Pomeriggio iridato: l’inno suona per Mazzone e Cornegliani

24.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – «Facciamo come Ganna – dice Mazzone – mettiamo in mezzo lei che però è più alta!». Così il pugliese in maglia iridata fa passare di là Cornegliani, vincitore oggi del secondo mondiale, e in mezzo mettono Ana Maria Vitelaru che ha conquistato il bronzo. Come Ganna, Affini e Remco nel mezzo, solo che questa volta le maglie iridate sono ai lati. Dopo la vittoria nella staffetta di apertura, un altro pomeriggio d’oro ed emozionante per gli azzurri di Pierpaolo Addesi.

Ana Maria Vitelaru è bronzo nella crono donne H5. Ha chiuso a 3’53” dalla vincitrice Haenen
Ana Maria Vitelaru è bronzo nella crono donne H5. Ha chiuso a 3’53” dalla vincitrice Haenen

Dalla polvere alle stelle

L’ultima volta che avevamo seguito di persona una gara di Mazzone fu lo scorso anno a Glasgow, quando Luca finì contro una transenna nella staffetta e uscì di gara, colpito e umiliato nell’ultimo giorno di gare. Forse per questo, vedendolo piangere per la gioia al risuonare dell’Inno di Mameli, il groppo in gola ce l’abbiamo pure noi. Dopo quel giorno, per il pugliese arrivato al 19° titolo, sono venute le due medaglie di Parigi e l’onore di essere portabandiera. Ma di vincere ancora a 53 anni non se lo aspettava.

«Tante volte – sorride e riflette – quando vado alle scuole come ambasciatore paralimpico, racconto sempre questo. Quando prendete un brutto voto, non demoralizzatevi, fate in modo che sia un punto di partenza. Un punto per avere la tigna di rifarsi. A Glasgow, veramente il morale era caduto a pezzi. Invece quando sono tornato a casa, mi è venuta la cattiveria agonistica di rifarmi. Non contro gli avversari, perché gli avversari sono comunque uno stimolo. Rifarmi con me stesso, per ritrovare quel Luca di otto anni fa anche con qualche anno in più (nel dirlo si commuove, ndr). Ce la volevo mettere tutta, volevo fare bene sia alle Paralimpiadi che qua».

Luca Mazzone, classe 1971, è campione del mondo nella categoria H2 con 40″ sul secondo. Mano sul cuore, c’è l’Inno
Luca Mazzone, classe 1971, è campione del mondo nella categoria H2 con 40″ sul secondo. Mano sul cuore, c’è l’Inno

«Veramente però – prosegue – sono sbalordito di me stesso. Sapevo che il percorso era favorevole, perché gli allenamenti fatti a Campo Felice insieme ai miei amici H3 davano buone speranze. Mi mettevo dietro di loro a fare gli allenamenti e mi facevano sempre i complimenti. Quindi sapevo che su questo percorso potevo fare bene, ma non con un simile distacco ai miei avversari (Mazzone ha vinto con 40” sul francese Jouanny, ndr) che, come ho detto a Parigi, hanno tanti anni meno di me. Questo è frutto del tanto lavoro svolto con la nazionale sia a livello personale, tante rinunce. In questo campionato ringrazio lo staff, che ha dato tanta serenità che per me fa molto. Serenità e tanta professionalità che mi ha permesso di far così bene».

La differenza dei tubeless

Fabrizio Cornegliani è una molla che non si scarica. Sul podio non è riuscito a stare fermo, almeno fino a che sono partite le note dell’Inno. E allora pure lui si è fermato ad ammirare quella bandiera che saliva al cielo. AI piedi del palco, c’è Ercole Spada, il presidente del suo Team Equa che sorride compiaciuto. E se Mazzone ha parlato col cuore in mano, Cornegliani la prende da atleta sulla cresta dell’onda, mescolando emozioni e numeri. A Zurigo c’è arrivato con l’oro olimpico al collo, non uno qualsiasi.

«Non me l’aspettavo – dice – però l’ho cercata. A Parigi lo dissi subito che ero sotto di un 10-15 per cento rispetto alla potenza che mi aspettavo. Così siamo ritornati a casa, ho riposato perché volevo un wattaggio migliore. Sono partito svantaggiato, perché sul piatto non ho tutta quella potenza per fare la differenza. Invece la differenza c’è stata. Abbiamo usato dei materiali nuovi, i tubeless che non avevamo ancora messo bene a punto sulla handbike. Probabilmente parte di questo vantaggio qua (2’35” sul secondo, ndr) è stato dato dalle gomme. Me li hanno dati due giorni fa e rispetto ai tubolari classici avevo la bici che scorreva e aveva un comfort mai visto».

Cornegliani ha vinto l’oro nella crono H1 con 2’35” sul secondo, il brasiliano Ferreira de Melo
Cornegliani ha vinto l’oro nella crono H1 con 2’35” sul secondo, il brasiliano Ferreira de Melo

«Questo percorso per quanto mi riguarda era fin troppo facile – prosegue – perché quando c’è solo una curva in un percorso, la potenza è tutto. Però era una gara lunga per la mia categoria, quindi la differenza l’ha fatta questo. Questo e la voglia di fare meglio di Parigi. Ho corso contro il mio fantasma ed è andata bene che fosse asciutto. Sul bagnato abbiamo delle difficoltà maggiori, i tutori cominciano a scivolare e diventa tutto un problema. La commozione sul palco? Quando suona l’Inno di Mameli, il brivido c’è sempre. Poi adesso che non ce lo suonano più nelle Coppe del mondo, è diventata una cosa rara. Quindi quando c’è l’Inno, mano sul cuore e cantare».

Le gare vanno avanti. Lello Ferrara si fa la foto con le medaglie al collo, strappando ben più di una risata. C’è la fila per fare le foto con questi splendidi atleti e andando via verso la sala stampa, il pensiero va a tutte le volte che un corridore si lamenta per il freddo o i sacrifici che deve fare. Non serve neanche aggiungere altro, abbiamo appena ricevuto l’ennesima lezione di volontà e voglia di vivere. Il resto non conta.

Porcellato 2022

La Porcellato racconta il nuovo corso paralimpico

17.05.2022
4 min
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Per capire chi sia Francesca Porcellato servirebbe un libro, per raccogliere tutti i suoi trofei. Basti pensare che ai Giochi Paralimpici in 7 edizioni ha conquistato 15 medaglie di cui 3 d’oro, oltre a 11 medaglie mondiali (6 d’oro). Il bello è che lo ha fatto in ben 3 discipline diverse: atletica, dove ha gareggiato dai 100 metri fino alla maratona conquistando quelle più prestigiose, New York e Boston comprese. Sci di fondo, arrivando all’oro olimpico nella sprint a Sochi 2014. Ciclismo, nella categoria handbike H3 con due titoli mondiali all’attivo. Se si pensa che ha iniziato a gareggiare alle Olimpiadi a Seul 1988 e ancora lo scorso anno a Tokyo era sul podio, si ha un’idea della sua immensità sportiva.

Con un curriculum del genere, la Porcellato è una sorta di guru nel paraciclismo italiano, che dopo Tokyo ha vissuto una profonda trasformazione con il passaggio della responsabilità tecnica da Mario Valentini a Rino De Candido. Un passaggio non indolore, considerando che è arrivato dopo una lettera firmata da molti dei campioni del movimento azzurro per chiedere un cambiamento.

Porcellato Ostenda 2022
Il gruppo azzurro a Ostenda, dove sono arrivate 16 medaglie, 18 poi a Elzach sempre in Coppa del Mondo (foto FCI)
Porcellato Ostenda 2022
Il gruppo azzurro a Ostenda, dove sono arrivate 16 medaglie, 18 poi a Elzach sempre in Coppa del Mondo (foto FCI)

Un cambio necessario

L’argomento è spinoso e lo affronta subito senza nascondersi, per chiarire una volta per tutte la vicenda.

«Si sono scritte tante cose sbagliate – spiega Francesca – ci tengo a chiarire innanzitutto che il nostro gesto non era rivolto alla persona, per la quale la stima è rimasta intatta, ma all’operato negli ultimi tempi. C’è un tempo per tutto, era arrivato il momento di cambiare. L’Italia è sempre stata un riferimento assoluto nel paraciclismo, alla quale tutti guardano con rispetto e invidia per i titoli raccolti. A Tokyo è andata bene, ma non all’altezza del nostro passato, c’erano delle carenze. Lo sport ad alto livello è come un’azienda, che si misura in base ai risultati».

Il cambiamento c’è stato e a Ostenda, nella prima di Coppa del mondo, avete vissuto l’esordio sotto la nuova gestione. Com’è stato?

Non poteva essere migliore: 16 medaglie in tutto è un gran risultato. Ma vorrei sottolineare che queste sono venute da atleti già a Tokyo e anche da nuove leve, perché il cambiamento era necessario anche in questo senso. Io ho superato da tempo in 50 anni e sono la prima a dire che c’è bisogno di nuova linfa, oltretutto in un quadriennio olimpico molto corto come quello verso Parigi 2024.

Come avete vissuto l’approccio con il nuovo staff?

Posso riassumerlo in una frase: siamo stati coccolatissimi. Abbiamo trovato gente attentissima a ogni nostra esigenza, sensibile alle necessità di ognuno, perfettamente inserita in un ambiente che ha sempre fatto dell’unione la propria forza. Miglior inizio anche da questo punto di vista non ci poteva essere. Per descrivere qual è l’ambiente del paraciclismo credo possa servire un aneddoto.

De Candido Ostenda 2022
De Candido con Pierpaolo Addesi, suo braccio destro, Martino Pini e Federico Mestroni, argento e bronzo a Elzach, categoria MH3
De Candido Ostenda 2022
De Candido con Pierpaolo Addesi, suo braccio destro, Martino Pini e Federico Mestroni, sul podio a Elzach
Sentiamo…

Uno dei nuovi ragazzi arrivati in nazionale aveva vinto l’oro, solo che i giudici inizialmente lo avevano assegnato a un altro concorrente, rivedendo la classifica solo a premiazioni avvenute. Quando è arrivato a cena, appena entrato in sala tutti noi abbiamo intonato l’inno italiano, per provare a fargli sentire quelle emozioni che non aveva potuto vivere sul podio.

C’è quindi una buona commistione tra i “vecchi” e le new entry…

Non potrebbe essere altrimenti, noi siamo i primi a sapere che servono forze nuove. In questo senso la nuova gestione è molto incoraggiante. So che De Candido si sta guardando intorno per portare nel nostro mondo tanti ragazzi, ho letto con interesse l’idea riguardante Samuele Manfredi. Noi da parte nostra possiamo dire che faremo di tutto per rendere ogni ingresso nel gruppo il più semplice possibile e credo che questo ambiente rinnovato potrà portare nuove grandi soddisfazioni.

Porcellato Ruffato 2022
La veneta iridata insieme a Giulia Ruffato, entrambe a podio sia a cronometro che in linea
Porcellato Ruffato 2022
La veneta iridata insieme a Giulia Ruffato, entrambe a podio sia a cronometro che in linea
Che livello di gare hai trovato a Ostenda?

Molto buono, anche se è chiaro che non era un’Olimpiade e molti di quelli che hanno vinto a Tokyo hanno tirato un po’ i remi in barca, cosa normale nell’anno postolimpico. Oltretutto il cammino verso gli ultimi Giochi era stato durissimo, allenarsi nelle “bolle”, stare attenti al minimo contatto che poteva costare la partecipazione… E’ stata pesante a livello psicologico, ci siamo sentiti tutti un po’ scarichi dopo. Anch’io dopo Ostenda prenderò un po’ di riposo, infatti nella seconda tappa a Embach (AUT) sono arrivare forze fresche e il fatto che i risultati siano stati ancora molto lusinghieri conferma il nostro livello generale.

De Candido accennava al fatto che al suo primo approccio è rimasto stupito del livello di professionalità degli atleti…

Il paralimpismo ormai sta diventando professionistico a tutti gli effetti, anche alcune squadre WorldTour hanno la loro sezione paralimpica. Per questo non c’era la possibilità di rimanere fermi, di non cambiare. E’ un treno che non si ferma, dovevamo prenderlo al volo. Di noi si parla molto poco, Paralimpiadi a parte, ma sappiamo di avere gli occhi puntati addosso. Abbiamo sempre avuto una grande squadra, dobbiamo continuare ad averla.

Manfredi 2022

Manfredi sta tornando e punta deciso alle Paralimpiadi

05.04.2022
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Parlando con Samuele Manfredi sembra davvero difficile pensare di essere di fronte a un “millennial”, tale e tanta è la sua maturità. La vita lo ha già messo di fronte a prove terribili, eppure il ligure di Loano non ha mai perso la speranza e l’energia nell’affrontare ogni giornata, ha saputo rinascere come un’araba fenice e davanti a sé ha una grande sfida, quella che sognava da bambino, anche se con modalità diverse. Ma ci arriveremo…

Samuele fino al 10 dicembre 2018 era uno dei più promettenti talenti del ciclismo italiano. Vincitore della Gand-Wevelgem per juniores nello stesso anno, campione europeo nell’inseguimento individuale e argento in quello a squadre, era stato messo sotto contratto dal Team Development della Groupama-Fdj. Samuele si stava allenando d’inverno per farsi trovare pronto all’inizio dell’avventura francese, ma il 10 dicembre si è interrotto tutto.

Un incidente in bici, a Toirano, uno di quelli che riempiono purtroppo le cronache ogni giorno. I danni riportati sono pesantissimi: per giorni Manfredi resta in coma, oltre un mese prima che venga risvegliato. Da lì inizia un lungo cammino di riabilitazione che accompagna tutt’ora le sue giornate, recuperando ogni giorno un piccolo ma fondamentale pezzetto delle sue funzionalità.

Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations
Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations

Un esempio per tanti

Il mondo del ciclismo gli è sempre rimasto vicino, non c’è gara alla quale Samuele assista che non veda tanti protagonisti avvicinarsi e salutarlo, farsi una foto con lui, scherzare insieme (nella foto di apertura Samuele con la deputata francese Christine Cloarec-Le Nabour, erano ospiti d’onore alla Route Adélie de Vitré, prova della Coupe de France vinta da Alex Zingle) perché Samuele non ha perso un’oncia della sua simpatia e non parla mai della sua condizione con toni di autocommiserazione. Nel tempo che la riabilitazione gli lascia, si dedica ad altri ciclisti, amatori e ragazzini e a questi insegna soprattutto come vivere il ciclismo, il che significa anche essere un maestro di vita, trasmettendo quello che per lui è un dogma: «Ho avuto la riprova che la vita è bella in qualsiasi caso».

Ora però c’è un sogno che sta prendendo forma. Un sogno a cinque cerchi, lo stesso che aveva prima di quella maledetta mattina di dicembre: «Rino De Candido per me è stato sempre molto più che il tecnico della nazionale, mi è rimasto sempre vicino. Ora che ha assunto la carica di responsabile del ciclismo paralimpico, mi ha chiesto se me la sentivo di provare l’handbike. Finora non avevo potuto perché le mie condizioni ancora non me lo permettevano, ma ora ho avuto il via libera medico. E’ un cammino lungo quello che mi aspetta, ma voglio provarci. So che Rino mi starà accanto, con Vittorio Podestà che è un nume nel campo e mi ha già accolto nella sua società».

Che cosa rappresenta per te poter tornare a parlare di Olimpiadi?

E’ un passaggio importante nella mia storia, significa un altro passo verso il ritorno alla normalità. Mi permette di restare ancora più legato a quello che è il mio mondo, che non ho mai lasciato.

Nell’ambiente non si è mai smesso di pensare a te e di rimanerti vicino, non capita sempre…

Forse in quel poco tempo che l’ho frequentato da corridore qualcosa avevo trasmesso e questo mi dà molto coraggio: io sono sempre stato uno del popolo, ero anche bravino ma non era questo l’aspetto primario. Non ero certamente uno che stava sulle sue, facevo gruppo e questo è rimasto.

Fare gruppo è un concetto che nel ciclismo attuale si è un po’ perso: ormai molti dicono che in squadra, finita la corsa ognuno sta per conto suo, smartphone alla mano…

Io sono sempre stato contrario: quando eravamo in ritiro dicevo sempre a tutti che quando stavamo insieme dovevamo fare qualcosa insieme. Sono sempre stato convinto che una squadra esiste al di fuori delle gare, prima ancora che in corsa, proprio perché comunicare costa fatica, impegno mentale. Anche piccole cose fatte insieme, alla sera, ti danno quegli automatismi di comunicazione che in corsa saranno fondamentali.

Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Insegni anche questo ai più giovani?

Certamente, ma a tal proposito devo dire che non avrei potuto essere un tecnico senza tutto quel che ho imparato dall’incidente a oggi. Non avevo fatto studi specifici, ma l’esperienza mi ha dato una cognizione scientifica enorme, me ne accorgo su di me e applico quel che imparo sugli altri, facendo la necessaria trasposizione.

Nell’ambiente chi ti è rimasto più vicino?

De Candido innanzitutto che è ben più che un parente, ma anche Marco Villa e la mia vecchia squadra. Non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Ho conosciuto Podestà che nel movimento paraciclistico è un riferimento assoluto. Chi vorrei conoscere è Alex Zanardi che per me è un mito. So che pian piano si sta riprendendo, spero che presto la cosa sia possibile.

La riabilitazione quanto tempo occupa della tua giornata?

Molto, è un vero e proprio lavoro, devo allenarmi muscolarmente e neurologicamente perché non ho ancora recuperato appieno le funzionalità, ma ogni giorno faccio sempre un piccolo passo in avanti. Ora poi che ho un sogno davanti a me, ho ancora più voglia di sudare e faticare, per riprendere quel discorso interrotto anni fa.

De Candido 2020

De Candido: «Se si prendessero ad esempio i ciclisti paralimpici…»

14.02.2022
4 min
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Non c’è dubbio che per Rino De Candido la fine del 2021 abbia portato un cambiamento profondo nella sua professione, ma anche nella sua vita perché quella che traspare dalle sue parole è la sensazione di un uomo nuovo, quasi liberato mentalmente da quelle tensioni che, soprattutto negli ultimi tempi, avevano caratterizzato la sua esperienza fra gli juniores. De Candido è passato al settore paralimpico, scoprendo un mondo completamente nuovo.

Anche se per molti anni ha gravitato nel ciclismo giovanile, De Candido non ha accusato il colpo, anzi si è tuffato con nuovo entusiasmo nel suo nuovo ruolo: «Abbiamo già avuto diversi incontri con atleti e società, abbiamo fatto una prima presa di contatto a Verona a inizio anno e un ritiro di quasi una settimana a Montichiari per la pista. Ecco, proprio il settore della pista è quello sul quale la federazione ha posto l’accento a momento della mia nomina, era stato un po’ lasciato da parte».

Giro handbike
Il Giro d’Italia handbike sarà uno dei momenti chiave della stagione insieme alle prove internazionali
Giro handbike
Il Giro d’Italia handbike sarà uno dei momenti chiave della stagione insieme alle prove internazionali
Effettivamente a Tokyo 2020, a fronte di grandi vittorie e medaglie su strada, su pista non c’eravamo, eppure venivano assegnate tante medaglie…

Infatti la cosa non era passata inosservata e si è capito che bisognava rimetterci mano, con la volontà di rafforzare il settore. Intanto saremo presenti in tutte le grandi manifestazioni, poi vedremo se qualcuno riuscirà anche a staccare il biglietto per Parigi 2024. Il tempo a disposizione è davvero poco, ma chissà, l’obiettivo è quello.

Ti trovi ad affrontare un lavoro molto grande, proprio perché sei entrato all’inizio di un quadriennio olimpico che tale non è.

I tempi sono stretti, per questo non c’era da tentennare. Faremo un raduno al mese fino ai mondiali su pista in ottobre a Roubaix e nel corso dell’anno avrò modo anche di capire questo mondo bellissimo. Un’idea però me la sono già fatta: al di là delle tante vittorie ottenute, dobbiamo alzare l’asticella, avvicinarci agli esempi che troviamo all’estero, dove ci sono team continental dedicati al paraciclismo, tandem con corridori ex pro’, atleti che fanno del ciclismo quasi una professione, con mental coach, nutrizionisti, preparatori. Se vogliamo rimanere al passo dobbiamo adeguarci, non è più un settore promozionale.

Tandem paralimpico
Il lavoro su tandem e prove su pista è un aspetto primario nella scelta federale caduta su De Candido
Tandem paralimpico
Il lavoro su tandem e prove su pista è un aspetto primario nella scelta federale caduta su De Candido
Pensi che in Italia ci si potrà arrivare?

L’interesse della Bardiani è un punto di partenza, collaborerà con una ditta di paraciclismo, questa è la strada giusta. Dobbiamo rendere questo settore quasi a livello professionistico perché gli atleti lo sono già. Ho conosciuto ragazzi con una determinazione spaventosa, ragazzi eccezionali per nulla limitati dai loro incidenti e menomazioni. Ho conosciuto esempi di gente a cui è subito scattato qualcosa. Un termine che si usa spesso quando si parla di questi ragazzi è “normalità”: io posso garantire che sono ragazzi normalissimi, che fanno fronte alle difficoltà del loro stato con una determinazione incredibile. Per questo ho in mente un progetto…

Quale?

Vorrei far allenare i ragazzi insieme a quelli della nazionale normodotati. Sono convinto che la vicinanza farebbe bene a entrambi i gruppi e sarebbe una bella spinta. Ne stiamo parlando.

Qual è lo stato di salute del movimento? Se dal punto di vista dei campioni siamo sicuramente all’avanguardia, come base come siamo messi?

Ci sono tante società, questo dato mi ha favorevolmente impressionato. Anch’io ero abituato a vedere il paraciclismo da fuori, conoscevo qualche personaggio, ma immergendosi nell’ambiente la percezione è diversa. Siamo sicuramente molto ben messi nell’handbike, un po’ meno nel ciclismo paralimpico. Ribadisco però che è ora di fare un ulteriore passo avanti, creare una mentalità diversa, più professionistica, ci sono tutte le possibilità.

Giro d'Onore 2018
Da Cecchetto a Zanardi (qui al Giro d’Onore 2018) i campioni nel paraciclismo non sono mai mancati
Giro d'Onore 2018
Da Cecchetto a Mazzone (qui al Giro d’Onore 2018) i campioni nel paraciclismo non sono mai mancati
Che ambiente hai trovato?

Molto bello, allegro, libero da quei condizionamenti dettati dagli evidenti problemi fisici che ci si aspetterebbe. Non nascondo che, quando mi hanno prospettato l’idea, ho un po’ tentennato, ma a conti fatti sono contento della scelta. Vivono lo sport senza pressioni, eppure hanno una determinazione incredibile, una voglia di arrivare straordinaria. Dico una cosa: se nelle altre categorie mettessero solo la metà della loro determinazione per emergere, saremmo pieni di campioni…

Quali saranno i principali impegni della stagione?

Ci attende un’annata molto ricca, con innanzitutto le prove di Coppa del mondo in Olanda e Germania, gli europei a maggio in Austria, poi un’altra tappa di Coppa del mondo e i mondiali in Canada e infine i mondiali su pista in Francia. Senza dimenticare il calendario normale, le gare praticamente tutte le domeniche. Ci sarà molto da girare per seguire l’attività, ma vorrei che essa fosse seguita di più dai media, che si ricordano di questi ragazzi solo quando portano a casa medaglie olimpiche. Ma questo è un discorso vecchio…

E’ anche vero che finora il ciclismo paralimpico è risaltato soprattutto per le vittorie e i personaggi a cominciare da Alex Zanardi

E’ vero, ma la federazione ora si sta muovendo davvero, ha inserito il ciclismo paralimpico in tutti i settori, sia su strada che offroad. C’è molto da fare, questo lo so e non mi tiro indietro.

L’addio di Podestà: «Senza Alex non vado a Tokyo»

15.01.2021
4 min
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L’handbike di Vittorio Podestà non sfreccerà a Tokyo. Dopo aver filato lesta da Pechino a Rio via Londra e aver portato in dote 6 medaglie (2 per ciascun metallo) in 3 Paralimpiadi, rimarrà nel garage del 47enne ligure che è stato tra i pionieri del movimento in Italia, quando ancora la disciplina era semisconosciuta.

Un altro dei meriti di Vittorio è di aver convinto a gettarsi nella mischia anche quel fenomeno di Alex Zanardi, con cui ha condiviso diverse gioie, la più intensa delle quali quattro anni e mezzo fa in Brasile con l’oro ai Giochi Paralimpici, conquistato nella staffetta a tre insieme a Luca Mazzone. Il sogno era di bissarlo in Giappone, ma dopo l’incidente della scorsa estate, Vittorio ha deciso che era arrivato il momento di dire basta.

A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi nella crono e nella partenza di massa (foto Mauro Ujetto)
A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi (foto Mauro Ujetto)
Ti stai preparando per la Paralimpiade di Tokyo?

Vorrei rispondere di sì, ma alla fine ho deciso di abbandonare. Dopo quanto accaduto a Zanardi, ho fatto la mia scelta e ho deciso di fermarmi a quota tre Giochi: sono soddisfatto così.

Quando hai maturato questa decisione?

Già pochi giorni dopo l’incidente di Alex. Mi sono reso conto che l’unica motivazione era di divertirsi ancora insieme. Andare a Tokyo senza di lui sarebbe stato un po’ come continuare a fare il tuo gioco preferito senza il tuo migliore amico. Ci ho messo un po’ a metabolizzarla, ma alla fine è giunto il momento di renderla pubblica.

Una scelta di cuore, anche perché l’handbike è una componente fondamentale della tua vita.

Ormai sono 17 anni che ci macino chilometri, ho cominciato un annetto e mezzo dopo l’incidente. Gli ultimi 13 li ho condivisi con Alex, per cui si è creato un legame fortissimo e lui è stato determinante per me in tanti aspetti, come quello motivazionale.

Sei contento di dove lasci l’handbike, visto che sei stato uno dei precursori del nostro movimento?

Non mi sento il pioniere, però sono stato il primo italiano a vincere qualcosa di importante a livello internazionale, ovvero un mondiale e la prima medaglia paralimpica. Quando sono arrivato, l’handbike era già presente in Italia da alcuni anni e sono contento di aver contribuito a far crescere il movimento, facendo aumentare il numero dei praticanti. E nel frattempo, è arrivato Alex.

A Rio 2016, Podestà vince l’oro nella crono e nella staffetta con Mazzone e Zanardi(foto Mauro Ujetto)
A Rio 2016, per Podestà oro nella crono e nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
Ricordi gli inizi?

Era nel settembre del 2007, quando mi ha detto che voleva fare la maratona di New York. Io l’ho assecondato, pensando che parlasse di quella del 2008, invece lui pensava al novembre successivo. Gli ho dato una mano a trovare un mezzo e lui si è preparato in un mese. Si è allenato quasi tutti i giorni, ma per fortuna ha dovuto spedire la bicicletta una settimana prima, altrimenti ci sarebbe arrivato troppo stanco. Si preparava come quando doveva fare i giri veloci in pista e io continuavo a dirgli: «Guarda che il motore sei tu, non sei in macchina. Se ti ingolfi, poi non ce la fai a fare 42 chilometri». Da quel momento, si è appassionato tantissimo, migliorando anno dopo anno.

E’ vero che durante il primo lockdown ti motivava?

Avevo già deciso di mollare dopo Tokyo, per dedicare più tempo alla mia famiglia, visto che ho una figlia piccola. Dopo il rinvio della Paralimpiade, gli ho detto che avrei mollato subito. Lui mi aveva fatto desistere, dicendo che aveva progettato una handbike speciale per gli atleti sdraiati come me e che ci avremmo lavorato. Era una bella iniezione di fiducia e lui era quasi contento del rinvio perché aveva deciso come me di smettere dopo Tokyo, per cui vedere la carriera allungarsi di un anno non gli era dispiaciuto.

Podestà ha 47 anni e vive a Chiavari con la moglie Barbara. Hanno una bimba (foto Mauro Ujetto)
Podestà vive a Chiavari con la moglie Barbara e una bimba piccola (foto Mauro Ujetto)
Poi quel maledetto 19 giugno…

Diciamo che la situazione critica è scongiurata. Il recupero sta andando bene e i progressi per il momento sono notevoli. Sarà lunga, ma sono fiducioso.

Le handbike, come delle auto di Formula 1

15.01.2021
3 min
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Abbiamo approfittato dell’incontro con Vittorio Podestà per approfondire alcune tematiche tecniche legate alla handbike e alle categorie paralimpiche.

Ci spieghi come sono divise le categorie?

Inizialmente erano tre: A, B e C. Poi, aumentando il numero dei praticanti, sono diventate cinque, dall’H1 all’H5. Gli atleti sono divisi in base alle capacità residue, dopo essere stati classificati da una commissione medica. Quattro categorie gareggiano da sdraiate, mentre nella quinta, che è quella di Zanardi, gli atleti pedalano su un mezzo definito “inginocchiato”, ovvero con il tronco in avanti.

A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta: Podestà, Zanardi e Mazzoni (foto Mauro Ujetto)
A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
E’ vero che l’handbike ha avuto così tanto successo da attrarre anche i normodotati?

Sì, è stata creata la categoria H0: la Federciclismo italiana ha avuto un’ottima intuizione. D’altronde, pedalare con le mani non è una scelta obbligata, ma può essere un’opportunità. Così è stata creata questa categoria sperimentale, che ovviamente è promozionale e non influenza le gare paralimpiche.

Quanto lavoro d’officina c’è dietro le vostre prestazioni?

Io sono ingegnere e ho capito da subito che c’era tanto da fare perché il nostro è uno sport molto tecnico, in cui molti componenti sono mutuati dal ciclismo, mentre i telai sono più simili a quelli dei kart. Ricordo che la mia prima handbike somigliava a una carrozzina con una ruota in più davanti alla quale era attaccata una catena coi pedali. 

E ora?

Negli anni, è diventata una Formula 1 a pedali, nel vero senso della parola. Sia la mia handbike sia quella di Alex sono state costruite dalla Dallara, con la stessa tecnologia e stessi materiali delle monoposto più famose. Anzi, vista l’esigenza di quantità inferiori, a volte utilizziamo materiali più costosi. Ad esempio, usiamo lo stesso carbonio, con lo stesso tipo di fibre, che viene utilizzato sulla Bugatti. Come le biciclette di altissimo livello, anche le migliori handbike sono disponibili sul mercato, col difetto però che i costi sono maggiori. Sono considerate mezzi ortopedici e non vengono vendute nei negozi tradizionali.

La hand bike è un concentrato di tecnologia di derivazione automobilistica (foto Mauro Ujetto)
La hand bike è un concentrato di tecnologia (foto Mauro Ujetto)
A questo proposito, a chi vuole cominciare, cosa consigli?

Su internet ci sono tanti mezzi usati disponibili. I prezzi sono in proporzione minori, però ci vuole qualcosa di più rispetto ai 400-500 euro che si spenderebbero per una bici usata. Prima di investire sul mezzo, bisogna concentrarsi sull’allenamento perché è l’atleta che fa la differenza.

E come approccio fisico?

Rispetto al ciclismo, in corsa non si fanno salite esagerate, ma percorsi perlopiù pianeggianti. Il chilometraggio poi, è ridotto, e le gare durano al massimo due ore per la prova in linea e mezz’ora per la crono. Come esplosività dello sforzo prestativo e percorsi è simile, con le debite proporzioni, al ciclocross o alla mountain bike Xc.

Per quanto riguarda gli allenamenti su strada, sicuramente c’è ancora molto da fare in tema di sicurezza…

Ci sono gli stessi problemi della bicicletta, con in più il fatto che noi siamo un po’ più bassi, che si può ovviare con luci lampeggianti o bandierine. Più che la visibilità, il problema è che in macchina ormai si fa tutto tranne che essere attenti alla guida. Un conto è non vedere, un altro non guardare. Stanno aumentando le ciclabili ma, come per i ciclisti normali, le velocità da mantenere in allenamento non sono compatibili con il traffico promiscuo che si incontra. Così si rischierebbe soltanto di trasferire il problema e i rischi d’incidente: le ciclabili non sono fatte per l’allenamento degli atleti.