Alé rinnova la partnership con la UCI Track Champions League

29.11.2024
3 min
Salva

Alé ha confermato la propria collaborazione con la UCI Track Champions League anche per la stagione 2024, consolidando il suo ruolo di partner ufficiale di uno degli eventi più prestigiosi del ciclismo su pista.

L’azienda, celebre per i suoi capi di abbigliamento tecnico di altissima qualità, è dunque nuovamente il fornitore esclusivo delle livree della quarta edizione, realizzando quasi 300 body rigorosamente su misura per i migliori atleti su pista del mondo. La competizione si articola in cinque round: alla prima prova già disputata, e svoltasi al Vélodrome National di Saint-Quentin-en-Yvelines (Francia), seguiranno due appuntamenti consecutivi all’Omnisport di Apeldoorn (Paesi Bassi), il 29 e 30 novembre, per poi celebrare il gran finale al Lee Valley VeloPark di Londra il 6 e 7 dicembre.

I body progettati da Alé combinano tecnologie tessili avanzate e materiali d’eccellenza per ottimizzare le prestazioni degli atleti. Il corpetto, realizzato in Superior Endurance, garantisce compressione, traspirabilità e resistenza, mentre le maniche in Channel Flow migliorano l’aerodinamica riducendo l’attrito. I pantaloncini in Lycra Power Zaffiro offrono elasticità, rapida asciugatura e compressione muscolare, confermando l’attenzione del marchio ai dettagli tecnici e alle esigenze degli sportivi. Le grafiche dei body celebrano invece la diversità internazionale dell’evento, con motivi ispirati ai ventisette Paesi rappresentati, oltre al logo della UCI Track Champions League e agli spazi dedicati agli sponsor personali degli atleti.

Il feedback della pista

«Questa partnership – ha dichiarato Alessia Piccolo, CEO di APG, azienda madre di Alé – rappresenta un’importante occasione per mettere la nostra lunga esperienza nel settore tessile al servizio di grandi professionisti del ciclismo. La possibilità di ricevere feedback direttamente dagli atleti migliori al mondo ci permette di perfezionare costantemente i nostri prodotti, garantendo prestazioni sempre migliori. Con questa collaborazione, Alé non solo consolida la propria presenza nell’élite del ciclismo internazionale, ma ribadisce anche il proprio impegno verso l’innovazione e l’eccellenza qualitativa, valori che da sempre contraddistinguono la nostra azienda e i nostri capi tecnici».

Le tappe dell’UCI Track Champions League saranno cinque
Le tappe dell’UCI Track Champions League saranno cinque

«La UCI Track Champions League – ha sottolineato a sua volta Chris Ball, vicepresidente degli eventi ciclistici di Warner Bros. Discovery Sports Europe – è l’apice del ciclismo su pista, un evento che celebra i più alti livelli di competizione e talento. I body all’avanguardia sviluppati da Alé non solo migliorano le prestazioni degli atleti, ma rappresentano anche un tributo alla diversità culturale dei partecipanti, che arricchisce ulteriormente questa manifestazione. Grazie a questa collaborazione, l’evento diventa ancora più speciale, unendo tecnologia, cultura e sport in un’esperienza unica e indimenticabile».

Alé Cycling

Tra sfogo e bilancio, la Champions di Francesca Selva

08.11.2023
6 min
Salva

Un malinconico post su Instagram, con cui Francesca Selva ha voluto fare il punto sulla sua partecipazione alla Champions League della pista. Le attese erano tante, l’ambizione non si è certo fermata davanti alla consapevolezza di una preparazione messa insieme frettolosamente nelle ultime settimane. E così all’orgoglio di farne parte si è sovrapposto un velo di sfiducia, nato più che altro dalla pressione psicologica. Allora per metterla un po’ sul leggero, strapparle un sorriso e in attesa di seguirla di persona nelle ultime due serate di Londra, abbiamo aggiunto Francesca a casa, un paio di giorni prima dell’ultima valigia.

Questa la foto utilizzata da Francesca Selva su Instagram per raccontareil suo stato d’animo (foto SWpix.com)
Questa la foto utilizzata da Francesca Selva su Instagram per raccontareil suo stato d’animo (foto SWpix.com)
Insomma, cos’era quel post?

A me piace scrivere, analizzare. E’ stato come fare un bilancio, concedersi uno sfogo. Sto facendo fatica e c’è stata anche un po’ di sfortuna. Nella prima tappa ho bucato e stavo bene. Nella seconda tappa, ho avuto una giornata no. Stavo male, non mi sarei neppure alzata dal letto. La settimana scorsa tutto sommato stavo abbastanza bene, non ho avuto problemi. Però ho fatto una serie di movimenti sbagliati in gruppo, ero spesso nella posizione sbagliata. E quindi, a causa di questi errori tecnici, anche se stavo bene il risultato che si può essere percepito dall’esterno non esprime quel che mi sento. Ho un po’ di amaro in bocca, mi dispiace perché vorrei riuscire a raccogliere tutto quello che posso. Chiaramente non è facile e probabilmente sto pagando il fatto di non aver mai gareggiato a livelli così alti. Non ho mai partecipato a europei o mondiali. Quindi la gestione della grandezza dell’evento mi pesa.

Ci sei arrivata anche senza una grande preparazione, no?

Esatto, infatti inizialmente ero già felice di essere là. Quando poi ci sono arrivata, ho scoperto che non mi bastava più. Questo è il succo della faccenda.

Le gare sono tiratissime, servono gambe ed esperienza per gestirsi al meglio (foto SWpix.com)
Le gare sono tiratissime, servono gambe ed esperienza per gestirsi al meglio (foto SWpix.com)
Non hai fatto mondiali, però sei stata due volte in Nations Cup, quindi un po’ di alto livello l’hai visto. Quali sono le differenze?

E’ la grandezza dell’evento, anche se non sono un’atleta che si agita prima delle gare. In Nations Cup si corre con la maglia azzurra e quello un po’ di peso sulle spalle lo mette. La prima volta ho corso con Matilde Vitillo e sapevamo che comunque era impossibile correre per una medaglia, per cui abbiamo cercato di fare il massimo. Lei è giovane, doveva fare esperienza, io dovevo portarle un po’ della mia nella madison. Quindi è stato più un passaggio di crescita per lei e l’ho vissuta tranquilla, senza pressioni. L’anno scorso a Cali correvo con Letizia Paternoster, quindi ero un po’ più agitata, perché sapevo di essere la pedina debole della coppia e avrei dovuto sputare sangue per vincere la medaglia che poi abbiamo preso. Però il livello era oggettivamente molto più basso, non c’è nessun paragone.

La Champions è così tirata?

Io non ho mai corso gare di questa portata. Il livello delle atlete è alto e le gare sono velocissime. Si va forte, si va tanto forte. E’ un altro mondo, proprio un modo di correre completamente diverso. E poi col fatto che è un format televisivo, tutti vogliono farsi vedere e cercano di dare il meglio. Quindi vengono fuori delle gare veramente tiratissime. Anche nella corsa a punti che facciamo al pomeriggio, che non serve assolutamente a niente, si scannano come se fosse veramente il campionato del mondo.

Francesca Selva divide le trasferte con Miriam Vece, impegnata nelle gare veloci (foto SWpix.com)
Francesca Selva divide le trasferte con Miriam Vece, impegnata nelle gare veloci (foto SWpix.com)
Come mai secondo te?

Si sente tanto la grandezza dell’evento. In un mondiale sai che ti stai giocando la maglia iridata, qua è diverso. L’atmosfera che c’è in pista ti fa sentire che sei al centro di una cosa enorme. Hai tutti gli occhi addosso e ti dici che non devi fare brutta figura, perché il mondo sta guardando.

Possiamo dire che hai cominciato dall’Università, senza passare dalla materna?

Diciamo di sì. A livello di esperienze, sono ancora una bambina. Sono entrata in nazionale a 23 anni, che è una cosa abbastanza fuori dagli schemi. Quindi chiaramente dalla parte della gestione emotiva mi manca ancora qualcosa. In più mettiamoci che è tutto molto frenetico. Arrivi il giorno prima. Monti le bici. Corri. Smonti le bici. Parti di nuovo. Vai a casa e fai tutto da sola. A me non pesa particolarmente, perché sono abituata a viaggiare così durante l’anno. Però chiaramente quando sei a quel livello, con gli inglesi che magari sono in 12 e hanno con loro lo staff della nazionale, le differenze si vedono. Intendiamoci, non credo che a me possa fare la differenza, se non un paio di posizioni. Non stiamo dicendo che potrei vincere.

Lo consideriamo un punto di partenza?

Prima di partire ero contenta di essere lì, mentre adesso effettivamente mi scontro col mio essere una persona competitiva. Quindi non mi basta semplicemente partecipare. Voglio giocarmela, però onestamente non potevo aspettarmi chissà cosa da me stessa. Quando sei lì, vuoi ottenere sempre di più. Anche io ho scritto che è un punto di partenza, invece la mia nutrizionista mi ha risposto che non è molto d’accordo. Secondo lei non è un punto di partenza, nel senso che io qua ci sono arrivata con un percorso ben duro e difficile e l’ho affrontato da sola. Quindi secondo lei, è un bel traguardo che ho raggiunto.

E tu cosa ne pensi?

Per me è il modo di realizzare quanto devo ancora lavorare, quanto voglio lavorare per arrivare lì, non solo per esserci. Spero che anche questo inverno io possa allenarmi ancora con la nazionale. Mi sono sentita con Marco Villa e Diego Bragato che stanno facendo i piani e ho chiesto di poter lavorare con loro. Ancora non sono pronta per giocarmi una vittoria a questo livello, però ci voglio arrivare. E farò tutto quello che serve.

Il fatto di essere sempre in diretta tivù fa sì che le gare siano sempre molto combattute
Il fatto di essere sempre in diretta tivù fa sì che le gare siano sempre molto combattute
Manca l’ultimo turno di questa Champions. Come quale spirito andrai a Londra?

Voglio provare a tirar fuori qualcosa di più, l’unica cosa che mi chiedo è di non pensarci. A questo punto non ho niente da perdere, quindi meglio fare ultima avendoci provato, piuttosto che restare per tutto il tempo a ruota. A Londra proverò a viverla un po’ più serenamente, senza pensare a dove sono e cosa sto facendo. La prenderò come una gara normale e la gestirò come faccio di solito. Alla fine devo essere contenta di essere lì e devo cercare di trarne il meglio, quindi proverò a divertirmi e basta. Il fatto che ci sia Miriam Vece con me è una fortuna e mi aiuta. La settimana scorsa ha fatto una volata che mi ha esaltato e quando sono salita nell’eliminazione, anche se stavo male, avevo voglia di spaccare il mondo. Insomma, siamo solo in due ed è sempre bello avere una compagna di nazionale che un po’ ti capisce. Ci stiamo divertendo tanto, al di là dell’aspetto delle gare.

MB Wear al Cycle Show di Londra: obiettivo centrato!

28.04.2022
3 min
Salva

Si è concluso da appena qualche giorno il consueto appuntamento con il Cycle Show. Un evento-spettacolo bellissimo, 100% dedicato alla bici in tutte le sue declinazioni, andato in scena dal 21 al 23 aprile scorso nella straordinaria cornice londinese dell’Alexandra Palace. Presente, in qualità di azienda espositrice, non è mancata MB Wear: la realtà veneta operativa nel settore della produzione di abbigliamento per il ciclismo, fondata e coordinata da due ex corridori professionisti: Tiziano Dall’Antonia e Marco Bandiera (in apertura con Tom Boonen, con cui ha corso alla Quick Step).

Ritorno alle origini

L’edizione del Cycle Show di quest’anno ha segnato un passaggio importante, ovvero quello del ritorno dell’evento, dopo 10 anni di svolgimento al NEC, nel cuore di Londra. Inoltre, notevole successo ha riscosso anche l’avvio del nuovo London eBike Festival powered by Shimano Steps, organizzato proprio in concomitanza con l’evento londinese. The Cycle Show combina esibizioni al coperto e spettacoli teatrali con alcuni dei più grandi nomi del ciclismo mondiale. Inoltre, molta importanza è rivolta alla possibilità di effettuare test prodotto nelle aree appositamente organizzate attorno alla location espositiva, rappresentata dal parco dell’Alexandra Palace… turisticamente famoso anche per offrire una delle migliori vedute sullo “skyline” di Londra!

«Essere presenti al Cycle Show di Londra – ci ha confidato Tiziano Dall’Antonia – ha rappresentato per noi un passaggio particolarmente importante. Abbiamo difatti sviluppato una collezione molto ricca, sia per quanto riguarda l’estivo, il Gravel, ma anche per quello che poi sarà l’invernale 2022/2023 che andremo a presentare in occasione della fiera Eurobike quest’anno in programma a Francoforte a metà luglio».

Il Cycle Show di Londra ha rappresentato una tappa molto importante per la presentazione di nuovi prodotti
Il Cycle Show di Londra ha rappresentato una tappa molto importante per la presentazione di nuovi prodotti
Sarete dunque anche in Germania: grande attenzione ai mercati stranieri, ci pare d’intendere…

Proprio così. In MB Wear abbiamo voluto trasferire la nostra esperienza decennale nel mondo del ciclismo professionistico. Pensiamo che questo rappresenti un vero e proprio punto di forza del brand, unitamente al suo stile e alla sua personalità. MB Wear è un marchio nato con l’obiettivo di fornire un prodotto sportivo caratterizzato da materie prime di altissima qualità in grado di garantire comfort, resistenza e durevolezza nel tempo. Quando le prestazioni sono elevate, sono i dettagli a fare la differenza. E’ proprio questo il motto, la linea guida che ci motiva ogni giorno. E non vediamo davvero l’ora di far conoscere sempre più i nostri prodotti, e la nostra filosofia, anche sui mercati esteri.

MBWear

La ricetta per la velocità azzurra? L’abbiamo chiesta a Hoy

10.04.2022
4 min
Salva

Di velocità lui se ne intende. In pista, Sir Chris Hoy ci ha costruito una carriera infinita, tanto da diventare baronetto di Sua Maestà nel 2009. Addirittura nel 2014, una volta sceso dalla bici solo da un anno, ha proseguito con l’adrenalina correndo sulle auto Gran Turismo.

Ora, tra le tante sue attività, il 46enne di Edimburgo è ambassador della UCI Track Champions League, creatura di Discovery Sports Events ed andata in scena a novembre e dicembre scorsi tra Palma di Maiorca, Panevezys (Lituania) e Londra. Proprio nella capitale del Regno Unito, il 30 marzo, è andata in scena l’anteprima di “Back on Track”, documentario di cinque episodi che racconta il dietro le quinte di questa innovativa manifestazione.

Nel piccolo e grazioso anfiteatro del piano sotterraneo del Soho Hotel c’eravamo anche noi. Al termine delle proiezioni possiamo scambiare qualche chiacchiera con Sir Chris Hoy, ancora in grande forma. Ha vinto sei ori olimpici, undici titoli mondiali e il velodromo di Glasgow è intitolato a lui, ma si presta a foto ed autografi senza mettere in soggezione il suo interlocutore.

I miti di Hoy

Hoy parla di molte cose però cosa penserà della pista italiana? Uno come lui potrebbe avere le tavole dei dieci comandamenti da cui prendere spunto per rilanciare la velocità azzurra?

«Non so se ho la ricetta giusta – ci risponde lo sprinter che ha partecipato a quattro Olimpiadi, da Sydney 2000 a Londra 2012 – ma so che a metà degli anni ’90 voi avevate gente come Roberto Chiappa e Federico Paris. Erano delle vere star. Noi britannici ci siamo ispirati a loro. D’altronde voi italiani negli anni ’50 avevate grandi pistard da imitare per proseguire con quella scuola. Per cui dovete trovare una persona che abbia tempi speciali ed attitudini mentali al successo. Se la troverete, quella persona farà in modo di avere e fare molto di più per la velocità».

Sir Chris Hoy ha partecipato a 4 Olimpiadi (6 ori e 1 argento) e 13 mondiali (11 ori, 8 argenti e 6 bronzi)
Sir Chris Hoy ha partecipato a 4 Olimpiadi (6 ori e 1 argento) e 13 mondiali (11 ori, 8 argenti e 6 bronzi)

Sguardo in avanti

Mentre parla sembra che riviva con un pizzico di emozione i suoi inizi influenzati dai nostri velocisti ma va vira subito su argomenti concreti.

«Servono anche investimenti – prosegue Hoy nella sua considerazione – perché per ogni sport c’è una parte di denaro da spendere. Quando hai un team che ottiene grandi successi, come adesso vi sta succedendo per Filippo Ganna ed il quartetto o nelle discipline endurance, è difficile giustificare una ulteriore spesa di soldi per qualche altra disciplina. Magari non investi nella velocità per paura di toglierli a loro, senza sapere se si otterranno risultati a breve termine. Invece si dovrebbe avere una visione più lungimirante. Non puoi pensare solo all’adesso e al risultato immediato. Devi investire, studiare un piano decennale con la consapevolezza di avere le tecnologie, le conoscenze, la storia. Sono tutte cose che voi possedete anche se attualmente non avete ancora nessun corridore pronto».

Chris Hoy
Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”
Chris Hoy
Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”

L’incoraggiamento finale

Se il ciclismo è stata la professione di Sir Chris Hoy, la pista è decisamente la sua comfort zone. Ogni sua osservazione può diventare un suggerimento. E mentre ci congediamo da lui, ecco che ci mostra un punto di partenza. La parte del bicchiere mezza piena.

«In Italia avete un grande potenziale in pista, compresa la velocità. Le ragazze sono cresciute tantissimo. Ad esempio con Miriam Vece, che ho visto all’opera durante la Champions League della pista (era una dei tre italiani presenti insieme a Silvia Zanardi e Michele Scartezzini, ndr), avete vinto una medaglia di bronzo ai mondiali di Berlino nel 2020. Ripeto, il potenziale ce lo avete, dovete solo sfruttarlo».

Vi ricordate di Carrara? Sempre biondo, sempre all’attacco

13.11.2021
4 min
Salva

I corridori sono come i diamanti: restano per sempre. Ecco perché uno come Matteo Carrara (pro’ dal 2001 al 2012) lo senti oggi a 42 e ti sembra che stia partendo per una grande corsa. Perché ha quella mentalità competitiva che non ha mai mollato, anche oggi che con la moglie Benedetta ha una società di interior design a Londra. La sua energia la incanala nel business, ma quando parla di ciclismo, al bergamasco di Alzano Lombardo si illumina la voce.

Da quando ha smesso, vive a Londra e si occupa di interior design (foto Instagram)
Da quando ha smesso, vive a Londra e si occupa di interior design (foto Instagram)
Matteo, di cosa ti occupi adesso?

Da fine 2015 con mia moglie gestiamo l’azienda The Interior’s Housee. Ci occupiamo di immobili, dalla ristrutturazione all’arredo, chiavi in mano. Lavoriamo in tutto il mondo con uno staff che ha un obiettivo primario: lavorare veloci. Siamo l’azienda che consegna più velocemente. Ci divertiamo. Abbiamo fatto una delle suite più costose al mondo, a Cala di Volpe (in Sardegna), ci siamo occupati dei primi appartamenti del Four Seasons di Londra e abbiamo uno show-room a Shanghai.

Come hai vissuto il ritiro dalle corse?

Non è stato facile. Quando sei corridore tutto gira attorno alla performance. Ora è diverso, bisogna correre comunque, ma quando hai fatto quella fatica, tutto il resto è molto più tranquillo.

Nel 2010 al secondo anno nella Vacansoleil, Carrara con Marcato e Ongarato
Nel 2010 al secondo anno nella Vacansoleil, Carrara con Marcato e Ongarato
Ti manca qualcosa della vita precedente?

Sì, l’adrenalina che si prova nel preparare una volata o nel dover stare tra i primi dieci all’attacco di una salita, non esiste da nessuna altra parte.

Consiglieresti ai tuoi figli di seguire le tue orme sui pedali?

Assolutamente sì, spero che qualcuno prenda quella strada perché il ciclismo ti forgia il carattere.

E tu, riesci ancora a fare qualche uscita?

Ho due bici molto belle sia a Bergamo che a Londra, ma ho poco tempo. Mi piacerebbe e mi manca, ma in questa fase do priorità alla famiglia (ho 5 figli) e al lavoro.

E il ciclismo lo segui?

Le corse importanti sì, mi diverto. Van der Poel è uno spettacolo, poi Pogacar, Roglic, Van Aert: finalmente i giovani vincono, a testimonianza del fatto che è un ciclismo più reale.

Cosa intendi per reale?

Che non esiste il doping. Chi è più forte, vince. Ai miei tempi non era così, era un periodo complicato, di transizione verso un ciclismo pulito. Basti pensare che appena passato pro’, facevo a testate con Voeckler per riuscire a finire il Giro: ultimi, eppure ero il giovane italiano più promettente.

Molti criticano il fatto che il ciclismo di oggi sia tutto watt… 

Non concordo. Con i programmi studiati a tavolino, gli atleti possono allenarsi senza logorare il proprio corpo. Penso a come mi allenavo io in salita. Non ero scalatore puro, ma volevo arrivare in cima sempre per primo, massacrandomi. Non erano metodi giusti.

La corsa a cui tieni di più?

Sicuramente il Giro di Lussemburgo 2010. Vinsi su Armstrong e Frank Schleck. Si correva nel periodo in cui solitamente andavo più forte.

A Londra con la famiglia. Da sinistra: Jan, Olivia, la moglie Benedetta, Romeo e Brando. Manca Siena Rose, nata 3 mesi fa (foto Instagram)
A Londra con la famiglia. Da sinistra: Jan, Olivia, la moglie Benedetta, Romeo e Brando. Manca Siena Rose, nata tre mesi fa (foto Instagram
Recentemente abbiamo parlato con Thomas De Gendt di quando, alla Vacansoleil, rischiaste di vincere il Giro…

Ho rivisto recentemente quella tappa: pazzesco cosa abbiamo fatto, alla tv non si riesce ad apprezzare. Tirai Thomas sul Mortirolo nell’ultimo chilometro, poi scollinammo. Lui diceva: «Sei matto, fermati, non me la sento!», ma lo convinsi. In discesa, che non conoscevo, avevamo davanti una moto che guidava divinamente. La tenevo a 150 metri e pennellavamo le curve. Poi sputai l’anima lungo tutto il fondovalle, fino all’attacco dello Stelvio. Rischiammo di far saltare il banco. Era il mio modo di correre ed è sempre stato il mio modo di vivere: imprevedibile, all’attacco, divertendomi.

Tao Geoghegan Hart, Ineos Grenadiers, Giro d'Italia 2020

Una F12 tutta rosa sulla porta del “rosso”

08.11.2020
3 min
Salva

A un certo punto durante la domenica del rosso Tao Geoghegan Hart, qualcuno suonerà alla sua porta e il vincitore del Giro d’Italia si troverà davanti una grossa scatola o la bicicletta già montata: non sappiamo esattamente come si svolgerà la consegna. Ma siccome la suo trionfo mancava soltanto lei, oggi il vincitore di Milano riceverà la sua F12 rosa, firmata con l’inconfondibile sigla CCCCNCI di Fausto Pinarello. Chi c’è c’è, chi non c’è insegue. Il guaio infatti è che il Giro è finito con una crono e Tao non ha potuto sfilare in rosa, come già fece Froome a Roma nel 2018 e come usano fare i vincitori dei grandi Giri, a prescindere dalla marca della bici, nella passeralla finale. Ricordate la storia di quella gialla preparata per Pogacar a fine Tour?

Pinarello risponde dall’azienda, dove gli operai hanno finito di lavorare da poco e non resta che spegnere le luci e chiudere il cancello.

Pinarello rosa, Chris Froome, Giro d'Italia 2018
La Pinarello rosa, di Chris Froome per la vittoria al Giro d’Italia 2018
Pinarello rosa, Chris Froome, Giro d'Italia 2018
La Pinarello rosa di Froome nel 2018
Fausto, perché questa sorpresa a Giro concluso?

Perché è il mio mestiere e perché non c’era il tempo e l’occasione di dargliela a Milano. Servono sei o sette ore di lavoro, così l’abbiamo fatta il giorno dopo e poi abbiamo pensato al modo di fargliela avere.

Perché non portargliela di persona?

Ci avevo pensato, ma non si può per il Covid. O meglio, sarei potuto andare, ma poi avrei dovuto fare la quarantena e non mi sembrava il caso. Così l’abbiamo fatta arrivare in Belgio, dove il team Ineos-Grenadiers ha il servizio corse. E da lì un loro mezzo la sta portando a Londra. Lui ovviamente non sa niente.

Hai una foto?

Ce l’hanno quelli del marketing. E poi non si può spoilerare tutto…

Corretto. Un regalo meritato?

E’ un bravo ragazzo. Avete presente quelli abituati a vincere sin da giovani, coi soldi e la macchina veloce? Lui è l’esatto contrario. E poi è rosso e i rossi hanno il loro carattere. Sembra un vecchiaccio esperto, nonostante abbia 25 anni, che se ne sta spesso per i fatti suoi.

Più Wiggins che Froome?

Esattamente, ma anche Chris non è un cattivo ragazzo. Però diciamo che quella “fucking bottle”, la fottuta borraccia su cui è caduto Thomas, ha aperto la strada a un Giro tutto nuovo per loro. E devono dire grazie anche a Tosatto.

Perché?

Perché ha preso in mano la situazione e ha detto: «Adesso attacchiamo!». E anche quando a cinque giorni dalla fine mi ha chiamato e mi ha detto che puntavano al podio, gli ho risposto: «Col cavolo! Puntate a vincere, altrimenti meglio se restate quarti. Oppure io vi tolgo le bici!».

Fausto Pinarello, Tao Geoghegan Hart, Matteo Tosatto, Ineos Grenadiers, Giro d'Italia 2020
Fausto Pinarello, Tao Geoghegan Hart e Matteo Tosatto sul podio di Milano
Fausto Pinarello, Tao Geoghegan Hart, Matteo Tosatto, Ineos Grenadiers, Giro d'Italia 2020
Pinarello, Geoghegan Hart e Tosatto a Milano

L’orgoglio veneto affiora potente e motivato. Non era mai successo di avere sull’ammiraglia del colosso britannico un tecnico che parlasse il suo dialetto. E mentre si aspetta che Tao riceva la sua sorpresa rosa, andiamo avanti con il discorso.

Hanno vinto da simpatici.

Non sono mai stati prepotenti, come gli veniva rimproverato. Anche la Banesto aveva la sua guardia per Miguel, si fa così quando devi portare sulle montagne un capitano che non è scalatore. Se non hai Pantani, che di Pantani ce n’era uno solo. Eppure questa Ineos meno… “terminator” è piaciuta anche a Brailsford.

Ci fosse stato Thomas, anche Ganna non avrebbe avuto la libertà di vincere le tre crono, soprattutto quella di Valdobbiadene.

Dovevano provarci. A casa mia, Ganna quella crono la faceva per vincere. Semmai dovevano frenare Dennis e Tao, ma Pippo no. E posso dirla un’altra cosa?

Sei a casa tua, ci mancherebbe…

Al Tour, prima Colnago e seconda Bianchi. Al Giro, prima Pinarello. Alla Vuelta, prima Bianchi e seconda Pinarello. Sto parlando di biciclette italiane. Quando lavoriamo bene, siamo i numeri uno. E guarda caso sono tutte bici senza freni a disco. Sarà una coincidenza? Io non credo, ma lasciamo che lo pensino…