Se non fosse che ieri ha vinto un italiano, Baroncini chiaramente, l’arrivo più teso di questi mondiali fiamminghi è stato quello che (forse) meno ci si aspettava, almeno sin qui. La gara juniores femminile infatti ha riservato una gran bella corsa: un epilogo emozionante, grazie a Zoe Backstedt e Kaia Schmid. E anche diversi spunti tecnici.
Partenza nella fresca, per non dire freschissima, mattina di Leuven. Tra le vie di questa splendida cittadina piena di giovani (c’è una grande università) domina ancora l’ombra, tanto il sole è basso e nascosto da palazzi e chiese. A fianco alla griglia di partenza le ragazze man mano tolgono gambali e mantelline. I quadricipiti tremano, un po’ per il freddo e un po’ per la tensione.
Controllo dei rapporti per le azzurre… Alle 8:15 (forse anche qualche istante in anticipo) scatta il mondiale juniores femminile
Antipodi in testa
Dall’infinità di scatti (e cadute), già prima di metà gara escono queste due atlete. In pratica la più piccolina, la Schmid, e la più possente, la Backstedt, del lotto partenti. Quando passavano davanti ai box e le vedevamo pedalare la differenza era netta. Veramente agli antipodi. Anche nei dettagli extraciclistici: coda sciolta per l’inglese, coda legata per l’americana.
Scherzi a parte: due atteggiamenti diversi. Ed è stato questo a colpirci. Inglese molto grintosa, sempre a smanettare col cambio, spesso con lo sguardo rivolto all’indietro e anche molto generosa. Americana impassibile. “Mono passo”, seduta, calma, serafica… salvo poi scoprire che è un vero peperino. E anche molto abile nella guida. In diverse svolte aveva guadagnato dei metri preziosi.
E proprio per questo, sinceramente pensavamo che tentasse l’affondo sull’ultimo strappetto, visto che ci si arrivava abbastanza veloci (anche se nell’ultima tornata si stavano controllando). E visto che lo si attaccava con un tornante secco a sinistra. Ogni volta in quel punto guadagnava dei metri. Inoltre, due giorni fa, in ricognizione l’avevamo vista provare lo strappo due volte. Una delle quali pianissimo, come se volesse studiare centimetro per centimetro quel “trampolino di lancio”.
Fuggitive pistard
Entrambe sono però due atlete dallo spunto veloce e hanno un certo feeling con il ritmo. Entrambe hanno più che assaggiato la pista. La Backstedt è primatista nazionale dell’inseguimento, la Schmid ha vinto l’eliminazione ai mondiali juniores del Cairo. Semmai si poteva temere sulla sua tenuta. Resistenza che, al contrario, è uno dei cavalli di battaglia della possente inglese, tra l’altro figlia del grande Magnus, professionista dal 1996 al 2012.
«Quando l’ho vista davanti ero sicura che la Backstedt potesse partire da lontano – ha detto Francesca Barale a fine gara – Anzi, pensavo che l’avrebbe staccata. Peccato perché ho capito subito che quello poteva essere un attacco buono».
E in effetti Zoe ci ha provato come dice Francesca. Rischiando tra l’altro di mandare all’aria la fuga, qualora la Schmid avesse smesso di collaborare. Cosa che ci poteva stare.
Backsted incredula. Dopo l’argento a crono ecco l’oro su strada. Lo sprint è suo Potenza e vittorie sono nel Dna di famiglia. Ecco papà Magnus vincere la Roubaix nel 2004
Backsted incredula. Dopo l’argento a crono ecco l’oro su strada. Lo sprint è suo Potenza e vittorie sono nel Dna di famiglia. Ecco papà Magnus vincere la Roubaix nel 2004
Sprint cortissimo
Invece alla fine è stato sprint. Ognuna sapeva il fatto suo. Inglese in testa e americana dietro. Il problema però è che sul piano della potenza pura, non ci sarebbe stata storia. Zoe avrebbe vinto lo sprint per distacco. L’americana stando a ruota, l’ha costretta a guardare dietro. E non si è mossa fino all’ultimo. Ha cercato, con furbizia, di portarla più vicino possibile al traguardo. Di fare una volata corta. E ci è riuscita. Lo sprint non sarà durato più di 80 metri e alla fine ha perso per meno di mezza ruota. Fosse partita ai 200 metri ci sarebbe stato il buco.
«Sono contentissima – dice la Backstedt a fine gara – dedico questa vittoria alla mia famiglia. Ho tagliato la linea del traguardo e mi sono detta: sei campionessa del mondo! E’ un sogno. Come mi sentivo? Davvero bene, il secondo posto nella crono lo conferma. E non è stata una sorpresa essermi ritrovata così avanti, ma da qui a vincere…».
E poi c’è lei, Kaia. L’americana ha letteralmente conquistato la sala stampa. Simpatica, con la battuta pronta, la 18enne di Boston è quasi più felice dell’inglese, almeno stando al tono squillante della voce.
«Vengo dal freestyle con gli sci – dice Kaia – e l’approccio ad una gara ciclistica è del tutto diverso. Nello sforzo, nell’impegno mentale… Ma io cerco sempre di divertirmi. Pensavo a questi mondiali già tre settimane fa quando ero al Il Cairo in pista». E da qui si capisce anche la sua abilità nella guida. Un qualcosa che non era dovuto solo alla pista.
Le azzurre a fine gara. Hanno dato tutto e il sorriso non manca I segni della caduta di Francesca Barale
Eleonora Ciabocco (a sinistra) e Francesca Barale (a destra) a fine gara I segni della caduta di Francesca Barale
Azzurre cadute, ma battagliere
Meno di un minuto dopo le due protagoniste, ecco arrivare il resto del mondo, di cui fanno parte anche le prime azzurrine: Eleonora Ciabocco (nona) e Francesca Barale (14ª).
«E’ stata una corsa molto difficile da interpretare perché piena di cadute – dicono praticamente in coro – Il gruppo si è selezionato subito al secondo giro proprio per le cadute. Si è spaccato in due e siamo rimaste indietro. A quel punto abbiamo sprecato tante energie per rientrare. E quando sono andate via loro due è stato il momento proprio in cui noi eravamo rientrate. A quel punto però a non ne avevamo per stargli dietro. Poi abbiamo fatto il possibile per cercare di ottenere un terzo posto in volata, ma è andata così».