L’ascesa e la caduta di Dombrowski. In tempi troppo brevi

03.02.2024
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Tra coloro che hanno chiuso la propria carriera quest’anno, Joe Dombrowski rappresenta un caso a parte. Il perché è presto detto: non più tardi di un paio di stagioni fa l’americano aveva vinto una tappa al Giro e sfiorato il successo alla Vuelta, sembrava davvero un corridore quantomeno da classifica per corse a tappe medio-brevi, insomma un riferimento sicuro per ogni team che cercasse risultati e quindi punti. Un atleta ormai maturo per risultati importanti. La sua parabola è declinata rapidamente, fino a portarlo a 32 anni alla dolorosa decisione.

Dopo il suo annuncio, molti sono rimasti con la curiosità di sapere che cosa è successo e l’unica risposta poteva venire dalla sua stessa voce, per capire che cosa l’ha portato al ritiro: «In realtà il mio piano era quello di continuare, ma non ho trovato una squadra per la nuova stagione. È semplice ma è proprio così che è andata a finire».

L’americano ha cercato fino all’ultimo un ingaggio. All’Astana non c’era più posto
L’americano ha cercato fino all’ultimo un ingaggio. All’Astana non c’era più posto
Nel 2021 hai vinto una tappa al Giro e ci sei andato vicino alla Vuelta. Pensi che il passaggio all’Astana ti abbia penalizzato?

Non voglio dare la colpa alla squadra dicendo che non ho reso per questa o quella ragione, ma penso che per me l’ambiente era un po’ complicato. Qualcosa mi è mancato, in particolare nel mio secondo anno. Io sono approdato all’Astana con due grandi corridori per corse a tappe come Nibali e Lopez. E in realtà, mi è piaciuto molto correre il Giro nel 2022, stavo andando davvero forte. Forse dai risultati non sembra così tanto, ma in tutti i momenti chiave della gara ero lì con i migliori. Poi Vincenzo si è ritirato, Lopez ha avuto i suoi problemi come tutti sanno. Risultato, l’anno scorso non c’era più un vero leader per i grandi giri e la squadra era un po’ più concentrata sugli sprint con Cavendish. Io non sono un corridore che poteva aiutarlo, ero un pesce fuor d’acqua.

Nel senso che non avevi un ruolo?

Sì, ma c’è anche altro. Non controllavamo la gara all’inizio, dove molte volte vedi le squadre dei velocisti mettere un ragazzo davanti per tirare. All’Astana non lo facevamo. Sembrava una caccia al palcoscenico, dovevo cercare la fuga ma essa deve arrivare fino al traguardo. Io poi ero abituato a lavorare per qualcuno, ma chi? Non avevo più un ruolo.

Alla Sky due anni d’esordio difficili per Dombrowski, a causa di incidenti e problemi fisici
Alla Sky due anni d’esordio difficili per Dombrowski, a causa di incidenti e problemi fisici
Dopo la vittoria al Giro Under 23 con quali speranze eri passato professionista?

Potevo andare in quasi tutte le squadre perché ero giovane. E quando vinci qualcosa come il Girobio o il Tour de l’Avenir, hai un bel biglietto da visita. Il ciclismo è sempre alla ricerca di giovani talenti. Quindi avevo molte opzioni diverse e alla fine ho scelto Sky perché all’epoca era la squadra migliore e sembrava essere la più all’avanguardia o la più organizzata. Penso che all’epoca fossero un gradino sopra tutti gli altri.

Mentre oggi?

Ancora oggi la reputo come la squadra più grande nella quale ho corso. La combinazione tra l’essere neopro’ e la giovane età rendeva tutto magico. Sono stati un paio d’anni difficili. Ho lottato con un infortunio. Avevo un’endofibrosi dell’arteria iliaca e non ho fatto l’operazione fino al secondo anno, perché c’è voluto molto tempo per trovare il problema. Sono stato fermo tre mesi e anche questo ha reso le cose un po’ complicate.

In casa Cannondale (oggi EF Education EasyPost) il corridore di Marshall ha vissuto una grande maturazione
In casa Cannondale (oggi EF Education EasyPost) il corridore di Marshall ha vissuto una grande maturazione
Alla Cannondale sei stato 5 anni, che ambiente era e come ti sei trovato?

Credo che sia stata la squadra più divertente che ho avuto tra tutte le squadre del WorldTour in cui ho corso, forse perché a quel tempo era in fase di transizione. Quando era Garmin, forse era una delle squadre più americane del gruppo. Quindi con molti corridori americani, un po’ come la Movistar così spagnola o l’Astana kazaka per licenza, ma molto italiana. Avere tanti connazionali rende tutto più facile. Sentivo che molti corridori della squadra erano miei amici. Ho anche amici di tutte le squadre in cui ho corso, ma lì di più…

Alla Uae hai vissuto l’esplosione di Pogacar: quanto spazio avevi per le tue personali ambizioni?

Era già prima una super squadra. Un team con molti campioni dove c’era meno spazio per le ambizioni personali. Se vai a ogni gara e i tuoi compagni di squadra sono tra i migliori al mondo, è normale che in molti casi sia necessario lavorare per gli altri. Penso di avere avuto il mio spazio e penso che abbiano cercato di gestirlo bene come avviene per ogni corridore. Ad esempio, nei grandi Giri, hai una possibilità quando è il tuo giorno di andare in fuga, puoi puntare alle tappe. Se non ti concentri sulla classifica generale, è davvero un bel modo di correre se hai un leader e puoi essere lì intorno a lui, ma poi hai anche la libertà per scegliere i giorni in cui vuoi giocarti le tue chance. Sai che gran parte del tuo lavoro è supportare qualcun altro e i diesse vedono quando sei qualcuno che può essere un buon compagno di squadra.

La vittoria di Sestola al Giro 2021, un’azione imperiosa che l’ha portato alle soglie della maglia rosa
La vittoria di Sestola al Giro 2021, un’azione imperiosa che l’ha portato alle soglie della maglia rosa
Qual è stata per te la vittoria più importante?

Direi che la vittoria di tappa nel Giro è stata bella. Forse è stato un po’ agrodolce perché il giorno dopo sono caduto, quindi non l’ho potuta davvero assaporare, anche perché puntavo a vestire la maglia rosa. In testa c’era De Marchi e nella successiva tappa di montagna, dato che avevamo un buon distacco dai favoriti della classifica generale, avrei avuto un davvero un’ottima occasione per conquistare la maglia rosa. Credo comunque che sia stata davvero una bella vittoria.

Tu sei stato fra i più grandi talenti americani di questo secolo: il ciclismo americano di oggi è più o meno forte di quando sei passato professionista?

Direi che è più forte adesso. Ci sono così tanti bravi corridori americani. Guarda cos’ha fatto Kuss, ma anche Matteo Jorgenson ora suo compagno di squadra oppure Powless o McNulty. Ma ne dimentico sicuramente qualcuno, perché in realtà ce ne sono molti e anche molto giovani.

Vuelta 2021: lo statunitense insieme a Taaramae, che lo staccherà togliendogli il successo a Picòn Blanco
Vuelta 2021: lo statunitense insieme a Taaramae, che lo staccherà togliendogli il successo a Picòn Blanco
Tu hai vissuto per anni a Nizza: intendi tornare a casa o rimarrai in Francia?

Sto bene adesso, per ora abbiamo intenzione di restare qui. Non ho davvero intenzione di tornare negli Stati Uniti. Non ho un piano immediato per quello che farò. Amo il ciclismo e amo lo sport nel profondo. Ma ho interessi anche in altre cose. E penso che nei prossimi mesi vorrò prendermi del tempo per esplorare tutte le diverse cose che sono interessanti per me e poi sapere dove mi portano. Quello che ho imparato dal ciclismo è che amo il ciclismo. Vedremo cosa sto facendo e anche dove vivremo. Per ora continuo ad andare in bici, ma mi prendo del tempo anche per sciare…

Il Dombrowski ritrovato è rinato… dalla tavola

12.05.2021
5 min
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Dietro la transenna al traguardo di Sestola, ieri, Mauro Gianetti era al settimo cielo. Joe Dombrowski aveva appena vinto la tappa e il general manager della Uae Team Emirates spiegava che quando due anni fa decisero di prenderlo, erano consapevoli del suo valore, ma insieme si erano presto resi conto che ci fosse tanto da raddrizzare. Il talento rischiava di spegnersi, in un ragazzo di 29 anni che aveva bisogno di rivedere il modo di allenarsi e quello di mangiare. Perché Dombrowski è uno di quelli che con il cibo ha sempre avuto qualche problemino. «Lui è uno di quelli che non mangiava proprio niente», bisbiglia Gianetti andando verso il podio. Magrissimo da U23 quando nel 2012 vinse il Giro d’Italia U23 militando nella squadra di Lance Armstrong, sempre più magro da neoprofessionista al Team Sky. Come pretendere che avesse margini di crescita senza un rapporto sereno col cibo?

Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo
Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo

Svolta 2021

Oggi le cose sono migliorate. Tanto che quando lo scorso anno, finito il Giro, decise di rimanersene con la compagna a Milano, tra le varie informazioni chiese anche il nome di un paio di ristoranti. Un interesse che in altri tempi non avrebbe mostrato. Lo stesso dottor De Grandi, medico del team, ci parlò di una revisione nella squadra.

«Il ciclismo e le corse sono sempre più veloci – spiega Dombrowski – il livello e le attese sono alte e in questo team abbiamo un ottimo supporto con lo staff e lo chef. Meglio di quando dovevo pensarci da me. Quando sono venuto qui, arrivavo da una squadra americana. E’ difficile per noi vivere in un Paese straniero, lasciare gli Usa e la famiglia. Il team sta crescendo. Trovo molto comodo essere supportato anche nell’alimentazione. Non è facile seguirla da soli».

Le pressioni

In poche parole, la sintesi di quanto cominciammo a scrivere su queste pagine, interpellando nutrizionisti, psicologi e atleti, sulla necessità dei team di dotarsi di figure all’altezza e a proposito della fragilità emotiva di alcuni soggetti contrapposta al clima di pressione che sul tema si respirava e ancora si respira in alcuni ambienti. Dombrowski vinse il Giro d’Italia degli under 23 nel 2012 battendo l’Aru più forte. E quando Fabio tornò in ritiro, si sentì dire davanti a tutti che si era fermato al secondo posto perché credeva di essere magro, mentre l’americano lo era di più. Già, ma quali margini aveva Dombrowski?

Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone
Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone

«Il successo non è mai una linea retta – dice – ci sono alti e bassi, momenti più o meno difficili. Se guardo indietro, penso che avrei potuto aspettare un paio d’anni prima di passare. Sono arrivato al ciclismo tardi ed è un bel salto da U23 al WorldTour, per il modo di correre del gruppo. Ho avuto delle belle cose da tutti i team in cui sono stato, ognuno mi ha dato una bella esperienza, ma di sicuro da me ci si aspettava altro».

Interferenze radio

Il suo attacco nel finale valeva doppio. Per la tappa e per la maglia e chissà come sarebbe finita se i corridori non fossero stati collegati con le ammiraglie. De Marchi avvertito dai suoi di non pensare soltanto a Oliveira, rimasto indietro, ma anche di non lasciar allontanare troppo Dombrowski. L’americano spinto a gran voce, ma con indicazioni non proprio veritiere.

«Un po’ mi dispiace di non aver preso la maglia – dice – anche se è dura dire che sono dispiaciuto dopo che ho vinto la tappa. A 4-5 chilometri dall’arrivo, ho capito che andavamo per vincere e insieme sapevo che De Marchi era più vicino di me, che aveva 33 secondi. L’ho sentito tante volte alla radio. A volte ti danno distacchi diversi dalla realtà. Parlavano di 20-25 secondi a mio vantaggio, così ho voluto spingere fino alla riga, ma i secondi alla fine erano 13. Sarebbe stato bello prendere la maglia, ma non è stato possibile. Vedremo nei prossimi giorni. Oggi ci sarà una volata, domani con l’arrivo in salita potrebbe essere un’opportunità».

Mente aperta

C’è da capire se adesso il Uae Team Emirates cambierà i suoi piani oppure offrirà all’americano il supporto necessario per puntare alla maglia nei prossimi giorni, magari già domani a San Giacomo, in attesa che le grandi montagne portino davanti i capitani.

«Prima della corsa – dice – il piano era aiutare Formolo per la generale e Gaviria e Diego per le loro tappe. Ho vinto la tappa, ho preso la maglia azzurra, sono secondo in classifica. Di solito vengo fuori nella terza settimana sulle grandi montagne. Sestola non era pianificata, ma il percorso mi si addiceva. Non ho mai pensato di venire qui per la maglia rosa, sono abituato ad andare alle corse con la mente aperta. I grandi Giri sono diversi dalle corse di una settimana. Le cose possono cambiare rapidamente, per cui prendo le occasioni quando capitano. E in tre settimane ci sono tante occasioni, 21 corse nella corsa. Ieri è stato un buon giorno per me».