Rosa, l’uomo che ha inventato i training camp in Kenya

16.12.2022
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La vittoria di Girmay alla Gand-Wevelgem non poteva essere fine a se stessa e anzi sta scatenando uno tsunami che investe tutto il continente africano. Se il Ruanda sta diventando meta di ritiri prestagionali e si lavora alacremente per i mondiali del 2025, c’è una notizia che sui media non ha avuto finora il risalto che meritava: la Ineos Grenadiers sta per lanciare la sua prima accademia ciclistica in Kenya.

Il camp permanente sarà gestito da Valentijn Trouw, uno dei tecnici della multinazionale britannica che ha già forti legami con il Paese africano, essendo tra l’altro sponsor del primatista mondiale e campione olimpico di maratona Eliud Kipchoge, direttamente coinvolto nel progetto. Il legame con l’atletica è fortissimo, perché è proprio nell’atletica che i training camp hanno iniziato a prendere piede in Kenya, di fatto trasformando il Paese almeno dal punto di vista sportivo.

Gabriele Rosa, 80 anni, con alcuni dei ragazzi che segue in Kenya, tra loro campionissimi di atletica
Gabriele Rosa, 80 anni, con alcuni dei ragazzi che segue in Kenya, tra loro campionissimi di atletica

Il primo che ebbe l’idea di creare un’accademia permanente in Kenya fu Gabriele Rosa, cardiologo e medico sportivo che aveva creato a Brescia una scuola di maratona capace di portare Gianni Poli al trionfo nella prova più famosa sui 42,195 km, quella di New York. Quello che aveva saputo fare nella provincia italiana poteva essere fatto in più grande stile in Kenya, Paese per antonomasia della corsa: «I kenyani erano già allora fortissimi, ma non correvano la maratona. Moses Tanui, che era uno dei grandi del mezzofondo dell’epoca, mi chiese se potevo seguirlo. Io gli dissi di sì a condizione che convincesse altri atleti del suo Paese a seguirlo. Nacque così il primo centro permanente in Kenya, era il 1990».

In tanti poi seguirono la sua idea…

Ebbe uno sviluppo clamoroso, basti pensare che dopo trent’anni il Kenya è padrone assoluto della specialità: nell’ultimo anno l’83 per cento di tutte le maratone internazionali sono state vinte da un atleta kenyano. Io iniziai con un piccolo gruppo, ora ci sono 13 nostri training camp sparsi per il Paese con oltre 200 ragazzi coinvolti.

La Ineos sarà il primo team con una base in Kenya, altri lo seguiranno (foto Krystof Ramon)
La Ineos sarà il primo team con una base in Kenya, altri lo seguiranno (foto Krystof Ramon)
Come funziona il loro lavoro?

Noi non seguiamo solamente la corsa, la nostra è un’operazione a 360°. Correre forte è solo l’ultimo risultato di un cammino che comprende lo stare insieme, il condividere il lavoro, affrontare le quotidianità della vita. E’ una crescita umana, non solo sportiva quella che i ragazzi affrontano e questo sistema sono convinto possa funzionare anche nel ciclismo.

Dal punto di vista ciclistico il Kenya che Paese è?

Partiamo dal discorso prettamente sociale: la bici è sempre stata un mezzo fondamentale nella vita dei kenyani. Quando arrivammo, vedevamo che utilizzavano bici cinesi con le quali facevano davvero di tutto, caricate come somari, servivano per spostarsi e spostar pesi. Ora si usano molto anche le piccole moto, che a 500 euro sono già disponibili, ma le bici sono ancora molto utilizzate. C’è però un aspetto molto importante che è cambiato rispetto ad allora: la Cina, che ha fortissimi legami con il Kenya, sta praticamente asfaltando tutte le strade e molto bene. Questo per noi che facciamo atletica è un problema per gli allenamenti, perché c’è bisogno di correre anche offroad per crescere, ma per il ciclismo sta diventando un luogo ideale.

Il training camp di Kaptagat, nei cui pressi sorgerà quello della Ineos
Il training camp di Kaptagat, nei cui pressi sorgerà quello della Ineos
Il Kenya non è mai stato un Paese con una tradizione…

No, la corsa a piedi è lo sport principale, ora affiancato dalla pallavolo femminile. In tutto il continente però c’è grande fermento e bisogna tenere presente che i corridori africani in genere – kenyani, ma anche etiopi, eritrei, burundiani ecc. – hanno una congenita propensione per gli sport di endurance. I risultati dei corridori eritrei non mi sorprendono, io sono convinto che lavorandoci sopra come farà la Ineos (e presto altre squadre e soprattutto aziende seguiranno la stessa via) l’Africa diventerà fortissima anche nel ciclismo.

Quali sono i vantaggi nel costruire training camp in Kenya invece che Eritrea e Ruanda che hanno già più dimestichezza con il ciclismo?

Il territorio. Ci si può allenare a 3.000 metri di altitudine. Kaptagat, dove la Ineos costruirà la sua accademia, è anche la sede del nostro primo e principale training camp. Ci sono percorsi ideali per allenarsi, ma anche la gestione di questi centri è all’altezza, con cuochi specializzati, pulizie continue e quant’altro. Intorno poi sono sorti nel tempo piccoli alberghi molto caratteristici e confortevoli.

Valentijn Trouw, responsabile del progetto e l’olimpionico Kipchoge, coinvolto nell’iniziativa
Valentijn Trouw, responsabile del progetto e l’olimpionico Kipchoge, coinvolto nell’iniziativa
Nell’atletica il Kenya è diventato anche meta di tanti corridori, anche in Italia, per effettuare i loro ritiri in altura. Questo potrebbe avvenire anche nel ciclismo?

Io sono convinto di sì, ma non solo per le squadre professionistiche. Conti alla mano, potrebbe essere un ottimo sistema anche per le squadre giovanili, soprattutto under 23, per effettuare periodi di preparazione a costi molto più contenuti (chiaramente viaggio a parte) e potendo fare lavori molto più fruttuosi. Io ho già vissuto nel mondo del ciclismo, ad esempio seguendo i tentativi di record dell’Ora di Beppe Manenti e Gregor Braun negli anni Ottanta-Novanta e sto pensando a come le nostre strutture potrebbero anche essere allargate al ciclismo. I risultati d’altronde parlano per noi: la primatista mondiale di maratona è una nostra atleta…

La storia di Carlos Verona e del suo amore per i Masai

28.04.2022
6 min
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«Grazie a @bikes4masai speriamo che presto questa immagine diventi realtà nella savana. I bambini delle nostre scuole a volte devono camminare più di 2 ore per arrivare in classe. Per loro la bicicletta non è un giocattolo. La bicicletta è una possibilità per il futuro. Le mamme Masai camminano interminabili giorni per raccogliere l’acqua, una bicicletta per loro sarà una liberazione. Le ragazze non dovranno lasciare la scuola per andare a prendere l’acqua. Pensiamo che portare le bici nella savana significhi cambiamento e rispetto per l’ambiente. Asante sana @verona92 @estherfcasasola @martamchef6 @barbssanchezz».

Il post sulla pagina Facebook “Amigos de Ositeti” si conclude con un ringraziamento in swahili: asante sana, grazie mille. Dell’impegno di Carlos Verona per i Masai avevamo letto qualche tempo fa nella rubrica Industry, in un pezzo che raccontava il supporto fornito al corridore della Movistar da La Passione, che da quest’anno veste il team spagnolo. Ma volevamo saperne di più, così alla prima occasione abbiamo raggiunto Verona. E l’occasione è la presentazione delle squadre il giorno prima della Liegi.

Abbiamo incontrato Verona, primo da destra con Van Vleuten e Valverde, alla presentazione delle squadre della Liegi
Abbiamo incontrato Verona, qui con Van Vleuten, alla presentazione delle squadre della Liegi

I corridori della Movistar sono tutti lì aspettando che Valverde termini con le interviste e probabilmente Verona non si aspetta la domanda. «Ci racconti come sono nate le tue attività benefiche in Africa, a sostegno dei Masai?».

Due viaggi in Kenya

Lo spagnolo cambia faccia. Si gira di scatto e gli si illumina il volto. La mascherina abbassata, perché in Belgio si respira un’altra percezione del Covid e nelle strade nessuno più si protegge bocca e naso. Green pass per entrare nei posti al chiuso non lo chiede mai nessuno.

«Ho fatto due viaggi in Kenya – inizia a raccontare a una velocità pazzesca – entrambi per vacanze. Lì ho conosciuto uno spagnolo che gestisce il Camp Enkewa nella Riserva del Masai Mara, si chiama Jose e collabora con delle scuole. Nel secondo viaggio ho avuto più tempo per farmi un’idea della situazione. Volevo capire come fare qualcosa che li aiutasse a cambiare. Quando sei lì, la pensi in modo differente».

Il World Bicycle Relief

A forza di pensare, l’attenzione si ferma sul punto forse per lui più scontato. Carlos infatti si rende conto che biciclette in giro se ne vedono poche e si chiede perché.

«Mi hanno risposto – dice – che la gente non le usa perché poi non è in grado di ripararle, altrimenti sarebbero un mezzo di trasporto sostenibile, che potrebbe cambiare in modo sensibile la quotidianità delle persone».

Così scatta la ricerca. Prima provano con diversi produttori di bici, poi affinano l’indagine e arrivano alle Buffalo Bike, le stesse che già vengono messe a disposizione da altre realtà, fra cui ad esempio Qhubeka.

«Buffalo Bike – prosegue Verona – fa parte del World Bicycle Relief, che a sua volta appartiene al nostro sponsor SRAM. Attraverso loro abbiamo trovato il contatto della sede in Kenya, che si trova a Kisumu nel Lago Vittoria. Ci hanno detto quello che dovevamo fare, cioè trovare come minimo 100 biciclette per una scuola. E a partire da lì ci siamo messi al lavoro. Abbiamo messo all’asta e in vendita delle maglie. E finora abbiamo raccolto 25 mila euro, supportati anche da La Passione che con la sua azione ne ha raccolti 10 mila. Sono super contento perché possiamo comprare le bici per una scuola che si chiama Embiti che si trova ai margini del Masai Mara e a maggio finalmente arriveranno le prime».

Un fatto di felicità

Ciò che sembra interessante è capire come mai questo ragazzo di 29 anni e sua moglie Esther provino questa grande attrazione per l’Africa. Nel suo profilo Instagram non sono infrequenti foto con persone che operano in Kenya in supporto delle famiglie locali. 

«Ci torno ogni anno – dice – sono partito per una vacanza e adesso, se non facessi il corridore, penso che vivrei laggiù. L’anno scorso non ci sono andato per la pandemia, ma nell’ultimo inverno sono andato per tre settimane. Per passarci del tempo e studiare questo progetto. Alla fine laggiù incontri modi di vivere diversi da quelli che abbiamo qui in Europa. Possiamo aiutarli a svilupparsi, ma da loro possiamo anche imparare tanto. Capire come con molto meno si possa essere ugualmente felici. Anche loro hanno diritto ad avere un po’ di benessere, la qualità della vita che non hanno. E lavorandoci un po’, sarà possibile farglielo avere».

Verona ha chiuso la Liegi al 38° posto, nello stesso gruppo di Caruso, Landa e Gilbert
Verona ha chiuso la Liegi al 38° posto, nello stesso gruppo di Caruso, Landa e Gilbert

Valverde ha concluso, Verona adesso non se ne andrebbe, ma a questo punto il pullman blu della Movistar ha acceso il motore e ce lo portano via. Carlos ha parlato in modo rapidissimo e per fortuna abbiamo registrato le sue parole. Ci vorrà un po’ per sbobinare tutto, ma intanto pensiamo che tutto questo sia splendido. La dedizione di questo ragazzo. E il potere della bicicletta, davvero in grado di cambiare vite e salvare il mondo.

Tannus 2020

Tannus promuove il ciclismo con Tires for Kenya

11.12.2020
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Tannus, azienda specializzata nella produzione di copertoni pieni ed inserti per dare la massima protezione contro le forature, ha promosso un progetto di solidarietà. Tires for Kenya è finalizzato infatti a permettere a giovani ciclisti africani di pedalare senza il timore di forare continuamente.

Tannus 2020
Il biglietto di accompagnamento delle coperture rosse di Tannus
Tannus 2020
Un biglietto accompagna le coperture rosse

Idea nata bevendo un caffè

Il progetto nasce da un’idea di Rubèn Gallart, appassionato di sport e viaggi, che in occasione di un suo viaggio in Kenya ebbe l’opportunità di bere un caffè con Ciarán Fitzpatrick, un irlandese grande appassionato di ciclismo. 

Ciarán Fitzpatrick era l’allenatore della squadra ciclistica Kenyan Riders e spiegò a Rubèn Gallart come uno dei principali problemi per i suoi atleti in allenamento fosse rappresentato dalle tante forature.

Rubèn contattò subito Akrovalis, il distributore spagnolo di Tannus ed in pochi mesi è nato il progetto Tires for Kenya.

Tannus 2020
I ragazzi di Kenyan Riders e il loro meccanico con gli uomini di Tannus
Tannus 2020
La consegna delle gomme rosse a Kenyan Riders

Un incontro speciale

A metà aprile 2019, il CEO di Akrovalis Sergi Belmonte e il co-fondatore Arnau Isern, sono volati a Iten con Rubèn per incontrare il team. E hanno consegnato un set di coperture Tannus.

Il modello scelto è stato il New Slick 700 × 25 di colore rosso. Un colore che trasmette passione ed energia: i pilastri su cui si fonda Tires for Kenya.

Una lezione speciale è stata naturalmente fatta a Nick Sewe, da 6 anni meccanico dei Kenyan Riders, che ha raccontato quanto fosse difficoltoso, se non impossibile, allenarsi in Kenya senza l’assillo di continue forature. Grazie a Tannus questo problema è stato finalmente risolto.

Un sogno da realizzare

Per raccontare al meglio il tutto è stato creato il sito tiresforkenya.com. La speranza ora è quella di vedere presto un numero sempre crescenti di atleti africani competere a livello internazionale.

tiresforkenya.com

tannusitalia.com