VIELSAM (Blegio) – Finalmente, dopo 36 ore di pioggia ininterrotta, torna a splendere un timido (anzi, facciamo timidissimo) sole sulle Ardenne. Non piove e già va bene. E’ venerdì, antivigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, ed è quindi il classico giorno delle ricognizioni.
Alla sera, dopo un ultimo giro di messaggi con i vari direttori sportivi, stabiliamo anche noi il nostro piano di battaglia. Molti team hanno scelto Vielsam come punto di partenza. Tanto vale recarsi lì. Tra le 9,30 e le 11 tutti sono in “pista”.
Pista è un termine che calza, visto che questa è la strada della Liegi e che nel bel mezzo della recon si lambisce anche il circuito di F1 di Spa-Francorchamps. Il primo atleta che incontriamo è un italiano: Samuele Battistella. Un saluto incoraggiante e, insieme al capitano Ben Healy e ai compagni, s’immette alla scoperta degli ultimi 104 chilometri della Doyenne.
Ore 10, la XDS-Astana si trova a Vielsam per la ricognizione della LiegiPoco dopo passa Bagioli. Da segnalare che in casa Lidl-Trek domattina arriverà Ciccone dal Tour of the AlpsPellizzari è stato davanti ininterrottamente per i 104 km di reconIl monumento dedicato a Merckx sullo Stockeu: 1 km al 12,5% di pendenza mediaKopecky era intenta a trafficare con lo smartphone. Alla Freccia non è parsa brillante, saprà riprendersi alla Liegi? (foto Patrick Pirotton)Ore 10, la XDS-Astana si trova a Vielsam per la ricognizione della LiegiPoco dopo passa Bagioli. Da segnalare che in casa Lidl-Trek domattina arriverà Ciccone dal Tour of the AlpsPellizzari è stato davanti ininterrottamente per i 104 km di reconIl monumento dedicato a Merckx sullo Stockeu: 1 km al 12,5% di pendenza mediaKopecky era intenta a trafficare con lo smartphone. Alla Freccia non è parsa brillante, saprà riprendersi alla Liegi? (foto Patrick Pirotton)
Appuntamento a Vielsam
Poco dopo ecco spuntare Andrea Bagioli. Lui è in compagnia di un solo altro atleta e in ammiraglia sono seguiti dal direttore sportivo Maxime Monfort. Il resto del team ha fatto la ricognizione ieri: si sono sciroppati 150 chilometri sotto la pioggia. Qualcosa d’insolito anche per i belgi, tanto è vero che più di qualche voce locale aveva sottolineato la cosa.
In casa XDS-Astana Team, il primo a scendere dal bus è Alexandre Vinokourov! Ma non aveva smesso? O siamo ancora al 2005, quando vinse la sua seconda Liegi? Vino scherza: «No, non la faccio mica tutta con loro». E infatti, dopo aver preso un caffè, il manager s’incammina con una delle bici di Velasco, un po’ prima dei ragazzi. Mario Manzoni, il direttore sportivo, dà le ultime indicazioni e poi partono anche Diego Ulissi e gli altri.
Qualche centinaio di metri a valle, ma sempre a Vielsam, ecco due team: Team Visma-Lease a Bike e Red Bull – Bora. E qui la sorpresa: tra i “tori rossi” c’è anche Giulio Pellizzari. La squadra lo ha annunciato in extremis, ma siamo venuti a sapere che, tutto sommato, Pellizzari sapeva di fare la Liegi già da un po’. Non tanto, ma neanche così all’ultimo.
E’ sorridente, emozionato e anche quello che si sente di più. Fa “perdere la pazienza”, nel senso buono, anche con Enrico Gasparotto. Insomma, si parte tra le risate. Giulio è al debutto e seguiamo il suo team per un po’. La cosa che abbiamo notato è che, praticamente per tutto, ma proprio tutto, il tempo Pellizzari è stato in testa. Forse voleva vedere per bene le strade. Una bella fame di conoscenza, di entusiasmo…
Attenzione! Ciuffo già fuori dal casco per Tadej (foto Patrick Pirotton)La Visma-Lease a Bike ha pedalata forse con l’andatura maggiore di tutte le squadre visteLa foto forse non rende giustizia a questa svolta secca e in piena discesa con strappo a seguire. La Liegi è tutta cosìLa Soudal è partita tutta insieme: sia la squadra maschile che femminile. Bella iniziativa (foto Wout Beel)Remco ha incrociato la UAE di Pogacar proprio sulla Redoute. Un anticipo della sfida! Attenzione! Ciuffo già fuori dal casco per Tadej foto Patrick Pirotton)La Visma-Lease a Bike ha pedalata forse con l’andatura maggiore di tutte le squadre visteLa foto forse non rende giustizia a questa svolta secca e in piena discesa con strappo a seguire. La Liegi è tutta cosìLa Soudal è partita tutta insieme: sia la squadra maschile che femminile. Bella iniziativa (foto Wout Beel)Remco ha incrociato la UAE di Pogacar proprio sulla Redoute. Un anticipo della sfida!
Nel cuore della Doyenne
E a proposito di strade, forse la tattica di Gasparotto di farlo stare davanti è davvero corretta. Seguendo questa recon da così dentro e così da lontano rispetto al solito, ci siamo resi conto anche noi di cosa sia davvero la Liegi. Non è solo Redoute o Roche-aux-Faucons o Stockeu. E’ un serpente d’asfalto alquanto velenoso. Noi seguiamo le côtes, ma in realtà è un continuo saliscendi. La pianura non esiste. E spesso si sale a strappi.
E non si deve pensare solo al dislivello: le strade sono spesso strette. Si lascia una strada nazionale e si svolta secchi su una comunale di campagna. Il risultato è: carreggiata ristretta, curve, pendenze violente anche in discesa e asfalto ondulato. Tanti microdossi che richiedono molta attenzione. Proviamo a immaginare lo stress dei corridori in gruppo, il cercare di stare davanti.
Il tratto in discesa dopo Wanne, giusto per dirne uno, è difficilissimo. Lo stesso vale per le stradine che precedono la cote di Mont-le-Soie. Poi, ovviamente, ci sono le salite vere e proprie… che non regalano nulla.
Gregoire guidava i suoi sulla salita di Cornemont, che però non è segnata come cotes (foto Patrick Pirotton) Per le ragazze della VolkerWessels, un po’ di dietro motore dopo Haute LevéeIl fans club di Andrea Bagioli…Florio Santin, uno dei tiofsi più noti, con la torta di riso.. Possiamo confermare che era buonissima!Remouchamp, base della Redoute: i camper sono già numerosi. Ed è solo venerdì…Gregoire guidava i suoi sulla salita di Cornemont, che però non è segnata come cotes (foto Patrick Pirotton) Per le ragazze della VolkerWessels, un po’ di dietro motore dopo Haute LevéeIl fans club di Andrea Bagioli…Florio Santin, uno dei tiofsi più noti, con la torta di riso.. Possiamo confermare che era buonissima!Remouchamp, base della Redoute: i camper sono già numerosi. Ed è solo venerdì…
Ardenne già in festa
E poi c’è il contorno di questa ricognizione. Ed il contorno è la gente, la festa, il popolo del ciclismo. Ragazzi che si accodano ai team, tifosi a bordo strada e la solita Redoute già presa d’assalto. A Remouchamps, il pratone verde alla base della cote simbolo della Liegi è già pieno di camper e sulla salita tutti aspettano i big. Che bel caos per Tadej Pogacar, ma soprattutto per i beniamini di casa: Lotte Kopecky e Remco Evenepoel. Un signore ci confida che spera proprio sia Remco a battere Pogacar.
Ma la festa, anche la nostra, non è finita. Poco dopo la Redoute, dove Remco staccò Healy due anni fa, c’è uno stand con una bandiera belga e una italiana. Si mangia, si beve e si fa il tifo per Andrea Bagioli. E’ il suo fan club. A dirigere l’orchestra è Florio Santin.
Un bicchiere di rosso, un panino e la torta di riso. «Questa è tipica della zona, delle Ardenne – ci dicie Florio – Ne era golosissimo Giovanni Visconti. Che ha poi trasmesso questa passione anche a Valverde. Prima è passato Bagioli, ma non si è fermato… purtroppo. Mentre è stata molto carina Elisa Longo Borghini. Ha rallentato, ci ha sorriso e abbiamo scambiato una battuta».
E’ ormai l’ora di pranzo passata. I team non passano più. Quel che è fatto è fatto. I big hanno le conferenze stampa. Gli altri potranno vivere con un pizzico in più di relax questo avvicinamento… all’ultima grande classica di questa splendida Campagna del Nord.
Bennati aveva fatto l'ipotesi di Bettiol con Evenepoel, ma il toscano non è convinto. E spiega perché quando è stato il momento non hanno seguito Remco
Archiviate le corse di pavé e muri, si passa a quelle delle cotes. La Freccia del Brabante ha fatto da ponte, ma da oggi in poi con l’Amstel Gold Race si entra nel regno delle Ardenne. Salite un po’ più lunghe, ma comunque esplosive, di quelle in cui lo spettacolo viene quasi da sé… e in questa era di fenomeni non ne parliamo! Invece delle cotes e di queste strade ardennesi, ne parliamo eccome. E lo facciamo con un campione che lassù non si è solo fatto valere, ma più di qualche volta è stato dominatore: Michele Bartoli.
Con il toscano si parla delle salite simbolo delle tre classiche che mancano per chiudere la campagna del Nord: il Cauberg dell’Amstel, il Muro d’Huy della Freccia Vallone e la Redoute della Liegi-Bastogne-Liegi.
L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da LiegiL’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi
Il Cauberg
Il Cauberg è la rampa di lancio quasi sempre decisiva dell’Amstel Gold Race e simbolo, forse, di un’intera terra: Valkenburg. Qui si sono scritte anche pagine iridate e sempre qui andò in scena il famoso “ammutinamento” di Bartali e Coppi che, al mondiale del 1948, per controllarsi a vicenda arrivarono staccatissimi nelle retrovie. I due rimediarono una sonora squalifica da parte dell’allora UVI, antesignana della FCI. Ma torniamo ai nostri tempi e cediamo la parola a Bartoli.
Michele, partiamo dal Cauberg…
In effetti è un simbolo di una zona e non solo di una corsa, come per noi toscani il Monte Serra!
Puoi descriverci la salita?
E’ una salita con buone pendenze ed esplosiva. In realtà non possiamo neanche chiamarla salita, perché le salite vere sono quelle dove serve essere scalatori. No, qui parliamo di un’altra tipologia: strappi, cotes, chiamateli come volete, dove bisogna essere atleti veloci, esplosivi e anche potenti. E’ una salita particolare, più vicina al Fiandre. Per fare un esempio: è più adatta a Van der Poel che a Vingegaard. Non ho detto Pogacar perché per lui vanno bene tutte!
La strada com’è?
E’ molto ampia e la pendenza è abbastanza regolare: nel tratto duro sta attorno al 12 per cento. In tutto dura poco più di un chilometro e poi inizia un lungo falsopiano dove si troverà l’arrivo dell’Amstel. E’ selettiva, perché fatta nel finale riesce a fare la differenza. Tutti tengono duro nel primo tratto per non rimanere staccati, però poi, se inizia a mancarti la gamba, la velocità nel punto dove spiana può essere molto differente tra chi ne ha e chi no.
E a livello di ambiente?
E’ la salita dove c’è più presenza di tifosi all’Amstel: tantissimi. C’è un gran tifo quando si passa dentro Valkenburg e si inizia a salire.
Michele Bartoli fece sua l’Amstel nel 2002. Precedette Ivanov, Boogerd e ArmstrongIl Cauberg senza gara: una strada ampia e regolare nel suo prendere quotaIl profilo del Cauberg: 1,2 km, pendenza media del 7,8% e massima del 13,2% (immagine Climbfinder)Michele Bartoli fece sua l’Amstel nel 2002. Precedette Ivanov, Boogerd e ArmstrongIl Cauberg senza gara: una strada ampia e regolare nel suo prendere quotaIl profilo del Cauberg: 1,2 km, pendenza media del 7,8% e massima del 13,2% (immagine Climbfinder)
Quando l’hai fatta tu, con che rapporti si affrontava?
Se programmavi un attacco, potevi farla anche con il 53 da sotto: all’epoca 53×19 o 21. Dietro si iniziava già a usare il 23, anche il 25. Adesso con il 54 e le scale posteriori che arrivano al 34 non hai problemi. In una corsa come l’Amstel, il 54 se vuoi non lo togli mai.
Qual è il tuo ricordo del Cauberg?
Che l’aspettavo… molte volte con ansia! Era l’ultimo trampolino di lancio per fare una selezione definitiva. Quindi lo vivevi con uno stato d’animo di attesa vera.
C’era un punto preciso dove attaccare o si seguiva l’andamento della corsa?
Vedevi un po’ gli avversari, come si muovevano. Magari se notavi qualcuno in difficoltà potevi decidere di anticipare. Altrimenti, se c’erano squadre che tiravano, aspettavi il finale. Sono salite brevi in cui devi decidere al momento, in base al comportamento del gruppo, a meno che non si prepari un attacco con tutta la squadra. Ai miei tempi, invece, se avevi un compagno nel primo gruppetto era già un lusso. Cercavi di usarlo in modo diverso, non per una tirata di 200 metri. Invece oggi, se prepari un attacco, puoi farlo in grande stile anche sul Cauberg.
L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenzaL’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza
Il Muro d’Huy
Passiamo al Muro d’Huy. Una vera icona. Nella Freccia Vallone si affronta per tre volte e ognuna è una bolgia, uno stadio a cielo aperto. Introdotto nel 1982 (quando vinse Mario Beccia), è diventato il punto d’arrivo della corsa dal 1985. Da allora, gli italiani hanno vinto 11 volte. Bartoli alzò le mani nel 1999.
Michele, eccoci dunque al Muro d’Huy. Ulissi ci ha detto che quando si sale si vive il pubblico, ne puoi sentire l’odore…
In generale devo dire che la Freccia Vallone mi è sempre piaciuta tantissimo. L’ho sempre cercata, in tutti i modi. Sì, Ulissi ha fatto una descrizione giusta. Il Muro d’Huy ti dà sempre i brividi, dalla prima all’ultima volta. E rispetto ad altre salite simbolo, penso al Grammont o al Poggio, è l’unica con l’arrivo in cima.
Come prima: descrivici la salita. Si pensa sempre alla “S” dura, ma anche prima non regala niente…
Inizia a salire sin dall’abitato di Huy e già dal chilometro finale, quando si svolta a destra e si entra nel muro vero e proprio, capisci come andrà a finire. Se senti che la gamba non risponde, è bene cambiare tattica e giocare in difesa.
Bartoli dominò il Muro d’Huy nel 1999 in una giornata freddissimaIl profilo del Muro d’Huy: 1,4 km, pendenza media del 9,8% e massima del 26% (immagine Climbfinder)E’ una stradina che esce dal paese e si arrampica sulla collina che sovrasta HuyBartoli dominò il Muro d’Huy nel 1999 in una giornata freddissimaIl profilo del Muro d’Huy: 1,4 km, pendenza media del 9,8% e massima del 26% (immagine Climbfinder)E’ una stradina che esce dal paese e si arrampica sulla collina che sovrasta Huy
Lì è importante avere un compagno di squadra che ti porta su, o essere già in posizione giusta ma coperto, giusto?
E’ importante, perché quando svolti a destra, se sei anche solo un po’ indietro, spendi energie per tornare davanti. E se in quel momento accelerano, ti manca quell’attimo per respirare. Avere un compagno è l’ideale, ma se non ce l’hai devi comunque stare davanti. Anche perché nel chilometro finale la strada diventa molto stretta.
Chiaro…
E’ molto ripida, siamo oltre il 20 per cento. Però si gestisce. Io cercavo sempre il feeling giusto, risparmiando fino alla S, perché l’attacco da lì in poi “viene da solo”. A quel punto, se hai la gamba, dai tutto fino a dove spiana. Lì capivi se i pochi rimasti andavano in difficoltà. A me piaceva guardare in faccia l’avversario: capire se stava accusando.
In quel tratto finale (tra il 9 e il 6 per cento) si riesce a mettere la corona grande?
No, è improponibile. Lavori dietro con i rapporti.
La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomitoLa Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito
La Redoute
E veniamo infine alla Redoute, perla della Liegi-Bastogne-Liegi. Siamo “a casa” di Philippe Gilbert, nell’immenso spiazzo dei camper che si radunano alla base, e qualcuno anche lungo la salita, sin dal giovedì dopo la Freccia per gustarsi le ricognizioni. La Redoute si affronta una sola volta. Quest’anno arriva al chilometro 218, cioè a 34 dalla fine.
Michele, chiudiamo con la Redoute. Rispetto ai tuoi tempi è cambiata: ora in cima al tratto duro si svolta a destra e si scende. Una volta c’era un falsopiano…
La Redoute aveva perso un po’ d’interesse con l’inserimento della Cote de la Roche aux Faucons. Ma adesso, con questi campioni, è tornata in auge. Di certo è cambiata tatticamente. Resta un trampolino di lancio dove misuri l’avversario o decidi di scatenare qualcosa. Per me la gara iniziava sulla Redoute. Lì capivi chi stava bene e chi no. Se era il caso di fare un attacco decisivo.
Come si prende? All’imbocco la strada è stretta, c’è quel dedalo di curve nel paesino…
E’ un bel problema prenderla bene, perché si viene da una discesa ampia che ti fa organizzare male la squadra. Ti passano da tutte le parti. Io lì usavo molto i compagni per stare davanti e dettare il ritmo.
Della salita vera e propria cosa ci dici?
E’ dura davvero. Ti toglie energie. Man mano che sali senti che le sensazioni cambiano, forse per la tensione accumulata. Non è il Mortirolo, ma quando arrivi in cima sei esausto: è un continuo aumentare della pendenza.
Doppietta di Bartoli a Liegi (1997, 1998). Entrambe le volte davanti a JalabertLa Redoute: 2,1 km, pendenza media del 8,9%, e massima del 20. Da qualche edizione si svolta a destra dopo il tratto duro e quindi la sua lunghezza è di 1,6 kmUna veduta aerea di questa salita durissima. Siamo in piena Vallonia (foto Belgaimage)Doppietta di Bartoli a Liegi (1997, 1998). Entrambe le volte davanti a JalabertLa Redoute: 2,1 km, pendenza media del 8,9%, e massima del 20. Da qualche edizione si svolta a destra dopo il tratto duro e quindi la sua lunghezza è di 1,6 kmUna veduta aerea di questa salita durissima. Siamo in piena Vallonia (foto Belgaimage)
Tu dove attaccavi?
Ai 500-600 metri dal termine del tratto duro. Ma sono metri lunghissimi, non passano mai. Hai la percezione che il tempo rallenti: «Ora ci arrivo, ora ci arrivo»… ma non ci arrivi mai!
Sulla Redoute c’è sempre tanta gente. Che atmosfera si percepisce?
Durante la ricognizione, almeno per me, era sempre un test. Capire se era l’anno giusto, se avevi la gamba. Era quasi come una gara. Il tifo si percepisce, anche se sei concentrato. E’ un tratto talmente particolare che riesci a renderti conto di quanto ti urlano.
E questo contribuisce a rendere il momento importante?
Se sei tu a dettare il ritmo sì. Altrimenti, se subisci, il caos ti dà fastidio. Almeno, per me era così.
Abbiamo detto che non c’è più il falsopiano dopo il tratto duro: ti piace di più la vecchia versione o la nuova?
Tatticamente, la vecchia era meglio. Anch’io la vera differenza la facevo sul falsopiano. Ora, se non riesci a mettere in difficoltà gli avversari nel segmento duro è finita. La Redoute è passata. Prima, invece, avevi un “secondo round”.
COMPIEGNE (Francia) – Manca più di un’ora alla partenza della Roubaix, i corridori sono chiusi nei pullman e sulla strada ci si dedica a varie chiacchiere, su argomenti seri e meno seri. Quando dall’auto del UAE Team Emirates vediamo scendere Mauro Gianetti, ricordiamo che fra le ricorrenze di quest’anno ci sono sì i 30 anni dalla prima Roubaix di Franco Ballerini, ma anche quelli dall’accoppiata Liegi-Amstel del manager svizzero. E siccome ci è giunta voce che proprio alla vigilia della corsa olandese di domenica prossima la squadra festeggerà il suo capo, approfittiamo dell’occasione per soffiare sulla brace della memoria.
Nel 1995 il calendario delle classiche era diverso dall’attuale e permetteva ai giornalisti di rimanere per due settimane al Nord. La serie delle corse vedeva il Fiandre di domenica, la Gand-Wevelgem di mercoledì e la Roubaix la domenica successiva. Quindi la Freccia Vallone di mercoledì, la Liegi domenica ( il 16 aprile, che era anche Pasqua), infine l’Amstel il sabato successivo, 22 aprile. Gianetti arrivò quinto nella Freccia Vallone vinta da Jalabert su Fondriest, Berzin e Casagrande. Vinse la Liegi battendo Bugno, Bartoli e Jalabert. Infine vinse l’Amstel su Cassani, Zberg e Ludwig.
«Erano due corse bellissime – ricorda – la Liegi fu la prima, in più davanti a un gruppo di campioni straordinari. Vinta come l’ho vinta, in una giornata di acqua, neve, freddo. Era la prima grande vittoria, per giunta in una Monumento, è quella che rimane di più. Anche l’Amstel però fu complicata. Dopo pochi chilometri, fui coinvolto in una caduta e dovetti inseguire per molti chilometri. Ma alla fine riuscii a vincere, con un Cassani a ruota per 20 chilometri che diceva in continuazione: speriamo che ci riprendano, speriamo che ci riprendano…».
Liegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e ChiappucciLiegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e Chiappucci
Raccontasti di aver vinto puntando molto anche sull’aspetto mentale.
E’ un aspetto su cui ho sempre lavorato molto. Cercare di avere degli obiettivi, essere un visionario che lavora per i suoi traguardi e non un sognatore che rimane sul divano. Ho sempre lavorato duro sotto tutti gli aspetti e la parte mentale ha avuto un ruolo fondamentale. Avevo chiaro di essere un buon corridore, ma sapevo che per vincere avrei dovuto fare più degli altri. Essere più furbo degli altri: di alcuni in particolare. Parlo di campioni come Bugno, Jalabert, di Armstrong, quindi era importante riuscire a mettere assieme tutte le componenti.
Quelle vittorie arrivarono con la maglia Polti e un direttore sportivo che si chiama Giosuè Zenoni, approdato al professionismo dopo anni nella nazionale dei dilettanti.
Giosuè ha rappresentato moltissimo. E’ stato la persona che più di tutti mi ha aiutato a lavorare sulla parte mentale, ciò che forse fino a quel momento mi era mancato. Assieme a Stanga mi diede una consapevolezza che non sapevo di avere. Parlavano con me di preparare la corsa, di andare a provare il percorso e lo davano per scontato, come se io fossi davvero un possibile vincitore. Senza dire che dovessimo andare a vincere, era scontato che potessi correre per farlo. E questo mi ha dato una fiducia incredibile. Soprattutto con Zenoni parlavo moltissimo ed è stato una spinta veramente importante per la mia vita e per la mia carriera.
Sei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su CassaniSei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su Cassani
Quanto c’è di quel Mauro nel Gianetti manager di oggi?
Nel fare il manager è importante poter mettere tutti gli aspetti. Credo che essere stato atleta mi dia dei vantaggi nel mio essere imprenditore, nel pensare alle necessità dei corridori, alle esigenze degli sponsor e magari anche quelle degli organizzatori. Cerco di combinare tutte queste variabili per creare un team che sappia esattamente dove vuole andare e cosa vuole raggiungere, senza dimenticare il rispetto per nessuno: per l’atleta e per lo sponsor.
Che viaggio sono stati questi 30 anni?
Un viaggio incredibile, che mi ha portato dove sono oggi con grande soddisfazione e anche con orgoglio. La mia passione mi ha portato a costruire e dirigere la squadra oggi più forte al mondo, con un campione straordinario come Tadej (Pogacar, ndr). Soprattutto con un gruppo di 150 persone che ogni giorno arrivano alle gare col sorriso sul volto. Questa per me è la vittoria più grande, la soddisfazione più bella. Sono nel posto in cui ho sempre sognato e progettato di essere. Sono riuscito a creare tutto questo con tanto lavoro e impegno. E posso dire di andarne molto fiero.
Dombrowski ha vinto la tappa di Sestola. Vinse anche il Birobio 2012, poi si perse dietro al mito della magrezza. Oggi ha reimparato a mangiare e si vede
Van Vleuten a Liegi. Prima il forcing sulla Redoute e poi l'attacco sulla Roche aux Faucon. Ma vincere non è più facile come prima: il gruppo è cresciuto
Il Pogacar visto ieri all'Amstel è parso affaticato, come se non avesse recuperato dopo la Roubaix. Avrebbe dovuto recuperare? Un peccato non averci pensato
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Questo articolo merita un preambolo. Avevamo indetto un contest social legato alle prime quattro Classiche Monumento, chiedendo di indovinare il podio. Fra i tanti voti arrivati, un solo lettore ne ha indovinato uno in pieno: quello della Sanremo. Il suo nome è Silvano Parodi. Il suo premio: la scrittura di un articolo, con la relativa intervista da fare. Il personaggio prescelto è stato Lorenzo Germani. Il tema: la sua prima Liegi e il debutto al Giro. Silvano Parodi è un genovese classe 1980 che ha corso fino agli under 23. Ecco il suo primo articolo su bici.PRO.
Sulle strade delle Ardenne abbiamo seguito Lorenzo Germani alla sua prima esperienza in queste classiche. Tante le curiosità, impossibili da sintetizzare in un solo pezzo. La sua capacità di limare, ma con cautela: «Perché è facile che il gruppo se la prenda con un giovane un po’ troppo irruento, piuttosto che con il trentenne che in una sola curva recupera 20 posizioni». Le attenzioni per la bicicletta: «Non sono un maniaco di gomme e pressioni, ma ci sono giorni che mi fermo anche più di una volta per controllare le tacchette. I miei compagni mi prendono in giro per questo». E poi la lingua ufficiale del team, che cambia in base alla presenza dei corridori: «Alla Liegi ero l’unico italiano in mezzo ai francesi, ma a volte capita anche che si usi l’inglese». Siamo andati da lui prima della partenza per il Giro per sentire le sue impressioni (in apertura, foto Getty/Instagram).
La Strade Bianche è stata la prima gara WorldTour del 2024 per Germani (foto Getty/Instagram)La Strade Bianche è stata la prima gara WorldTour del 2024 per Germani (foto Getty/Instagram)
Ciao Lorenzo, raccontaci com’è andato questo avvicinamento alla tua prima Liegi tra i grandi.
Ho fatto un calendario di alto livello, praticamente tutte gare WorldTour: Strade Bianche-Tirreno-Sanremo-Baschi. Inizialmente le Ardenne non erano nemmeno previste, ma causa alcune variazioni di programma, mi sono ritrovato nella squadra selezionata. La stagione non era iniziata nel migliore dei modi, a causa di un virus preso al Tour de Provence, che mi ha tolto qualche giorno di allenamento.
La Liegi che corsa è?
E’ la corsa più dura che abbia fatto sino ad ora. Alla durezza del percorso, quest’anno si sono sommate delle condizioni atmosferiche pessime: nella prima parte le temperature erano molto basse, abbiamo preso anche del nevischio.
Qual è la parte più dura del percorso?
Ancora più della Redoute, la parte cruciale del percorso è il trittico Wanne-Stockeu-Haute Levée. Oltre alle salite in sé, è fastidioso il tratto di pavé che segue la discesa dello Stockeu e precede la Haute Levée.
Alla partenza della Liegi con Madouas, scongiurando il gelo della Freccia (foto Getty/Instagram)Alla partenza della Liegi con Madouas, scongiurando il gelo della Freccia (foto Getty/Instagram)
Come si è svolta la tua corsa?
Sono rimasto imbottigliato nella maxi caduta che ha coinvolto tra gli altri Pidcock e Van der Poel. Questo ha fatto sì che la gara diventasse ancora più dura. Dietro ho dato una mano a ricucire, visto che la Alpecin aveva solo un uomo e i ritmi erano altissimi, perché davanti la corsa era ormai scoppiata.
A quel punto corsa chiusa?
Dopo ho pensato solo a finirla e ad accumulare esperienza per i prossimi anni, visto che in questo tipo di corse è importante farne tanta e conoscere bene i percorsi
Come squadra con che piani eravate partiti?
Avevamo come leader Grégoire e Gaudu. Gaudu era davanti ma ha subito una foratura nella discesa della Redoute. Grégoire è rimasto coinvolto nella caduta e ha speso una bella cartuccia per rientrare, che ha poi pagato nel finale. Come collettivo eravamo una bella squadra, lo dimostra il fatto che nonostante questi intoppi abbiamo ottenuto una top 10 con Madouas
Dopo la caduta prima della Cote de Wanne, la Doyenne per Germani è stata un lungo inseguire a favore del team (foto Getty/Instagram)Dopo la caduta prima, la Doyenne per Germani è stata un lungo inseguire (foto Getty/Instagram)
Sei riuscito ad alimentarti correttamente?
In corsa ognuno ha il suo piano alimentare stampato sul manubrio, con i carboidrati da assumere ora per ora. Rispettarlo al 100 per cento non è semplice, soprattutto in fasi concitate, anche questo è un punto su cui con l’esperienza si riesce a essere più rigorosi.
Vista anche l’ottima esperienza avuta con la Liegi under 23, hai la conferma che è una corsa che ti si addice?
La gara professionisti e quella under 23 sono su due piani diversi, però è una corsa che mi piace. Il primo obiettivo per il prossimo anno sarà arrivare competitivo alla Redoute, magari in appoggio ai compagni, e poi vedremo. Sognare non costa nulla.
Sei stato anche uno dei tre soli italiani a terminare la Freccia Vallone…
La Freccia è stata ancora peggiore come clima: in partenza non erano previste condizioni così avverse. Anzi il fatto che le prime due ore siano state abbastanza calde e le ultime tre freddissime (con anche neve e grandine) ci ha sottoposto ad uno sbalzo termico che ha messo fuori causa gran parte del gruppo.
Germani ha capito che la Liegi potrebbe fare al caso suo, ma con i giusti tempi (foto Getty/Instagram)Germani ha capito che la Liegi potrebbe fare al caso suo, ma con i giusti tempi (foto Getty/Instagram)
Ora ti aspetta il Giro, come stai trascorrendo questi giorni?
Mi sto allenando (e recuperando) sulle strade di casa. Un po’ mi spiace non aver potuto fare un periodo di altura come l’anno scorso prima della Vuelta, ma visto il fitto calendario e la partecipazione alle classiche delle Ardenne non c’è stato spazio per organizzarlo.
Tempo fa ci avevi raccontato di aver chiesto di incrementare i carichi di lavoro al tuo preparatore, è stato dato seguito a questa richiesta?
Nella fase invernale sì. Quando sono iniziate le corse, come dicevo prima, il virus preso al Provenza ha scombussolato un po’ i piani facendomi perdere qualche giorno di allenamento. Poi, visto il fitto calendario, il grosso del lavoro è stato fatto in corsa.
Con quali aspettative personali e di squadra vai al Giro?
Come squadra andremo con l’idea di essere più orientati sulle volate. Abbiamo Pithie che ha fatto un ottimo inizio stagione e potrebbe puntare ad una buona classifica per la maglia ciclamino. Nelle tappe non da volata invece godremo di più libertà. Spero si crei anche qualche buona occasione a livello personale.
Lo scorso anno, la Vueta è stata il primo grand Giro di Germani, che sta per debuttare al GiroLo scorso anno, la Vueta è stata il primo grand Giro di Germani, che sta per debuttare al Giro
Una tappa, la Avezzano-Napoli, toccherà anche le tue zone di allenamento: volata o fuga?
I primi 150 chilometri sono in pratica una superstrada, l’ultima parte invece è molto tecnica con salitelle e percorso nervoso. Potrebbe spezzarsi il gruppo e arrivare un 60-70 corridori. Sulla carta è molto adatta al nostro Pithie.
Buon viaggio Lorenzo, ci vediamo sulle strade del Giro!
Il matrimonio “sportivo” con il UAE Team Emirates, ed in particolare con Tadej Pogacar, continua a regalare al marchio Colnago una serie impressionante di successi sportivi. L’ultimo in ordine di tempo è stato il trionfo dell’asso sloveno alla recente Liegi-Bastogne-Liegi di domenica scorsa. I successi sportivi, seppure importanti, avrebbero un peso di per sé relativo se non fossero accompagnati da successi altrettanto importanti in ambito amministrativo. Il bilancio 2023, approvato lo scorso 23 aprile, è lì a confermare lo stato di ottima salute di cui gode la Colnago Ernesto & C. S.r.l. anche da un punto di vista finanziario.
Tadej Pogacar insieme a Nicola Rosin, amministratore delegato di ColnagoTadej Pogacar insieme a Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago
Fatturato triplicato
Prendendo come riferimento il 2020, anno in cui è avvenuta l’acquisizione da parte dei nuovi soci di maggioranza, è possibile notare un trend di crescita che è continuato anche nel 2023 e che ha portato ad un fatturato più che triplicato rispetto allo stesso 2020. I numeri forniti dalla stessa Colnago sono lì a confermare questa straordinaria crescita.
Nel 2023 il fatturato è stato di 55.715.101 euro, con un aumento del 33% rispetto all’anno precedente per una differenza in positivo di 13.779.358 euro. Da segnalare inoltre un EBITDA di euro 14.015.100, ovvero il 25,15% del fatturato (ricordiamo che l’EBITDA è un indicatore che aiuta a valutare il profitto di un’impresa, escluse le imposte, gli ammortamenti, i deprezzamenti e gli interessi aziendali, ndr).
Tutti questi numeri confermano il forte consolidamento del marchio Colnago che va ad affiancarsi, come già anticipato, ai successi sportivi del UAE Team Emirates, ma anche a quelli della formazione femminile della UAE Team ADQ.
Giusto ieri al Tour de Romandie, McNulty ha portato al successo la sua Colnago da cronoGiusto ieri al Tour de Romandie, McNulty ha portato al successo la sua Colnago da crono
Parola all’Amministratore Delegato
I motivi di un successo così importante, avvenuto soprattutto in un periodo di flessione del mercato ciclo a livello globale, sono perfettamente riassunti nelle dichiarazioni di Nicola Rosin, Amministratore Delegato di Colnago, rilasciate a seguito dell’approvazione del Bilancio 2023.
«La nostra missione è quella di essere il marchio di biciclette più desiderabile al mondo. A questo punto pensiamo ovviamente di essere sulla buona strada. Colnago è un’azienda ben organizzata, con manager capaci e con un grande senso di appartenenza. L’opportunità di avere due grandi team nel World Tour sia maschile sia femminile, UAE Team Emirates e UAE Team ADQ alza il livello delle richieste e ci stimola quotidianamente a migliorare il prodotto. Abbiamo inoltre una proprietà che vuole successo e crescita costante, ottenendoli però in maniera sana: una governance armoniosa permette a noi manager di svolgere il nostro lavoro nel modo più sereno possibile. Questo vale davvero molto!».
I successi sportivi, accanto a quelli finanziari, si accompagnano naturalmente al lancio di nuovi prodotti. Recentemente Colnago ha presentato la C68 Gravel e fra pochi giorni svelerà una nuova novità sempre relativa al mondo gravel.
Van Vleuten a Liegi. Prima il forcing sulla Redoute e poi l'attacco sulla Roche aux Faucon. Ma vincere non è più facile come prima: il gruppo è cresciuto
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Giacomo Villa risponde al telefono mercoledì mattina, lo intercettiamo mentre sta uscendo per l’allenamento. A quasi tre giorni di distanza dalla sua prima Liegi-Bastogne-Liegi, terminata dopo 70 chilometri, l’emozione di essere stato alla Doyenne non è svanita (in apertura foto PRM x Bingoal). Sicuramente non se la sarebbe immaginata così, ma essere presenti in certe corse ha sempre un valore positivo.
«Riprendo oggi – racconta Villa – dopo due giorni di stop. Alla Liegi ho corso con la febbre, ho provato a tenere duro, ma è stato impossibile. L’idea era quella di mettermi comunque a disposizione della squadra ma sono durato 70 chilometri. Praticamente fino alla prima macchina dei massaggiatori. Il clima di freddo e pioggia trovato anche alla Liegi non mi ha aiutato, vista la settimana che abbiamo vissuto in gruppo».
Il freddo e la pioggia della Freccia Vallone hanno condizionato l’avvicinamento alla Liegi (foto PRM x Bingoal)Il freddo e la pioggia della Freccia Vallone hanno condizionato l’avvicinamento alla Liegi (foto PRM x Bingoal)
Il freddo ha colpito
Villa era alla partenza anche della Freccia Vallone, corsa che hanno terminato solo 44 degli oltre 170 corridori partiti. Una settimana di freddo e pioggia che è culminata in una febbre che ha condizionato in negativo la prima Classica Monumento del giovane della Bingoal-WB.
«La febbre – continua – mi è venuta sabato sera, a poche ore dalla Liegi. Ho provato ad abbassarla con una tachipirina, cosa che ha funzionato in parte. Domenica mattina, il giorno della gara, stavo discretamente bene. Sensazione che è durata una manciata di ore, perché appena partiti si è rialzata subito. Ho pagato la settimana di freddo e pioggia che abbiamo preso in Belgio.
«Alla Freccia, corsa mercoledì, ho mollato solamente all’ultimo passaggio sul muro di Huy. Ero in una “terra di nessuno” perché mi trovavo insieme a Ulissi e due corridori della Quick-Step, a metà tra i primi 30 e gli ultimi 10. L’ammiraglia della formazione di Lefevere è arrivata e ha detto ai suoi ragazzi di fermarsi dopo l’arrivo, io ero indeciso su cosa fare e li ho seguiti».
Nonostante il brutto tempo la Liegi ha visto un grande richiamo di pubblico, come merita una MonumentoNonostante il brutto tempo la Liegi ha visto un grande richiamo di pubblico, come merita una Monumento
Come stavi dopo la Freccia?
Bene, tanto che mi sono fermato in Belgio per preparare la Liegi. Giovedì abbiamo fatto un paio d’ore di allenamento, sempre al freddo, mentre venerdì dovevamo vedere il percorso della Doyenne, ma è stato impossibile.
Sempre troppa acqua?
Non ha smesso di piovere un secondo. Dovevamo fare i primi 30-40 chilometri per trovare il punto giusto per poi andare in fuga domenica. Venerdì pioveva così tanto che siamo riusciti a fare solo i primi 10 chilometri. Secondo me quella è stata la mazzata definitiva, tanto che sabato mi sono svegliato che ero barcollante e infatti la sera mi è venuta la febbre.
In fuga per la Bingoal alla Doyenne è andato Loïc VliegenIn fuga per la Bingoal alla Doyenne è andato Loïc Vliegen
Anche se per poco hai corso la tua prima Monumento…
Sono rimasto affascinato, devo ammetterlo. La verità è che a inizio anno sapevo che in questa squadra ci sarebbe stata la possibilità di correre la Liegi ed è stato un mio obiettivo fin da subito. Raggiungerlo al primo anno mi ha fatto un immenso piacere, anche se non l’ho vissuta come avrei voluto.
E come avresti dovuto viverla?
Con la squadra eravamo d’accordo che sarei dovuto andare in fuga. Tanto che domenica mattina, nonostante le condizioni precarie, alla partenza mi sono messo in seconda fila. Diciamo che sono durato poco. Alla prima salitella mi hanno sfilato in 30 e sono finito a metà gruppo. Ogni chilometro che passava tra vento, pioggia e freddo perdevo posizioni. Così appena vista l’ammiraglia mi sono fermato.
Com’è stato vivere la Liegi?
In queste occasioni capisci quanto siano amati i grandi eventi. Rispetto ad altre gare, che sono comunque tanto frequentate dai tifosi, non c’è paragone. Ti senti come se tutti sappiano chi sei, chiedono autografi, foto…
Villa è rimasto affascinato dalle corse nelle Ardenne e nel 2025 vuole tornare e perché no correrne di più (foto PRM x Bingoal)Villa è rimasto affascinato dalle corse nelle Ardenne e nel 2025 vuole tornare e perché no correrne di più (foto PRM x Bingoal)
C’era tanto pubblico nonostante la pioggia?
In quei primi 70 chilometri ogni volta che entravamo in un paesino trovavamo due muri di gente. Mi sa che in Belgio sono abituati a questo clima (ride, ndr). I tifosi sono scesi in strada armati di mantelle e ombrelli.
Allora l’obiettivo è quello di tornare?
Certo. Magari fare anche qualche altra semiclassica in quelle zone. Il team partecipa a tante gare del genere, soprattutto quelle con il pavé e devo ammettere che mi hanno intrigato parecchio. Speriamo che nel 2025 ci possa accogliere il sole.
Presentazioni delle squadre a Liegi, lungo il corso de L'Ourthe. Un andirivieni di campioni e campionesse. Van Aert e Gilbert i più acclamati dal pubblico
LIEGI (Belgio) – Le parole di Pidcock dopo la corsa sono la sintesi perfetta di quello che tutti abbiamo pensato vedendo Bernal scattare sulla Cote de la Roche aux Faucons: «E’ bello vederlo correre di nuovo in questo modo. Ha dovuto soffrire più di quanto io possa immaginare».
Il colombiano sta tornando. Ha ammesso di avere valori persino superiori a quelli che aveva prima dell’incidente, ma il ciclismo nel frattempo è andato avanti e la sua rincorsa non è terminata. Diciamo però che è ormai nella scia delle ammiraglie e il gruppo dei migliori, di cui fa parte per palmares e attitudini, è ormai in vista. Bernal ha 27 anni, ha vinto un Tour, un Giro e ogni genere di corse a tappe. L’incidente del 2022 poteva costargli la vita e invece lui la vita se la sta riprendendo, un gradino dopo l’altro.
Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla RedouteIl colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute
Lo abbiamo incontrato alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, il sorriso radioso come sempre e forse di più. L’attesa iniziava a montare e si capiva, per averlo visto bello pimpante già nelle prove sulla Redoute, che avrebbe fatto una bella corsa. Il risultato finale non rende merito alla sua corsa. Il ventunesimo posto è stato figlio dell’aiuto dato a Pidcock, arrivato decimo, dopo la vittoria all’Amstel Gold Race. Alla fine però era contento lo stesso. Ha ammesso che avrebbe voluto seguire Pogacar e non ce l’ha fatta. Però almeno stavolta l’ha visto da molto vicino.
Egan, sei felice?
Sì, molto felice.
C’è stato un giorno quest’anno in cui hai sentito che sta tornando il vero Egan?
Forse al Gran Camino, i primi giorni. Sentivo che avevo ancora la forza per godermi la corsa. In quel momento ho pensato che forse quest’anno sarei riuscito a fare un passo in più.
Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccareLe prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Che cosa manca, secondo te?
Uh, non so… Penso solo a continuare quello che ho fatto fino ad ora. Ho finito la scorsa stagione pensando che non sarei più riuscito a tornare al livello per stare davanti. Quest’anno invece sono più avanti dell’anno scorso, quindi penso che sto andando per un buon cammino. Sono fiducioso e per quest’anno spero di fare il mio meglio, pensando che il prossimo anno sarò nuovamente al mio livello migliore.
Come si spiega che tu abbia numeri migliori del 2021 eppure sia costretto a rincorrere?
Al di là del mio ritorno alla piena efficienza, significa che gli altri stanno continuando a migliorare, che tutto va molto veloce. Per cui devo restare concentrato su me stesso e lavorare per raggiungere il miglior Egan e poi mettere nel mirino i più forti del gruppo.
Pensavi che il recupero durasse di meno, oppure sta andando veloce? Che impressione hai?
Dipende, ci sono i giorni che sembra che va veloce e altri giorni che sembra che va piano. Vogliamo sempre di più, però la caduta che ho avuto… Già il solo fatto di poter fare una vita normale, è già un miracolo. Stare qua e pensare di poter essere ancora vincente, lo è ancora di più. Ho tanta voglia di tornare a essere il migliore, ma non posso dimenticare che ormai ho già vinto la corsa più importante.
Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e TourDopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Ti manca più in salita o a crono?
Un po’ dappertutto (sorride, ndr). Con il ciclismo di adesso, mi manca anche la discesa. Ormai si va a tutta in qualsiasi momento, quindi bisogna stare molto attenti in ogni momento.
Rimani qua fino al Tour o torni in Colombia?
No, torno in Colombia. Dopo la Liegi, faccio il Romandia e poi torno a casa. Mi preparo per il Tour, passando prima per il Delfinato. Quest’anno niente Giro, anche se presto ci tornerò.
RIEMST (Belgio) – Dall’incontro per parlare del suo casco al ricordarsi l’ultimo pezzo dello scorso anno, quando Kevin Colleoni annunciò che sarebbe passato dalla Jayco-AlUla alla Intermarché-Wanty. La stagione non era andata un granché e alla base di tutto c’era un misterioso problema alla schiena venuto fuori dopo la caduta alla Coppa Agostoni. Di solito, in questi casi, fai le terapie necessarie, ti raddrizzano e torni come nuovo. Invece per il bergamasco si è messo in moto un mezzo inferno, fatto di dolore, esami, disagi e la frustrazione del non venirne a capo.
Perciò abbiamo prolungato la permanenza nel suo hotel per fare il punto sulla salute e sulla carriera, la stagione in corso e quello che verrà. Vedendolo arrivare in cima alla Redoute il giovedì assieme a Francesco Busatto non era sembrato particolarmente dolorante, ma è meglio farsi raccontare da lui (in apertura, nella foto Instagram/cyclingmedia_agency).
Il UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-WantyIl UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-Wanty
Come è correre in Belgio in una squadra belga?
A correre qui, si sente la differenza, altrimenti è un team internazionale. Molto familiare, questo sì: mi trovo bene. Ho trovato un ambiente tranquillo, professionale, non avevo dubbi. Sono a mio agio anche con i compagni e lo staff. La cosa che mi piace tanto è il programma. Ci sono stati dei piccoli cambiamenti, però già da dicembre sapevo dove avrei corso. Più o meno ho il calendario per tutto l’anno, al netto di quello che può capitare. E questo è ottimo, perché si può programmare bene il lavoro.
E’ utile programmare a così lunga scadenza?
Arrivo da un anno difficile, ho avuto i miei problemi e sono arrivato qua senza averli ancora sistemati del tutto. Per questo vivo molto alla giornata. Ho trovato uno staff medico, osteopati e fisioterapisti molto preparati e sono migliorato tanto. Non voglio dire che sia passato al 100 per cento, ma sto parecchio meglio.
Si è scoperto che cosa sia successo in quella caduta?
In realtà non ho rotto niente, almeno da quello che si è visto. Solo che è cominciato questo mal di schiena che mi sono portato avanti per il resto della stagione. Ho iniziato a migliorare da questo inverno dopo che sono finite le corse, facendo di tutto e di più. Osteopati, fisioterapisti… Non li conto neanche più! Poi ho trovato un osteopata a Bergamo che ha iniziato a seguirmi facendo gli stessi trattamenti di quelli della squadra. E facendo questo, più tanti esercizi, la cosa ha iniziato a dare meno problemi. La causa non si è trovata ancora, non sappiamo cosa sia. Però facendo determinati trattamenti, funziona.
Nel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con PetilliNel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con Petilli
Niente più dolore?
Negli ultimi mesi sembra essere sparito. Ho qualche fastidio fuori dalla bici che prima non avevo, però in sella tutto sommato non è male. Prima non riuscivo a starci, l’anno scorso ad agosto non riuscivo a fare neanche un’ora. Il dolore prendeva la parte bassa e a destra, gamba e gluteo. All’inizio hanno ipotizzato che si trattasse di una sciatalgia, ma in realtà non è stato quello. E’ più un’infiammazione generale, causata da uno squilibrio.
Dagli esami non è emerso nulla?
Ho fatto risonanze, il test per la composizione delle ossa, la tac. Eppure non c’è un problema visibile, bensì tanti piccoli problemi che però non possono portare a quel dolore. Prima della caduta non ho mai avuto nulla, quindi deve essere cominciato per forza da lì. Una cosa di cui mi sono accorto e che hanno notato anche gli osteopati è che da allora non ero più bilanciato, sia in bici che fuori. Una cosa che mi ha fatto migliorare è stato andare da un oculista.
Per fare cosa?
Abbiamo riscontrato che dall’occhio destro mi manca uno 0,4, mentre il sinistro è a posto. Perciò abbiamo fatto delle prove e mettendo una lente correttiva, in bici praticamente mi raddrizzo. La mia schiena non carica solo da una parte, ma è bilanciata e così anche l’appoggio sui piedi quando cammino. Adesso è 50-50, mentre prima pendevo da una parte. Perciò vado in bici con le lenti a contatto. E’ una cosa cui non credevo neanche io. Ci sono andato perché me l’ha detto l’osteopata. Eravamo andati anche dal dentista, ma il palato è dritto e non incide sulla posizione, invece gli occhi fanno tantissimo. Porto le lenti da questo inverno, da dicembre: 24 ore su 24, le tolgo solo per dormire. E non vanno bene quelle usa e getta, perché mi manca troppo poco e non ne fanno, per cui devo prenderle su misura.
Alla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele GazzoliAlla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele Gazzoli
Perciò adesso pedali come ai vecchi tempi?
Ho cominciato a non avere più fastidio e a ripedalare in maniera più soddisfacente. Diciamo che all’inizio dell’inverno ho avuto un po’ di acciacchi, per cui ho iniziato tardi. Ho cominciato ad allenarmi al ritiro di dicembre, prima niente. Da gennaio ho iniziato a fare i lavori e mese dopo mese è andata sempre meglio. In gara ho avuto qualche fastidio all’inizio delle prime gare, però ad esempio il Giro dei Paesi Baschi è stata la prima gara dopo un anno in cui non ho avuto dolori. So che possono tornare, sono molto obiettivo sulla cosa perché un problema così non può sparire da un giorno all’altro. Lo so e ci lavoro.
In che modo?
Faccio trattamenti e faccio tanto stretching. Quando sono alle corse, ho il massaggiatore e l’osteopata che controlla che sia dritto col bacino e tutto il resto. Quando sono a casa, non posso andarci tutti i giorni, ma cerco di vederli il più spesso possibile. Magari una volta a settimana, dieci giorni. Intanto ho i miei esercizi e una volta a settimana vado in palestra, che mi ha aiutato tanto a rinforzare tutta la schiena. Pesi e corpo libero. E’ stata l’unica cosa che, quando avevo male, non mi dava fastidio. Il solo modo che avevo per potenziare e comunque mantenere il tono.
Cambiando squadra, hai cambiato anche posizione in bici?
Abbiamo fatto un gran lavoro su questo, ma alla fine non è cambiata tanto, se non per dei dettagli. L’ho fatto tramite il mio osteopata a Bergamo e un biomeccanico che veniva nel suo studio. A ogni modifica che si faceva, si testava la risposta del corpo. Se mi storcevo o restavo dritto, se mi si bloccava una gamba oppure no. E’ una cosa che ti porta via tanto tempo, i primi giorni non noti la differenza, però a lungo andare te ne accorgi. Basti pensare che da quando correvo alla Biesse-Carrera, ho sempre mantenuto la stessa posizione.
Nella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometriNella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometri
Invece adesso?
Da quando ho avuto questo problema, sapendo che ogni modifica poteva migliorare o peggiorare, sono tanto minuzioso. Porto con me sempre la sella da allenamento per controllare che quella da gara sia uguale. Non perché non mi fidi, ma ho imparato che il corpo risente anche di un solo millimetro e può perdere efficienza.
Quindi adesso si riparte con motivazioni intatte?
Il primo obiettivo per quest’anno era rimettermi a posto. Non ho ancora fatto risultati, ma gara dopo gara sto migliorando e mi torna la fiducia. Dovrei fare il Giro d’Italia, il mio primo Grande Giro: la preparazione è incentrata su questo. Ho fatto solo gare WorldTour, è il solo modo per migliorare. L’unica un po’ minore, tra virgolette, è stata la Milano-Torino. Ovvio che sia più difficile fare risultati, ma ora l’interesse è crescere. Non avrò un obiettivo principale, se non aiutare la squadra e cercare di togliermi qualche soddisfazione.
Hai parlato di fiducia.
Quella fa tanto. L’anno scorso andavo alle gare sapendo già di non avere possibilità. Non per colpa mia, ma per un problema fisico. Parti già sconfitto, non è facile. Quest’anno non ho ancora la fiducia di prima, però vedo che man mano miglioro. Manca di fare il prossimo salto, magari un risultato o qualcosa che possa farmi ritrovare la fiducia. Se anche mentalmente mi tolgo questo peso, so che posso tornare a fare delle buone prestazioni.
La Liegi di Colleoni chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)Liegi chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)
A che punto pensi di essere della tua carriera?
Ognuno ha la sua maturazione fisica. Ho ancora 24 anni e vedo che nel ciclismo di adesso, tutti si aspettano troppo dai più giovani. Da una parte è normale, perché tanti passano e vincono. Ma io arrivo da un ciclismo in cui fino agli juniores mi allenavo con mia mamma (Imelda Chiappa, argento su strada ad Atlanta 1996, ndr). Uscivo tre volte a settimana, da under il massimo che facevo erano 5 ore. Adesso vedo juniores che si allenano 5-6 ore come i professionisti, è normale che passano e vanno forti. Però vedo anche altri che iniziano ad emergere a 26-27, quindi secondo me ognuno ha i suoi tempi. E di una cosa sono certo: in questo momento quello che conta è andare forte. Se vai forte, fai il capitano. Altrimenti impiegano davvero poco a rimpiazzarti.
LIEGI (Belgio) – Van der Poel rispolvera un po’ di sano realismo e si arrende con l’onore delle armi. Sul podio c’è salito, sia pure a più di due minuti dal vincitore. E siccome è un ragazzo dotato di cervello fino, il suo bilancio di fine Liegi è lucidissimo.
«Anche con le gambe migliori non avrei potuto seguire Tadej – dice – non so davvero come sono riuscito a salire sul podio. Ora capisco perché dicono che la Liegi-Bastogne-Liegi sia difficile da abbinare alle classiche del pavé. Il recupero dopo il Fiandre e la Roubaix si è rivelato più complicato del previsto e ciò fornisce spunti di riflessione per il futuro. Vincere qui, se al via ci sarà anche Tadej, sarà molto difficile e forse addirittura impossibile».
Quando arriva per raccontarsi, l’olandese iridato è straordinariamente rilassato, come chiunque abbia vinto Fiandre e Roubaix e volendo potrebbe andarsene in vacanza e nessuno gli chiederebbe altro.
Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosiVan der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Sei felice o pensi ti sia mancato qualcosa?
Sono felice. Fino a cinque chilometri dalla fine, non credevo nel podio. Penso che tutti abbiano capito che oggi (ieri, ndr) era il massimo possibile per me. Rientrare è stato un grande sforzo. Ero dietro per togliermi gambali e guanti, quando davanti c’è stata la caduta e la strada si è bloccata. Pensavo che non avremmo mai rivisto la parte anteriore della corsa, quindi ero già felice che dopo un lungo inseguimento fossimo rientrati. Già sentivo che le mie gambe erano un po’ stanche, ma credo che anche con gambe migliori non avrei potuto fare niente di meglio.
Un terzo a Liegi chiude un’ottima stagione delle classiche…
Penso che la mia stagione sia già più che soddisfacente, ma sono davvero felice di essere salito sul podio anche oggi. E’ stata una decisione attentamente ponderata quella di far durare il mio picco di forma così a lungo e non vedo perché sarebbe impossibile non farlo di nuovo nei prossimi anni. Dalla Sanremo alla Liegi. E’ qualcosa che conosco da quando gareggio in inverno nel ciclocross e poi passo su strada. Mi regala lunghi periodi di competizione ad alto livello. L’unico dettaglio che forse ho sottovalutato è stato il calo di tutta la squadra dopo Roubaix. Avevamo vinto i primi tre Monumenti, è stato difficile per tutti rimanere così concentrati e motivati per il quarto. Non c’è vergogna nell’ammettere che siamo stati battuti da atleti migliori di noi.
Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salitaTanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Si è sempre detto che la Liegi sia una gara per scalatori.
Vero, ci sono stati scalatori migliori di me, ma alla fine mi sono trovato a sprintare contro altri scalatori e ho avuto io la meglio.
Ti pesa pensare che potresti non vincere mai una Liegi?
E’ una domanda che non mi pongo, siete voi giornalisti a farvela. Sono una persona abbastanza realistica, so che se Pogacar avrà una buona giornata, non potrò mai seguirlo nemmeno con le mie gambe migliori. Ho solo una cosa da sperare e cioè che un giorno non stia bene, altrimenti sarà sempre difficile vincere qui.
Non dipende da te in nessun modo?
Per pensare di vincere dovrei forse rinunciare ad altre corse e magari perdere qualche chilo. Preferisco andare per gradi. Come ho sempre fatto, mi concentro sulle cose che so fare meglio e questo per me significa fare Fiandre e Roubaix, che mi si addicono di più. Se per vincere la Liegi dovrò cambiare tutto, allora non sarà per i prossimi anni.
Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o delusoChiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Arriva l’estate e arrivano le Olimpiadi: hai deciso fra strada e mountain bike?
Penso che la prossima settimana sarà tempo di vedere come riempiremo quest’estate, ma non ne ho ancora idea, altrimenti lo direi. Non so ancora cosa farò, tranne che adesso andrò a prendere un po’ di sole. Adoro ancora la mountain bike, ma è un anno speciale con le Olimpiadi. Posso vincere la strada e come ho già detto, non voglio scommettere due cavalli e poi magari fallire con entrambi. Quindi vedremo dove porta l’estate.
L’ago della bilancia si va spostando verso la strada, ma forse gli scoccia anche ammetterlo. La lezione di Glasgow è stata chiara: dopo la vittoria del mondiale su strada, quello in mountain bike contro Pidcock è sembrato un brutto sogno. E va bene che inseguirli fa restare giovani, ma siamo certi che abbia senso rinunciare a un oro olimpico su strada per inseguirne uno anche più improbabile sulla Mtb?