EDITORIALE / I tifosi li abbiamo, ricostruiamo la cultura

09.01.2023
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«Quando mi dicono che in Olanda ci sono più biciclette che in Belgio, rispondo che è vero. In Olanda hanno la cultura della bicicletta, da noi invece c’è la cultura del ciclismo».

Le parole sentite il 6 gennaio in Belgio continuano a risuonare, come pure i boati di pubblico nei cross del weekend. Chi ha commentato le immagini e gli articoli sui vari social ha scritto che certe scene si possono vedere soltanto lassù. Non è vero, accade anche da noi: magari non nel cross, ma certo su strada. La foto di apertura viene dal Giro del 2018 a Catania, l’ha scattata Dario Belingheri e ha pure vinto un premio. La gente ce l’abbiamo, stiamo perdendo la cultura del ciclismo. Perché?

A Zonhoven ieri un quantitativo impressionante di pubblico, dai bambini ai nonni (foto Cyclocross Online)
A Zonhoven ieri un quantitativo impressionante di pubblico, dai bambini ai nonni (foto Cyclocross Online)

La cultura del ciclismo

Cultura è una parola importante. Magari quel tale l’ha utilizzata a vanvera oppure con la consapevolezza di ciò che stava dicendo.

«Cultura – dice la Treccani – è l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo».

Se associamo la definizione al ciclismo e consideriamo che in Belgio è materia di studio nelle scuole, presenza fissa nei media, stile di vita quotidiana e abitudine consolidata in tante case, si capisce che forse l’uso del termine non sia venuto a sproposito. Stando così le cose, si capisce anche il motivo per cui delle grandi aziende trovino interesse nell’investire in questo sport

«Siamo due grandi compagnie del Belgio – ha detto Cindy Van Moorleghem Brand & Marketing Director di Quick-Step, parlando dell’azienda per cui lavora e di Soudal – entrambe attive sul mercato internazionale. Abbiamo dei valori in comune, che si chiamano passione, sogno e orgoglio».

Bambini e futuro

La stessa cosa succede in Francia. Il grande lavoro svolto da Aso nel diffondere il Tour e la sua immagine, unito all’appoggio della politica e al favore dei media fa sì che la storia del ciclismo e il suo presente passino attraverso le generazioni. Ne consegue che anche in Francia dei veri colossi si sono avvicinati alle squadre, modellando campagne di marketing su uno sport che viene ritenuto un grande veicolo promozionale.

Il racconto fatto da Consonni sulla folla di pubblico nelle varie prove della Coupe de France conferma che non è solo il Tour, ma il ciclismo stesso ad essere trainante, sia pure in un Paese in cui calcio e rugby la fanno da padroni.

Spesso per capire quanto il ciclismo sia radicato nella società, basta guardarsi intorno. La presenza dei bambini alle corse è la discriminante più attendibile: se ci sono loro, vuol dire che si tratta di un affare di famiglia. E allora, come ha detto Lefevere alla presentazione della sua squadra, è lecito pensare che i bambini di oggi saranno i tifosi di domani.

In Belgio la cultura del ciclismo traspare dalle generazioni dei tifosi: dai piccoli agli anziani
In Belgio la cultura del ciclismo traspare dalle generazioni dei tifosi: dai piccoli agli anziani

L’eccezione italiana

Che cosa impedisce che la stessa cosa accada anche in Italia? Siamo tifosi, appassionati e praticanti. Abbiamo un seguito fantastico, un territorio disegnato per gli sport outdoor, ma la cultura del ciclismo si va spegnendo perché manca la rete che ne favorisca il passaggio. Resta legata ai ricordi dei più attempati, ma raggiunge a fatica i più giovani. Se ci fosse stata ancora la sensibilità degli anni Ottanta, un campione come Nibali sarebbe diventato trascinatore anche malgrado il suo carattere schivo. Invece lo abbiamo lasciato passare senza renderci conto che sia stato più popolare in Francia che in Italia.

Per forza! Chi organizza le corse si limita, nella maggioranza dei casi, a raccogliere assegni, tassare gli sponsor altrui, montare palchi e sparire poche ore dopo. Gli esponenti della politica nazionale si tengono alla larga, casomai dovesse nuocere alla loro immagine farsi vedere al via di una corsa. I media, quelli importanti che dettano la linea, si sono inginocchiati davanti al calcio, ritenendolo l’unico tema che richiami il pubblico. Di conseguenza gli sponsor stanno alla larga. Quelli capaci di coniugare passione, sogno e orgoglio sono usciti anni fa e non tornano indietro. Ci sono stati anche gli anni in cui la sponsorizzazione era il modo migliore per giocare con le fatture, ma questa è un’altra storia, tipica tuttavia del nostro malcostume. E certo non aveva a che vedere con passioni, sogni e orgoglio.

L’invasione francese

Il perché tutto questo accada resta la chiave decisiva. Il Covid ha favorito il rinascere (forse) della cultura della bicicletta, ma anche questa deve confrontarsi ogni giorno con la non-cultura di chi utilizza le strade senza rispetto per gli utenti più deboli. E non saranno le distanze imposte o le targhe alle bici a rendere migliore la situazione. Forse davvero l’unica soluzione è che ci invadano. Che arrivi dalla Francia lo squalo del Tour e metta un piedino, magari cominciando dal Giro Donne, e poi si espanda. Lo faranno prevalentemente per denaro, ma sanno anche che il gioco è tanto più redditizio se poggia sulla cultura popolare. Sempre a quella si torna e qui il ciclismo ha fatto la storia. Dobbiamo rimboccarci le maniche affinché tutti lo sappiano.

Jakob Dorigoni, San Fior 2020

Jakob Dorigoni: «Alla strada preferisco le marathon»

14.12.2021
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Jakob Dorigoni è uno degli atleti azzurri che domenica si è cimentato nella prova di coppa del mondo in Val di Sole, appuntamento stravinto da Van Aert. Questo è stato lo spunto per il nostro editoriale del lunedì. I corridori che dominano le corse di ciclocross sono gli stessi che troviamo poi a giocarsi la vittoria tutto l’anno su strada. E’ ormai chiaro come praticare due discipline ad alto livello aumenti lo stress e la fatica, ma una volta che si gestiscono i periodi di corsa, i risultati parlano da soli. L’Italia ha perso ottimi crossisti passati su strada e più tornati, ma è il modo giusto per gestire questi ragazzi? Non sarebbe meglio dare loro la possibilità di correre ad alto livello anche su strada per potersela giocare nel cross? Cambierebbe qualcosa nella carriera di Dorigoni se durante l’estate potesse disputare delle corse a tappe?

Dorigoni Sant'Elpidio 2021
Jakob Dorigoni nel ciclocross corre per il team Selle Italia Guerciotti
Dorigoni Sant'Elpidio 2021
Jakob Dorigoni nel ciclocross corre per il team Selle Italia Guerciotti
Innanzitutto Jakob, com’è andata domenica?

Bene, mi sono divertito molto, è stata una prima volta speciale sulla neve. Il percorso era bello anche se tanto tecnico.

Correre sulla neve è tanto diverso?

No, la formazione del percorso è simile a quando c’è il fango. Si creano le canaline e bisogna stare attenti a quale prendere per non finire al di fuori della traiettoria ideale e perdere così troppo tempo.

L’insidia più grande?

Essendo il percorso per lo più all’ombra, le basse temperature si facevano sentire. Anche durante il riscaldamento avevo freddo nonostante fossi al sole, quindi pensate che temperatura c’era… Una delle maggiori insidie era dovuta proprio all’ombra sul percorso perché la neve andava via via ghiacciandosi e mantenere l’equilibrio era fondamentale.

Ha vinto Van Aert con quasi un minuto sul secondo…

Lui è un fenomeno, domenica è atterrato un alieno in Val di Sole.

Jakob Dorigoni ha corso il Giro d’Italia under 23 nel 2018, 2019 e 2020
Jakob Dorigoni ha corso il Giro d’Italia under 23 nel 2018, 2019 e 2020

Doppia attività sì, ma quale?

I primi 5 della classifica di ieri alternano una buona, se non ottima, attività su strada a quella invernale di ciclocross. Anche Jakob fino al 2020 ha corso su strada in estate, ha partecipato al Giro d’Italia under 23 con la Work Service Dynatec Vega. Nella stagione appena conclusa però non lo ha fatto.

Che disciplina hai praticato quest’estate?

Ho corso in mountain bike, ho deciso di cambiare attività.

Come mai?

Ho sempre praticato questa disciplina e mi piace molto. Mi diverte e mi mantiene attivo nella stagione estiva.

Non pensi che l’attività agonistica su strada porti dei vantaggi maggiori in termini di preparazione?

Anche la mountain bike permette di fare molto fondo, non serve correre per forza su strada. Ho partecipato a gare marathon, che sono più lunghe di quelle classiche, e questo comunque fornisce molti vantaggi e comunque mi alleno spesso con la bici da strada.

Jako Dorigoni ha corso anche la prima edizione della Serenissima Gravel con la maglia della nazionale
Jako Dorigoni ha corso anche la prima edizione della Serenissima Gravel
Come ti alleni quindi in estate?

Per 4-5 i giorni della settimana uso la bici da strada, i restanti allenamenti li faccio con la mountain bike, poi ovviamente c’è il giorno della gara. Uso la bici da corsa perché mi permette di fare meglio determinati lavori come quelli ad alta intensità. Sui sentieri incontri spesso degli ostacoli che ti tolgono ritmo, mentre se vado su una salita posso fare lavori dai 5 ai 20 minuti senza interruzioni.

Per lo stesso motivo allora fare gare su strada ti permetterebbe di fare sforzi più prolungati mentre in mountain bike questo diventa più complicato…

Per questo faccio anche le marathon dove i percorsi presentano lunghi tratti senza curve ed ostacoli. Correre d’estate in mountain bike è tanto diverso rispetto al ciclocross. Intanto il clima rende il terreno più secco, di conseguenza hai una maggiore scorrevolezza del mezzo e ti alleni a condurre la bici anche a velocità più elevate.

Vittoria e la “sfida” del tubeless

27.09.2020
2 min
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Da quest’anno Vittoria è tornato ad essere un marchio del tutto italiano. Si progetta e si testa a Brembate. E non a caso l’azienda bergamasca è sponsor della nazionale italiana. Il suo bus trasporta gli azzurri negli eventi in cui sono impegnati, come ai recenti mondiali di Imola.

Dario Acquaroli, due volte iridato nella Mtb, ci racconta dell’azienda per la quale lavora dal 2013.

Sezioni sempre più larghe

«Il mercato e lo sviluppo seguono il mondo dei professionisti. Oggi la tendenza è quella di aumentare la sezione delle gomme. Si è passati dagli standard da 19 millimetri di fine anni ’90 ai 25 millimetri attuali. E molti stanno utilizzando i 28 millimetri. Non solo, ma con i telai per freno a disco si è creato lo spazio anche per gomme fino a 32 millimetri. Ne guadagnano la tenuta, la scorrevolezza e l’aerodinamica. Con i cerchi per freni a disco inoltre ci si sta spostando sempre più sul tubeless».

Il Vittoria Speed, nato per le crono, è sempre più utilizzato anche su strada dai professionisti
Vittoria Speed, nato per le crono, è utilizzato anche su strada

Carcassa in cotone, mescole sofisticatissime (ogni compound è l’insieme di almeno 60 elementi), tutto ciò fa sì che l’aumento di peso incida davvero poco. Soprattutto se si tiene conto del miglioramento della scorrevolezza.

Più scorrevolezza, meno forature

E Acquaroli insiste proprio sulla scorrevolezza: «Abbiamo macchinari che registrano ogni cosa. Quando abbiamo realizzato il primo copertoncino abbiamo subito notato che migliorava molto la scorrevolezza. La camera d’aria crea attrito e lo stesso vale per il tubolare».

«La Mtb è il pilota per le tecnologie delle gomme», riprende il responsabile di Vittoria. «In Mtb il tubeless è arrivato 20 anni fa, la strada lo sta scoprendo solo recentemente. Questa tipologia di gomma è interessante per molti aspetti. Diminuiscono anche le forature grazie al maggior volume d’aria presente nella gomma. Noi ne registriamo sempre meno durante le gare dei pro’: l’80 per cento in meno da quando si usa il 25 millimetri. C’è bisogno di un po’ più di manutenzione. Bisogna inserire il liquido antiforatura all’interno della gomma, ma non è nulla di complesso».

Tubeless messi sotto stress

Tuttavia non è facile produrre un tubeless da strada perché deve sopportare pressioni maggiori rispetto a una gomma destinata alla Mtb.

«Nella Mtb si lavora con pressioni inferiori ai 2 bar», conclude Acquaroli. «Su strada si parla di 6-8 bar e sono parecchi perché non stalloni e il cerchietto della gomma resti ben saldo alla spalla del cerchio. I nostri copertoni sono certificati per 9 bar, ma questo significa che lo testiamo almeno al doppio, 18-20 bar».