Il riposo trascorre fra Modena e Reggio Emilia, in un giorno senza pioggia. Petilli finisce i massaggi alle 16,40, il pomeriggio è ancora lungo e c’è tutto il tempo per fare due chiacchiere. Il ricordo della resa sul Gran Sasso fa ancora male, ma i chilometri hanno iniziato a lenirlo e presto sarà il momento di riprovarci. Intanto però, quando ci ripensa, il lecchese si mangia le mani per non essersela giocata al meglio. Ha dato più di una volta la sensazione di poter staccare Bais e Vacek, invece alla fine ha dovuto inchinarsi ad entrambi. Terzo a 16 secondi, tutti accumulati in quegli ultimi 300 metri.
La fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche MulubrhanLa fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche Mulubrhan
Hai recuperato?
Mi sto riprendendo. Se comunque sono arrivato a quel punto, ho l’obbligo di crederci ancora. Fino ai meno 5, più o meno, ero sicuro di vincere, forse anche troppo. L’errore più grosso che ho fatto è stato quello di essere troppo sicuro di me stesso.
Perché?
Ho voluto la fuga dal mattino, perché le possibilità di vincere contro i migliori erano davvero poche. D’altra parte era molto difficile che la fuga arrivasse con una tappa così lunga e soprattutto perché eravamo solamente in quattro. Poi ho visto che dietro lasciavano fare e ci ho creduto. Bais e Vacek li ho visti parecchio in difficoltà all’inizio della salita finale. Solo che invece di muovermi, mi sono messo ad aspettare gli ultimi chilometri, che erano quelli più duri, per provare a fare la differenza. Li ho sottovalutati e nel finale l’ho pagata.
Hai lanciato tu la volata…
Sinceramente, quando siamo arrivati alla volata mi sentivo già sconfitto. La svolta secondo me c’è stata ai meno 5, quando è iniziato il pezzo più duro e ho provato ad attaccare. E’ stato un attacco deciso, infatti Vacek si è staccato subito, solo che mi ha sorpreso Bais, che mi è rimasto attaccato a ruota. A quel punto per provare a staccarlo ho accelerato, ma il vento contrario così forte mi ha ammazzato, mi ha spezzato le gambe. E da lì ho iniziato a soffrire…
Petilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue cartePetilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue carte
Quindi il vento c’era effettivamente?
C’era davvero. Infatti vedendo com’è andata la corsa dietro, col senno di poi mi sono spiegato perché non sia riuscito a fare la differenza. Potevo gestirla un po’ meglio, non recrimino come ho corso, però potevo provare un’altra tattica, prendendomi qualche rischio in più lontano dall’arrivo. Quando a inizio salita ho visto che erano in difficoltà nel darmi i cambi, avevo quasi pensato di attaccare. Provare ad andare da solo, visto che avevamo tanto vantaggio. Invece ho avuto paura di saltare o che comunque da dietro mi avrebbero ripreso. E così, pur non essendo veloce, mi sono rassegnato allo sprint. L’idea era provare ad arrivare da solo, ma loro sono stati migliori.
Era prevedibile che il gruppo non venisse a prendervi?
Al mattino non me l’aspettavo, la tappa era facile da controllare proprio grazie al vento. Invece c’è stato un tentennamento tattico. La DSM voleva solamente tenere la maglia rosa e tra Soudal e Jumbo nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di tirare, col rischio che magari vincessero gli altri. In tante corse ho sempre attaccato al primo arrivo in salita, perché nessuno ha la certezza di vincere e quindi non sempre una squadra si prende la responsabilità piena di fare la corsa.
Come è stato rialzarsi dalla sconfitta?
Il giorno dopo sono stato a testa bassa (sorride, ndr), perchéla tappa di Fossombrone non è stata semplice e ho sofferto un po’. Però sono riuscito ad arrivare senza problemi, quindi c’è stata la cronometro che ho usato ancora per recuperare. Il giorno di riposo è stato molto utile. Si resetta come ho sempre fatto, scacciando il rammarico, visto che non ci si può fare più niente.
La crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi saliteLa crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi salite
Il Giro riparte senza Evenepoel. Come vivete questo ritorno di Covid?
Sta mettendo un po’ di stress. Era passato tutto, sembrava che ormai fosse un brutto ricordo, invece ecco tante positività e tanti abbandoni. Ovviamente la prima cosa è stata riprendere tutte le precauzioni possibili, cioè igienizzarsi le mani quando si è in mezzo a tanta gente, indossare la mascherina e quelle piccole attenzioni che potrebbero aiutare. Per il resto, purtroppo non ci si può fare nulla. Questo virus è più contagioso delle vecchie influenze e così bisogna avere qualche precauzione.
Il fatto di fermare il corridore positivo dipende solo dalla valutazione del medico?
Sì, decide il dottore. Secondo me in qualsiasi ambito la salute viene prima di tutto, quindi anche se per regolamento un corridore potrebbe continuare, se il medico dice di no per la sua salute la prima cosa è fermarsi. Giri d’Italia se ne faranno sicuramente altri.
Il ritorno alla mascherina…
Purtroppo cambia anche per noi. Ad esempio fino ad ora, quando alle partenze ci chiedevano gli autografi, eravamo sempre disponibili. Adesso dovremo stare attenti anche solo a fare le foto con i tifosi.
«Sono stato contento quando quest’inverno la mia squadra, ha annunciato Gaerne come sponsor tecnico. Per me si è trattato di un ritorno al passato».Simone Petilli esordisce così parlando delle sue scarpe, le Gaerne G.Stl.
Il classe 1993 è di ritorno dal ritiro in altura a Sierra Nevada. «Ci ero stato due settimane prima del Giro di Sicilia e ci sono tornato subito dopo», ha detto Simone con il suo solito spirito allegro.
La Gaerne G.STL sono disponibili nelle misure dal 39 al 47 e nei colori bianco (in foto), nero, azzurro e rossoLa suola ha 12 come indice di rigidità: tra i più elevati. Da notare le prese d’aria: 3 anteriori e 1 centrale. Disponibile anche per SpeedplayLa Gaerne G.STL sono disponibili nelle misure dal 39 al 47 e nei colori bianco (in foto), nero, azzurro e rossoLa suola ha 12 come indice di rigidità: tra i più elevati. Da notare le prese d’aria: 3 anteriori e 1 centrale. Disponibile anche per Speedplay
Gaerne è uno di quei marchi che ancora è made in Italy vero, dalla progettazione alla scelta dei materiali. La casa trevigiana fornisce le scarpe a molti pro’ e quest’anno è divenuta sponsor ufficiale di un team WorldTour la Intermarché-Wanty Gobert appunto.
E si sa che nel ciclismo attuale non basta più sostenere un team con una sponsorizzazione di facciata. No, oggi il prodotto va seguito passo dopo passo. Deve esserci un filo costante con gli atleti per accontentarli e trarre poi dei feeback per lo sviluppo di nuovi prodotti.
Le G.Stl sono la scarpa top di gamma di Gaerne. Leggerezza ma soprattutto rigidità sono le sue peculiarità, assieme alla tomaia “monoscocca”, cioè un pezzo unico, in microfibra microforata. In particolare la rigidità è dovuta principalmente alla Gaerne Eps Lightweight Full Carbon Sole 12.0, suola ultraleggera e ultrasottile, la cui trama della in fibra in carbonio è stata ottimizzata proprio per le spinte del piede. Questo assicura che ogni watt venga trasferito ai pedali.
Simone Petilli (classe 1993) con le sue Gaerne G.Stl. Per lui è stata realizzata una scarpa quasi del tutto su misuraSimone Petilli (classe 1993) con le sue Gaerne G.Stl. Per lui è stata realizzata una scarpa quasi del tutto su misura
Simone, come ti trovi con queste scarpe?
Molto bene. Devo essere sincero, con Gaerne correvo anche prima di arrivare in Intermarché. Le utilizzavo quando ero più giovane e già all’epoca mi ero trovato bene. Quindi sono stato contento quest’anno quando sono diventate sponsor di squadra. Partivo avvantaggiato perché in azienda già avevano la mia forma del piede. Ed io ho delle richieste un po’ particolari in quanto ho un piede strano.
Definiamo strano…
Ho un piede magro, ma abbastanza largo sul lato esterno. In Gaerne sono molto disponibili e mi hanno fatto una scarpa quasi su misura.
Quindi l’azienda è attenta alle richieste degli atleti?
Sì, siamo seguiti da vicino. Già da questo inverno, quando abbiamo fatto il primo ritiro a Charleroi, sono venuti i responsabili per incontrare ogni corridore personalmente. Hanno annotato tutte le nostre richieste. Successivamente ci hanno inviato a casa un primo paio di scarpe. Le abbiamo provate e passo dopo passo ognuno ha fatto delle richieste per arrivare alla scarpa ottimale. Magari qualcuno si è trovato bene al primo paio. Io ho dovuto farne due prima di trovare quella perfetta, ma devo dire che adesso sono davvero soddisfatto.
Quali sono stati gli step per arrivare alla tua scarpa perfetta?
Loro hanno una scarpa standard – come detto – e una scarpa “Slim fit”, cioè un po’ più stretta proprio per chi ha i piedi magri. Io avevo il 42,5 normale, ma questa taglia mi era un po’ larga. Allora ho provato la Slim fit, ma questa, una volta che serravo i Boa, era troppo stretta. Allora la soluzione è stata questa: hanno preso la forma del mio piede, l’hanno riprodotto in tutto e per tutto e alla fine mi hanno fatto una Slim taglia 43, anziché una 42,5 normale. Con le ultime modifiche per l’esterno dove il mio piede era un po’ più largo siamo arrivati alla mia scarpa perfetta.
La chiusura con i BOA Li2 è rapida e micrometricaLa chiusura con i BOA Li2 è rapida e micrometrica
Un bel processo…
In effetti sono stato seguito parecchio, dal vivo e anche in videochiamata. Questo vale per me, ma anche per gli altri chiaramente. Con i nostri feedback si arriva al dettaglio e questo è un aspetto molto importante nel ciclismo di oggi.
Qual è dunque la scarpa perfetta per Simone Petilli?
Come ho detto, ho sempre avuto dei problemi ai piedi, ho sempre sofferto sul lato esterno e più precisamente nella parte poco dietro al mignolo. Questo su entrambi i piedi. Forse anche perché negli anni non ho mai avuto una pedalata perfetta. Il lato esterno dei miei piedi è un po’ più largo e quindi le mie scarpe devono essere sempre abbastanza curate. Per questo dico che nella mia scarpa perfetta al primo posto metto il comfort. Quando ci pedali tante ore non devi avere dolore. E il bello di questa scarpa è che oltre ad essere confortevole è anche rigida. Sento che posso spingere davvero bene.
Quindi comfort e rigidità più del peso?
Sì: comfort, rigidità e poi peso, questo è il mio ordine. Il peso influisce, chiaramente, ma è più importante che la scarpa sia rigida e confortevole. Almeno per me…
Preferisci sentire il piede fisso dentro la scarpa? Oppure che abbia un po’ di gioco?
A me non piace avere il gioco dentro, ma al tempo stesso voglio che non sia rigida intorno ai lati. Deve essere di un materiale abbastanza confortevole. E infatti uno dei motivi per cui mi trovo bene con Gaerne è che utilizzano dei materiali per la tomaia davvero morbidi. E, non sono un tecnico, ma immagino che per essere così morbidi e fascianti al tempo stesso debbano essere di grande qualità.
Petilli aveva già corso con Gaerne, per lui una delle differenza maggiori è stata nella suola, ora più confortevole e molto più rigidaPetilli aveva già corso con Gaerne, per lui una delle differenza maggiori è stata nella suola, ora più confortevole e molto più rigida
Riguardo al caldo e al freddo, adotti qualche soluzione particolare per i tuoi piedi?
Di solito soffro un po’ di più con il caldo, perché i miei piedi si gonfiano un po’. Ma torniamo al discorso di prima: se la scarpa è confortevole mi trovo sempre bene, anche col caldo. E quindi non faccio nulla di particolare. Mentre per il freddo l’unico modo è mettere qualche copriscarpe, ma in questo caso conta molto l’abitudine per me.
Caldo e freddo sono anche piuttosto legati al discorso della circolazione e di conseguenza del serraggio. A tal proposito le tue Gaerne hanno due Boa…
Le G.Stl hanno due Boa, il sistema che va per la maggiore. Io mi trovo bene perché la pressione sul piede è omogenea e la posso gestire. Inoltre una volta che serri la scarpa, non hai bisogno di regolarla poi molto. Quando capita però questi Boa sono velocissimi.
Passiamo anche all’estetica. Che colore preferisci?
Bianco – replica secco Petilli – è il migliore per me. Purtroppo si sporca facilmente, però è quello più elegante. E che in gruppo va per la maggiore a prescindere dal marchio.
RIEMST (Belgio) – Valerio Piva conosce i corridori e il Nord come pochi altri. Da anni il tecnico della Intermarché-Wanty Gobert vive in Belgio, ci ha pedalato e sempre a quelle latitudini dirige e segue i corridori. Da quest’anno, tra questi c’è anche Francesco Busatto, vincitore della Liegi U23.
Incontrato a casa sua, dove tra le altre cose ha un hotel – l’Hove Malpertuus – che da anni ospita molti team durante la campagna del Nord, Valerio ci parla di questo giovane italiano. Ma di riflesso il discorso si estende anche a ragionamenti più vasti, che riguardano sempre i giovani e alcuni aspetti del ciclismo in Belgio.
Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Valerio, parliamo di Busatto. Questo autunno ancora non lo avevi conosciuto, ora ci sei stato più a contato: cosa ci puoi dire di lui?
Francesco ha iniziato questa stagione debuttando coi grandi e lo ha fatto con me. Avevamo avuto problemi con un corridore che si era ammalato per l’Oman e abbiamo portato lui. Era già in Spagna con la squadra, aveva fatto entrambi i ritiri e abbiamo visto che aveva una buona condizione. Grazie al regolamento, che prevede questo scambio tra il team devo e la WorldTour, lo abbiamo schierato subito.
Ed è andato bene…
Alla prima corsa, il Gran Premio di Muscat, è finito quarto. Fra l’altro era anche una corsa abbastanza selettiva, impegnativa, con il finale su uno strappo. Si è destreggiato anche bene in volata. Era rimasto anche da solo nel primo gruppo. Da lì abbiamo visto che i primi approcci, anche col livello più alto, erano positivi, e l’Oman ne è stata la conferma.
Che corridore è?
Non è uno scalatore. Si difende su percorsi vallonati. Ha uno spunto veloce ed è esplosivo, quindi direi che è un corridore moderno. Oggi è importante essere veloci.
Hai detto che Busatto, non è scalatore eppure vince la Liegi. Chi ti ricorda se dovessi fare un paragone tecnico?
Difficile fare dei paragoni. Busatto ha vinto una corsa rinomata per essere dura: ha fatto la Redoute, ma non è la corsa dei pro’. E’ importante che sia riuscito ad uscire bene da questi strappi e che abbia mantenuto la sua esplosività. Se poi dovessi dire chi mi ricorda, proverei un Bettini. Ma in generale è uno di quei corridori che riescono a “fare la corsa” su tanti tipi di percorso.
Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Ti aspettavi questo successo alla Liegi? E’ stata una sorpresa per te?
Per niente sorpreso. Dopo l’Oman, l’ho rivisto qui in Belgio e l’ho portato di nuovo a correre con me, al Limburgo. Tra l’altro lo avevo fatto venire un giorno prima per fargli vedere il percorso. Il giorno della corsa però non è andato molto bene: freddo, acqua e lui non stava un granché. A quel punto è tornato con la squadra under 23. Ha disputato altre corse in Belgio, di nuovo il Brabante con noi, che era una settimana prima della sua Liegi.
Un ottimo banco di prova…
Esatto ed è andato forte, perché essere davanti in una gara come la Feccia del Brabante, quattordicesimo, vuol dire molto. E’ stata la conferma delle sensazioni che avevamo avuto a inizio stagione. E cioè quelle di un corridore che ha qualità. Chiaramente deve crescere, è giovane deve maturare. E infatti io glielo avevo detto dopo il Brabante: «Guarda che la Liegi è l’obiettivo. Se hai una gamba così puoi solo che vincere». Tra l’altro ho scoperto che nessun italiano aveva mai vinto la Liegi under 23.
E ora?
Adesso un po’ di tranquillità, poi l’obiettivo prossimo sarà il Giro d’Italia under 23. Successivamente altre corse, ma adesso non conosco con precisione il suo calendario. L’anno prossimo sarà con noi nella WorldTour.
Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile per il breve e il lungo periodoPiva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile
Tu, Valerio, quassù sei di casa. I tuoi consigli avranno avuto un certo peso…
Il tracciato del Limburgo è una piccola Amstel Gold Race e spesso usiamo quelle strade per valutare i ragazzi. E anche per fargli conoscere i percorsi. Alla fine possono essere esperienze per il futuro. Ci pensavo giusto qualche giorno fa…
A cosa?
Proprio Francesco mi ha detto: «Sai, Valerio, quest’anno non ho ancora corso in Italia». E questo è già un approccio diverso. Mi diceva: «Sì, vado bene, però io un ventaglio non so cosa sia. Non ho mai corso col vento vero». In Italia è difficile trovarle giornate dove veramente c’è il vento che condiziona la corsa. Prenderci confidenza adesso è importante: capire le posizioni, imparare a conoscere e a riconoscere i percorsi…
Riconoscere i percorsi. Sembra un aspetto banale, ma non lo è…
Esatto. Quando dicono che i corridori belgi sono bravi sui percorsi del Fiandre, di Harelbeke… Vivono qua, come ci vivo io. Non è che ce l’hanno nel Dna o che li sanno interpretare bene per natura. Vanno forte perché conoscono le strade. Io esco e pedalo sul percorso della Liegi, della Freccia e dell’Amstel. Li conosco a occhi chiusi. E così vale per i ragazzi che vanno in bici.
Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiatoPer Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Vanno a memoria. Si ricordano i punti più insidiosi, il vento, le curve, gli strappi, le pendenze…
E così facendo arrivano al professionismo con un bagaglio diverso rispetto agli altri ragazzi. E’ importante quindi crescere qui se si vuole andare forte in certe gare. Ricordo quando mi proposero Ballerini: «Siamo sicuri che farà bene nelle classiche in Belgio», mi dissero. Okay, ma alla fine? Sì, è un ottimo corridore, ma ci vuole del tempo per fare di più. Devi essere abituato a correre qua da giovane. Busatto si è ritrovato in una squadra belga e correrà quassù molto di più di tanti altri. E sicuramente avrà un bagaglio diverso.
E qui ci si allaccia indirettamente al discorso dei giovani italiani…
Io penso che i giovani italiani ci sono. L’abbiamo visto anche adesso. Bisogna chiaramente lavorarci. Semmai il problema è un altro.
Quale?
Non essendoci delle grandi squadre italiane hanno meno certezze sul futuro. Un ragazzo che corre in Italia inizia a pensare: «Se voglio diventare un professionista devo andare all’estero». E deve dimostrare qualcosa subito. A volte come nel caso di Busatto ci sono i manager, ma tante altre volte non è così. C’è pertanto questo handicap: non c’è uno sbocco diretto in una squadra importante, come poteva essere anni fa la Liquigas della situazione.
Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclisticiCampioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
E in tal senso non si vedono grosse aperture, almeno guardandola nel breve periodo…
Tante squadre si trovano in difficoltà. Io faccio parte di una squadra WorldTour piccola, in cui le difficoltà ci sono e i budget non sono grandi. Però abbiamo la fortuna di stare in Belgio in cui ci sono più industrie interessate al “prodotto ciclismo”.
Quassù ti fermi all’autogrill e trovi la pubblicità con Van Aert. Al supermercato c’è la gigantografia di Remco…
Il ciclismo in Belgio è al primo posto come simbolo di sport. Il ciclista è ancora considerato un vero atleta. Uno sportivo che fa sognare i giovani ed è per quello che tanti ragazzi vanno in bici.Il Belgio è un Paese piccolo. Il ciclismo è nelle tradizioni di famiglia e ogni giorno gli passa davanti alla porta di casa una corsa. Già un mese prima del Fiandre, in tv facevano programmi di approfondimento, storia, tecnica… Senza contare che hanno miti come Evenepoel e Van Aert, come noi un tempo avevamo Pantani.
Tornando a Busatto, abbiamo raccontato che c’è questo bel feeling con Paolo Santello, il suo preparazione. Ora che passera nel World Tour, questa collaborazione si dovrà interrompere?
Noi abbiamo una struttura con allenatori, dietisti, massaggiatori… e la mettiamo a disposizione di tutti i nostri atleti. Ma se un ragazzo arriva e mi dice: «Guarda Valerio sono tanti anni che lavoro col mio preparatore e mi trovo bene», perché fermarlo? Chiaramente deve essere un preparatore coordinato con noi, che non dia fastidio. I nostri atleti lavorano con TrainingPeaks e quindi vengono monitorati anche dal nostro trainer di riferimento.
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del teamBusatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
L’importante è che il preparatore sia allineato a filosofie e programmi: è così?
Chiediamo la collaborazione diretta col nostro capo allenatore. Nel caso di Francesco, se vuol lavorare con un italiano perché parla meglio la lingua, ci sta. Ma posso dire che col tempo è successo più spesso il contrario: dai preparatori esterni, sono passati a quelli interni dopo che hanno visto come lavora la squadra. Siamo partiti come una professional piccola che ha comprato la licenza ed è vero, ma poi abbiamo investito molto nella struttura. E non solo nel nome.
E torniamo in parte al discorso del prodotto ciclismo in Belgio e della capacità di vedere il tutto a 360° …
Abbiamo puntato molto sullo staff di allenatori, nutrizionisti… nel progetto. E questa è la miglior pubblicità. Adesso tanti manager ci propongono atleti di livello, anche giovani forti, che prima neanche osavano accostare a noi. Invece hanno visto che chi viene qua riceve l’attenzione che merita, la qualità che serve e in corsa tutti i nostri atleti hanno una chance, perché non lavoriamo solo attorno al grande nome. La squadra pertanto è diventata appetibile. E anche gli atleti si fidano.
Zero vittorie, ma proprio nemmeno una. E chi ti prende? Mettetevi nei passi di Francesco Busatto, con tre podi in due anni da junior, due al primo da U23 e dodici al secondo (fra cui otto secondi posti). Va bene che la vittoria fosse ormai nell’aria, ma arrivare a vincere la Liegi U23 non è stato per niente scontato.
Dopo gli juniores infatti, fuori dalla sua porta non c’era la fila. La prima squadra che si fece avanti – la Italian Cycling Group di Cordioli e Bortolotto – non riuscì neppure a partire. Per fortuna arrivò la Trevigiani-Campana Imballaggi e l’anno dopo, nel 2022, la General Store. E ora che il veronese ha trovato la sua dimensione con la maglia della belga Circus-ReUz e ha appena firmato un biennale con la Intermarché-Wanty, è interessante andare a vedere cosa ci sia stato alle sue spalle. Ci guida da Paolo Santello, che lo allena dalla fine del 2021.
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del teamBusatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
Il Sarto del Ciclista
Santello, il Sarto del Ciclista, ha 65 anni e opera assieme ai figli Andrea e Matteo nel centro di Cazzago, in provincia di Venezia. Fra i corridori che ha seguito ci sono Endrio Leoni, Baldato, Minali e Andrea Tonti. Oggi è l’allenatore della Campana Geo&Tex Imballaggi di Alessandro Coden e probabilmente dietro il salto di qualità di Busatto c’è anche lui, che l’ha spinto a crederci e ad assecondare lo sviluppo fisico. I due continuano a lavorare insieme, perché la Intermarché non ha voluto turbare gli equilibri: ha solo messo accanto per conoscenza Ioannis Tamouridis, l’ex pro’ greco di 42 anni, che cura la preparazione di Girmay e altri pezzi forti della squadra.
La vittoria alla Liegi segna l’inizio di un nuovo cammino (foto Circus-ReUz)La vittoria alla Liegi segna l’inizio di un nuovo cammino (foto Circus-ReUz)
Buongiorno Paolo, avete finito di brindare?
Diciamo di sì (sorride, ndr)! Però io dico sempre di non festeggiare mai troppo, perché domani bisogna riconfermarsi. Gioire il giusto, insomma. Questo è il mio modo di pensare, non si è mai arrivati.
La sensazione è che anche Busatto la pensi allo stesso modo…
Francesco ha tutto del campione, questo posso dirlo. Ha soprattutto la testa e il modo di pensare, la fame di migliorarsi. La vera fame che in questo momento non è facile trovare.
Da quanto lavorate insieme?
Da dicembre 2021. E se nel suo caso vogliamo parlare di svolta, posso dire che è stata soprattutto mentale. Prima lo conoscevo di vista, finché un mio ex atleta mi ha chiesto se avessi piacere di seguirlo e io gli ho detto di sì. Così ho cominciato a valutarlo. Dopo il primo test, ho pensato che avesse dei numeri. Dopo il secondo, ho pensato che fosse eccezionale. A suo fratello ho detto: «Questo, entro due anni vince nel WorldTour». Pensava che scherzassi, ma ero serio, anche se può sembrare azzardato.
Anche il 2023 è iniziato con un secondo posto, alla Le Get UP Cup, dietro Faure Prost (foto Circus-Reuz)Giro del Friui 2022, terza tappa: Busatto secondo dietro Lucca e Buratti (foto Bolgan)E poi secondo anche a Castelfidardo dietro Ciuccarelli (foto facebook/Rodella)Anche il 2023 è iniziato con un secondo posto, alla Le Get UP Cup, dietro Faure Prost (foto Circus-Reuz)Giro del Friui 2022, terza tappa: Busatto secondo dietro Lucca e Buratti (foto Bolgan)E poi secondo anche a Castelfidardo dietro Ciuccarelli (foto facebook/Rodella)
L’anno scorso ha fatto otto secondi posti.
Ha cominciato con un 18° nella Per Sempre Alfredo, la prima corsa finita coi professionisti: non male. E poi ha cominciato a fare un po’ di piazzamenti. Il primo secondo posto l’ha fatto al GP Industria del Marmo e quando mi ha chiamato, era arrabbiato. Era convinto di poter vincere, ma gli era saltato il rapporto. Io gli ho detto che era arrivato secondo non ventesimo, quindi era un punto da cui poter crescere: «Prendilo come un bel risultato, non come una sconfitta». Poi quando i secondi posti sono continuati ad arrivare, ho avuto la conferma delle sue qualità.
Di cosa parliamo?
I preparatori e i direttori sportivi guardano i watt e i suoi watt sono importantissimi. Il suo rapporto potenza/peso è molto importante, ma la cosa che guardo più di tutte è la mentalità: dove sei e dove vuoi arrivare. Ho visto subito una modestia impressionante, però una grandissima convinzione di andare avanti. Forse non lo fa vedere, ma lui dentro di sé è convinto delle sue possibilità. Come dicevo prima, la cosa più importante che ha è la fame.
Al primo anno da under 23, Busatto corre con la Trevigiani-Campana Imballaggi: è ancora bambino (photors.it)Ottavo alla Coppa Città di Bozzolo nel 2021 (photors.it)Al primo anno da under 23, Busatto corre con la Trevigiani-Campana Imballaggi: è ancora bambino (photors.it)Ottavo alla Coppa Città di Bozzolo nel 2021 (photors.it)
Questa fame può dipendere dal fatto che finora non avesse mai vinto?
Ha sempre corso per vincere, solo che nel frattempo è arrivata la maturazione. L’anno scorso è stato riserva al mondiale e non l’ha presa benissimo. Le scelte non si discutono e allora gli ho chiesto: «Un anno fa ti saresti aspettato di andare al mondiale?». Lui ha risposto di no e allora gli ho detto che essere riserva era comunque un grande risultato. Insomma, ai corridori cerco sempre di dare un punto di arrivo superiore a quello attuale.
Anche lui ha parlato di maturazione fisica da venire.
Glielo dico spesso che ancora non ha la barba. Ma sono certo che quando diventerà più maturo, avrà in mano un’altra arma vincente. Busatto non l’ho costruito io, magari veniva fuori anche senza di me, perché è facile allenare uno forte. Però bisogna gestirlo bene e la squadra sta facendo un buon lavoro, correndo un po’ con gli U23 e un po’ con i professionisti. Il fatto di averlo visto ancora davanti a menare ai meno 10 della Milano-Torino, in pianura accanto a Girmay con i suoi 62 chili, fa capire che è un corridore.
A Laigueglia si ritira, ma corre nella WorldTour accanto a GirmayA Laigueglia si ritira, ma corre nella WorldTour accanto a Girmay
Parlando del Giro d’Italia U23, tende a nascondersi. Lei dove lo vede?
E’ difficile ancora, secondo me può essere un corridore da corse a tappe, ma ancora deve crescere. Deve lavorare sulla bicicletta da cronometro, cosa che l’anno scorso non gli hanno permesso di fare più di tanto.
In cosa andare all’estero lo sta aiutando?
Intanto per il programma di lavoro fatto di blocchi: allenamento, gare, recupero. Poi per l’abitudine ad essere un atleta. Purtroppo in Italia non abbiamo corridori. Anzitutto c’è una vita completamente diversa, lassù si allenano con la pioggia e con la neve. Noi qua abbiamo un’altra mentalità e se usassimo la stessa di lassù, i corridori li perderemmo tutti. Non è un bel quadro.
Dopo il Tour of Oman, il 2023 di Busatto è proseguito fra i pro’ con la Faun Ardeche ClassicDopo il Tour of Oman, il 2023 di Busatto è proseguito fra i pro’ con la Faun Ardeche Classic
Quando è a casa Francesco si allena da solo?
Io gli do delle tabelle di settimana in settimana, in modo da guardare il meteo e la sua condizione. Mi faccio chiamare il Sarto del Ciclista perché non faccio il copia e incolla, per ciascuno faccio delle preparazioni e gliele consegno a mano, non via mail. Con le mie tabelle, Francesco si allena principalmente da solo. La Liegi è un bel ricordo, ripartiremo domani o giovedì per i prossimi obiettivi. Adesso è giusto che respiri un attimo, anche perché io dico che l’allenamento è una cosa sacra, ma il recupero non è da meno. Il troppo carico non va bene. La stagione è appena cominciata, figuriamoci la carriera.
Continuerete a lavorare insieme?
Per quello che vedo, la squadra si sta comportando bene, non cerca di metterci contro. Altre volte è successo: trovano il corridore forte e lo vogliono tutto per sé. Ci sono tanti preparatori bravi in questo mondo. Io dalla mia posso dire che ci metto il cuore.
Taco Van der Hoorn è il vincitore semisconosciuto della tappa di Canale. Due anni da gregario di Van Aert e ora cacciatore di tappe. Il suo giorno di gloria
In attesa di conoscere il suo futuro, Domenico Pozzovivo continua ad allenarsi sodo. Il lucano è un veterano e mette a nostra disposizione la sua esperienza per conoscere la salita di Sassotetto, il grande arrivo in salita della prossima Tirreno-Adriatico. Da Sarnano ai 1.465 metri della cima, laddove ci sono gli impianti di risalita di Sassotetto-Bolognola, ci sono da affrontare 13,1 chilometri.
Il “Pozzo” nazionale ha scalato diverse volte la salita incastonata sugli splendidi Monti Sibillini. E una delle ultime volte è stata proprio alla Tirreno. Era il 2018, vinse Mikel Landa e lui, all’epoca in Bahrain-Merida (foto di apertura), arrivò 12° ad appena 6” dallo spagnolo. Basta imbeccarlo sull’argomento che Domenico fa subito centro.
La scalata finale: 13,1 chilometri (da Ponte Romani), 969 metri di dislivello, pendenza media del 7,4%, massima del 12La Morro d’Oro-Sassotetto: 168 chilometri, quinta e cruciale tappa della Tirreno-AdriaticoLa scalata finale: 13,1 chilometri (da Ponte Romani), 969 metri di dislivello, pendenza media del 7,4%, massima del 12La Morro d’Oro-Sassotetto: 168 chilometri, quinta e cruciale tappa della Tirreno-Adriatico
Domenico, si torna sul Sassotetto. Con grande probabilità è qui che si deciderà la Corsa dei Due Mari…
E il giorno dopo c’è la tappa dei muri. E ormai che è insidiosa lo sanno anche… i muri! Comunque sì: ci sta che possa essere decisiva.
Che salita è?
L’ho fatta diverse volte, è una salita impegnativa. Non ha mai pendenze impossibili, ma è pur sempre una scalata di quasi 15 chilometri. Poi dipende molto da dove s’inizia a contare i chilometri: se dal paese o se dal bivio poco più avanti. E’ un Terminillo, ma più corto. L’unica differenza è che la salita reatina ha un tratto di recupero nel mezzo (Pian de Rosce, ndr), mentre Sassotetto ce l’ha nel finale.
Quale può essere per te il passaggio chiave?
C’è un drittone in cui si può fare la differenza, laddove attaccò Landa nel 2018. Adesso non ricordo di preciso il punto, ma dovrebbe essere tra i 4,5-5 chilometri dal traguardo. La pendenza c’è ed è il punto giusto se si vuole scavare un certo margine, anche perché poi gli ultimi due chilometri sono facili.
Come si approccia questa salita?
E’ diversa dalla scalata singola, perché quest’anno arriva subito dopo due salite concatenate. E nel ciclismo moderno qualche squadra potrebbe mettersi a fare il ritmo alto, già dalla scalata che precede Sassotetto.
Cambia tanto?
Abbastanza. Non hai margine di recupero. Scollini, c’è una piccola discesa e subito la salita finale. Quindi uno sforzo che sarebbe dovuto durare 35′-40′ diventa di un’ora.
Tra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finaleTra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finale
Che rapporti si utilizzano?
Io su una scalata così sono un po’ al limite con il 53, viste le scale posteriori attuali. Penso ad un 53×30-28, ma visto che è lunga ipotizzo un 39×18. Un 39×21 nei tratti più duri.
Scusa Domenico, ma allora perché non pensare ad un 42? Tu sei scalatore e vai di potenza…
In effetti con la mia pedalata un rapporto più grande davanti ci sta. Oggi Shimano per esempio ti propone il 40 e va bene, il 42 non lo so. A quel punto preferisco direttamente il 53. Fino all’8% scelgo il 53: se sono salite lunghe di 4-5 chilometri non ho dubbi. Se invece sono più lunghe magari vado di 39. Io ho un tipo di pedalata che non devo frullare. Poi in allenamento ci si concentra anche su certe cadenze, ma in corsa quando sei a tutta privilegi ciò che ti è “più comodo”.
Quanto conta stare a ruota?
Conta abbastanza. E infatti l’ultima volta, anche quando andarono via, furono in due o tre e si diedero i cambi. E’ fondamentale stare a ruota nell’ultimo chilometro, perché è molto veloce. Mentre il rettilineo finale tira un po’. Devi uscire proprio negli ultimi 150-200 metri. E’ un chilometro asfissiante, che si fa con le gambe piene di acido lattico. Uno di quelli che se in volata fai 700 watt è grasso che cola. Sei poi ti capita Pogacar che ne fa 900 ti lascia lì! Impossibile per noi comuni mortali.
Dopo i primi chilometri, la scalata si “schiaccia” sulle pareti dei Sibillini. Anche per questo il vento incide pocoNon mancano i tornanti nella parte centrale. All’uscita la pendenza aumenta e gli scalatori vanno a nozzeIn cima, una stele ricorda Scarponi. Nibali era presente alla messa in posaDopo i primi chilometri, la scalata si “schiaccia” sulle pareti dei Sibillini. Il vento incide pocoNon mancano i tornanti nella parte centrale. All’uscita la pendenza aumentaIn cima, una stele ricorda Scarponi. Nibali era presente alla messa in posa
C’è solo la pendenza a dare fastidio?
E poi c’è il vento – Pozzovivo è davvero interessato e rilancia lui gli spunti tecnici – ma su questa salita si sente poco. Giusto se ci fosse tramontana o vento da Est potrebbe favorire un po’ la scalata. Mentre inciderebbe di più nel chilometro e mezzo finale. Nel caso venisse da Ovest sarebbe contro. Ma di base si sale parecchio sotto parete, c’è il “muro dei Sibillini” che ti ripara.
Sassotetto presenta dei tornanti ampi. La curva non è durissima, ma all’uscita la strada tira e anche bene. Come si affronta questo genere di curva?
Nel mio caso, tornando al discorso della pedalata, non conviene prenderlo troppo stretto. Se invece si è dei corridori che frullano, che per fare watt devono fare alte cadenze, si può anche tagliare la curva: puntare all’interno e lavorare col cambio. Un’altra cosa che conta in questo caso è la posizione. Se c’è un gruppetto ancora folto, già in ventesima piazza arriva un po’ di frustata… e non è piacevole. Meglio stare tra i primi dieci: si riduce l’effetto elastico.
Quante calorie si consumano su una scalata simile? E come ci si alimenta?
Beh – fa due conti Pozzovivo – è la salita finale, si fa a tutta… 600 calorie si bruciano tranquillamente. Si prende un gel ai piedi della salita e poi ci si aiuta con le borracce, che ormai contengono maltodestrine. Anche se io preferisco l’acqua. Prendo un altro gel a metà salita o un po’ prima.
Incredibile a Jesi. Vince Girmay, sono tutti contenti, ma il tappo dello spumante del podio gli finisce nell'occhio ed è costretto a correre in ospedale
Rein Taaramae è una colonna dell’Intermarché Wanty Gobert. Una sorta di regista in corsa, che gode della massima stima da parte di Valerio Piva e di tutto lo staff del team. Ma Taaramae è anche un personaggio molto sfaccettato, che cerca di prendere dal ciclismo molto altro, a livello di esperienze e sensazioni, rispetto a quello che una gara può semplicemente dare. Da qualche anno il corridore estone è una sorta di testimonial del progresso ciclistico africano. Da anni si reca in Ruanda per preparare la stagione. Con il Paese ha stretto un rapporto che va molto al di là di quanto normalmente avviene per i campioni del pedale.
Interpellato sul tema proprio mentre era in ritiro prestagionale a titolo completamente personale, Taaramae si è ben prestato alla chiacchierata.E’ diventato quasi un inviato sul posto, preoccupandosi personalmente della parte fotografica. Per trasmettere attraverso parole e immagini il profondo legame che ormai lo lega a quella parte di mondo.
I paesaggi dove Taaramae si allena sono incantevoli e tutti a una grande altitudineI paesaggi dove Taaramae si allena sono incantevoli e tutti a una grande altitudine
«La prima volta che sono stato in Ruanda è stato nel 2019, per il locale Tour con il team TotalEnergies – ricorda – Non sapevo affatto che cosa mi aspettava, temevo soprattutto le difficoltà legate al cibo: mangerò 10 giorni solo riso in bianco perché probabilmente la gente non ha nient’altro. Nella mia mente avevo l’Africa dei pregiudizi: molto caldo, pessimi hotel e sicuramente nessuno parla inglese. La realtà era l’esatto opposto: Paese tropicale pulito, temperature per lo più 20-25 quindi non troppo calde. La maggior parte delle persone comunica un inglese migliore rispetto all’Italia o alla Francia. Sono molto gentili e onesti e anche gli hotel e il cibo sono buoni. Basta avere piccole accortezze: non mangiare insalata fresca, che è deliziosa ma semplicemente non va bene per il nostro corpo e non bere l’acqua del rubinetto».
Che percorsi hai trovato in Ruanda?
Ci sono abbastanza strade per allenarsi. Le condizioni stradali sono molto buone, senza buche, larghe e belle. Il paese dove risiedo è collinare ma la maggior parte delle salite dura 10 -30 minuti, qualcuna anche di più. Le pendenze sono limitate, mai più del 6 per cento, ma la sua altitudine ricorda un po’ la Colombia. In pratica l’altezza media è sempre di circa 2.000 metri, come una cima dello Stelvio senza scalare troppo… Il vantaggio è che non hai problemi con le auto come nella maggior parte dei Paesi europei. Guidano a una velocità di circa 50-70 chilometri orari perché qui l’auto è costosa e non vogliono davvero rovinarla. Inoltre ci sono molti autovelox e agenti di polizia e le multe sono salate.
In Ruanda le strade larghe sono un grande vantaggio e gli automobilisti sono molto disciplinatiIn Ruanda le strade larghe sono un grande vantaggio e gli automobilisti sono molto disciplinati
Ci sono pericoli?
Per pedalare qui bisogna guardare sempre davanti! Perché c’è sempre un sacco di gente a lato della strada, tanti ciclisti occasionali che a volte attraversano la strada senza guardare. Hanno un’abitudine molto bella qui, puoi sempre guidare in mezzo alla strada senza spaventarti che qualche macchina ti investa. Quando arrivano dietro di te fanno solo un colpo di clacson, nessuno si arrabbia con i ciclisti qui sulle strade.
Per quanto tempo rimarrai ad allenarti lì e sei da solo o con altre persone?
In realtà nel 2019 ho scoperto che il suo posto ideale per fare un training camp in quota, a 100 chilometri dal capoluogo è il paese di Musanze. C’è un piccolo centro speciale solo per il ciclista, con rifugi e ristorante dove il cuoco ti prepara tutto ciò che chiedi con tutti i servizi necessari per ciclisti, meccanici, lavanderia. Ero stanco di andare ogni anno nella Sierra Nevada in Spagna, magari per rimanere in camera perché c’è neve o cadere per il ghiaccio. Qui non abbiamo questo tipo di problemi. Un grande vantaggio è che il viaggio non è così lungo. La mattina prendi il volo in Europa e la sera sei a Kigali, senza cambi di fuso orario. Ora sono qui con mia moglie, è la campionessa estone a cronometro e possiamo guidare facilmente insieme e goderci il “bikepacking”. Rimaniamo 10 giorni e facciamo 700 chilometri in giro per il Paese, da un posto all’altro.
In quest’occasione l’estone è partito con sua moglie Hanna Caroline, campionessa nazionale a cronometroIn quest’occasione l’estone è partito con sua moglie Hanna Caroline, campionessa nazionale a cronometro
Sei molto impegnato anche nell’aiutare la popolazione locale: cosa hai portato quest’anno?
Sono stato qui a gennaio e ho incontrato i ciclisti locali, sembrava che avessero tutto, in forma, bei vestiti, belle bici… ma poi vado in giro con il mio amico e il primo giorno aveva una gomma a terra perché entrambe le gomme erano già completamente usate, poi ha rotto la catena perché era troppo vecchia, un altro dice che non può guidare perché aveva solo un paio di vestiti e li ha rovinati… Poi parlo con gli allenatori dei club locali e mi hanno detto che avere il materiale è un grosso problema in Ruanda. Quindi ora vengo qui con 4 grandi bagagli con circa 75 chili di cose usate e nuove.
Dove le prendi?
Le squadre WT buttano tanto materiale riutilizzabile, ad esempio con casette e catena quando in squadra non si usano più, sono validi per 10.000 chilometri di allenamento, lo stesso con tutte le altre cose, borracce, abbigliamento… Io raccolgo il possibile, ma l’Uci può fare qualcosa in questo senso. Basta contattare tutti i team e, ad esempio, supportare una squadra con cose vecchie di un Paese africano, può essere davvero importante per le immagini della squadra e per l’intero ciclismo locale.
Parte del materiale portato dall’estone in Ruanda e distribuito fra i ciclisti localiParte del materiale portato dall’estone in Ruanda e distribuito fra i ciclisti locali
Cosa significa per te essere in grado di aiutare il popolo ruandese?
E’ qualcosa che devo alle mie radici. Quando ho iniziato a pedalare negli anni ’90, l’Estonia era un Paese povero, era difficile avere un abbigliamento nuovo e buono e altro materiale. Ora è giusto che mi adoperi per chi è nella mia condizione di prima.
In Ruanda si faranno i mondiali del 2025: pensi che sarà pronto per organizzare un evento così importante?
Penso di sì, hanno buoni hotel nella capitale, anche le strade sono buone. Mi fa un po’ paura che alla gente piaccia andare in bicicletta e nelle gare ci sono migliaia di persone vicino alla strada, se c’è più pubblico nel mondo non è facile tenerli lontani dalle strade. L’organizzazione di Eanyway Td Rwanda era quasi perfetta, quindi perché non può essere lo stesso nel 2025.
Per Taaramae una stagione 2022 poco fortunata, con 8 Top 10 e il titolo estone a cronometroPer Taaramae una stagione 2022 poco fortunata, con 8 Top 10 e il titolo estone a cronometro
Eri soddisfatto della tua ultima stagione e cosa ti aspetti dalla prossima?
Sono stato abbastanza bene per tutta la stagione, penso di aver fatto davvero un buon lavoro per la squadra. Personalmente mi rammarico per due vittorie sfuggite di poco, la terza tappa sulla cima dell’Etna al Giro e la terza frazione della Vuelta. Fino a quando non sei un atleta puoi fare il tuo lavoro in modo scadente, ma a volte anche i bravi lavoratori hanno bisogno di avere la loro giornata, io non ce l’ho avuta. La prossima stagione è un po’ diversa, solo un grande tour e molte gare settimanali. Spero che tutto vada con un po’ più di fortuna.
Nel 2025 compirai 38 anni: quando ci saranno i mondiali, speri di esserci?
Fino a quando avrò lo stesso atteggiamento e una buona squadra, continuo. A 35 anni prendi le cose anno dopo anno. Mi piace davvero e amo quello che faccio, ma non so mai quando sarà la mia ultima stagione, anche se non ho avuto una grande carriera. Se faccio un altro anno va bene, se ne faccio 5 è anche meglio!
Alessio Delle Vedove corre veloce verso grandi traguardi, senza farsi spaventare da quello che lo circonda (in apertura festeggia l’approdo in finale nell’inseguimento a squadre, foto Federciclismo). Il ragazzo della Borgo Molino Rinascita Ormelle è ritornato dalla trasferta con la nazionale su pista a Tel Aviv. Dove ha conquistato, insieme ai suoi compagni, il titolo iridato nell’inseguimento a squadre, sfiorando per un soffio il record del mondo.
«Sono tornato a casa dal Tel Aviv il 28 agosto – dice Delle Vedove – non ho ancora corso, mi sono riposato un po’ ed ho ripreso ad allenarmi pochi giorni fa. Il calendario quest’anno finisce il 16 ottobre, quindi ho ancora un mese di concentrazione, poi si potrà pensare al prossimo anno. Disputerò il campionato italiano di cronometro a squadre agli inizi di ottobre (si correrà il 1° ottobre a Fiume Veneto, ndr), è l’ultima gara sulla quale ho messo gli occhi, spero di finire bene».
Delle Vedove, il secondo da sinistra, insieme ai compagni di squadra dell’inseguimento (foto Instagram)Delle Vedove, il secondo da sinistra, insieme ai compagni di squadra dell’inseguimento (foto Instagram)
Da dopo Tel Aviv si potrebbe dire che sei tornato in forma e motivato…
La maglia di campione del mondo è un sogno incredibile e già poterla indossare è un onore immenso. Peccato per il record del mondo, ma la pista non era delle migliori, era anche semi aperta, quindi c’erano un po’ di agenti ad influenzare la prestazione.
A proposito del prossimo anno, abbiamo sentito che correrai con la continental dell’Intermarché Wanty Gobert.
Esatto, ne ho parlato con il mio procuratore Nicoletti ed insieme abbiamo deciso che era la scelta migliore per me. Inoltre io sono molto curioso e volevo proprio mettermi in gioco in una realtà come quella. Penso sia il passo giusto per tentare di fare del ciclismo il mio mestiere.
Delle Vedove ha ricevuto tante richieste: sia dall’Italia che dall’estero (photors.it)Delle Vedove ha ricevuto tante richieste: sia dall’Italia che dall’estero (photors.it)
Quindi anche tu hai il procuratore, da quanto?
Non da molto, ho firmato la procura con lui da un mese più o meno. Inizialmente non volevo avere un procuratore, devo essere sincero: fossi rimasto a correre in Italia, non avrei firmato. Ma visto che sarò con una squadra straniera e ci saranno tante cose da curare, ho preferito averlo. Avevo un’idea diversa dei procuratori, pensavo imponessero le loro idee e che decidessero le cose a tavolino, invece Nicoletti no, mi ascolta e mi ha sempre chiesto cosa pensassi di ogni singolo dettaglio.
Come è nato il contatto con la Intermarché?
A inizio giugno mi sono arrivate tantissime richieste ed offerte, tre da squadre Development: Lotto, Groupama FDJ e Intermarché. Sono arrivate in contemporanea anche due offerte dalle continental italiane: Zalf e Colpack.
Il ragazzo si è messo in luce con tante vittorie quest’anno, sia su strada che su pista (foto photors.it)Il ragazzo si è messo in luce con tante vittorie quest’anno, sia su strada che su pista (foto photors.it)
Come mai hai scelto l’Intermarché?
Il progetto mi è sembrato molto interessante e disegnato a misura di un ragazzo che è al primo anno da under 23. Ho firmato per due anni, fino al 2024. Il primo anno rimarrò in Italia, c’è la scuola da finire, andrò ogni tanto in Belgio a correre o a fare ritiri. Mi hanno già anticipato che dovrei fare il calendario delle corse in Italia e qualcuna in Belgio e Olanda, non vedo l’ora.
Li hai già conosciuti?
Non dal vivo, andrò di persona solamente a fine ottobre, a stagione finita. Pensavo avessero una struttura molto complessa e intricata, invece nella loro professionalità sono molto semplici. Ho parlato anche con il vicepresidente e con il mio allenatore, Kevin Van Melsen. Quest’anno corre ancora con la WorldTour, ma dall’anno prossimo avrà questo nuovo ruolo. Dalla squadra mi scrivono spesso, mi fanno i complimenti, mi chiedono come sto, sono presenti e mi piace.
Hai già fatto qualche piccola esperienza all’estero, che ti aspetti?
Sì, ho fatto la Corsa della Pace e la Roubaix junior, come prima cosa mi aspetto di imparare tanto. Non vado con presunzione ma con voglia di mettermi in gioco, il livello è alto, l’ho visto nelle mie esperienze. Ho anche avuto modo di parlare con dei ragazzi alla Corsa della Pace, che per curiosità correranno con me il prossimo anno.
Delle Vedove in azione alla Corsa della Pace, una delle poche gare fuori dall’Italia corse dal corridore della Borgo Molino (foto Instagram)Delle Vedove in azione alla Corsa della Pace, una delle poche gare fuori dall’Italia corse dal corridore della Borgo Molino (foto Instagram)
Cosa vi siete detti?
Parlavamo dei vari allenamenti e delle corse fatte. Ho sempre avuto la sensazione che nel Nord fossero più pronti, e ne ho avuto la conferma. Quei ragazzi fanno 200-300 chilometri in più a settimana rispetto a noi, per questo sono avanti di preparazione e di forma. Mi dicevano che si allenano sempre, anche con la pioggia, noi, invece, no.
Ci sono altre differenze?
La scuola, ne discutevo con un ragazzo tedesco e mi spiegava che da loro la scuola ti viene incontro se fai attività sportiva di alto livello, programmano le interrogazioni e le verifiche. Al contrario, in Italia, ti dicono che ti aiutano, ma poi non lo fanno concretamente.
Insomma, curiosità e voglia di iniziare…
Voglio ripartire da zero, tirare una riga e rimettermi in gioco, non importa cosa ho fatto fino ad ora. Devo imparare tanto, lo ripeto, nei primi mesi dovrò restare attento. Per farvi un esempio: non so fare i ventagli, i miei compagni sì, non sono abituato a correre sul pavé, loro ci vivono. Non mi monto la testa, si fa un passo alla volta e nel 2024 vorrei trasferirmi in Belgio in pianta stabile, per fare un ulteriore passo in avanti.
«Abbiamo preso Andrea Pasqualon perché è un ottimo corridore che potrà mettere la sua esperienza al servizio del team. Esperienza che ha soprattutto per le corse del Nord. Di certo è e sarà più di un gregario». Inizia così il giudizio di Franco Pellizotti sull’acquisto del corridore trentino.
Con il direttore sportivo della Bahrain Victorious si parla appunto dell’acquisto di Pasqualon, il quale si unirà alla sua squadra a partire dalla prossima stagione. Un passaggio un po’ inaspettato. Dopo tanti anni nel team belga e con la fiducia dei suoi direttori sportivi non era così scontato che Pasqualon potesse lasciare la Intermarché Wanty Gobert.
Franco Pellizotti (43 anni) diesse della Bahrain Victorious, team per il quale Pasqualon ha firmato un biennaleFranco Pellizotti (43 anni) diesse della Bahrain Victorious, team per il quale Pasqualon ha firmato un biennale
Pellizotti lo aspetta
«Andrea – continua Pellizotti – è un ragazzo che ha tanta esperienza, è abituato a correre all’estero e per noi è importante visito che siamo un team molto internazionale, abbiamo atleti di molte nazioni.
«Da un punto di vista tecnico Pasqualon è più di un velocista. E’ un corridore duttile. Può fare bene in molte corse, anche nelle tappe non troppo veloci e soprattutto può fare bene in Belgio. Non che non abbiamo dei buoni corridori per quelle corse, ma non abbiamo neanche un leader da poter dire agli altri: tu fai il gregario di… Tu sei l’uomo di… Abbiamo Mohoric che è bravo e Pasqualon può essere ideale per stargli vicino.
«E poi abbiamo anche tanti giovani e può essere un esempio per loro. Parlando di Belgio e giovani mi viene in mente anche Milan per esempio».
L’arrivo di Pasqualon fa riflettere e con Sonny Colbrelli fermo ai box da ormai una stagione intera e senza certezze sul suo rientro, che ci auguriamo possa avvenire e avvenire presto, è lecito chiedersi se Andrea non possa essere il suo sostituto naturale.
«Non abbiamo ingaggiato Andrea per sostituire Sonny. Hanno caratteristiche simili, ma Sonny è Sonny! Anzi, sono convinto che sarebbe stato dei nostri anche con lui e ne sarebbe stato un compagno ideale. E vi dirò anche che era un bel po’ che lo avevamo preso e non è stata una decisione presa così…».
Per Pellizotti, Pasqualon potrà mettere la sua esperienza del Nord a disposizione della Bahrain VictoriousPer Pellizotti, Pasqualon potrà mettere la sua esperienza del Nord a disposizione della Bahrain Victorious
Pasqualon e il Nord
Da Pellizotti a Pasqualon stesso. Andrea sta correndo in Belgio. Giusto ieri ha chiuso al settimo posto alla Egmont Cyclng Race.
«Se non fosse stato per un’incomprensione con la squadra – racconta Andrea – nel finale sarebbe potuta andare meglio. Ero convinto di avere un compagno, ma non c’è stato. Ai 500 metri si è aperto un buco e nulla… in quattro hanno preso una manciata di metri ed è finita lì.
«Io però sono contento perché era la prima gara dopo l’altura. E si sa che ci vuole sempre un po’ per ritrovare il ritmo gara».
Anche per queste qualità: velocità, costanza di rendimento Pasqualon vestirà i colori della Bahrain Victorious dal 2023.
«Sì, adesso è ufficiale – dice Andrea – sono contento perché la Bahrain è uno dei migliori team in assoluto. Non che la Intermarché non lo sia, soprattutto dopo una stagione come quella che abbiamo fatto. Ma la nuova squadra so che mi darà il 110% per diventare un corridore vero, di altissimo livello. Mancava qualcosina, quel qualcosa di più che sono convinto la Bahrain mi possa dare.
«In Bahrain potrò mettere a disposizione la mia esperienza per il Nord. Potrò stare vicino a corridori come Mohoric e Bauhaus i quali avevano bisogno di un uomo con le mie caratteristiche. Ma al tempo stesso avrò il mio spazio».
La volata vincente di Pasqualon (classe 1988) al Circuito di Vallonia a fine maggioLa volata vincente di Pasqualon (classe 1988) al Circuito di Vallonia a fine maggio
L’amico Mohoric
Anche con Pasqualon tocchiamo il “tasto Colbrelli”. E già solo con questo paragone Andrea sembra lusingato.
«Eh – sorride – non si sa mai. Negli ultimi anni sono cresciuto e magari fare come Colbrelli può essere il mio obiettivo. A me piace andare forte al Nord e Sonny è andato forte al Nord. La mia corsa dei sogni è la Roubaix e Colbrelli ha vinto la Roubaix… Magari ci riuscirò anche io!».
Pasqualon sa che dovrà essere soprattutto di supporto. E’ in sintonia con Pellizotti quando parla di esperienza e di giovani. Anche su Milan dice che potrebbero mettere su un grande team per le volate e che non vede l’ora di conoscerlo nei primi ritiri.
E su Mohoric: «Credo – spiega Pasqualon – che Matej, oltre che fortissimo, sia il corridore più intelligente in gruppo. E non lo dico solo io. Legge la corsa, è sempre informato, conosce i materiali… è sprecato per fare il ciclista! Io e lui siamo ottimi amici. In gruppo parliamo spesso e anzi, se arrivo in Bahrain è anche grazie a lui.
«E’ lui che mi vuole al suo fianco. Gli serviva un corridore che sa limare, che sa creare lo spazio, che sa essere davanti al momento giusto in certe corse e dopo 12 anni di professionismo sono qualità che ho acquisito e che mi consentiranno, spero, di essere un’ottima pedina».
Pasqualon è stato azzurro nell’europeo vittorioso di Viviani nel 2019Pasqualon è stato azzurro nell’europeo vittorioso di Viviani nel 2019
Sogni azzurri
Prima di congedarci con Pasqualon gettiamo anche un occhio su suo prossimo futuro: il mondiale di Wollongong.
Il ragazzo di Bassano del Grappa non ha mai nascosto di volerci essere e anche stavolta ribadisce il discorso. Si è preparato bene. Ad Andorra ha una casa dove vive a 2.000 metri. La gamba sembra esserci. La prestazione di ieri in una corsa tanto veloce e nervosa non è qualcosa da sottovalutare.
«Sul mondiale – dice Andrea – ho messo la crocetta da tempo. Mi sto preparando per quell’evento. Voglio esserci perché è una corsa adatta alle mie caratteristiche e anche per dare una mano a gente come Bettiol o Trentin.
«Correrò oggi a Overijse, poi altre gare come la Bretagne Classic, Plouay, la trasferta con le due gare canadesi e poi vedremo come evolverà la situazione. Io ci tengo tantissimo».
Nicolò Buratti farà un altro anno prima di passare tra i pro'. La notizia ha fatto parlare. Ma al di là delle ragioni, si tratta della scelta più giusta
Matej Mohoric si è preso la Roubaix sulle spalle e l'ha onorata sino in fondo, finché i campioni non hanno aperto il gas. Ha corso pensando a Colbrelli
Se n’è parlato poco, molto poco, eppure al Tour de FranceLouis Meintjes è andato forte. Molto forte. Il sudafricano è arrivato ottavo (è la terza volta dopo il 2016 e 2017). E’ stato autore di un paio di fughe buone grazie alle quali ha recuperato il tempo perso nella prima settimana del Tour tra pianura, pavé, problemi al cambio… E poi ha lottato col coltello fra i denti per restare nella top 10.
Il corridore della Intermarché-Wanty-Gobert è una vecchia conoscenza, anche del ciclismo italiano se vogliamo. Ha corso molto da noi. E’ stato alla Lampre.Sempre da noi ha ottenuto i primi buoni risultati, come la medaglia d’argento ai mondiali di Firenze U23 e uno dei suoi tecnici è Valerio Piva.
Un problema al cambio ha costretto Meintjes a tagliare a piedi il traguardo alla Planche des Belles FillesPer un problema al cambio, Meintjes ha tagliato a piedi il traguardo alla Planche des Belles Filles
Frenato dalle attese
L’impronta di Piva in questa squadra si nota sempre di più e se c’è stata questa buona crescita, una fetta del merito è proprio del direttore sportivo lombardo. Per la prima volta infatti, il team belga ha piazzato uno suo corridore nella top 10 della Grande Boucle.
«Beh – commenta Piva – Meintjes non è uno sconosciuto. Fece già ottavo al Tour e si piazzò bene in una Vuelta. Quando arrivò al grande ciclismo si parlava di lui come il paladino del ciclismo africano e questo forse gli ha messo quella pressione addossoper la quale si è un po’ perso».
Il tempo però è passato inesorabile e il “bimbo” si è ritrovato a trent’anni, con una buona carriera, ma senza aver riempito la bacheca di “mille” trofei.
«Noi lo abbiamo ripreso proprio con l’intento di recuperarlo. In Intermarché ha trovato un ambiente che crede in lui e che non gli mette pressione».
A inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’AppenninoA inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’Appennino
Un Tour all’attacco
Un po’ come il suo collega Pozzovivo, tra l’altro i due tecnicamente si somigliano moltissimo, Meintjes aveva in testa la classifica sin dal via della Grande Boucle. La tattica, se di tattica si può parlare, era chiaramente quella di correre di rimessa: stare coperti e tenere il più possibile in salita.
«E invece – riprende Piva – mi ha stupito questo suo atteggiamento. Louis è un difensivo, invece è andato spesso all’attacco. E alla fine si è ritrovato a lottare con i grandi nomi. E quando sei lì tiri fuori anche quello che non hai. A mio avviso ha fatto proprio un bel Tour, il più bello della sua carriera».
Piva ha toccato subito un tema centrale: la pressione. Le aspettative che c’erano attorno a Meintjes sono ciò che hanno bloccato questo ragazzo, ciò che non gli hanno consentito di esprimersi al meglio. Il motore, anche se non gigantesco o al pari di quello di Pogacar o Vingegaard (ma chi ce l’ha?), è comunque buono.
Dopo gli ottimi risultati internazionali come il titolo di campione africano in linea, l’ottavo posto al Tour, in Sud Africa lo davano come il prossimo vincitore della corsa francese. Ma come detto non è facile per un ragazzo giovane supportare questo fardello.
«Louis – spiega Piva – è uno di quei corridori che “funziona” se tu lo lasci tranquillo. Allora vedi che alla sua maniera raggiunge gli obiettivi che si è prefissato. Ma per fare questo gli serve l’ambiente giusto».
E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)
Vamos a la Vuelta
E la stagione del corridore di Pretoria non finisce qui. Adesso per lui c’è la Vuelta. E probabilmente la correrà sulla falsariga del Tour.
«Ma magari – sorride Piva – pensando in modo un po’ più concreto di portare a casa una tappa. Io non credo che lui voglia mollare la classifica in Spagna. E’ nelle sue corde questo modo di correre. Ma ha dimostrato che sa vincere».
Piva si riferisce al Giro dell’Appennino. Quel giorno il leader della Intermarché Wanty Gobert era Rota, ma poi lui non è riuscito ad essere dov’era e in corso d’opera è subentrato Louis… che ha vinto. «E quel successo gli ha dato parecchia fiducia. Anche per questo credo sia arrivato in Francia estremamente motivato».
In tal senso la Vuelta potrebbe essere la corsa della “svolta”. Enormi pretendenti stavolta sembrano, il condizionale è d’obbligo, non esserci. Pogacar è dato verso il forfait, Roglic sembra non essere al massimo, Mas è uscito male dal Tour… E visto che Louis è sempre andato bene nella seconda parte di stagione chissà che non possa pensare a qualcosa di più della top 10 nella generale.
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