Nella delegazione azzurra che da ieri è impegnata a Luoyang nei mondiali juniores su pista, c’è anche un figlio d’arte: Julian Bortolami figlio di Gianluca che era una delle colonne portanti di quella Mapei che dominava nelle classiche e che ora agisce da direttore sportivo alla Pool Cantù dove peraltro corre suo figlio. Julian è uno dei tanti ragazzi che fa la doppia attività abbinando pista e strada e finora i suoi risultati migliori sono venuti dal velodromo.
Si potrebbe pensare che la sua propensione per le prove al chiuso siano qualcosa che va in controtendenza rispetto alla tradizione familiare ma non è così: «Anche papà faceva attività su pista ma pochi lo ricordano, perché l’ha fatta da giovanissimo, quando era ancora lontano dal passare professionista. Ma quell’attività gli è sempre piaciuta e me l’ha raccomandata perché utilissima anche per chi fa strada»
Quanto ha influito l’esperienza di tuo padre nel farti scegliere quest’attività?
Un po’, vedendo le sue gare. Ero troppo piccolo per potermi ricordare quando correva lui, ma attraverso Youtube e altri social ho visto di che cosa era capace e quello che ha combinato. Lui però non mi ha mai forzato, anzi, ha lasciato che ogni decisione fosse autonoma. Ho iniziato da G4, poi pian piano la passione ha preso il sopravvento e così ho continuato.
E quando hai iniziato su pista?
Da esordiente 1° anno. Sinceramente le prime volte non è che mi piacesse molto, ma poi mi ha preso sempre di più. Devo dire che sull’anello mi diverto molto, anche più che su strada, in particolar modo nella corsa a punti che è la mia preferita e dove ho conquistato l’argento agli ultimi europei.
Su strada invece che tipo di corridore sei, ricordi tuo padre?
Per certi versi sì, anch’io sono impostato come un passista. Non sono molto veloce, ma sulle salite tengo il ritmo abbastanza agevolmente. Cerco spesso le fughe, sia quelle da lontano che provando il colpo di mano negli ultimi chilometri. Da quel che ho visto, era un po’ il modo di correre di papà, ma a ben altri livelli.
Tuo padre ti segue, ti consiglia?
Certe volte capita che il direttore sportivo delle gare dove corro sia lui, ma non fa assolutamente differenza fra me e gli altri. Mi lascia abbastanza libero, l’unica cosa sulla quale batte sempre è usare la testa prima ancora che le gambe, perché le corse si giocano innanzitutto dal punto di vista tattico ed è su quello che bisogna lavorare.
Come giudichi la tua stagione?
Non ho corso molto, quest’anno ho privilegiato più la pista dovendo preparare le prove titolate. Avevo anche iniziato bene con qualche piazzamento, ma in generale non posso dire di essere molto soddisfatto. Sono arrivati buoni risultati soprattutto dalle prove di cronosquadre, a dimostrazione che sul passo posso dire la mia ed essere di aiuto, ma avrei voluto qualcosa di più, pur essendo solo al primo anno.
Per i mondiali che aspettative hai?
E’ chiaro che dopo quanto è avvenuto nella rassegna continentale punto a ripetermi nella corsa a punti, poi si vedrà quali specialità il cittì Salvoldi vorrà farmi fare. Io comunque sono partito per la Cina con tante speranze, staremo a vedere che cosa ne uscirà fuori ma sono ottimista.
Hai un sogno messo da parte, magari più relativo alla strada?
Vorrei innanzitutto compiere tutto il tragitto e quindi diventare professionista, poi avere la possibilità di vincere una grande classica. Il mio sogno è il Giro delle Fiandre, fare quel che fece mio padre nel 2001. Sarebbe davvero un gran colpaccio…