Se qualcuno ha pensato che la sua vittoria alla Parigi-Tours sia stata un caso, è bastato guardare l’ordine di arrivo della Japan Cup della settimana successiva per capire che non è così. Riley Sheehan è un talento vero, una delle sorprese di questo 2023, soprattutto un regalo che il ciclismo si è fatto proprio agli sgoccioli della stagione, perché a differenza di tanti altri suoi coetanei, Sheehan è arrivato quasi dal nulla.
Tesserato per un team americano, i Denver Disruptors, dedito soprattutto a un’attività interna, Sheehan ha trovato un ingaggio all’Israel Premier Tech come stagista dal 1° agosto e ha sfruttato questa opportunità al massimo, trionfando in quella che è considerata una delle grandi classiche per i velocisti e poi mettendosi in luce anche dall’altra parte del mondo.
E’ lì che lo abbiamo rintracciato, attraverso un inseguimento telefonico reso ancor più difficile dalla terribile situazione inerente tutto quel che riguarda Israele, che chiaramente ha influito anche sul team, con molti effettivi nazionali dello staff richiamati in patria e una gestione dei rapporti più problematica. Ma appena abbiamo avuto la possibilità di parlarci, Riley ha mostrato tutta la sua disponibilità per farsi conoscere un po’ di più.
Ti aspettavi di arrivare così in alto nella tua esperienza alla Israel?
Sapevo di avere buone gambe come avevo dimostrato alla Maryland Cycling Classic, poi è andato tutto di conseguenza. Sono arrivato molto motivato: senza grandi aspettative, ma con la voglia di giocare bene le mie carte. Non sono sorpreso, ma molto felice e sollevato di essere ad alto livello.
Che atmosfera c’è nel team, soprattutto dopo i tragici fatti del 7 ottobre?
E’ una situazione molto difficile. La notte prima della Parigi-Tours, ero nella camera d’albergo con Nadav Raisberg, il mio compagno di squadra e ho vissuto la sua angoscia per la difficoltà di comunicare con la famiglia, la sofferenza dettata dalla lontananza, il dolore profondo per quanto avvenuto. Tutti cercano di rimanere positivi e di supporto, si cerca di andare avanti, noi non israeliani abbiamo provato a stare il più possibile vicino a loro.
Alla partenza della Paris-Tours pensavi di poter vincere?
Onestamente no, ma sapevo che avrei potuto fare bene in gara. La forma era quella giusta, quindi sapevo che avrei potuto essere competitivo, ma non avrei mai immaginato di vincere davvero in un consesso così alto.
Raccontaci un po’ la tua storia…
Mio padre correva a livello professionistico (ora è diesse alla Human Powered Health, ndr) e io sono cresciuto andando in bicicletta a Boulder, in Colorado, località che è molto famosa per il ciclismo, molti professionisti americani hanno vissuto lì o sono venuti da lì. Intorno ai 14 anni ho iniziato a correre e ogni anno mi sono appassionato e innamorato sempre di più di questo sport. Da junior ero molto motivato, avevo vinto due volte il campionato nazionale a cronometro e una prova di Nation’s Cup.
E poi?
Nella categoria under 23 ho avuto molte difficoltà, ma ho continuato a credere in me stesso perché sapevo che avrei potuto essere ad alto livello. Quest’anno il lavoro ha dato i suoi frutti e ho vinto la Walmart Joe Martin Stage Race, prova UCI 2.2 negli Usa battendo di 16” Miguel Angel Lopez. I miei progressi sono stati davvero grandi, è incredibile vedere tutto il duro lavoro e la dedizione a che cosa mi hanno portato.
Tu corri nella squadra di Denver, che squadra è e come ti ci trovi?
Fa parte della NCL, una nuova lega ciclistica incentrata sui Criterium. Gare molto più brevi di quelle che sto facendo qui con la Israel. Lo staff di questa squadra è stato fenomenale. Reed Mcalvin è stato un grande supporto e ha creduto in me fin dal primo giorno. Anche Svein Tuft ha avuto un’ottima influenza come direttore del team.
Hai già fatto uno stage alla Rally Cycling due anni fa…
Solo sulla carta… Purtroppo non ho mai potuto correre una gara con loro a causa di un infortunio e di alcuni problemi di salute. E’ stato molto triste, un’opportunità che avevo e che mi è sfuggita di mano.
Che tipo di corridore sei, quali sono le gare dove vai meglio?
Sto ancora cercando di capirlo. Penso sempre di essere un buon corridore per tutte le gare. Se c’è un traguardo, sono molto motivato, ma penso ancora che dovrei provare a vincere altre gare per vedere che stile ho. Diciamo che le classiche mi sono piaciute e ho visto del buon potenziale.
C’è un corridore americano del passato che è il tuo idolo?
Essendo cresciuto a Boulder ho conosciuto molti professionisti del passato, ho avuto l’opportunità di allenarmi con corridori come Alex Howes e Taylor Phinney, persino Sepp Kuss quando viveva a Boulder. Ricordo di aver fatto un paio di giri con lui, è una grande ispirazione per gli altri americani vedere che cosa è possibile fare nel WorldTour.
Dopo la tua vittoria a Tours hai visto interesse per te da parte di team del WorldTour?
Finora ho avuto un po’ di interesse da parte di team importanti, ma aspetto che si concretizzi qualcosa.
Che cosa ti aspetti ora?
Oh cavolo, è una bella domanda. Sì, mi aspetto una buona stagione il prossimo anno e sono molto entusiasta all’idea di poter correre e vivere in Europa l’anno prossimo. E’ sempre stato il mio sogno. Sono molto motivato a dare il massimo, è ciò per cui ho sempre lavorato.