LIEGI (Belgio) – Le parole di Pidcock dopo la corsa sono la sintesi perfetta di quello che tutti abbiamo pensato vedendo Bernal scattare sulla Cote de la Roche aux Faucons: «E’ bello vederlo correre di nuovo in questo modo. Ha dovuto soffrire più di quanto io possa immaginare».
Il colombiano sta tornando. Ha ammesso di avere valori persino superiori a quelli che aveva prima dell’incidente, ma il ciclismo nel frattempo è andato avanti e la sua rincorsa non è terminata. Diciamo però che è ormai nella scia delle ammiraglie e il gruppo dei migliori, di cui fa parte per palmares e attitudini, è ormai in vista. Bernal ha 27 anni, ha vinto un Tour, un Giro e ogni genere di corse a tappe. L’incidente del 2022 poteva costargli la vita e invece lui la vita se la sta riprendendo, un gradino dopo l’altro.
Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla RedouteIl colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute
Lo abbiamo incontrato alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, il sorriso radioso come sempre e forse di più. L’attesa iniziava a montare e si capiva, per averlo visto bello pimpante già nelle prove sulla Redoute, che avrebbe fatto una bella corsa. Il risultato finale non rende merito alla sua corsa. Il ventunesimo posto è stato figlio dell’aiuto dato a Pidcock, arrivato decimo, dopo la vittoria all’Amstel Gold Race. Alla fine però era contento lo stesso. Ha ammesso che avrebbe voluto seguire Pogacar e non ce l’ha fatta. Però almeno stavolta l’ha visto da molto vicino.
Egan, sei felice?
Sì, molto felice.
C’è stato un giorno quest’anno in cui hai sentito che sta tornando il vero Egan?
Forse al Gran Camino, i primi giorni. Sentivo che avevo ancora la forza per godermi la corsa. In quel momento ho pensato che forse quest’anno sarei riuscito a fare un passo in più.
Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccareLe prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Che cosa manca, secondo te?
Uh, non so… Penso solo a continuare quello che ho fatto fino ad ora. Ho finito la scorsa stagione pensando che non sarei più riuscito a tornare al livello per stare davanti. Quest’anno invece sono più avanti dell’anno scorso, quindi penso che sto andando per un buon cammino. Sono fiducioso e per quest’anno spero di fare il mio meglio, pensando che il prossimo anno sarò nuovamente al mio livello migliore.
Come si spiega che tu abbia numeri migliori del 2021 eppure sia costretto a rincorrere?
Al di là del mio ritorno alla piena efficienza, significa che gli altri stanno continuando a migliorare, che tutto va molto veloce. Per cui devo restare concentrato su me stesso e lavorare per raggiungere il miglior Egan e poi mettere nel mirino i più forti del gruppo.
Pensavi che il recupero durasse di meno, oppure sta andando veloce? Che impressione hai?
Dipende, ci sono i giorni che sembra che va veloce e altri giorni che sembra che va piano. Vogliamo sempre di più, però la caduta che ho avuto… Già il solo fatto di poter fare una vita normale, è già un miracolo. Stare qua e pensare di poter essere ancora vincente, lo è ancora di più. Ho tanta voglia di tornare a essere il migliore, ma non posso dimenticare che ormai ho già vinto la corsa più importante.
Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e TourDopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Ti manca più in salita o a crono?
Un po’ dappertutto (sorride, ndr). Con il ciclismo di adesso, mi manca anche la discesa. Ormai si va a tutta in qualsiasi momento, quindi bisogna stare molto attenti in ogni momento.
Rimani qua fino al Tour o torni in Colombia?
No, torno in Colombia. Dopo la Liegi, faccio il Romandia e poi torno a casa. Mi preparo per il Tour, passando prima per il Delfinato. Quest’anno niente Giro, anche se presto ci tornerò.
Lasciata la Ineos, Dennis in maglia Jumbo Visma assesta un bel colpo alla ex squadra, accusandola di copiare. Punta sul Tour: l'obiettivo è battere Pogacar
LIEGI (Belgio) – Vedendo la corona da 55 sulla Colnago di Pogacar dopo l’allenamento del venerdì, era venuto spontaneo chiedersi se fosse davvero necessaria in una corsa come la Liegi. Quando poi abbiamo assistito all’assolo dello sloveno, è stato chiaro che quel plateau così originale e insieme grande avesse ragione di esserci anche nella Doyenne.
Alla partenza della corsa, uno dei meccanici del team ci ha fatto notare che ad usarlo siano soltanto Tadej e Novak e che lo usino ormai in tutte le corse. Pare che il capitano lo avrebbe montato per la prima volta soltanto alla Sanremo. Siccome però la scelta è curiosa, così come l’abbinamento fra il 55 e il 40, siamo andati diretti alla fonte e abbiamo chiamato Marco Monticone, Product Manager presso Carbon-Ti.
Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-SanremoPogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo
All’indomani della grande impresa, il tono è comprensibilmente allegro. Dice di aver appena chiuso il telefono con Alberto Chiesa, responsabile dei meccanici del UAE Team Emirates, che gli ha chiesto la stessa guarnitura per tutta la squadra. Se il capo la usa ed è contento, come fai a dire di no a tutti gli altri? Anche perché nella squadra di Gianetti, a ben vedere sono tutti capitani.
Allora Marco, come viene fuori l’idea di avere quel dente più del 54 di serie?
E’ stata una richiesta di Tadej, un atleta estremamente esigente. Ha le idee chiare e quando chiede qualcosa, tutti si attivano per accontentarlo, anche perché le sue richieste non sono capricci. Che poi chieda cose non facili da fare, questa è un’altra storia (ride, ndr)…
Quando vi è arrivata la sua richiesta?
Al Tour de France del 2023, quando abbiamo incontrato il team nel giorno di riposo a Megeve. Non abbiamo parlato direttamente con gli atleti, perché preferivano tenerli nella bolla, ma i dirigenti ci hanno espresso la richiesta di Pogacar. Voleva una corona più grande per avere un rapporto più lungo soprattutto in discesa. Credo sia stato il modo per contrastare alcuni rivali che hanno il pignone da 10 sulle loro bici. Una scelta che meccanicamente non è delle più convenienti, ma che di certo allunga il rapporto.
Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattareBici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Da come ne parli, non deve essere stata la richiesta più semplice da esaudire…
La sfida era farla funzionare con la corona interna da 40. Ogni nostra corona viene progettata considerando la sua corrispondente all’interno. Facciamo progetti e simulazioni in 3D, in pratica si parte da una corona per realizzarne un’altra. E se la 54 è compatibile con la 40, per forza di cose doveva esserlo anche la 55.
Sembra che alla fine ci siate riusciti.
Abbiamo progettato e consegnato in qualche settimana. Ci risulta che Tadej l’abbia usata alla Sanremo, ma altri potrebbero averla provata prima e a breve sarà in vendita. La cosa ha destato interesse, tanto che altri team hanno chiesto di poterla comprare.
Quali team?
Posso parlare della Bahrain Victorious, come pure di Decathlon e Jayco. Con loro non abbiamo gli stessi rapporti stretti della UAE Emirates e al momento il 55 è una loro esclusiva. Ma quando andrà in vendita, non potrà più esserlo. Decathlon ne sta prendendo un quantitativo importante, presto sarà evidente. Anche se per averne, c’è un tempo di attesa di 4-5 mesi. Siamo una piccola azienda, abbiamo tante richieste.
La corona da 55, abbinata alla 40, è stata chiesta la scorsa estate da PogacarLa progettazione ha richiesto nuove simulazioni 3D e una nuova taratura delle macchine a controllo numericoLa corona da 55, abbinata alla 40, è stata chiesta la scorsa estate da PogacarLa progettazione ha richiesto nuove simulazioni 3D e una nuova taratura delle macchine a controllo numerico
Stessa lavorazione, progetto diverso?
Esatto. La lavorazione non cambia e per la progettazione si parte dal know-how delle altre corone, ma è un prodotto completamente diverso. Le macchine CNC vanno riprogrammate, è proprio una storia nuova.
E’ vero che le vogliono per tutta la squadra?
Se va bene per Tadej… E poi non è un team con pochi capitani e tanti gregari. Anche quelli che lavorano sarebbero leader nelle altre squadre, per cui davvero non si può dirgli di no.
Sorpreso che Tadej abbia deciso di usarla già dalla Sanremo e poi domenica nella Liegi?
Con lui abbiamo spesso certe sorprese, veniamo informati appena prima. Come quando gli demmo i prototipi delle corone in carbonio. Le provò, gli piacquero e le usò subito in corsa al Fiandre che vinse e poi anche nell’Amstel. Lui è fatto così. Se fa una richiesta, ne ha davvero bisogno. E se ne ha bisogno, perché non dovrebbe usarla?
Jonas Vingegaard ha vinto il Tour de France. Chi è il danese della maglia gialla? Ecco un breve salto nella sua storia, in attesa di approfondirla con lui...
LIEGI (Belgio) – Van der Poel rispolvera un po’ di sano realismo e si arrende con l’onore delle armi. Sul podio c’è salito, sia pure a più di due minuti dal vincitore. E siccome è un ragazzo dotato di cervello fino, il suo bilancio di fine Liegi è lucidissimo.
«Anche con le gambe migliori non avrei potuto seguire Tadej – dice – non so davvero come sono riuscito a salire sul podio. Ora capisco perché dicono che la Liegi-Bastogne-Liegi sia difficile da abbinare alle classiche del pavé. Il recupero dopo il Fiandre e la Roubaix si è rivelato più complicato del previsto e ciò fornisce spunti di riflessione per il futuro. Vincere qui, se al via ci sarà anche Tadej, sarà molto difficile e forse addirittura impossibile».
Quando arriva per raccontarsi, l’olandese iridato è straordinariamente rilassato, come chiunque abbia vinto Fiandre e Roubaix e volendo potrebbe andarsene in vacanza e nessuno gli chiederebbe altro.
Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosiVan der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Sei felice o pensi ti sia mancato qualcosa?
Sono felice. Fino a cinque chilometri dalla fine, non credevo nel podio. Penso che tutti abbiano capito che oggi (ieri, ndr) era il massimo possibile per me. Rientrare è stato un grande sforzo. Ero dietro per togliermi gambali e guanti, quando davanti c’è stata la caduta e la strada si è bloccata. Pensavo che non avremmo mai rivisto la parte anteriore della corsa, quindi ero già felice che dopo un lungo inseguimento fossimo rientrati. Già sentivo che le mie gambe erano un po’ stanche, ma credo che anche con gambe migliori non avrei potuto fare niente di meglio.
Un terzo a Liegi chiude un’ottima stagione delle classiche…
Penso che la mia stagione sia già più che soddisfacente, ma sono davvero felice di essere salito sul podio anche oggi. E’ stata una decisione attentamente ponderata quella di far durare il mio picco di forma così a lungo e non vedo perché sarebbe impossibile non farlo di nuovo nei prossimi anni. Dalla Sanremo alla Liegi. E’ qualcosa che conosco da quando gareggio in inverno nel ciclocross e poi passo su strada. Mi regala lunghi periodi di competizione ad alto livello. L’unico dettaglio che forse ho sottovalutato è stato il calo di tutta la squadra dopo Roubaix. Avevamo vinto i primi tre Monumenti, è stato difficile per tutti rimanere così concentrati e motivati per il quarto. Non c’è vergogna nell’ammettere che siamo stati battuti da atleti migliori di noi.
Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salitaTanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Si è sempre detto che la Liegi sia una gara per scalatori.
Vero, ci sono stati scalatori migliori di me, ma alla fine mi sono trovato a sprintare contro altri scalatori e ho avuto io la meglio.
Ti pesa pensare che potresti non vincere mai una Liegi?
E’ una domanda che non mi pongo, siete voi giornalisti a farvela. Sono una persona abbastanza realistica, so che se Pogacar avrà una buona giornata, non potrò mai seguirlo nemmeno con le mie gambe migliori. Ho solo una cosa da sperare e cioè che un giorno non stia bene, altrimenti sarà sempre difficile vincere qui.
Non dipende da te in nessun modo?
Per pensare di vincere dovrei forse rinunciare ad altre corse e magari perdere qualche chilo. Preferisco andare per gradi. Come ho sempre fatto, mi concentro sulle cose che so fare meglio e questo per me significa fare Fiandre e Roubaix, che mi si addicono di più. Se per vincere la Liegi dovrò cambiare tutto, allora non sarà per i prossimi anni.
Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o delusoChiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Arriva l’estate e arrivano le Olimpiadi: hai deciso fra strada e mountain bike?
Penso che la prossima settimana sarà tempo di vedere come riempiremo quest’estate, ma non ne ho ancora idea, altrimenti lo direi. Non so ancora cosa farò, tranne che adesso andrò a prendere un po’ di sole. Adoro ancora la mountain bike, ma è un anno speciale con le Olimpiadi. Posso vincere la strada e come ho già detto, non voglio scommettere due cavalli e poi magari fallire con entrambi. Quindi vedremo dove porta l’estate.
L’ago della bilancia si va spostando verso la strada, ma forse gli scoccia anche ammetterlo. La lezione di Glasgow è stata chiara: dopo la vittoria del mondiale su strada, quello in mountain bike contro Pidcock è sembrato un brutto sogno. E va bene che inseguirli fa restare giovani, ma siamo certi che abbia senso rinunciare a un oro olimpico su strada per inseguirne uno anche più improbabile sulla Mtb?
Tadej Pogacar attacca da lontano e capovolge ancora una volta il Tour. L'atleta dubbioso visto ieri semplicemente aveva rinunciato a distruggere la squadra.
LIEGI (Belgio) – Come una doppia maledizione, anche questa Liegi l’ha vinta un’altra. Eppure Elisa Longo Borghini trasmette positività in ogni sorriso e ogni parola, per cui quando dice che ce ne sarà un’altra l’anno prossimo, non puoi che darle ragione. La corsa se l’è presa Grace Brown, una grande atleta che doveva solo sperare che le cose andassero come sono andate. Non poteva rispondere agli attacchi delle scalatrici, per cui è andata in fuga. E quando l’hanno ripresa, anziché abbandonarsi alla deriva si è messa a limare e alla fine è arrivata alla volata. E a quel punto sono diventati affari per le altre. Prima Brown, seconda Longo Borghini, terza Vollering (prima lo scorso anno) e tutti a casa. Ora l’australiana è qui che racconta con il suo accento aussie e scherzando dice che è «monumentale aver vinto una monumento, la vittoria più importante della mia carriera…».
Un giorno chiederemo a Elisabetta Borgia di spiegarci il modo e i tempi con cui un grande atleta elabora il risultato e riesce a farci di conto. Arrivare seconda nella Liegi, il suo obiettivo di primavera, dovrebbe far scattare nella testa di Elisa chissà quale rabbia funesta. Invece nei primi istanti dopo l’arrivo già sorrideva. E anche adesso che le trotterelliamo accanto accompagnandola verso l’antidoping, la sua serenità è uno spunto su cui ragionare.
Subito dopo l’arrivo, malgrado la sconfitta, Elisa sorridevaSubito dopo l’arrivo, malgrado la sconfitta, Elisa sorrideva
La fuga da riprendere
La fuga è arrivata tanto avanti, ma quando la piemontese ha aperto il gas sulla Cote de la Roche aux Faucons, dietro il gruppetto si è sbriciolato. Sono rimaste attaccate le stesse che poi sono arrivate con lei al traguardo e chissà se quell’attacco le sia costato troppo. Noi siamo qui a cercare una spiegazione, mentre lei se l’è già data ed è contenta così.
«Non credo di aver speso troppo a fare l’azione – dice – perché comunque doveva essere fatta in qualche modo. Bisognava chiudere sulla fuga e comunque sia avrei attaccato lo stesso. Probabilmente saremmo rimaste in tre e ce la saremmo giocata diversamente. Però alla fine questo è il ciclismo e per questo è lo sport più bello del mondo. Non sempre vince la più forte o il più forte, vince anche il più furbo, il più veloce, quello che prende meglio le curve. Forse è vero che la fuga è arrivata un po’ troppo avanti, però c’è anche da dire che c’erano dei corridori forti. C’era Chabbey, c’era Grace Brown che sono notoriamente dei corridori pericolosi se corrono per fare risultati».
L’attacco di Elisa Longo Borghini sulla Roche aux Faucouns ha fatto il vuoto e ha ripreso la fugaLa corsa delle donne è vissuta su una fuga e il gruppo dietro un po’ troppo tranquilloL’attacco di Elisa Longo Borghini sulla Roche aux Faucouns ha fatto il vuoto e ha ripreso la fugaLa corsa delle donne è vissuta su una fuga e il gruppo dietro un po’ troppo tranquillo
Una volata già scritta
E poi c’è la volata, quella in cui credevamo ormai tutti. Dopo il Fiandre vinto a quel modo e i miglioramenti degli ultimi mesi, eravamo tutti a pensare che fosse quasi fatta, senza fare i conti con la concretezza e il giusto cinismo di Grace Brown.
«Sono arrivata alla volata – dice Elisa mentre pedala al piccolo trotto – non tanto con sicurezza, quando con la voglia di vincere. Puntavo il traguardo e guardavo avanti e devo dire che per un attimo ci ho anche quasi creduto. Poi mi ha passato sulla destra Grace, però non ne posso fare un dramma. Ci sarà una Liegi anche l’anno prossimo, penso, no? Diciamo che è un secondo posto a suo modo bello, diverso dall’anno scorso. Ho preso l’iniziativa e sono partita sulla Roche aux Faucons, poi ho fatto una bella volata e alla fine sono contenta. Se fossimo arrivati in tre, probabilmente avrei vinto io, ma così non è stato. Vero che ho chiuso il buco su “Kasia” Niewiadoma, ma resta il fatto che Grace Brown è più veloce di me. Non c’è storia, non si può raccontare un’altra versione, questo è…».
La volata di Grace Brown non ha lasciato scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering Accanto a Paolo Barbieri, responsabile stampa della Lidl-Trek, infine in direzione del controlloLa volata di Grace Brown non ha lasciato scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering Accanto a Paolo Barbieri, responsabile stampa della Lidl-Trek, infine in direzione del controllo
E adesso la Vuelta
Il Trofeo Oro in Euro, il Giro delle Fiandre e la Freccia del Brabante: la sua primavera può essere soddisfacente. Il terzo posto nella Freccia Vallone e il secondo qui a Liegi dicono che comunque Elisa è arrivata puntuale all’appuntamento con le Ardenne e questo conta tanto dopo i problemi della scorsa estate.
«Non posso che essere contenta – dice – perché comunque ho fatto tantissime top 10. Ho fatto tre vittorie, sono tornata ai miei livelli e forse anche qualcosa di più. Sono veramente contenta. Adesso ci saranno tre giorni a casa e poi la Vuelta, per cui la primavera non è certo finita. E pensate che a casa riuscirò anche a incontrare Jacopo per poche ore, perché io arrivo e lui parte per il Romandia».
Alza gli occhi al cielo, che d’incanto è tornato azzurro. La sera volge verso il tramonto. Noi torniamo in sala stampa per scrivere queste parole, lei prosegue verso il controllo e poi sarà tempo di impacchettare tutto e tornarsene finalmente a casa.
Van Vleuten a Liegi. Prima il forcing sulla Redoute e poi l'attacco sulla Roche aux Faucon. Ma vincere non è più facile come prima: il gruppo è cresciuto
LIEGI (Belgio) – Facile come una lezione imparata così bene da non ammettere repliche. Tadej Pogacar ha fatto quello che si era proposto e agli altri non è restato che il podio. Una giornata fredda. Due gradi al mattino a Baraque de la Fraiture, la neve sugli alberi. Pioggia a scrosci a rendere davvero crudele una domenica già dura di per sé. Poi lentamente il sole si è fatto largo e la corsa è entrata nel vivo. La UAE Emirates ha scandito la marcia su ogni salita in direzione di Liegi, lasciando intuire una strategia chiara e condivisa. Lo spauracchio Van der Poel non si è mai visto se non alla fine, costretto a inseguire dopo una caduta, ma mai realmente in gara. Se la sua presenza era dovuta al voler omaggiare la corsa, la maglia che indossa e il suo grande rivale, l’applauso sarà ampiamente meritato.
L’attacco è arrivato sulla Redoute, dopo che Novak ha dato l’ennesima tirata di una giornata per lui memorabile. A quel punto non restava che andare e Tadej è andato. E’ partito nella parte bassa della salita: presto rispetto al solito, ma se avesse aspettato magari qualcun altro avrebbe avuto la stessa idea. Ci ha provato Carapaz a stargli dietro, poi anche il campione olimpico di Tokyo ha perso il conto dei battiti e si è rimesso a sedere.
Nella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a StavelotNella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a Stavelot
Il copione perfetto
Da quel punto, la Liegi-Bastogne-Liegi si è trasformata in un assolo. Un copione cui dovremmo ormai essere abituati, dato l’andamento recente delle grandi classiche, ma che ci lascia ogni volta senza fiato. Elegante come chi non è davvero al limite, cattivo come chi non ha bisogno di mettersi strane espressioni sulla faccia. Pogacar ha spinto duro per 34 chilometri con la guarnitura 55-38 che ha scelto dente dopo dente e gli è stata consegnata a tempo di record, perché aveva in mente un’azione simile e ha voluto avere gli strumenti giusti.
«C’era una strategia – spiega il diesse Hauptman, che blocchiamo appena scende dall’ammiraglia – ma la teoria è una cosa e la corsa un’altra. Bax ha tirato quasi 160 chilometri, ha fatto un gran lavoro. Poi Novak, con Finn e Diego (Ulissi, ndr), hanno fatto un ritmo forte in salita per far soffrire gli altri. Il nostro programma era che Tadej partisse sulla Redoute e abbiamo lavorato per questo. Quando Van der Poel è caduto, noi eravamo già davanti a tirare, ma abbiamo fatto un passo normale, visto che sono rientrati pur avendo già un minuto e mezzo.
«Cosa ho pensato quando Tadej è partito? Ho incrociato le dita (sorride, alzando gli occhi al cielo, ndr), perché non sai mai. Dopo una classica così, se vai in crisi negli ultimi 10 chilometri, puoi avere un grande vantaggio, ma perdi tutto. Per cui, finché non siamo arrivati all’ultimo rettilineo, ero un po’ teso. Guidare uno come Tadej è un orgoglio, una responsabilità e anche una preoccupazione. Però mi piace…».
Sullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo altoSullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo alto
La forza del gruppo
La zona dell’arrivo è un ribollire di birre e tifosi, attirati dalla tregua del maltempo. Davanti al pullman della UAE Emirates, in attesa di parlare con Pogacar, c’è Matxin che ne descrive la grandezza, la perfezione, l’ineffabilità. E così dopo questa lunga teoria di lodi, ci viene la curiosità di chiedergli se in realtà non sia difficile essere così perfetti. E lui risponde con un sorriso.
«Secondo me – dice – la cosa più difficile è creare un gruppo, quando ci sono corridori dal livello di Hirschi, Almeida e Ulissi. Come lo convinci uno come Diego, con il palmares che ha, che deve tirare quando mancano tanti chilometri perché consideriamo che è la cosa giusta da fare? Sono orgoglioso di avere creato l’atmosfera giusta. E credo che la squadra abbia funzionato bene anche quando Tadej era solo. Quando hanno visto che Hirschi e Almeida facevano buona guardia, quelli dietro hanno capito che non si sarebbero potuti organizzare e contro un Pogacar in condizione così perfetta hanno perso la speranza».
Attacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne vaAttacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne va
La dedica speciale
Pogacar arriva riguardandosi l’arrivo nel cellulare. Fende la sala stampa e va a sedersi sulla sedia della cattedra. Oggi la Permanence si trova all’interno di un polo universitario e tutto fa pensare di essere tornati a scuola, a cominciare dai bagni. Il berretto di lana in testa e lo sguardo normale, come se non avesse appena vinto la Liegi. In realtà la scarica delle emozioni le ha tenute dentro sul traguardo, con quelle dita al cielo che ora spiega con un filo di commozione.
«Due anni fa – dice – in questo stesso giorno, la madre di Urska morì poco prima della Liegi e io rinunciai a correre e corsi a casa. Anche l’anno scorso qui sono caduto e ho rovinato la mia stagione. Oggi è stata una corsa piuttosto emozionante e ho pensato molto a Daria, la mamma di Urska. E penso che questo mi abbia dato la forza anche per venire e arrivare da solo fino al traguardo. Ho attaccato davvero forte, a tutto gas dalla base della Redoute fino alla cima. Novak ha fatto un ottimo lavoro tirando per le prime centinaia di metri e poi è toccato a me. Serviva tanta forza e l’ho avuta».
Dopo l’arrivo con le dita al cielo, Pogacar è crollato in preda alle emozioniUn podio di tanti colori: il vecchio Bardet, Pogacar e Van der Poel, terzo come Van Aert due anni faScaricate tutte le emozioni sul traguardo, Pogacar ha subito ripreso luciditàDopo l’arrivo con le dita al cielo, Pogacar è crollato in preda alle emozioniUn podio di tanti colori: il vecchio Bardet, Pogacar e Van der Poel, terzo come Van Aert due anni faScaricate tutte le emozioni sul traguardo, Pogacar ha subito ripreso lucidità
Normalità disarmante
Lo guardi e pensi a quella che per lui è normalità e fai anche fatica a trovare qualcosa da chiedergli, vista l’assenza di pathos in una vittoria così grande da non aver aperto neanche una crepa nella sua corazza.
«In realtà è stata piuttosto dura – ci smentisce – con il vento contrario dopo 230 di gara e con questo freddo. Non è bello e non è scontato, ma una volta che senti che il divario è di un minuto, allora ti sembra più facile. Oddio, facile proprio no. Diciamo che ti dà una motivazione in più (sorride, ndr). Sono azioni che si progettano, in cui credi, ma che non prepari a casa. Non sono cose che alleni, non avrebbe senso. Ma per me le corse sono così: devi provarci. Può andare bene o anche male, ma devi provarci. Cosa vorrei fare adesso? Ci starebbe bene una bella settimana di vacanze, come ha detto Mathieu (lancia lo sguardo a Van der Poel seduto accanto, che ride, ndr) che sta per andare a Dubai. E’ una bella scelta, non dispiacerebbe neanche a me, ma ho un lavoro da fare in Italia».
LIEGI (BELGIO) – Evenepoel, il grande assente: cosa fa Remco? Sono due anni che il mondo del ciclismo aspetta il duello con Pogacar alla Doyenne, ma per altrettanti infortuni ancora non è stato possibile. Prima l’uno, poi l’altro. Due è anche il numero degli anni che li divide: classe 1998 lo sloveno, 2000 il belga. E mentre sta per scattare la Liegi numero 110, con la minaccia di neve sulle Ardenne e Pogacar favorito in mezzo a un branco di predatori di tutto rispetto, il belga della Soudal-Quick Step ha partecipato al podcast della sua squadra: The Wolfpack Howl.
Per Evenepoel dopo la caduta ai Baschi, la fratture di una scapola e una clavicola (foto Soudal-Quick Step)Per Evenepoel dopo la caduta ai Baschi, la fratture di una scapola e una clavicola (foto Soudal-Quick Step)
L’analisi della caduta
Evenepoel è stato il primo a cadere nella quarta tappa al Giro dei Paesi Baschi. A forza di scorrere il video del più catastrofico capitombolo degli ultimi tempi, da cui sono usciti tutti fortunatamente vivi, si sospetta che sia stato proprio il belga ad aver innescato la maxi caduta. Lui è andato dritto, sbagliando la curva. Tesfatsion, subito dietro, ha preso paura ed è caduto a sua volta.
«Se guardate attentamente il movimento della mia bici – ha detto – potete vedere chiaramente che ho preso la traiettoria sbagliata. Sono finito nella parte più sconnessa della curva e ho perso il controllo. Non ho più avuto aderenza e ho frenato per paura di uscire di curva. Poi sono andato tutto a sinistra e ho saltato quel canale nella scarpata. E’ successo tutto molto velocemente. Un attimo dopo ero già in piedi e mi tenevo la spalla. Nelle immagini al rallentatore sembra facile mantenere il controllo, ma dal mio punto di vista non era proprio così. Era anche una discesa pericolosa, perché ogni tanto guardavo la velocità sul computer della mia bici e segnava dagli 80 agli 81 chilometri orari».
Remco si è raccontato nel podcast della sua squadraRemco si è raccontato nel podcast della sua squadra
Ripresa sui rulli
La caduta gli ha provocato la frattura della clavicola e della scapola e per questo escluso dalle sfide delle Ardenne e da questa benedetta Liegi che anche lui aspettava da un anno, avendo vinto le due edizioni precedenti. Avendo davanti l’obiettivo Tour e poi le Olimpiadi, a un certo punto le corse più immediate sono passate in secondo piano.
«Il mio corpo si sta gradualmente riprendendo – ha detto venerdì durante il podcast – e ogni giorno ho meno dolore. Ho sofferto molto, soprattutto i primi giorni dopo la caduta. Dall’inizio della settimana invece, ho potuto dormire di nuovo tranquillamente e senza dolori. Ho cominciato anche a fare alcuni esercizi di fisioterapia, in modo che i miei muscoli non smettano di lavorare. Non è ancora possibile uscire in bici, anche a causa del maltempo, ma da lunedì posso allenarmi di nuovo sui rulli».
Remco è tornato sul luogo della caduta al Lombardia 2020 per realizzare un video (immagine Instagram)Remco è tornato sul luogo della caduta al Lombardia 2020 per realizzare un video (immagine Instagram)
Pausa di metà stagione
Evenepoel ha poi raccontato di aver parlato brevemente con Roglic nell’ospedale di Vitoria, dato che erano vicini, e di aver mandato invece un messaggio a Vingegaard. Avendo già sperimentato una caduta ben più drammatica al Giro di Lombardia del 2020, il belga ha scherzato sull’aver sottovalutato la frattura della clavicola. Per cui si sta godendo la vita in famiglia e ne ha approfittato per fare da testimonial al progetto Tous a Bord (foto di apertura). L’associazione opera nello sport paralimpico e sta per festeggiare i 20 anni di attività con una Bruxelles-Parigi di 400 chilometri per atleti disabili.
«Prima di romperla – ha detto – ero sempre stato un po’ troppo ottimista riguardo ad una clavicola rotta, ma ora non più. Non è proprio l’infortunio più semplice per un ciclista e spero che i miei colleghi non debbano sperimentare la stessa cosa. Non è il mio primo infortunio grave e proprio quella prima esperienza mi ha insegnato a non andare troppo veloce nel recupero. So di dover affrontare con calma la fase della rieducazione, per cui sono abbastanza rilassato e cerco di godermi questa pausa di metà stagione. Mercoledì scorso ho festeggiato la fine del Ramadan con Oumi e ho anche guardato tanto calcio. Ho dormito molto, ho giocato a minigolf e guardato il ciclismo in televisione. Non sono il tipo che non guarda le corse se non può prendervi parte».
Così lo scorso anno Remco conquistava la seconda Liegi consecutivaCosì lo scorso anno Remco conquistava la seconda Liegi consecutiva
Quando gli è stato chiesto quali corse siano state più dolorose da guardare, Remco ha puntato subito il dito verso l’AmstelGold Race, che avrebbe corso con qualche ambizione. «Certamente non la Freccia Vallone – ha sorriso – visto quello che è successo». Chissà cosa proverà fra qualche ora guardando i suoi rivali sfidarsi sulle sue strade…
LIEGI (Belgio) – «Ci proverò, ma sarà difficile. Non ho il terreno giusto – dice Van der Poel – e davanti questa volta c’è Pogacar, che è davvero forte in questo tipo di gare. Penso che la stagione sia già stata molto buona e penso che le gare passate fossero le più adatte a me, ma sono qui per provare a vincere».
Il campione del mondo risponde quasi annoiato alle domande che lo speaker deve necessariamente fargli, altrimenti come la scalda la poca gente accorsa sotto al palco? Piove a sprazzi e a sprazzi viene fuori un timido sole, di base però fa ancora freddo. E fredda è pure la presentazione delle squadre, la terza lungo l’argine dell’Ourthe, in un viale senza poesia né nobiltà, ai margini della città. Dopo la Sanremo scacciata da Milano, la Liegi fuori dal centro della città in cui era accolta come una regina lascia un sapore sempre più strano.
Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)
La ciliegina sulla torta
Siamo quasi certi che Van der Poel abbia in mente qualcosa di veramente grande per domani. Il suo pullman è l’ultimo in attesa di ripartire, in questa sorta di passerella meccanica in cui i corridori vengono scaricati, presentati, applauditi, intervistati e riportati in hotel. A costo di sembrare vecchi, ricordiamo che fino a prima del Covid, gli atleti passavano fra il pubblico, firmavano autografi e posavano per foto. Oggi c’è distacco e chissà quanto sia positivo.
«Ho ricaricato le batterie – dice il campione del mondo – sono andato in Spagna e sono riuscito a fare qualche buon allenamento al caldo. Sono tornato in Belgio giovedì sera per fare la recon del percorso con i miei compagni di venerdì, ma alla fine ho deciso di farne a meno. Diluviava e anche se non partecipo dal 2020, credo di conoscere queste strade a memoria. Non credo che l’Amstel significhi che sono in calo di forma: non avevo gambe, ma non ero neppure tanto male. Certo però Pogacar sarà un rivale difficile da sorprendere: è un corridore di classe purissima che correrà sul suo percorso preferito. Però penso che posso vincere. Se non ne fossi convinto, non parteciperei nemmeno. Ma tutto dovrà essere perfetto. E se dovesse andare bene, sarebbe anche più della ciliegina sulla torta».
Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)
Il malumore di Madiot
Hanno presentato le donne insieme agli uomini: le stesse squadre sullo stesso palco. E mentre il meccanismo andava avanti, abbiamo trovato il modo di fare due domande a Marc Madiot. Il team manager spesso ribelle della Groupama-FDJ ha espresso nei giorni scorsi una serie di valutazioni molto chiare sulla sicurezza delle corse.
«E’ tutto il sistema che non funziona – dice – a cominciare da chi valuta i percorsi. Dopo la caduta nei Paesi Baschi, sono stati accusati gli organizzatori, ma credo sia tempo che le valutazioni vengano fatte con qualche mese di anticipo da persone davvero indipendenti. E questa è la minima parte, perché dobbiamo parlare anche dei corridori.
«Avete fatto caso che la prima cosa dopo l’arrivo è spingere un tasto sul manubrio? Sono delle macchine che producono watt, in corsa come a casa. Dalla macchina gli dicono come è fatta la curva, poi però succede che il gps non ti segnala che ci sono anche i tombini e il corridore cade. E così passiamo alle radio, che dovrebbero essere uguali per tutti e solo con informazioni di servizio. E poi alle biciclette, che sono sempre più al limite. L’UCI potrebbe mettere mano a tanti aspetti per rendere questo ambiente più sicuro, ma si batte per la lunghezza dei calzini. Perciò domani andrò in corsa e i dimenticherò di tutto. Perché la Liegi è la Liegi e quando si comincia comanda l’istinto».
Miglior italiano alla Freccia, Formolo corre la Liegi ricordando il secondo posto del 2019Nieiwadoma a Liegi dopo la vittoria della Freccia è una delle più atteseLe immagini di Skjelmose assiderato a Huy hanno fatto il giro del mondo: avrà ben recuperato?Miglior italiano alla Freccia, Formolo corre la Liegi ricordando il secondo posto del 2019Nieiwadoma a Liegi dopo la vittoria della Freccia è una delle più atteseLe immagini di Skjelmose assiderato a Huy hanno fatto il giro del mondo: avrà ben recuperato?
Pidcock alza il tiro
Quelli della Ineos Grenadiers sono venuti con Pidcock e Bernal, il primo per fare la corsa, il secondo per continuare a migliorare sulla strada di un pieno recupero. E Pidcock, che ha vinto l’Amstel poi si è congelato alla Freccia Vallone, ha lasciato intendere di aver recuperato.
«Sicuramente mi sono riscaldato – sorride – e non posso dire di essere orgoglioso della mia prestazione di mercoledì, ma ho preferito prevenire che curare. Per domani mi sento veramente bene. Questa è una delle mie gare preferite: so quanto sarà difficile, ma sono pronto per affrontare la sofferenza che certamente ci sarà. L’anno scorso arrivai secondo dietro Remco e se ci penso, dico che la feci molto bene. Tatticamente e anche fisicamente tirai fuori il massimo di quello che avevo, ma questa volta ci arrivo meglio. Il podio va bene, ma vincere una Monumento avrebbe un altro sapore».
Pogacar è passato e ha ripetuto quello che ha detto ieri. La sua presenza, al pari di quella di Van der Poel alla Roubaix, è il fattore con cui fare di conto. Eppure non deve essere facile sentire tutti gli occhi puntati e sapere che sono tutti lì ad aspettare una tua mossa. Lui se la ride e strizza l’occhio, probabilmente il segreto è tutto nella leggerezza.
Lo scatto di Tiberi non cambierà la storia del Giro, ma forse inizia a scrivere quella di Antonio. Pogacar vince a Prati di Tivo, dietro qualcosa si muove
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
NASCE BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
RIEMST (Belgio) – «All’inizio la differenza fra il nuovo casco e il vecchio la noti. La prima volta che lo metti – racconta Kevin Colleoni, corridore della Intermarché-Wanty – magari la chiusura è un po’ diversa, però generalmente sono tutti comodi. Non ho mai trovato negli ultimi anni un casco scomodo, forse uno può pesare qualche grammo in più e lo noti quando lo prendi in mano, ma una volta che lo hai sulla testa, passa tutto… Magari ti accorgi che circola più o meno aria, però generalmente bastano tre, quattro giorni e ci si abitua».
Il bergamasco è approdato quest’anno alla squadra belga dove, oltre a tutto il resto, ha ricevuto in dotazione il casco Uvex Rise Pro Mips. I suoi compagni che già c’erano – fra loro anche gli italiani Rota, Petilli e Busatto – lo avevano già ricevuto la scorsa estate, dato che per il debutto il marchio tedesco ha scelto il Tour de France 2023.
Feritoie davanti per l’ingresso dell’aria e dietro per la fuoriuscita: la calotta è costruita in modo modulareFeritoie davanti per l’ingresso dell’aria e dietro per la fuoriuscita: la calotta è costruita in modo modulare
Caschi da 90 anni
Uvex produce caschi dal 1926: nel ciclismo e anche nello sci e nei cantieri. «Da oltre 90 anni – spiega Michael Winter, amministratore del gruppo Uvex – produciamo e commercializziamo prodotti di alta qualità per la protezione delle persone nello sport, nel tempo libero e nel lavoro. E se vuoi proteggere le persone, devi assumerti la responsabilità. E’ proprio da questa missione che deriva il nostro obbligo di agire in modo sostenibile, sociale e socialmente responsabile».
Perché queste non siano soltanto parole, con dedizione tipicamente tedesca, Uvex ha sposato tutte le tecnologie utili al conseguimento dell’obiettivo. Così basta tenere fra le mani il casco di Colleoni per accorgersi dell’etichetta Mips, il sistema che protegge la testa e il cervello dalle lesioni durante l’impatto obliquo, assorbendo le forze rotazionali e centrifughe durante le cadute. Inoltre, l’adozione di uno strato a basso attrito nella parte a contatto con la testa, permette un minimo movimento relativo all’interno del casco stesso, senza attriti che costringano il capo a movimenti forzati.
Colleoni, 24 anni, corre con la Intermarché e il casco Uvex da quest’anno: qui al CatalunyaColleoni, 24 anni, corre con la Intermarché e il casco Uvex da quest’anno: qui al Catalunya
Calotta modulare
Fra le caratteristiche che permettono l’assorbimento migliore degli urti, va annotata la costruzione della calotta in più parti. Vengono infatti abbinati un guscio rigido in plastica ABS all’esterno alla tecnologia Inmold per l’interno, integrando solidità e stabilità. Il guscio ha lo strato interno in EPS ammortizzante e quello esterno in policarbonato. La tecnologia Inmold utilizzata offre livelli elevati di protezione in cambio di un peso minimo. A ciò vanno aggiunte la nuova aerodinamica e l’ottimizzazione del circolo interno dell’aria, grazie alle ampie feritoie.
«Preferisco sempre avere il casco leggero – spiega Colleoni – con i modelli aero non mi sono mai trovato bene. Forse perché da quando corro, ho sempre avuto la sensazione dell’aria nei capelli e quella con i caschi leggeri non si perde. Anzi, è proprio una sensazione che ricerco. Ovviamente quando poi fa freddo, metto in testa una cuffietta per ripararmi. Il nostro casco di quest’anno forse non è il più leggero, però mi piace il senso di solidità che trasmette. Quando lo prendi in mano e poi lo indossi, percepisci che sia davvero sicuro».
Il sistema di chiusura 3D IAS permette l’adattamento a ogni forma di testaIl sistema di chiusura 3D IAS permette l’adattamento a ogni forma di testa
Vestibilità su misura
Il passaggio da una squadra all’altra richiede l’adattamento ai nuovi materiali. Dalle nuove misure della bici, alla personalizzazione dell’abbigliamento e anche l’uso di nuovi pedali. Magari può sembrare più semplice adattarsi a un nuovo casco, ma anche in questo caso si tratta di trovare il giusto equilibrio fra la libertà necessaria e la necessità di stringere i cinghietti perché il sistema sia sicuro.
Uvex ha adottato per i suoi prodotti il sistema 3D IAS, che consente una vestibilità molto precisa. Larghezza e altezza sono regolabili autonomamente una dall’altra, per adattarsi a una vasta gamma di circonferenze e forme della testa. Questo fa sì che, copiando perfettamente l’anatomia dell’utente, la vestibilità sia comoda e soprattutto sicura.
«I sistemi di chiusura sono spesso diversi – conferma Colleoni – con questo sono riuscito a regolare il casco e averlo davvero su misura. Ovviamente non puoi pensare di avere la stessa sensazione da un casco all’altro, però una volta fatte le regolazioni, sembra di averlo sempre usato».
Colleoni racconta di aver provato il casco in condizioni di grande caldo al UAE Tour, l’aerazione è stata efficaceColleoni racconta di aver provato il casco in condizioni di grande caldo al UAE Tour, l’aerazione è stata efficace
Aerazione efficace
Poi subentrano le sensazioni, perché il casco nasce in laboratorio, viene testato e omologato, ma la valutazione finale spetta chi dovrà usarlo. E nel caso dei corridori, si parla di un impiego ripetitivo e in ogni condizioni meteo. Ecco perché, fra le altre cose, risulta comoda la possibilità di rimuovere, lavare e asciugare rapidamente le imbottiture interne.
«Anche se siamo soltanto ad aprile e qui in Belgio sembra ancora inverno – ammette sorridendo il bergamasco – ho usato questo casco anche in situazioni di grande caldo, come al UAE Tour. L’ho trovato traspirante e ben aerato, non ho avuto problemi. E nemmeno ho mai avuto l’esigenza di avere una retina interna per evitare che entrino ad esempio gli insetti. Perché a quel punto tanto vale prendere un modello aero: la retina infatti oltre agli insetti ferma anche l’aria. Gli occhiali invece a volte li infilo sopra, oppure dietro sul collo. Si tolgono soltanto in salita e poi nemmeno sempre…».
Il casco deve restare al suo posto e non risultare scomodo. Un valore aggiunto è il sistema MipsIl casco deve restare al suo posto e non risultare scomodo. Un valore aggiunto è il sistema Mips
Taglie e prezzi
Il casco è disponibile in due taglie che permettono di coprire ogni circonferenza: 52-56 e 56-59. Tra i dettagli che possono fare la differenza, c’è senz’altro la chiusura magnetica, che permette di aprirlo e chiuderlo con un solo tocco, grazie al sistema Fidlock. La fibbia del casco è comandata da un magnete, in modo che il funzionamento sia intuitivo e agevole anche indossando i guanti. E per essere certi che il casco sia davvero chiuso, basta prestare attenzione al “clic” che conferma l’aggancio.
Il casco Uvex Rise Pro Mips è in vendita a 219,95 euro. Domani lo vedrete in corsa alla Liegi-Bastogne-Liegi anche con il nostro amico Colleoni e poi al Giro d’Italia. Si sono già svolte mille gare, ma il bello deve ancora venire.
LIEGI (Belgio) – Andrea Piccolo era sorridente quando alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi è venuto a parlare con noi. Il giovane lombardo della EF Educational-Easy Post era pronto per la sua prima Doyenne. Sapeva che avrebbe dovuto lavorare per Ben Healy, considerato il terzo incomodo in quello che doveva essere il duello tra Evenepoel e Pogacar.
Piccolo ha vissuto una primavera altalenante tra qualche buon piazzamento e qualche acciacco di troppo. Alla fine ha chiuso la prima parte di stagione con 21 giorni di corsa, un bel po’ sotto la media che si attesta su 29-30 giorni. La tanto auspicata costanza per ora non c’è stata, ma è anche vero che il caldo deve arrivare e che la stagione è davvero lunga.
Andrea Piccolo (classe 2001) alla vigilia della LiegiAndrea Piccolo (classe 2001) alla vigilia della Liegi
Andrea, come stai?
Sto abbastanza bene. Sono uscito dalla Freccia nella quale ho aiutato i miei compagni, ma sinceramente ho avuto buone sensazioni.
Com’è andata questa primavera? Che bilancio tracci?
Alla Parigi-Nizza ho avuto un virus intestinale che mi ha debilitato parecchio, non sono stato bene. La squadra ha preferito mandarmi a casa per farmi recuperare bene e riprendermi. Sono stato per cinque giorni senza bici e per questo motivo ho saltato purtroppo la corsa di casa alla quale tenevo tantissimo: la Sanremo. A quel punto abbiamo deciso di rivedere un po’ i piani.
Cosa avete deciso?
Di prenderci 15 giorni. Un paio di settimane tranquille, senza gare. Sono andato in altura, al Sestriere, per prepararmi pensando di fare bene in queste corse. L’idea era di ritrovare il colpo di pedale giusto. E’ stato un mese di preparazione per la squadra e con la squadra che mi ha seguito.
Questa è stata la tua prima campagna del Nord. Dai primi “assaggi” cosa ti sembra?
Sicuramente sono corse diverse. Essendo alla mia prima esperienza tutto è da scoprire. Ma mi piacciono perché sono gare in cui oltre alle gambe bisogna saper correre. E anche se sei in condizione, non è facile.
Andrea ha spesso aiutato i compagni. Ma all’Etoile de Besseges (a febbraio) aveva colto un buon 5° posto nella prima tappa Andrea ha spesso aiutato i compagni. Ma all’Etoile de Besseges (a febbraio) aveva colto un buon 5° posto nella prima tappa
Adesso quali sono i tuoi programmi?
Finita questa trasferta nelle Ardenne correrò a Francoforte il primo maggio (proprio durante la Liegi Andrea ha preso la febbre. Altro stop e niente gara in Germania, ndr) a quel punto inizierò un mese dedicato totalmente alla preparazione. Mi preparerò con la squadra e andrò anche in altura.
No, niente Giro d’Italia. Ma questo era già stato escluso ad inizio anno. Abbiamo deciso di procedere per gradi. Voglio, vogliamo prepararci bene per la seconda parte di stagione.
Seconda parte di stagione: hai già previsto un picco principale di forma? Hai obiettivi specifici?
Diciamo che con la squadra abbiamo capito ciò di cui ho bisogno. A me serve del tempo per trovare la marcia giusta. Comunque io sono uno che col caldo esce fuori di più. Non sono un corridore da clima tanto freddo. E’ chiaro che il meteo non si può cambiare e si prende quello che c’è, ma se sei in forma si sente sicuramente meno. E il mio obiettivo è trovare una buona forma.
Col caldo Piccolo dà il meglio. Come dice Wegelius è un talento e va aspettato (foto Instagram)Col caldo Piccolo dà il meglio. Come dice Wegelius è un talento e va aspettato (foto Instagram)
Piccolo e il caldo
Piccolo è un talento: lo ha detto Ellena che lo ha avuto lo scorso anno per qualche mese e lo ha ribadito Wegelius. Andrea deve trovare la sua continuità, ma questa fa parte del processo di crescita. Non dimentichiamo che è al primo anno di WorldTour e che viene da una stagione, il 2022, molto particolare.
Fanno bene Wegelius e la squadra a tutelarlo. E anche il fatto che Piccolo spinga molto sulla preparazione ci parla di un atleta moderno. A maggio se ne andrà sulle alture francesi di Font Romeu sui Pirenei francesi, per farsi trovare super pronto.
Niente Giro – anche se ci dispiace – però quando Piccolo parla di preparazione per la seconda parte di stagione, magari si può pensare che possa fare bene al campionato italiano o nelle classiche estive. E se tutto dovesse andare bene, magari potrebbe esordire alla Vuelta. Nel suo clan nessuno ha scartato questa ipotesi.