De Lie, il Toro di Lescheret punta dritto su Sanremo

02.03.2023
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Il weekend di apertura sulle stradine del Nord ha confermato che Arnaud De Lie è ben più di un velocista, confermando le impressioni di Guarnieri dei giorni scorsi. Il corridore ardennese ha tutto quello che serve per fare la sua parte nelle classiche fiamminghe, dando un senso al soprannome “le taureau de Lescheret”, il toro di Lescheret, il villaggio da cui proviene.

Lo ha dimostrato con il secondo posto alla Omloop het Nieuwsblad e il settimo nella Kuurne-Bruxelles-Kuurne, battuto nella volata alle spalle del gruppo di testa.

A Kuurne ha pagato la fatica del giorno prima a Ninove, ma ha fatto comunque corsa di testa
A Kuurne ha pagato la fatica del giorno prima a Ninove, ma ha fatto comunqu3 corsa di testa

Né quota né Giri

Il ragazzo ha vent’anni e non ha ancora fatto 70 giorni di corsa da professionista, eppure le sue vittorie ammontano già a 12. Non ha ancora la resistenza di rivali come Van Aert e Van der Poel e del resto non ha mai preso parte a un grande Giro né partecipato a ritiri in altura, che per i rivali e tanti colleghi è ormai un punto di passaggio obblligato.

Per ora lo staff tecnico della Lotto-Dstny ha lavorato bene con lui sull’alimentazione e si sta adoperando perché migliori il giusto in salita. Con un metro e 82 per 72 chili, De Lie ha tutto quel che serve per diventare un uomo da classiche, veloce quando serve.

E’ stato Gilbert, al debutto sulla moto di Eurosport, a suggerire la calma a De LIe
E’ stato Gilbert, al debutto sulla moto di Eurosport, a suggerire la calma a De LIe

Il sangue freddo

Il secondo posto a Ninove, sul traguardo della Omloop Het Nieuwsblad, è stato il suo miglior risultato in questo tipo di corse: di fatto gli è sfuggito il solo Van Baarle. E dire che la corsa si era messa male, dato che a circa 50 chilometri dall’arrivo, De Lie è caduto. Ma anziché farsi prendere dal panico, è risalito velocemente in sella e si è lanciato all’inseguimento.

«Ho speso tanto – dice – e credo che la chiave sia stato aver mantenuto la calma durante l’inseguimento. Ho seguito il consiglio di Philippe Gilbert dalla moto e di Frison in gruppo. Però ho faticato e forse per questo domenica avevo le gambe piuttosto stanche. Eppure sono andato migliorando con il passare dei chilometri e ho iniziato a sentirmi sempre meglio. Chissà cosa sarebbe successo se a Kuurne avessimo raggiunto il gruppo di testa. Sabato, invece ho fatto la migliore prestazione a Ninove, quindi era perfettamente normale che domenica fossi un po’ meno brillante. Se non fosse stato così, avrebbe significato che sabato non ho dato il meglio di me».

Frison è il suo angelo custode: qui alla firma di Almeria, dove De LIe sarà secondo
Frison è il suo angelo custode: qui alla firma di Almeria, dove De LIe sarà secondo

Il nuovo Boonen

Sebbene su di lui ci fosse grandissime attese, nella prima gara WorldTour affrontata con grosse attese sulle spalle, i compagni sono rimasti stupiti della sua calma.

«Sta diventando più calmo – ha detto il compagno Frison a Het Nieuwsblad – sembra che ogni prestazione gli dia un po’ più di fiducia. E’ davvero molto solido. Fisicamente è estremamente forte, ma mentalmente è quasi meglio. Non ho mai visto un ventenne così solido».

E qui si chiude quasi definitivamente il capitolo su De Lie che sarebbe solo un velocista, spostando l’ago della bilancia sul De Lie come possibile erade di Tom Boonen. Non è per caso che quando era ancora un U23 Lefevere sia andato a cercarlo, salvo arrendersi al fatto che il vallone avesse già dato parola alla allora Lotto Soudal.

«E’ davvero un leader nato – ha spiegato il tecnico Nikolas Maes – e sta crescendo nel ruolo. All’inizio gli stava tutto bene, ora indica con grande precisione quello che vuole, come vede il finale e cosa vuole che facciamo. Inoltre è capace di dare tutto ed è di ispirazione per il resto della squadra».

Lo scorso anno De LIe si è rivelato, vincendo e tanto alla prima stagione da pro’
Lo scorso anno De LIe si è rivelato, vincendo e tanto alla prima stagione da pro’

Sul Muur col padellone

Quello che più ha stupito i tifosi e gli osservatori sui muri dell’Omloop Het Nieuwsblad è stata la sua grande potenza, soprattutto sul Muur va Geraardsbergen, il vecchio Muro di Grammont, scalato con il 53 e il secondo tempo di giornata, alle spalle di Mohoric.

«Normalmente su quel muro – spiega De Lie – vado con i rapporti più corti. Ma ho cominciato a salire con la corona più grande e non me la sono sentita di cambiare, per paura che si rompesse la catena. Non c’è da vergognarsi di essere dietro Mohoric. Del resto è lui il vincitore della Milano-Sanremo e questo mi motiva solo di più. Sono curioso di vedere che cosa potrò fare io in quei 300 chilometri.».

Menegotto ritrova vittoria e sorriso: «ora il peggio è alle spalle»

06.09.2022
5 min
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Al Giro del Friuli, concluso domenica con un’altra vittoria di Buratti, era presente anche il Team Qhubeka. La continental, ridimensionata per le vicende di inizio anno, è ripartita con un progetto giovani importante ed inclusivo, come suo solito. Tra i corridori presenti in Friuli c’era anche Jacopo Menegotto (in apertura foto Instagram), al primo anno con la squadra di Daniele Nieri, che di recente ha centrato la prima vittoria stagionale al Memorial Tortoli. Jacopo è figlio d’arte, suo padre Roberto è stato anche lui un ciclista con un buon trascorso nei dilettanti (ha vinto il campionato italiano) e quattro anni di professionismo. 

Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)
Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)

Di nuovo il sole

Un bell’attacco sullo strappo finale di Laterina, in quegli 800 metri Menegotto ha picchiato duro sui pedali, spingendo lontano un inizio di stagione difficile. 

«Questa vittoria – racconta da casa sua a San Donà di Piave – mi ha dato consapevolezza. E’ stata come una liberazione, sono riuscito a lasciarmi alle spalle tutto il nero che ho visto. Dal punto di vista mentale Daniele (Nieri, ndr) mi è stato molto vicino e mi ha dato una grande mano, è stata davvero dura. In primis, però, devo ringraziare la mia famiglia ed i miei amici, in questi mesi sono stato parecchio a casa e loro mi hanno dato una grande mano. Non riuscire a fare ciò che ami è difficile, non dico che sia stato uno schock, ma una bella batosta sì. Sono stati parecchi i momenti duri, io sono uno che pensa  molto e in questo periodo mi sono rotto la testa, arrivando quasi a mollare del tutto. Se non l’ho fatto è proprio grazie a chi mi è stato accanto tutti i giorni».

L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)
L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)

Un male invisibile

Se si guarda agli impegni di Menegotto, si nota come il suo inizio di stagione sia costellato da continui periodi di fermo. In un ciclismo che si muove sempre più velocemente rimanere “ai box” non aiuta e Jacopo lo sa bene. 

«Ad inizio anno stavo male – dice con tono sommesso – più avanti ho capito di cosa si trattasse: mononucleosi. Un ostacolo difficile da superare che mi ha compromesso la prima parte di stagione. Mi ero posto l’obiettivo di ripartire dal Giro d’Italia Under 23, ma i valori sono tornati ad essere alti e sono rimasto fermo altri 20 giorni. Alla fine di tutto sono tornato in corsa solamente il 29 luglio al Kreiz Breizh Elites: una corsa 2.2 che mi ha aiutato a far salire la condizione. Non sono ancora al 100 per cento, faccio fatica a recuperare dopo le gare, anche per questo al Giro del Friuli non ho fatto il massimo. Tuttavia la stagione è ancora lunga e le gare sono molte, ci sarà anche la Ruota d’Oro e sappiate che sul mio calendario c’è un bel cerchio su quel giorno».

Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)
Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)

L’approdo in Qhubeka

Da questa stagione, si diceva, Jacopo corre nel Team Qhubeka, una realtà tanto diversa da quelle vissute dal ragazzo veneto. Una squadra internazionale con tanti corridori di lingue e culture differenti, un mix di tante esperienze e storie di vita.

«I miei compagni – racconta – sono ragazzi tranquilli e super gentili. La squadra ha una casetta a Lucca e molto spesso ci passiamo dei periodi medio-lunghi tra i vari impegni. Avere tante nazionalità al nostro interno, e tutte che arrivano da un continente così lontano come l’Africa è bello. Spesso quando siamo in casetta ascolto le storie dei miei compagni, è bello sentirli parlare e penso che a loro faccia piacere aprirsi e raccontare delle loro famiglie o della propria cultura. Ciclisticamente arrivano da un mondo molto lontano, quindi a volte tocca anche a noi, compagni più esperti, aiutarli e farli ambientare.

«In ritiro parliamo spesso di ciclismo e dei corridori del passato ed a volte ci sorprendiamo perché non conosco gente come Indurain o Bugno (dice con un mezzo sorriso, ndr). Sono molto propensi alla fatica, anche perché così lontani da casa sanno di giocarsi il “tutto o niente” per entrare nel ciclismo che conta. Questa caratteristica la si nota spesso anche in corsa o in allenamento». 

Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile
Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile

Un primo bilancio

Quest’anno si concluderà, per motivi anagrafici, l’esperienza di Menegotto tra gli under 23, che bilancio ne ricava alla fine di questa sua “esperienza”?

«Mah, un bilancio… Sicuramente avrei potuto raccogliere qualche risultato in più – risponde – non sono stato sempre concreto. Quando ho perso, però, mi sono confrontato con corridori che ora corrono in team WorldTour e sono campioni affermati. Come quando al Giro Under 23 del 2020 ho corso contro Milan e Pidcock. Senza voler strafare penso che un posto tra i professionisti posso ritagliarmelo, ho corso in tante squadre che mi hanno sempre permesso di crescere, in un modo o nell’altro.

«Quando ero in Biesse Arvedi, nel 2019 e nel 2020 – conclude – ho imparato ad essere autonomo. Prendevo il treno per andare ad allenarmi o per andare ai ritiri, imparando a vivere al di fuori della mia comfort zone. Alla General Store, lo scorso anno, ho trovato tanti amici. Uno di loro è Lucca, uno dal quale bisogna imparare la determinazione e la costanza: per arrivare al professionismo come ha fatto lui ci vogliono due spalle grandi così. Invece quest’anno, con la Qhubeka ho usato un po’ dell’esperienza fatta in Biesse, quando ero io quello lontano da casa. Ovvio che le proporzioni da fare sono enormi, ma sapere un minimo cosa si prova mi ha aiutato a legare con i compagni».

Menegotto 2020

Di padre in figlio, la saga dei Menegotto

12.05.2022
5 min
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La storia di Roberto Menegotto, rivista oggi alla luce del ciclismo che stiamo vivendo, è esemplare di come lo sport sia un ambiente che vada vissuto rimanendo sempre presenti a se stessi. Il veneziano di San Donà di Piave era da dilettante un validissimo prospetto, capace addirittura di conquistare il Giro della Valle d’Aosta nel 1993, che sappiamo essere un trampolino preferenziale verso il professionismo. Menegotto passò nel 1994 nelle file della ZG Mobili, ma la sua parentesi durò appena 4 stagioni, per poi mollare a 27 anni e mettersi a lavorare, prima in proprio, poi, dopo che la sua azienda è fallita 6 anni fa, in una fabbrica di motori elettrici.

Il veneto non si è mai distaccato dal mondo del ciclismo, ha preso il patentino di tecnico di 3° livello e si è dedicato ai più giovani, per insegnare loro cos’è il ciclismo, nei suoi tantissimi lati belli e anche in quelli oscuri, poi è arrivato Jacopo, suo figlio che ora sta attraversando la sua stessa parabola, essendo uno dei giovani più promettenti del florido vivaio veneto.

«Non avrei voluto che facesse il ciclista – dice – ma ha tanta passione, quella che avevo io alla sua età. Sa che è un mondo duro, difficile ma ci vuole provare. Insomma, attraverso di lui sono rientrato anch’io nel mio mondo…».

Menegotto Dal Sie 1995
Roberto con un altro corridore dei suoi anni, Roberto Dal Sie, pro’ dal 1995 al ’97
Menegotto Dal Sie 1995
Roberto con un altro corridore dei suoi anni, Roberto Dal Sie, pro’ dal 1995 al ’97
Ripensandoci adesso con la maturità dell’età adulta (Roberto ha 54 anni), ti sei mai pentito di aver mollato così presto?

Sì, molto. Mi sarebbe bastato un pizzico di fortuna in più. Ma quelli erano anni pesanti, era un ciclismo molto discusso, molto “incasinato”. Oggi gli scalatori sono tornati scalatori, i velocisti sono tornati a fare le volate, poi ci sono i campioni assoluti che ci sono sempre stati, quelli capaci di vincere dappertutto perché baciati dal talento naturale. Io ho vissuto un’epoca di grandi atleti: Simoni, Casagrande, lo stesso Pantani erano miei rivali da dilettanti e si vinceva a turno, anch’io li ho messi alle spalle. Per affermarsi però dipende molto dalla squadra.

Come ti trovasti alla ZG?

La scelta era stata quella giusta, ma al secondo anno cambiò proprietà e non trovai l’accordo. Passai nella squadra di Marino Basso, andavo anche forte, finii secondo in una tappa del Midi Libre dietro l’attuale diesse della Cofidis Vasseur, ma non vedevo intorno a me la fiducia tale da darmi il tempo di crescere. Io venivo dal calcio, avevo iniziato a 18 anni con il ciclismo, maturavo molto tardi. Troppo per i tempi del ciclismo di allora, figuriamoci adesso…

Menegotto 1990
La vittoria di Roberto Menegotto ai tricolori ’90. Dietro finiscono Andreani, Gualdi, Ferrigato, Bartoli…
Menegotto 1990
La vittoria di Roberto Menegotto ai tricolori ’90. Dietro finiscono Andreani, Gualdi, Ferrigato, Bartoli…
Il ciclismo lo hai mollato?

No, mi sono dedicato ai più giovani e negli anni le loro vittorie, ma soprattutto le loro storie, la loro gratitudine, la loro crescita umana prima ancora che ciclistica sono stati i miei successi, quelli che mi hanno ripagato. Ora mi dedico agli esordienti nel Gs Spercenigo, società con 52 anni di storia. Negli ultimi anni abbiamo sofferto la rivalità con la Borgo Molino, ma stiamo completando tutta la trafila da giovanissimi a juniores nella stessa società e questo è importante. Ci prenderemo altre soddisfazioni.

A proposito di giovani, abbiamo visto sui social che sei molto sensibile al discorso legato al passaggio prematuro verso il professionismo…

Ho vissuto sulla mia pelle le difficoltà del passaggio, devi essere pronto innanzitutto mentalmente e caratterialmente. Tutti cercano l’Evenepoel di turno dimenticando che i fenomeni sono tali perché sono rarissimi. Noi bruciamo tanto, questa è la verità, anche le iniziative come il team under 23 della Bardiani lasciano il tempo che trovano. Avrebbe più senso imporre almeno un paio d’anni di permanenza fra gli under 23, per dare tempo di crescere. Poi c’è un problema di calendario.

Ragazzi Spercenigo
Alcuni ragazzini del Gs Spercenigo, società storica del panorama veneto. Menegotto cura gli esordienti
Ragazzi Spercenigo
Alcuni ragazzini del Gs Spercenigo, società storica del panorama veneto. Menegotto cura gli esordienti
Spiegati meglio…

Ai miei tempi trovavi in regione una o due gare dove fare esperienza, crescere gradatamente, per certi versi allenarti in vista delle sfide più importanti. Oggi ad ogni gara trovi i migliori, sembra che ogni corsa junior sia una sorta di campionato italiano e questo non fa bene, consuma. Bisogna anche avere spazio per gare più alla portata, permettere alle società di programmarsi, cercare spazi, far crescere l’autostima ai propri ragazzi. Le categorie giovanili sono cruciali nella formazione fisica ma anche mentale dei ragazzi.

Jacopo Menegotto 2022
Jacopo Menegotto, 21 anni. Nel 2021 è stato 2° a San Vendemiano e in una tappa del Giro U23 (foto Lorenza Cerbini)
Jacopo Menegotto 2022
Jacopo Menegotto, 21 anni. Nel 2021 è stato 2° a San Vendemiano e in una tappa del Giro U23 (foto Lorenza Cerbini)
Parliamo di Jacopo: come corridore è come te?

Per nulla… Io ero uno scalatore puro, di taglia minuta che aveva dalla sua l’esplosività. Lui ha una grande potenza, peccato che quest’anno non si sia ancora potuto mettere in mostra perché ha contratto un virus a inizio stagione che l’ha di fatto bloccato per due mesi. Praticamente ha corso tutte le gare internazionali con la retromarcia innestata… Lui va forte sulle salite medie, mi ricorda un po’ Argentin, anche se deve ancora dimostrare tutto. Ma ha tempo per crescere e anche in questa stagione può abbondantemente rifarsi.

Che ti aspetti per lui?

Che possa trarre soddisfazione per quello che fa e ricompensa per i sacrifici. Ha talento, spero riesca a dimostrarlo. In bici va da quando aveva 7 anni. Sa che in me ha un bagaglio enorme di esperienza, gli ho parlato spesso, gli ho insegnato che cos’è il ciclismo, ora deve andare per la sua strada sapendo che all’occorrenza ci sono.

Castelfranco premia Healy e onora Ayuso. Festa al Giro U23

12.06.2021
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Il classico ultimo giorno di scuola. Eppure la San Vito al Tagliamento-Castelfranco, che ha chiuso il Giro U23, non era proprio una tappa passerella: 164 chilometri e anche qualche strappo giusto per assegnare gli ultimi punti della classifica dei Gpm.

Sarà stato il sole, sarà stato che il peggio era passato, sarà tutto quello che volete, ma oggi persino il protagonista della corsa, Juan Ayuso, si è sciolto in lunghi sorrisi. Il suo volto era decisamente più rilassato. Specie dopo l’arrivo. A lui sono andate tutte le maglie, tranne quella blu dell’Intergiro.

Anche Ayuso ride

«Oggi mi annoiavo in corsa», diceva lo spagnolo al diesse Valoti. In realtà la tensione c’era, eccome. 

«No, io sono rimasto tranquillo. Dovevo solo passare la giornata. E’ stata una tappa facile – racconta la maglia rosa dopo il traguardo – nessuna paura. Neanche ieri dopo la caduta. Sono rimasto tranquillo, ho capito subito che potevo ripartire e poi volevo ringraziare la Dsm che stava tirando e ha mollato. La squadra mi è rimasta vicino e poi sapevo che c’era la gamba e un’altra salita ancora, quindi potevo recuperare. Il giorno più difficile invece è stato quello della crono con la sella che mi è scesa».

Mentre il gruppo sfilava via dopo l’arrivo Ayuso dava una pacca sulla spalla del primo compagno che aveva vicino.

«E’ stato un Giro comunque duro. Credo che la vera differenza l’abbia fatta a Sestola, quel giorno ho creato i distacchi maggiori. Okay, il giorno dopo ho perso la maglia, ma il grosso lo avevo fatto lì. Poi si è trattato soprattutto di controllare, specialmente dopo la vittoria nella “etapa reina”.

«Se sono mai stato a tutta? A Sestola sì – risponde Ayuso con tono più che sincero – poi ammetto di aver sempre avuto tutto sotto controllo. Anche se poi ho vinto a Campo Moro. Sapete, quel giorno stavo bene, mi sono girato, ho visto che eravamo in cinque e a quel punto ho colto l’occasione. Era la tappa più bella!».

Debutto all’Appennino

Juan adesso saluterà il mondo degli U23 e passerà con i grandi. Realizzerà un grande sogno, consapevole che si tratta di un punto di partenza. Fino a lunedì sera sarà ancora con la famiglia della Colpack Ballan, poi da martedì mattina lo aspetta la Uae che comunque qui al Giro era molto presente, sia con Gianetti, sia con Matxin, il suo “papà sportivo”. A proposito ci mancava solo che ieri i tre punti di sutura li mettesse il manager spagnolo anziché il medico, tanto gli era vicino!

«Adesso correrò al Giro dell’Appennino e poi anche a San Sebastian. Intanto è stato importante vincere il Giro. Era il mio obiettivo e per me era la prima esperienza in una corsa a tappe così lunga. Oggi sono davvero emozionato».

Intanto si avvicina Marco Selleri per dargli una medaglia e gli chiediamo se gli sia piaciuto il percorso che ha ideato questo signore al suo fianco. «Sì, molto. Un percorso da grandi. Molto duro ma anche molto vario. C’era spazio per tutti».

Ma quale volata

E a proposito di spazio per tutti. Oggi nessuno avrebbe scommesso su un arrivo non in volata. Già ieri vedevamo le ruote veloci fare melina al penultimo passaggio sul Nevegal. Stavano risparmiando energie in vista di oggi. Invece un ragazzo alla presentazione sul palco al mattino, intervistato da Ivan Cecchini (lo speaker), aveva detto: «Occhio, non è detto che si arrivi in volata. Fa caldo, la tappa è lunga, veniamo da tre giorni durissimi ed è il decimo giorno di gara». Quel ragazzo, che ci scusiamo non poter citare poiché in quel momento eravamo lontani dal palco e sentivamo solo l’audio, aveva ragione.

Nella fuga buona nata negli ultimi 60 chilometri circa, c’era Jacopo Menegotto che ha menato forte dopo il passaggio su Ca’ del Poggio e si è ritrovato con due super big del Nord Europa: Healy e Hoole (sembra uno scioglilingua!).

«Ai 200 metri dallo scollinamento – racconta il ragazzo della General Store – sono partito e mi sono buttato giù in discesa più forte che potevo. Queste sono le mie strade. Quando hanno presentato il Giro ho detto subito a mio papà che in questa tappa avrei fatto bene. Peccato che sia arrivato solo secondo. Ma in questo Giro volevo lasciare il segno e ci sono riuscito. E adesso? Adesso vorrei un contratto da pro’… perché me lo merito».

Healy beffa Menegotto

La tappa finale è andata al campione irlandese Ben Healy. Uno che forse ha molto da recriminare. Era atteso sul podio finale e invece spesso si è staccato. Oggi era la sua ultima occasione, anche se va detto che ci aveva provato spesso. A poco meno di 5 chilometri dalla fine ha staccato Menegotto e Daan Hoole, il gigante del gruppo, e di potenza si è preso l’arrivo finale».

E poi? Poi grande festa di tutti, anche dello staff di Selleri e Pavarini, che hanno regalato dieci giorni di grande ciclismo. «Guarda qua che bello – dice Selleri (quasi commosso) mentre muove il braccio verso la piazza – guarda quanto pubblico. Dai, dai… è andata bene».

Menegotto: l’obiettivo al Giro U23? Tappe e contratto

26.05.2021
4 min
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Jacopo Menegotto corre nella General Store e quest’anno, anche se non ha ancora vinto si è fatto vedere in gare importanti come il Belvedere e il Piva. Figlio d’arte, suo papà Roberto, è stato pro’ nella seconda metà degli anni ’90: lui il ciclismo lo ha fortemente voluto. 

Jacopo Menegotto è un classe 2000, compirà 21 anni a fine luglio
Jacopo Menegotto è un classe 2000, compirà 21 anni a fine luglio

«Ho provato anche tanti altri sport – dice Menegotto – calcio, rugby, atletica leggera, pattinaggio, ma io volevo la bici e appena ho potuto, da G1, ho iniziato a correre. Fino agli juniores ho vestito maglie di squadre non troppo lontane da casa, San Donà di Piave, e poi da under 23 sono andato a Bergamo alla Biesse Arvedi, prima di arrivare alla General Store.

Che corridore è Menegotto?

Sono un passista scalatore, potente, ma anche esplosivo per quel che riguarda gli sprint ristretti.

Come mai hai cambiato team?

Mi ha cercato Giorgio Furlan (diesse della General Store, ndr) che in questo modo mi ha dato la possibilità di avvicinarmi a casa.

Se ti dovessi paragonare a qualche pro’ per le tue caratteristiche chi scegli?

Oddio… di strada da fare ce n’è tanta, proprio tanta ma direi Alaphilippe! Mi piace il modo in cui corre, non ha paura di prendere vento in faccia, attacca da lontano ed è cattivo quando prende gli strappi. Senza contare che spesso va a fare anche le volate di gruppo. Ha una grande cattiveria agonistica.

Menegotto terzo sull’arrivo di San Vendemiano
Menegotto terzo sull’arrivo di San Vendemiano
Sei di San Donà di Piave tutta pianura: con le salite come fai?

Giorgio organizza dei ritiri infrasettimanali a Verona con la squadra e andiamo in Valpolicella soprattutto. Lì hai tutte le salite che vuoi. Altrimenti mi organizzo con la macchina e con altri corridori andiamo verso Vittorio Veneto. Altre volte mi aiuta un mio amico, Gino De Vecchi ex corridore e confidente, che mi fa fare dietro motore.

Jacopo, tra poco inizia il Giro U23: ci sarai?

Sì ci sarò. Lo vivrò tappa per tappa cercando di fare il meglio in base a quello che verrà. Non punterò alla classifica. L’anno scorso con Conca e Colleoni ho visto da vicino cosa significhi ed è molto difficile. Sarà il mio terzo Giro e in questi anni ho imparato molto. Ragionare sui 10 giorni è diverso. Cambia tutto.

Spiegaci meglio…

Rispetto ad una corsa di un giorno in cui dai tutto qui ti devi gestire, devi risparmiare, devi essere sempre molto attento in gruppo, appena arrivi devi mangiare subito, la sera spegni il telefono presto perché devi riposare e rilassarti. L’aspetto mentale è la prima cosa.

Quest’anno Menegotto è stato quinto al Trofeo Piva, gara internazionale
Quest’anno Menegotto è stato quinto al Trofeo Piva, gara internazionale
C’è qualche tappa che ti piace?

Quelle iniziali in Romagna sono adatte alle mie caratteristiche e anche le ultime due, che tra l’altro non sono lontane da casa. Io preferisco le salite pedalabili se sono lunghe, o i muri ripidi per quelle più corte. Sono comunque potente (Menegotto è alto 171 centimetri per 63 chili, ndr).

Hai già un contratto da pro’?

No, non ancora. Infatti voglio andare forte al Giro anche per questo motivo. Passare professionista è l’obiettivo principale.

Tuo papà Roberto correva, ti dà consigli? 

Ho un bellissimo rapporto con lui. Mi ha aiutato tanto. Nei momenti buoni mi lascia tranquillo, in quelli no invece c’è sempre. Magari ho un mese difficile in cui non ci sono con la testa e lui, che lo capisce, cerca di farmi rigare dritto. Sapete papà ci è passato, ha abbandonato avendo il contratto in mano, e sa bene cosa significhi poi… smettere di correre. “La giostra c’è adesso ed è adesso che devi ballare”, mi dice.