Prudhomme: il Tour in Italia e il dualismo tra Pogacar e Vingegaard

24.11.2024
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RIVA DEL GARDA – Dai giorni di Firenze, Bologna e Torino sono passati pochi mesi, abbastanza da far sembrare la partenza del Tour de France dall’Italia un vago ricordo. Eppure il giorno in cui è stato annunciato che la Grande Boucle sarebbe partita proprio dal nostro Paese, si ebbe la sensazione di qualcosa di unico. La conferma è arrivata con la presentazione dei team da Firenze, avvenuta il 28 giugno. Un evento enorme, per grandezza, spettacolo offerto, pubblico presente e valorizzazione del territorio. La macchina gialla, guidata da Christian Prudhomme si era messa in moto e aveva lasciato tutti affascinati. Quasi ammaliati da ciò che il ciclismo permette di fare. 

Di mesi ne sono passati cinque, il Tour de France è stato vinto da Tadej Pogacar, lo sloveno mangia tutto. Sembra quasi che sia stato digerito in fretta, masticato con voracità senza essere stato apprezzato fino in fondo. Si sa che a volte l’attesa del piacere è essa stessa il piacere. 

La presentazione del Tour a Firenze aveva unito perfettamente la corsa alla storia della città
La presentazione del Tour a Firenze aveva unito perfettamente la corsa alla storia della città

Conoscere 

Tuttavia ritrovarsi davanti alla figura di Christian Prudhomme ci ha fatto ricordare della bellezza che ha regalato con la sua corsa. Il direttore generale del Tour de France ha portato, solo negli ultimi due anni, la Grand Depart prima in Spagna e poi in Italia. Che bilancio trae dall’esperienza del Tour in Italia?

«L’accoglienza è stata fantastica – ci dice ai margini della conferenza stampa di presentazione del Tour of the Alps – anzi, l’accoglienza degli italiani è stata fantastica. Il Tour de France non era mai partito dall’Italia, aveva toccato tutti i Paesi limitrofi, ma mai il vostro. Tutti conosciamo i campioni come Coppi, Bartali e tanti altri. Abbiamo voluto mettere in evidenza la storia del ciclismo in Italia, che è davvero ricca e profonda. Sentivamo che gli italiani volevano questo, ma anche noi». 

Christian Prudhomme prima del Tour è stato anche ai campionati italiani, anch’essi partiti da Firenze
Christian Prudhomme prima del Tour è stato anche ai campionati italiani, anch’essi partiti da Firenze
Com’è stato immergersi nella nostra cultura?

Il motivo per cui mi sono recato sulla tomba di Fausto Coppi il 2 gennaio è che, come direttore del Tour de France, non avrei mai potuto creare un evento simile senza conoscerne la storia. Pensare di essere alla partenza da Firenze senza aver visitato i luoghi del ciclismo italiano non sarebbe stato giusto. 

In quali luoghi si è fermato?

Al museo Bartali, sulle strade di Nencini e Ottavio Bottecchia. Sono davvero molto, molto felice di averlo fatto, perché senza tutto questo la Grande Depart sarebbe stata un’esperienza molto diversa. 

L’Etape du Tour a Parma è un format che ha subito raccolto tanti consensi, infatti verrà riproposto (foto Facebook)
L’Etape du Tour a Parma è un format che ha subito raccolto tanti consensi, infatti verrà riproposto (foto Facebook)
E il pubblico italiano come ha reagito?

Partire da una città come Firenze è estremamente prestigioso, le immagini parlano da sole. Sono venute tantissime persone, le quali hanno mostrato rispetto per i campioni e per la bellezza dei monumenti. Ero stato a Firenze diverse volte in vacanza. È semplicemente una città magnifica. Ma ogni strada, città e paesino che il Tour ha attraversato mi ha lasciato qualcosa. E poi c’è stata una grande battaglia sportiva. Ogni volta che la nostra corsa inizia dall’estero siamo costretti a spiegare i motivi. L’Italia ce li ha mostrati da sola. 

I corridori non si sono risparmiati. 

Quando hai questi paesaggi, questi campioni e questo pubblico tutto viene più semplice. Se a tutto ciò si aggiunge anche la battaglia agonistica sulle strade allora non manca nulla. Sul San Luca, a Bologna, abbiamo visto subito Pogacar attaccare e Vingegaard rincorrerlo. La fortuna per noi francesi è stata quella di avere due connazionali che hanno vinto nei primi due giorni. 

Sulle rampe del San Luca il primo assaggio dello spettacolo del Tour de France
Sulle rampe del San Luca il primo assaggio dello spettacolo del Tour de France
La vittoria a Rimini di Bardet è stata il fiore all’occhiello per voi…

Successo di tappa e maglia gialla, incredibile. La seconda tappa è stata vinta da un giovane: Kévin Vauquelin. Tutte queste cose ci hanno regalato dei ricordi molto belli dell’Italia. 

Qual è stato il bilancio degli altri eventi, ad esempio l’Etape du Tour a Parma?

Lo sviluppo del Tour avviene anche attraverso pedalate come queste. Sono eventi che fanno respirare alla gente cosa vuol dire far parte della Grande Boucle. L’affluenza è stata ottima, tanto da riproporre l’evento, in totale l’Etape du Tour tocca venti Paesi differenti. E’ un format che funziona, e siamo ovviamente felici che ce ne sia una anche in Italia. 

Prudhomme spera in un duello alla pari tra Pogacar e Vingegaard nel 2025
Prudhomme spera in un duello alla pari tra Pogacar e Vingegaard nel 2025
Lei ha parlato di battaglia sportiva, il dominio di Pogacar nel 2024 la spaventa? C’è il rischio che l’entusiasmo del pubblico venga meno?

 Mi fate questa domanda in un momento in cui si piange l’addio di un campione come Rafael Nadal e le partite che negli anni ci sono state tra lui e Federer. Quando Pogacar vinse la cronometro di Laval nel Tour del 2021 tutti erano convinti che ne avrebbe vinti 6, 7, 8 di fila. Nei due anni successivi, invece è arrivato Vingegaard e il dominio sembrava potersi invertire. Quello che mi auguro è che entrambi i protagonisti siano al via del Tour de France senza dover recuperare da una caduta molto grave. Negli ultimi due anni lo squilibrio è stato causato da cadute e infortuni, che hanno colpito entrambi. Quindi spero davvero che entrambi siano in piena forma, e poi vedremo.

Lo sguardo di Bennati su 4 giovani azzurri: ricambio in vista?

18.10.2024
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Il 2024 ci ha regalato un gruppetto di ragazzi giovani e dal fare ambizioso, che sanno pedalare bene e forte. Lo hanno dimostrato quando erano under 23 e una volta passati professionisti hanno mantenuto questo trend. Stiamo parlando di Giulio Pellizzari, Davide Piganzoli, Francesco Busatto e Davide De Pretto. Quattro atleti che hanno rappresentato lo zoccolo duro della nazionale under 23 di Marino Amadori fino al mondiale di Zurigo. Una volta terminato questo cammino, vista anche la nuova regola UCI che impedisce loro di correre a mondiali ed europei nella categoria U23, è arrivato il momento di trattarli da grandi

Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori
Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori

Il futuro

Lo facciamo insieme al cittì della nazionale elite Daniele Bennati. Il tecnico aretino raccoglie il testimone passatogli dal collega Amadori e guarda al futuro insieme ai giovani che avanzano.

«Secondo me questi quattro – racconta Bennati – sono nomi che per il futuro della nostra nazionale saranno importanti. Sui quali io stesso dovrò fare affidamento. C’è bisogno di un ricambio generazionale e lo possiamo cominciare nel migliore dei modi. Non solo dal punto di vista fisico, ma anche come approccio alle gare e ai vari impegni sono ragazzi che hanno mostrato sfrontatezza. Una qualità della quale abbiamo davvero bisogno».

Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia
Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia

1) Pellizzari e il passo giusto

Vediamo questi profili uno per uno insieme a Bennati. Una sorta di presentazione o, per meglio dire, una specie di identikit che il cittì ha fatto nei confronti di questi neo professionisti. Partiamo con il parlare di Giulio Pellizzari, se non altro perché in ottica mondiale il suo nome era sul taccuino di entrambi i tecnici azzurri. 

«Lui e Piganzoli – analizza Bennati – sarebbero potuti rientrare nei piani della nazionale maggiore in vista di Zurigo. Poi nei giorni precedenti alle convocazioni, Amadori e io ci siamo confrontati, decidendo di non fare un passo troppo lungo. Pellizzari nel 2024 ha mostrato di poter essere il corridore da corse a tappe per l’Italia. L’ultima settimana del Giro ha fatto vedere grandi cose, ciò testimonia un ottimo recupero, qualità importante in quel genere di corse. Ha un profilo che rispecchia molto le caratteristiche dello scalatore e lo ha fatto notare anche al Lombardia, dal quale è uscito con una prova maiuscola.

«L’anno prossimo passerà nel WorldTour con la Red Bull-Bora hansgrohe e credo sia uno step importante per la sua carriera, fatto nella squadra giusta. La concorrenza interna non mi preoccupa affatto, perché Pellizzari è forte e sarà la strada a dimostrare cosa potrà fare. Alla Red Bull-Bora troverà tanti italiani nello staff e nel team, in più sarà guidato da Gasparotto. Ripeto: non credo ci fosse scelta migliore».

Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale
Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale

2) Piganzoli: carico di responsabilità

L’altro azzurro con la mentalità e il fisico ideale per le grandi corse a tappe è Davide Piganzoli. Al suo primo Giro d’Italia ha portato a casa un tredicesimo posto finale. Un risultato non indifferente, che ha mostrato quanto possa essere solido il valtellinese nell’arco di tre settimane. 

«Ha caratteristiche diverse rispetto a Pellizzari – spiega il cittì – ha una struttura fisica che gli permette di essere più esplosivo. Lui stesso dovrà capire che tipo di corridore potrà essere in futuro, se da grandi Giri, da brevi corse a tappe o da gare di un giorno. Penso però che nel 2025 possa ancora curare la classifica in una grande corsa a tappe, se lo meriterebbe e da lui mi aspetto questa conferma. Rimanere un altro anno alla Polti Kometa può dargli qualcosa in più in termini di responsabilità. Correrà in un team dove sarà il faro per gare come il Giro e questo lo farà maturare ancora di più dal punto di vista mentale».

Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità
Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità

3) Busatto: un cammino costante

Si passa poi ai corridori da corse di un giorno: ragazzi leggeri, ma con gambe pronte a spingere forte sui pedali. Francesco Busatto e Davide De Pretto. Rispetto ai primi due loro hanno già vissuto un anno nel WorldTour, con Busatto che è passato dal devo team alla formazione dei grandi

«Busatto – continua Bennati – è in una squadra che gli permette di crescere e mettersi alla prova. Ha delle caratteristiche atletiche importanti visto che è dotato di un ottimo spunto veloce, cosa che nel ciclismo moderno può dargli un qualcosa in più. Da under 23 ha vinto la Liegi di categoria e quest’anno ha visto com’è correre in quella dei professionisti. Sono esperienze che fanno bene a un ragazzo giovane, molti corridori hanno vinto monumento o corse importanti dopo anni di presenze e piazzamenti. Un anno nel WorldTour alza sicuramente l’asticella, facendoti fare un salto importante a livello fisico e psicologico».

Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024
Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024

4) De Pretto: “la” sorpresa

Infine c’è Davide De Pretto, il quale ha messo alle spalle il suo primo anno nel WorldTour con la Jayco AlUla. Il suo è stato un salto importante, il vicentino arrivato dalla Zalf Euromobil ha raccolto risultati importanti. Nel complesso termina la sua stagione con sedici top 10 nelle quali rientra anche la prima vittoria da professionista al Giro di Austria.

«Lui e Busatto – conclude Bennati – hanno caratteristiche simili: sanno tenere in salita e hanno buone doti in sprint ristretti. De Pretto mi è piaciuto parecchio, il suo era uno scalino non facile da fare, passare da una formazione continental a una WorldTour non è scontato. Eppure ha risposto bene, non dico che mi ha sorpreso, ma mi ha fatto parecchio piacere. E’ un ragazzo molto propositivo e che durante tutto il 2024 ha dimostrato di poter stare a certi livelli. Il suo profilo è quello di un corridore in grado di poter vincere nel ciclismo moderno e lo accompagna anche il giusto atteggiamento».

EDITORIALE / Blackout totale, ma l’Italia vale più di così

30.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Francesco De Gregori ha disegnato dell’Italia un ritratto più efficace di tanti editoriali, articoli e approfondimenti. Parla di Italia derubata e colpita al cuore. Assassinata dai giornali e dal cemento. L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare. L’Italia metà dovere e metà fortuna. E anche L’Italia con le bandiere e nuda come sempre. L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, ma che resiste. Camminando verso il primo espresso del giorno prima di lasciare la Svizzera, che stamattina si è svegliata nuovamente con le strade bagnate, pensiamo che gli stessi versi potrebbero descrivere anche l’Italia del pedale, quella vista ieri e più in genere nei mondiali di Zurigo.

L’Italia derubata dei suoi talenti nel nome dei soldi. Che paga gli errori del passato e le campagne di informazione che ne fanno tuttora un punto debole. L’Italia che si affida all’estro di pochi, coprendo spesso l’incapacità di progettare il futuro. L’Italia con le bandiere quando conviene e con i social quando la vittoria sfugge. E comunque l’Italia che resiste, perché ogni volta che vediamo una maglia azzurra – popolo di tifosi e forse non di sportivi – siamo incapaci di non tifare.

Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti
Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti

Blackout ai meno 65

Il mondiale di ieri ha fotografato un modo di essere e una serie di spiegazioni che non bastano per raccontare come mai i nostri siano spariti dalla corsa negli ultimi 65 chilometri. Forse sono mancate le gambe, come ha detto Bennati. Forse è mancata lucidità, come appare sempre di più ragionandoci sopra. Ma forse è mancata anche la rabbia.

L’obiettivo era correre davanti, restare concentrati per evitare di inseguire. Quando Pogacar ha attaccato, il solo ad accorgersene è stato Bagioli, che è partito seguendo l’istinto, senza rendersi conto di andare incontro a fine sicura. Gliene facciamo una colpa? Andrea arriva da un periodo non facile e avere l’istinto di rispondere a quell’attacco era il segnale di cui forse aveva bisogno. Anche se probabilmente, come tanti gli hanno detto, si è trattato oggettivamente di una mossa suicida.

Non si può puntare più di tanto il dito su Tiberi, portato perché facesse esperienza e non miracoli. Chiaro che le attese fossero elevate almeno quanto il suo distacco al traguardo, ma il primo mondiale e la seconda corsa in linea di stagione sono bocconi da masticare con attenzione. Bennati lo ha portato anche in vista del prossimo mondiale in Rwanda che chiamerà allo scoperto gli uomini dei Giri. Lo stesso Antonio ha ammesso che la Bahrain Victorious vuole fare di lui un uomo da corse a tappe, ma perché escluderlo a priori dalle classiche?

La testa e le gambe

Mathieu Van der Poel ha usato la testa. E al di là dell’aver pensato che Pogacar si stesse suicidando, ha ritenuto più opportuno non seguirlo. Per non finire come lui fuori dai giochi o più in generale per non bruciare le sue chance di centrare una medaglia su un percorso che sembrava escluderlo da ogni gioco. L’olandese è venuto al mondiale con un obiettivo chiaro: conquistare una medaglia. Sapeva che non avrebbe vinto, ma che una medaglia sarebbe stata lo stimolo per prepararsi e stringere i denti. Con quale obiettivo sono venuti gli azzurri a Zurigo?

Bennati ha parlato della volontà di fare una corsa dignitosa per rispetto dei tifosi e dell’Italia. E allora viene da chiedersi se non sarebbe stato più saggio lasciar andare il re del mondo, concedendo ad altri l’onore di inseguirlo e cercando di rimanere nel gruppetto che si è giocato le medaglie alle sue spalle. Ma questo lo fai se davvero stai davanti, concentrato e pronto a entrare nelle azioni. Se sei capace di prendere decisioni, senza che qualcuno te le suggerisca. Perché in una corsa senza radio, non si può aspettare un giro per arrivare al box e avere indicazioni. Per certi versi è davvero sembrato di vedere la corsa degli juniores agli europei di Hasselt, al termine della quale il cittì Salvoldi esplose condannando il loro modo di correre attendista tutto italiano.

Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?
Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?

La lezione di Aleotti

Verrebbe da dire, cercando un facile alibi, che i nostri sono talmente poco abituati a correre da leader, che nella prima occasione in cui possono, non sanno come fare. Potrebbe essere una tesi sostenibile, seppure la storia racconti di corridori che nelle rare occasioni di libertà hanno lasciato il segno. Che non significa per forza vincere, ma correre in modo aggressivo, rimarcando la propria presenza.

Ci viene da fare l’esempio dell’unico corridore rimasto fuori dalla selezione azzurra. Non significa necessariamente che avrebbe fatto meglio, il finale non sarebbe cambiato, ma forse ci avrebbe provato. Stiamo parlando di Giovanni Aleotti. La Red Bull-Bora lo ha preso per farne un leader, ma in attesa che diventi grande, lo ha messo accanto ai capitani. Il suo Giro accanto a Martinez e la Vuelta accanto a Roglic sono stati da incorniciare. Eppure in una delle poche corse in cui ha avuto libertà, il Giro di Slovenia, l’emiliano ha vinto. Se vuoi spazio, devi prenderlo quando te lo danno. Altrimenti se lo prende un altro.

Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo
Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo

Un travaso di grinta

Ieri questo non è successo. Sono stati apprezzabili (sia pure tardivi) i tentativi di Ciccone, che forse avrebbe avuto le gambe per restare in quel famoso gruppo alle spalle dell’imprendibile sloveno. Sul percorso così veloce e duro, in cui nessuno è mai riuscito a guadagnare più di pochi spiccioli, i 45 secondi del suo vantaggio erano pesanti come minuti a palate.

Ce ne andiamo da Zurigo con gli occhi pieni di Pogacar e con l’angoscia per la morte di Muriel Furrer. Con le medaglie della crono. L’oro strepitoso di Lorenzo Finn e il bronzo indomito di Elisa Longo Borghini. Con i passaggi a vuoto degli U23 che ricordano quelli dei pro’. E con le belle vittorie e le medaglie del paraciclismo. E forse verrebbe da suggerire alla Federazione di organizzare un ritiro che metta insieme ciclisti, paraciclisti ed handbiker. Forse confrontarsi, ascoltare e capire potrebbe favorire il travaso della grinta che ieri in alcuni potrebbe essere mancata. Perché ne siamo certi: la nostra Italia vale più di così.

Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

EDITORIALE / La favola di Parigi, il tricolore e l’isola che non c’è

12.08.2024
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C’è tanta bellezza nelle ragazze e nei ragazzi azzurri che nelle ultime due settimane a Parigi hanno lottato per dare corpo ai loro sogni. Ci commuove vederli sul podio mentre cantano l’inno e anche quando non ce la fanno e osservano attoniti la vittoria di altri, immaginando di rifarsi la prossima volta. Ci dispiace anche per “Gimbo” Tamberi, anche se nella sua platealità non riconosciamo nulla di quello che ci fa amare lo sport.

Ascoltiamo le parole di Velasco dopo l’oro nel volley femminile (in apertura foto Simone Ferraro, Coni) e ci alziamo in piedi per applaudirlo, quando con grande calma interiore risponde che le sconfitte vanno accettate e non trasformate in ossessioni, perché altrimenti ne rimani prigioniero e non ne vieni fuori. Proviamo orgoglio nel veder sventolare quei tricolori, perché per un attimo crediamo davvero di essere parte di un popolo che ci crede. Funziona così, almeno fino al momento in cui la fiaccola si spegne, Tom Cruise se la porta in America e ti svegli il giorno dopo e capisci che è stato un sogno.

Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle
Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle

Il 28 agosto a Parigi inizieranno le Paralimpiadi e non avranno la stessa fiaccola degli altri perché è in volo per Los Angeles. Non è una discriminazione? Perché non dovrebbero godere della magia dei cinque cerchi e di quella fiamma a suo modo sacra?

Tutti al Quirinale

I campioni stanno tornando a casa e saranno accolti come eroi. Roncadelle, paesino bresciano di 9.000 anime, abbraccerà i suoi tre ori olimpici. A casa Consonni faranno ritorno due fratelli che da Parigi hanno portato un oro, un argento e un bronzo. Il presidente Mattarella ha esteso l’invito al Quirinale agli atleti arrivati al quarto posto, per cui ci sarà posto anche per il quartetto delle ragazze. E loro andranno, tutti quanti. Sentiranno le belle parole, restituiranno il tricolore ricevuto il 13 giugno e si concederanno le vacanze che meritano. Mentre noi per allora saremo già tornati alla normalità.

La normalità

Ritroveremo i cori razzisti negli stadi (il calcio preme con le sue assurdità dal fondo dei giornali). I social volgari. Il colore della pelle usato come un insulto. L’indignazione ipocrita quando Fiona May o Paola Egonu ci indicano come un popolo razzista e noi, che per larga parte lo siamo davvero, non abbiamo le palle per emarginare chi di quell’odio si nutre.

Torneremo al Nord contro il Sud. All’immondizia nelle strade. All’arroganza del traffico. Ai femminicidi. Alla disuguaglianza di genere come regola generale. Ai ciclisti ammazzati. Agli youtuber che insultano. Ai politici che abbiamo eletto e che, con lo stesso tricolore sulle spalle, riscrivono regole che rendono tutto incomprensibile.

Finché arrivi a dirti che forse sia normale e che il mondo dello sport, come l’isola che non c’è, sia un regno a parte, in cui vive chi crede ancora nelle fate. Non sarà invece che questa normalità fa decisamente schifo, almeno quanto la nostra incapacità di combatterla?

Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison
Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison

I cugini d’Oltralpe

Ci assale il ricordo dei giorni francesi del Tour e i pensieri che facciamo ogni volta su quel popolo che non è perfetto e che con il suo sciovinismo certi giorni ci sta sui nervi. Ogni volta però notiamo anche che hanno la bandiera sul tetto e un diverso senso della Repubblica. Scendono nelle piazze e bloccano le strade se il carburante costa troppo o se qualsiasi categoria subisce un torto. Si fermano tutti, ma proprio tutti, anche quando i trattori gli impediscono di arrivare puntuali al lavoro. E alla fine, rovesciano il cartello con il nome del paese per far capire che loro sono contro. Non sono perfetti, non vogliamo farne dei santi. Anche le loro periferie sono nel degrado. Eppure i francesi sanno che ci si può opporre ai soprusi di Stato e che, facendolo tutti insieme, si ottengono risultati.

A noi questo manca e oggi la consapevolezza ci ha portato a uscire dal seminato del mondo del ciclismo. Non che qui manchino i problemi, ma a forza di ragionare per compartimenti stagni si perde di vista il quadro generale e la necessità di fare qualcosa.

Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo
Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo

Non amici, ma compagni di squadra

Riprendiamoci l’Italia, prima che sia tardi. Cancelliamo dai nostri contatti i portatori di odio. Suoniamo come pazzi il clacson quando l’auto davanti getta un rifiuto in strada o qualcuno si libera di una cicca di sigaretta. Andiamo a votare. Non lasciamo tutto in mano a chi pensa a sé e non al nostro bene. Siamo noi a pagare i loro stipendi e lasciamo che ci comandino come se fossero i pastori e noi le pecore. Non dobbiamo essere amici, ma compagni di squadra.

«Ho detto alle ragazze – ha spiegato ieri Julio Velasco dopo l’oro nel volley femminile – che non c’era bisogno di essere tutte amiche. Anzi, ho fatto il contrario. Ho detto: “Se siamo amiche bene, se no va bene lo stesso. L’importante è che giochiamo insieme perché nello sport, l’aiuto che si danno i giocatori non è per amicizia, è perché il gioco è così”. Se una giocatrice va a coprire una compagna, non è che ci va perché ha un buon rapporto fuori del campo, ma perché serve alla squadra».

Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)
Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)

Il tricolore sulle spalle

Proviamo a tenere quel tricolore sulle spalle, non restituiamolo a Mattarella (siamo certi che capirebbe). Alcune delle ragazze che applaudimmo in giorni come questi sono state vittime di abusi. Tanti ciclisti e cicliste sono morti sulle strade. Tanti atleti, probabilmente tutti, sono stati feriti per il colore della pelle. Se ci sta bene tutto questo, rinunciamo a rendere questo posto un po’ meglio di come l’abbiamo trovato, torniamo pure agli ombrelloni e riponiamo il tricolore nel cassetto. Potremo tirarlo fuori al prossimo mondiale o alla prossima Olimpiade. Oppure comprarne uno al semaforo da uno dei tanti stranieri di cui altrimenti non ci accorgeremmo neppure.

Lo schiaffo dell’Australia, il quartetto sbanda

07.08.2024
7 min
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SANT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – La botta fa male e non può essere altrimenti. L’Australia non solo toglie il record del mondo all’Italia, ma lo fa anche nella sfida diretta. Soprattutto, toglie ai campioni in carica la possibilità di riconfermarsi. Ci si giocherà il bronzo contro la Danimarca. Sarà la replica della finale di Tokyo e anche questo è un dato: erano le migliori, hanno fatto un passo indietro. Se non nelle prestazioni, nella classifica. Le due cose vanno distinte. Il Ct Marco Villa lo dice subito.

«Noi abbiamo fatto il nostro. Sono andati forte gli australiani – spiega – di fronte a un 3’40″730 bisogna dire bravi a loro. Non me l’aspettavo su questa pista, se ci sono riusciti hanno fatto una cosa eccezionale. La prestazione dell’Italia c’è stata, Jonathan è stato grandissimo. Purtroppo non è servito. I ragazzi sono andati in pista determinati per battere l’Australia, forse nel finale si sono un po’ demoralizzati».

L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
Ora sarà importante confermarsi sul podio olimpico.

Ho grande fiducia in questo gruppo. Ma ci sono anche gli avversari e non sempre basta dare il 100 per cento. Il giorno prima avevamo fatto un buon tempo, poi lo abbiamo migliorato. Non basta per lottare per l’oro, basta per una finale per il bronzo che non era facile da raggiungere. Quando ho visto che la Nuova Zelanda era sul 3’43” ho tremato. Ieri ha sbagliato gara, oggi è andata forte, ha sfruttato la scia del Belgio. La formula è così e può portare a far sì che magari dal gruppo che va dalla quinta all’ottava del giorno prima esca fuori qualcuno che spariglia le carte. E se avessimo sbagliato qualcosina avremmo compromesso anche la finale per il terzo posto. Siamo stati bravi a parare il colpo e adesso ci giochiamo una medaglia.

In questi tre anni gli altri hanno fatto più progressi di noi.

Ho visto che qualcuno ci ha copiato. Hayter fa i tre giri finali, è ciò che era Ganna a Tokyo per noi. Welsford nell’Australia fa lo stesso. Ci hanno copiato un po’ tutti e hanno anche migliorato i materiali. Sapevamo che dovevamo stare al passo e migliorare anche noi. E siamo migliorati, ma gli altri sono stati più forti.

E’ migliorato anche il quartetto femminile, che ha battuto il record italiano, ma è atteso da un turno proibitivo.

La Nuova Zelanda in campo femminile era la favorita in partenza e lo ha dimostrato. Oggi (ieri, ndr) non abbiamo schierato Elisa Balsamo, questa volta proviamo con lei. Non ha avuto un avvicinamento facile e di conseguenza quando non riesci a lavorare tutte insieme qualcosa manca. Abbiamo questo appuntamento, Elisa ci è arrivata con un infortunio. Pensava di uscire bene dal Giro d’Italia e invece ne è uscita malata, ha saltato l’unica settimana in cui potevamo stare insieme. Ha fatto due prove che mi danno fiducia sul poterla schierare. Non so ancora al posto di chi, parlerò con le ragazze.

Che valutazione si può fare di chi ha fatto le prove su strada?

La scusante della strada non deve esserci più. Abbiamo visto la campionessa olimpica su strada (Kristen Faulkner, ndr) far parte del quartetto e non era certo solo lei. Siamo stati noi a indirizzare un po’ tutti su questa via e adesso gli altri ci seguono. Hayter è qua, non ha fatto le gare su strada, ma tre settimane fa ha vinto il campionato nazionale su strada e si è allenato sul quartetto. Dedicarsi alla pista non mi sembra così invalidante, ecco.

Milan avrebbe potuto partecipare alla gara su strada?

A me non sembrava una gara per lui. Ma se insistete, va bene: poteva farla.

Tra Australia e Gran Bretagna, chi è la favorita?

Direi Australia. Ho visto la Gran Bretagna in difficoltà e oggi ha cambiato un uomo. Spero che abbiano avuto la scusa medica giusta, dato che lo ha fatto anche la Francia. Avevo capito che la sostituzione si poteva fare solo in casi eccezionali e con adeguata valutazione medica. Ho visto il francese sostituito che camminava tranquillamente, sembrava star bene.

Consonni: cuore, testa e gambe

La sensazione è agrodolce, c’è poco da fare. Emerge anche parlando con gli atleti. Simone Consonni è il più positivo. «Da campioni olimpici in carica – dice – volevamo difendere il titolo. Sinceramente l’Australia ci ha sorpresi, complimenti a loro. Ci abbiamo messo cuore, testa e gambe. Non è bastato, ma siamo in una finale per il bronzo. Dobbiamo smaltire la delusione ed essere cattivi contro la Danimarca, ma non sarà facile.

«La nostra prestazione è stata di qualità, ma forse era meglio fare peggio e raggiungere la finale. Siamo migliorati rispetto a Tokyo, però c’è stata un’Australia incredibile. Non abbiamo rimorsi. Abbiamo dato tutto. Siamo all’Olimpiade, è una cosa diversa. E’ un palcoscenico eccezionale, lo abbiamo visto su strada. Si lavora al top per limare i dettagli e si è visto quanto il livello medio si sia incrementato».

Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista
Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista

L’amarezza di Lamon

Francesco Lamon è il più deluso: «Non mi interessano i tempi – dice – mi dispiace non aver vinto e non poter lottare per l’oro. Ora pensiamo a domani (oggi, ndr) e a portare a casa il bronzo. Non è un oro come speravamo, ma abbiamo fatto del nostro meglio e gli australiani sono stati superiori. Bravi loro. Sono contento di essere qui a giocarmi la medaglia con i miei compagni e colgo l’occasione per ringraziarli. Siamo migliorati, poi entrano in campo tanti fattori e l’Australia ci ha sorpreso. Non abbiamo sentito il peso dell’essere campioni in carica, anzi, ci ha dato molta forza. Non è servito».

Ganna, 100 watt in più

Filippo Ganna cerca di mantenere equilibrio: «Sapevamo che l’Australia era forte. Oggi abbiamo dato il cento per cento – dice – non è bastato per batterli. Hanno fatto un tempo incredibile, 3’40”. Ora proveremo a prendere il bronzo, dando il massimo, come sempre. La qualità della prestazione c’è stata, io ho fatto 100 watt in più rispetto a Tokyo.

«Non bisogna essere delusi, abbiamo la coscienza a posto e abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. E’ uno dei primi quartetti dove arrivo provatissimo, non ho nulla da recriminare. Magari con la Danimarca cercheremo di allungare il rapporto, anche se non l’abbiamo mai provato, vedremo».

Vedremo chi andrà sul podio.

Feedback Sports finalmente in Italia? Si, con Beltrami TSA

02.10.2023
2 min
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La commerciale reggiana Beltrami TSA ha recentemente ufficializzato la definizione di un rilevante accordo di distribuzione esclusiva per il mercato italiano del brand americano Feedback Sports. L’azienda, con base operativa a Golden (Colorado) e fondata nel 2004 da Dug e Lisa Hudson, è oggi universalmente riconosciuta come una delle realtà produttive di riferimento per quanto riguarda sia l’utensileria quanto gli strumenti a supporto sia dei meccanici professionisti sia dei ciclisti praticanti che amano curare personalmente la propria bicicletta.

Non a caso, Feedback Sports propone sul mercato una linea completa di supporti per biciclette di livello professionale, strumenti e utensili di precisione oltre ad alcuni specifici dispositivi per lo stoccaggio delle bici stesse e per l’allenamento indoor. I prodotti Feedback saranno ufficialmente disponibili presso la rete dei rivenditori autorizzati Beltrami TSA a partire dal prossimo mese di novembre.

Feedback Sports propone sul mercato una linea completa di supporti per biciclette di livello professionale
Feedback Sports propone sul mercato una linea completa di supporti per biciclette di livello professionale

La qualità prima di tutto

«I nostri progetti – ha dichiarato Dug Hudson, il fondatore di Feedback Sports – rappresentano l’esatto riflesso della forte passione che nutriamo per il mondo del ciclismo. In uso ai massimi livelli di ogni disciplina ciclistica, i nostri prodotti sono la prima scelta di bikers e meccanici, anche di quelli professionisti inseriti in alcuni dei più importanti team WorldTour in circolazione».

L’Experience Center Beltrasi TSA a Reggio Emilia
L’Experience Center Beltrasi TSA a Reggio Emilia

«Feedback Sport – ha ribattuto da parte sua Graziano Beltrami – va a completare la nostra già ampia offerta di prodotti tecnici ai rivenditori di settore italiani. Avendo un DNA estremamente tecnico, con una specifica ed altissima focalizzazione sulla qualità del prodotto, sui materiali impiegati e sul design, Feedback è in grado di offrire sul mercato alcune soluzioni davvero interessanti. Inoltre, ed è cosa non trascurabile, è un brand che si sposa perfettamente con la nostra mentalità e con la filosofia di vendita che portiamo avanti quotidianamente da oramai più di trent’anni anni».

Beltrami TSA

Sambinello e il primo (positivo) anno da junior

13.09.2023
4 min
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Tra gli juniores che maggiormente si sono messi in mostra in questa stagione c’è Enea Sambinello. Classe 2006 al primo anno in questa categoria ha fatto vedere sprazzi positivi, accumulando tante corse e anche qualche esperienza internazionale. Nel mese di settembre in particolare, vista la sua partecipazione al Giro della Lunigiana e poi al Trofeo Buffoni di domenica scorsa, chiuso in settima posizione

Alla prima esperienza in Nation Cup un secondo posto di tappa e il podio nella generale (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Alla prima esperienza in Nation Cup un secondo posto di tappa e il podio nella generale (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)

Prendere le misure

«E’ vero – afferma Enea Sambinello – quest’anno è stato abbastanza positivo, ho fatto già qualche esperienza internazionale. Prima alla Nuova Eroica, con la Work Service Speedy Bike, e poi con la nazionale. Ho corso anche con la nazionale in Slovacchia in una prova di Nation Cup, dove sono arrivato secondo in classifica generale. A questo poi si è anche aggiunta la buona prova ai campionati italiani: con la squadra abbiamo vinto la cronometro e poi sono arrivato quarto nella prova in linea».

Enea Sambinello (a sinistra in maglia azzurra) al suo primo anno da junior ha già fatto esperienze importanti (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Enea Sambinello (a sinistra in maglia azzurra) al suo primo anno da junior ha già fatto esperienze importanti (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Ti aspettavi un inizio di stagione così?

Alla seconda gara sono caduto subito, quindi ho un po’ perso la prima parte della stagione, la primavera diciamo. Mi sono ripreso molto bene, e nel mese di giugno e luglio sono andato davvero forte, alla fine tutti i risultati importanti sono arrivati in questo breve periodo. 

Al Lunigiana non è andata benissimo, cosa è successo?

Correvo con una microfrattura alla spalla, non una cosa così grave da impedirmi di esserci, ma sicuramente non il migliore dei modi per preparare l’evento. Infatti non sono andato come speravo, ma è una bella esperienza, che sicuramente tornerà utile in vista del prossimo anno. 

Il passaggio con la Work come sta andando?

Bene, molto bene. Arrivavo da una piccola squadra della mia zona, la Fiumicinese, diciamo che è la squadra del mio paese. Il cambio è molto positivo, Alla Work abbiamo un metodo di lavoro più professionale, visto che cambia anche la categoria. Mi sono trovato molto bene fin da subito.

Tra fine agosto e inizio settembre ha corso il Giro della Lunigiana con la Rappresentativa dell’Emilia-Romagna
Tra fine agosto e inizio settembre ha corso il Giro della Lunigiana con la Rappresentativa dell’Emilia-Romagna
L’utilizzo dei rapporti liberi come lo avete gestito?

Passare da avere il 16 nel pacco pignoni a spingere l’11 non è facile. Abbiamo lavorato molto in palestra e sviluppato abbastanza la forza, ci siamo allenati facendo i classici esercizi come squat e stacchi. Anche ora pian piano stiamo cercando di “tirare” più il rapporto. Ad inizio stagione era più difficile, ora sembra essere meglio. 

Quindi all’inizio ti ha condizionato un po’?

Penso sia “pesato” a tutti. Ma alla fine lo ritengo giusto, la categoria juniores si è avvicinata molto al professionismo. Mi è sembrata un’evoluzione più che lineare, ci sono state molte critiche ma non ne vedo il motivo. 

Lo hai trovato positivo quindi?

Sì. Lo si vede anche nelle gare internazionali, il gap con gli stranieri si è chiuso in parte anche grazie a questo (già nel 2021 gli juniores francesi, Lenny Martinez in primis, si allenavano con i rapporti liberi, ndr). 

Il gruppo che si è formato in nazionale è unito e solido (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Il gruppo che si è formato in nazionale è unito e solido (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Quella in Slovacchia è stata la prima esperienza con la maglia della nazionale?

Sì ed è stato fantastico. Come gara è stata super positiva, sono arrivato secondo in classifica generale e in una tappa. Mentre nelle terza ed ultima frazione siamo riusciti a portare a casa un successo con Mattia Negrente

Com’è stato indossare l’azzurro?

Fantastico, un’emozione incredibile. Poi il gruppo che si è creato era molto unito, e quindi anche al di fuori delle gare con la nazionale ci vediamo spesso e ci sentiamo altrettanto volentieri. Anche se siamo avversari il rapporto è ottimo. Non vedo l’ora di ritrovarmi in squadra con loro. 

Il super Avenir dell’Italia visto con gli occhi di Amadori

31.08.2023
5 min
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La voce di Marino Amadori è carica di emozioni e felicità, il Tour de l’Avenir appena concluso ha dato tanti motivi per essere contenti. La vittoria dell’ultima tappa firmata da Giulio Pellizzari è stata solamente la ciliegina sulla torta di un trasferta in Francia di otto giorni. Tappe dure, dove gli azzurri sono stati sempre presenti e combattivi, tanto da vincere la classifica a squadre con un margine di 14 minuti sulla Colombia. 

Sul podio finale due italiani: Pellizzari secondo (a destra) e Piganzoli terzo (a sinistra, foto Tour de l’Avenir)
Sul podio finale due italiani: Pellizzari secondo (a destra) e Piganzoli terzo (a sinistra, foto Tour de l’Avenir)

Due su tre

Due gradini del podio occupati, il secondo e il terzo, rispettivamente da Pellizzari e Piganzoli. L’Italia partiva con grandi ambizioni e si è dovuta inchinare solamente davanti a Del Toro, ma quando chiediamo ad Amadori se si poteva fare qualcosa di più risponde senza troppi dubbi.

«Di meglio possiamo fare solo i complimenti a chi ha vinto – dice – Del Toro è stato impressionante. Gli ultimi quattro giorni aveva una condizione super, imbattibile. Noi ci abbiamo provato, ma il ragazzo ha risposto sempre bene agli attacchi. E giusto riconoscere il merito a chi è stato più forte, con la serenità di aver fatto il possibile e anche qualcosa oltre».

Alla prima tappa maglia gialla sfiorata per l’Italia, Villa si arreso solamente al compagno di team Foldager (foto Tour de l’Avenir)
Alla prima tappa maglia gialla sfiorata per l’Italia, Villa si arreso solamente al compagno di team Foldager (foto Tour de l’Avenir)

Preparati

Gli azzurri (in apertura alla presentazione delle squadre, foto Tour de l’Avenir) sono stati protagonisti in otto tappe su otto, dalla prima all’ultima. Una costanza che ha portato la firma di Busatto: il quale nelle prime cinque tappe non è mai uscito dai primi dieci.

«Busatto ha fatto vedere di cosa è capace – replica Amadori – purtroppo per un motivo o per l’altro non è riuscito a vincere, ma non è da tutti avere questa costanza. Non dobbiamo però dimenticare tutti gli altri, a partire da Villa che nella prima tappa ha sfiorato il successo, battuto solamente dal suo compagno di squadra Foldager. Peccato per Romele che ha avuto dei problemi fisici all’inizio ma poi è stato davvero importante. Anche Pinarello si è comportato molto bene, era il suo primo Tour de l’Avenir e una caduta gli ha complicato le prime tappe.

«Questo Tour de l’Avenir – continua – lo abbiamo preparato nella maniera migliore, e per questo dobbiamo ringraziare la Federazione. Siamo andati a visionare le tappe e curato tutto nei minimi dettagli. Ma il plauso più grande va fatto ai ragazzi, mentre un grazie importante è per le società. Senza il loro benestare non avremmo potuto lavorare così tanto e bene. I corridori, alla fine, sono di loro proprietà e privarsene per quasi due mesi non è facile. Noi come nazionale cerchiamo di dare quel qualcosa in più che serve ai ragazzi per crescere e l’Avenir è una di queste gare».

A ognuno la sua occasione

L’Italia ha conquistato la classifica a squadre, così come lo scorso anno. Non è un caso, Amadori ha portato sei corridori in grado di fare bene ovunque. Ragazzi forti e preparati, ai quali è stata concessa l’occasione di mettersi in mostra. 

«Vedo queste corse – ci racconta Amadori – come un modo per dimostrare che abbiamo tanti ragazzi forti e in gamba. Non si possono impostare questi appuntamenti come se fossimo una squadra WorldTour, non avrebbe senso. Sarebbe ingiusto chiedere ad un ragazzo di mettersi a completa disposizione di un compagno annullando le sue possibilità di fare bene. Chiaramente tutti sapevano che Pellizzari e Piganzoli sarebbero stati i due uomini di classifica, viste le loro caratteristiche, e per questo bisogna avere un occhio di riguardo. Ma poi ad ogni ragazzo veniva concessa l’occasione di fare il suo». 

Piganzoli è stato il regista in corsa, la sua esperienza è risultata fondamentale per il podio finale (foto Tour de l’Avenir)
Piganzoli è stato il regista in corsa, la sua esperienza è risultata fondamentale per il podio finale (foto Tour de l’Avenir)

Duo Pellizzari-Piganzoli

Quando la strada ha iniziato ad impennarsi sotto le ruote dei corridori sono emersi Pellizzari e Piganzoli. I due scalatori giovani che tanto stanno crescendo e che hanno già fatto molto bene. Non si arriva secondo e terzo al Tour de l’Avenir senza una preparazione adeguata, vero, ma poi servono delle qualità innate per rimanere davanti ogni giorno e giocarsi la vittoria

«Piganzoli – spiega Amadori – è stato il regista in squadra, visto che in queste gare si corre senza radiolina. I ragazzi devono inventare delle strategie ed agire al volo, lui era al suo secondo Avenir e ha fatto delle belle esperienze. Ora è il momento di puntare a qualcosa di più, è giusto così. Piganzoli partiva con i gradi, tanto da aver programmato questo Avenir fin nei minimi dettagli. Ha curato la preparazione al cento per 100 ed è arrivato al meglio delle sue possibilità.

«D’altro canto – dice ancora – Pellizzari ha fatto vedere grandi qualità per essere alla sua prima esperienza. L’idea era quella di tenere due pedine da giocarci per la classifica finale, entrambi ci hanno provato ed entrambi hanno attaccato. Giulio non è mai uscito dai primi cinque nelle ultime tappe, quelle di montagna. E’ chiaro che con un corridore del genere si voglia puntare a fare meglio il prossimo anno, e meglio del secondo posto c’è solo la vittoria (conclude con una risata, ndr)».