Ridley Omnium Fast: agile, scattante e veloce

15.02.2025
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Il campionato europeo su pista che si sta svolgendo in questi giorni a Zolder, in Belgio, ha messo in evidenza una grande novità tecnica per le discipline del parquet. Dal successo e dalla qualità del modello Arena Fast, Ridley ha colto l’occasione di presentare un nuovo modello: la Omnium Fast. Si tratta di una bicicletta da pista realizzata appositamente per le discipline di gruppo, come scratch, omnium, corsa a tempo, eliminazione e corsa a punti. La Omnium Fast è la nuova alleata del campione del mondo omnium Lindsay De Vylder

Le geometrie del nuovo modello di casa Ridley sono state studiate per soddisfare le esigenze degli atleti che si cimentano nelle gare omnium. Queste sono discipline nelle quali è importante combinare velocità e agilità in gruppo. L’atleta deve essere sempre pronto a cambi di ritmo e accelerazioni improvvise, per questo la geometria del telaio della Omnium Fast è pensata per reagire rapidamente a ogni movimento improvviso. 

La Ridley Omnium Fast ha una geometria progettata per le discipline di gruppo
La Ridley Omnium Fast ha una geometria progettata per le discipline di gruppo

Sviluppo aerodinamico

Il nuovo modello disegnato da Ridley unisce l’efficienza di due modelli di punta: l’Arena Fast, la bici da pista precedente alla Omnium Fast, e la Dean Fast Disc, la versione da cronometro. Un’unione nata grazie alle nuove regole UCI del 2022 che permettono un rapporto maggiore tra lunghezza dei tubi e larghezza. In questo modo le aziende hanno potuto creare tubi più lunghi e stretti. Rispetto al modello precedente la Omnium Fast presenta un angolo sterzo più ripido che garantisce al ciclista la massima  manovrabilità e reattività in gruppo. 

Nella Omnium Fast la posizione in sella risulta più bassa e aerodinamica. Inoltre, nelle gare a inseguimento può essere montato il manubrio da cronometro, che si integra perfettamente nel telaio grazie a due incisioni presenti sul tubo orizzontale. 

Il telaio è un mix di conoscenze e studi tra il modello Arena Fast e la Dean Fast Disc
Il telaio è un mix di conoscenze e studi tra il modello Arena Fast e la Dean Fast Disc

Nuovo manubrio

Ridley ha lanciato anche un nuovo manubrio, con geometrie e dimensioni ottimizzate, sempre nel rispetto delle regole imposte dall’UCI. Una larghezza tra i punti esterni di 35 centimetri, il minimo consentito. La larghezza nella parte superiore è di 30 centimetri, mentre nei drop raggiunge i 33 centimetri. 

Il design del manubrio è stato realizzato inserendo delle appendici aggiuntive, in modo che l’atleta possa assumere una posizione ancor più aerodinamica. La scelta di un rivestimento ruvido migliora la presa, garantendo un perfetto equilibrio tra aerodinamica e controllo. Il manubrio è compatibile con attacchi manubrio di diametro 31,8 millimetri e si può utilizzare anche su altre bici da pista Ridley, come l’Arena Fast in versione sprint o l’Arena A.

Sul manubrio sono state aggiunte delle appendici per garantire la massima posizione aerodinamica
Sul manubrio sono state aggiunte delle appendici per garantire la massima posizione aerodinamica

Personalizzabile

La Omnium Fast, così come il modello precedente, è dotata di Flip Chips nella forcella che permettono di avere una personalizzazione completa del comportamento dello sterzo. Se i Flip Chips vengono posizionati tutti in avanti il trail si riduce e la bici risulta più reattiva. Al contrario se i Flip Chips sono messi indietro la guida diventa più stabile. Si tratta di una regolazione facile, che può essere effettuata anche dal ciclista stesso. 

Un altro elemento comune tra l’Arena Fast e l’Omnium Fast sono i dropout Future Proof, compatibili con tutti gli standard di assi in uso grazie all’utilizzo di componenti intercambiabili. Qualora in futuro dovessero emergere nuovi standard, il ciclista potrà facilmente adattare i singoli elementi. 

Prezzo al pubblico: 5.999 euro.

Ridley

De Vylder, è tutto vero: l’oro scaccia il fantasma di Parigi

27.10.2024
5 min
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Lindsay De Vylder non ha mai vinto una corsa su strada. Ha 29 anni e dopo le categorie giovanili nella Quick Step continental, ha indossato e non ha più dismesso la maglia del Team Flanders-Baloise. Eppure per lui la strada non è mai stato un obiettivo e tantomeno un cruccio. Questo perché il corridore belga di Wetteren, comune belga subito fuori Gand, ha sempre ribadito il fatto di essere un pistard. E forse per questo, quando ai mondiali di Ballerup ha conquistato la maglia iridata dell’omnium davanti a Consonni, è parso prima incredulo e poi è scoppiato in lacrime.

Gli ultimi mesi non erano stati facili per lui. Era andato alle Olimpiadi per una medaglia e ne era uscito con un malinconico undicesimo posto. Non si sa se per il carico mediatico crescente o altro, le ultime Olimpiadi sono state un boccone più faticoso del solito da masticare, mandare giù e poi digerire. Tutti, ma proprio tutti, hanno avuto un complicato periodo di decompressione. Per De Vylder è stato ancora più difficile perché vissuto con il senso di aver fallito.

«Quel giorno è andato tutto storto – ha raccontato dopo la vittoria iridata – nonostante mi fossi impegnato tanto per raggiungere l’obiettivo. Avevo persino lavorato con uno psicologo dello sport per gestire meglio lo stress. Ci si è messa anche l’allergia ai pollini di cui soffro sempre ad agosto, per la quale ho cercato per anni tutti i medici possibili. Ma non voglio trovare responsabilità al di fuori di me stesso. Ho fallito e, ancora una volta, la mia autostima ha subito una gigantesca ammaccatura. Ora quella fiducia l’ho recuperata».

La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto
La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto

Le grandi promesse

La pista, si diceva. Quasi tutti i protagonisti dei velodromi hanno una doppia vita: su strada e su pista. Alcuni riescono a brillare in entrambe, come Viviani, Ganna, Milan o Consonni. Come Morkov e anche Oliveira. Altri invece su strada si allenano e allenandosi mettono insieme anche una carriera da stradisti. De Vylder non lo ha mai contemplato ed è anche difficile capire come mai, dato che in Belgio la pista è importante, ma la strada è una religione. Per lui non è mai stato così, forse perché le vittorie da giovane in pista inducevano a sperare in una carriera differente.

Prima il titolo europeo dell’omnium juniores ad Anadia 2013. Poi quello della madison U23 nel 2017, ugualmente in Portogallo. Qualche successo in tappe della Nations’ Cup. L’argento della madison agli europei di Grenchen del 2023, ma tutto sommato il senso del nuovo talento in arrivo si è andato affievolendo con il passare degli anni. Nulla sembrava funzionare per come sembrava scritto. Tanto che dopo un po’ e sommando le varie osservazioni, si è diffusa la convinzione che il problema non siano mai state le sue gambe, quanto la testa. Era scritto che De Vylder avesse i mezzi per un mondiale, non era così scontato che riuscisse a gestire le attese. E questo a Parigi lo ha fatto sprofondare al punto più basso della carriera.

Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder
Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder

La svolta di Ballerup

A Ballerup qualcosa è cambiato. Nella prima parte dell’omnium, De Vylder è parso ancora esitante. Poi come in una lenta risalita, il belga è arrivato all’ultima corsa a punti con il morale, le gambe e la convinzione di poter riaprire e subito chiudere il discorso.

«Domenica ho corso anche la madison – ha raccontato – che era il mio obiettivo principale ed è arrivato l’argento. Sapevo che mi aspettava in fondo ai mondiali, così per l’omnium sono riuscito a non far salire troppo la tensione. L’obiettivo era un altro, prima si trattava di fare bene, ma senza il peso di troppe attese. E alla fine ha funzionato e con mia grande sorpresa, ce l’ho fatta. Ho iniziato la corsa a punti in una buona posizione di partenza, il quinto posto. Con molti corridori vicino a me e piccole differenze. Sapevo che era impossibile per il leader tenere d’occhio tutti. Quindi ho attaccato: il mio allenatore mi ha detto di provarci e gli ho dato ascolto. Ci credete che non osavo fidarmi del tabellone? Mi sorprendo di aver vinto e ci sono riuscito perché per una volta tanto ho avuto il coraggio di osare. Dopo Parigi, non avevo più fiducia in me stesso. Chiamatela paura di fallire, vergogna, tutto. Mi sentivo quasi in colpa perché avrei dovuto correre io questo omnium e avrei fallito di nuovo. Invece guardate come è andata a finire…».

La ferita guarita

Per questo ha abbracciato a lungo il cittì De Ketele e chissà che ora la sua carriera non abbia trovato la svolta in cui ha sempre sperato. Mentre lo speaker di Ballerup continuava a chiamare il suo nome, De Vylder continuava a guardarsi intorno incredulo, mentre nel box azzurro Consonni probabilmente avrebbe preferito che il suo risveglio non fosse venuto quel giorno. E’ una delle tante storie del ciclismo. Quelle da cui si capisce che le gambe contano, ma la vera differenza si fa con la testa.

«Naturalmente ho di nuovo fiducia in me stesso – dice – ma resta un peccato il modo in cui sono finite le Olimpiadi. Questo oro guarirà la mia ferita».