Un paio di guanti, Luca Scinto, Michele Bartoli e la Freccia Vallone: metti tutto insieme e ne esce un bell’aneddoto di ciclismo.
Qualche giorno fa Michele Bartoli ci ha parlato della classica delle Ardenne. Il campione toscano è intervenuto sugli effetti tecnico-tattici che potrebbe avere l’inserimento del quarto passaggio sul Muro d’Huy. Inevitabilmente si finì per parlare anche della sua Freccia Vallone, quella del 1999.
Un’edizione storica, sia perché fu l’ultima ad essere stata vinta con un attacco da lontano e non con la selezione sul muro finale, sia per il maltempo che imperversava ad Huy quel giorno. Vento, neve, pioggia… insomma tipico meteo da Belgio. Ma c’è dell’altro.
Guanti oversize
C’è una storia di un guanto e del suo proprietario, Luca Scinto. Un guanto, anzi, un paio di guanti a dire il vero che iniziarono la corsa con Luca e la finirono con Michele.
«Ricordo – racconta Scinto con grande passione – che cominciava il tempo brutto. Iniziava a nevischiare. Michele ci disse di andare avanti. Avevamo appena superato il penultimo passaggio sul Muro d’Huy. E lì il gioco si faceva duro. Si scendeva decisi. C’erano curve e controcurve, per di più la strada era bagnata. Poi ad un tratto si girava secchi e con questa curva a 90 gradi iniziava la salita».
Scinto è una fonte di particolari. Ancora una volta fa impressione ascoltare certi racconti. I corridori rammentano tutto. A momenti il direttore sportivo toscano ricorda il rapporto che aveva in canna! Parla della salita, al 5-7 per cento di pendenza che fece da antipasto allo scatto di Bartoli.
«Era una salita stretta – prosegue Scinto – Bartoli ci disse di farla forte e che poi ci avrebbe pensato lui. La feci come se il mio arrivo fosse in cima. Quando dovevo fare un lavoro lo facevo al massimo. Ci si mise a tirare. Il gruppo si allungò. Già dopo il Muro d’Huy era bello allungato, figuriamoci in fondo alla discesa. Anche per questo iniziammo la salita forte. Chi era in coda, dopo quella curva a 90 gradi, ancora doveva finire la discesa e chi era davanti invece era già in piena salita. Così io e Coppolillo facemmo a tutta questi cinque chilometri di salita. In cima eravamo rimasti in venti o poco più. Dietro c’era uno sparpaglio della miseria».
La corsa va come vuole Bartoli. Grande ritmo, grande selezione, davanti solo i migliori. E proprio in quel frangente, con il grosso della selezione ormai fatta e il gruppo esploso, Bartoli fa a Scinto: «Luca, mi vai a prendere i guanti lunghi in ammiraglia? Qui comincia a nevicare e fa freddo».
«Come i guanti, Michele? L’ammiraglia sarà chissà dove – racconta Luca – così gli diedi i mei. Infatti se osservate bene, all’arrivo, quando Michele alza le mani, indossa dei guanti troppo grossi. Le miei mani sono il doppio delle sue!».
Mani nude nella neve
Poco dopo lo scambio dei guanti Bartoli attaccò. Andò via portandosi dietro Den Bakker e Camenzind. Li cucinò per bene strada facendo. Mentre Scinto, Bettini e Coppolillo erano dietro che remavano. Nonostante tutto, Luca concluse la sua Freccia al 15° posto.
«Arrivai per la disperazione, faceva un freddo cane a quel punto. Ricordo che a Bettini si girò un dito dal gelo. E infatti si ritirò. Salii sull’ammiraglia di Damiani, mentre Parsani era davanti con Bartoli. Io avevo le mani scoperte e in certe situazioni è la peggior cosa. Non riuscivo più a cambiare. Per togliere il 53, sul Muro d’Huy usai il palmo della mano. All’epoca la leva Shimano dovevi spostarla tutta. E lo stesso per mettere il 28 dietro, ammesso sia stato un 28!».
Mani congelate, ma sorriso in volto, o almeno interiore, per Scinto. Dalla radiolina, ricorda il toscano, arrivò la notizia che Michele, circa 4′ prima di lui, aveva tagliato il traguardo per primo.
Sul bus della Mapei scattarono i racconti, più che la festa. «Quando Bartoli puntava le Ardenne – aggiunge Scinto – di festa se ne faceva poca». La Liegi era lì che lo chiamava e Michele non l’avrebbe mai buttata all’aria per un bicchiere di troppo. Né lui, né i suoi compagni. Compagni che erano amici oltre che gregari. Per di più alcuni di loro erano toscani come lui.
«Ognuno – va avanti Scinto – raccontava la sua. Io dissi che nell’ultima discesa, prima di prendere il Muro, scesi con una mano sul manubrio e con l’altra a riparare gli occhi dalla neve che arrivava forte di traverso. Avevo gli occhiali giù, ormai appannati, quindi con una mano guidavo e con l’altra appunto mi riparavo dalla neve. Per 15 giorni ho avuto i polpastrelli gelati e non sentivo nulla».
Bartoli l’inventore
Scinto spiega che il percorso lo conoscevano, ma non lo avevano provato e riprovato come si fa ai tempi attuali: «Avevamo fatto una ricognizione, ma Michele improvvisava.
«Non era come oggi che i ragazzi si dice di ogni curva, di ogni tombino prima di partire. Poi montano in bici, vanno alla partenza e si sono già scordati tutto. Michele si ricordava quello che serviva. Sapeva quali erano i punti decisivi e su quelli si concentrava. Era un inventore. Quello che gli veniva in mente in corsa, lo faceva. Io credo che se Michele Bartoli avesse corso oggi sarebbe stato un Van der Poel della situazione».
E i guanti che fine hanno fatto?
«Michele – conclude Scinto – me li restituì. Ma fra la trasferta, gli anni e tutto il resto… me ne è rimasto uno solo. La gente non ci crede, ma quel guanto ha vinto una Freccia! Michele fece un numero quel giorno e mi ringraziò. Senza i miei guanti forse si sarebbe congelato e addio Freccia».