se avesse mollato (e ci stava) avrebbe chiuso la stagione. Invece ha tenuto duro. Il suo mondiale gli è piaciuto. Ad Imola ha ripreso vigore per la Liegi a tal punto di decidere di saltare la Freccia e puntare tutto sulla Doyenne. Altro obiettivo raggiunto e la fiducia che torna a crescere.

Oggi sul duro strappo finale le ha suonate a tutti. Anche a Daniel Martin che ieri invece aveva “osato” arrivargli davanti. Il più temibile sembra essere Richard Carapaz. L’ecuadoriano della Ineos-Grenadiers, oggi dietro di 2”, ha preparato in modo specifico la Vuelta e tra tutti sembra quello più corazzato. Ma per adesso l’ex saltatore con gli sci è sempre più in roja.