GRUISSAN (FRANCIA) – Alberto Contador segue il Tour con Eurosport, che si è accaparrata le sue osservazioni sempre attente e in certi giorni pungenti. A vedere ragazzi come Pogacar e Vingegaard spianare le sue salite, il Pistolero prova sicuramente qualche moto interiore, che si guarda bene dall’ammettere. Però dal tono di voce capisci che se ne morirebbe di avere qualche anno in meno per metterci becco. Ma il tempo è passato e quel che resta è la grande esperienza.
Domenica s’è parlato tanto di Pantani, si è continuato a farlo anche ieri. E Alberto che col mito del Pirata è cresciuto e che nel giorno del Barbotto si è fermato in mezzo ai suoi tifosi rimanendo incantato dalla loro fede, torna sulla sfida fra Pogacar e Vingegaard e i record che ancora cadranno.
Cosa ne pensi di questo Tour e del loro duello?
Penso che stiamo assistendo ad un Tour molto bello. Penso che nonostante la caduta avvenuta al Giro dei Paesi Baschi, Vingegaard sia di nuovo competitivo, quindi penso che valga la pena festeggiare. Altrimenti vivremmo qualcosa di simile al Giro d’Italia. In questo momento c’è emozione, anche se tre minuti sono comunque tanti da recuperare.
Secondo te questo Pogacar è tanto superiore a quello del Giro oppure i due livelli si equivalgono?
Secondo me è migliore, ha tenuto il meglio per il Tour. I suoi sono tutti d’accordo che si trovi nel momento migliore della sua vita e si vede che è più forte. Inoltre penso che Vingegaard stia ottenendo i migliori numeri anche in salita, quindi penso che sia una questione di preparazione. Non credo che lui sia al suo meglio.
Pogacar in salita: che corridore vedi?
E’ un bravo scalatore, ma per me non ha il fisico dello scalatore puro. Penso che abbia così tanto motore, così tanto talento e così tanta classe, che messi tutti insieme gli permettono di scalare i passi più difficili del mondo più velocemente di altri corridori che sono degli scalatori puri. Come Vingegaard, ad esempio, che ha più capacità da scalatore. Jonas ha anche il fisico più adatto, ma qui il discorso si sposta sui watt e in questo momento Pogacar ne ha di più.
Si è parlato del record di Plateau de Beille: quanto incidono su questo le attuali tecnologie?
E’ incalcolabile, una autentica barbaridad. Anche la strada, anche l’asfalto non c’entra niente con quello del 1998. E poi bisogna tenere conto che la salita a Plateau de Beille era perfetta per fare una cronometro. Ha iniziato la Visma. Jorgenson è salito molto, molto veloce. E poi il miglior corridore del mondo per le corse a tappe ha tirato per 6 chilometri con Pogacar alla sua ruota e alla fine Tadej ha continuato. E’ stata una cronosquadre in salita, normale che abbiano battuto il record.
E le biciclette?
Ci stavo arrivando. Tutto questo unito al fatto che le biciclette di oggi sono più veloci e avanzano meglio anche in salita, hanno meno attriti… E’ normale che i record cadano, è qualcosa di naturale.
Pogacar ha 3 minuti di vantaggio ed è convinto che Vingegaard cercherà un solo giorno in cui attaccare a fondo. Mettiti nei suoi panni: cosa faresti?
Attaccherei ogni giorno, ogni occasione e ogni momento. E bisogna lasciarsi guidare anche dall’istinto. Non puoi fare un programma di tre giorni, devi anche vedere come ti alzi la mattina. E il giorno in cui lo vedi meno forte, attacchi.
Lo dice col gesto della mano che scivola in avanti. Chissà se osservando e commentando le fasi di corsa si sia trovato a pensare cosa farebbe lui nelle varie situazioni. Alberto riaprì più di qualche corsa compromessa, ma i tempi sono diversi e la capacità di improvvisare che prima era una dote adesso rischia di ritorcersi contro. Oggi intanto si corre per 177 chilometri fino a Superdevoluy, con tre salite nel finale e un costante crescendo di quota che porta sull’uscio delle grandi salite alpine. E poi non ci sarà più troppo tempo per grandi ragionamenti.
Ripresa rapida per Alaphilippe. Tre settimane dopo la caduta era sui rulli e poi subito si strada. Si è allenato col team a Sierra Nevada. Tour sì o no?
GRUISSAN (Francia) – Ciccone sta nel mezzo, come gli succede da parecchio negli ultimi anni. Voleva fare il Giro d’Italia, ma si è ammalato. Lo hanno portato al Tour per puntare alle tappe e aiutare Tao Geoghegan Hart, uomo per la classifica. Invece il britannico è caduto e Giulio si è ritrovato lui a fare classifica. E così adesso che Silvano Ploner di Rai Due gli chiede se non sarebbe meglio lasciar andare la classifica per puntare a una tappa, lui risponde con ironia.
«No, non è facile – dice l’atleta della Lidl-Trek – non è facile anche perché è sempre una top 10 a un Tour de France. Non va buttata così per andare in una fuga. Ci sono dinamiche un po’ diverse, però vediamo. Niente è deciso, quindi aspettiamo. Oggi è una tappa che tanti sottovalutano, ma sarà una tappa che farà più casino delle montagne. Quindi vediamo quello che succede e poi decideremo».
La partenza da Gruissan è caotica e calda. Le cicale friniscono senza tregua e prima che iniziasse il baccano della carovana si erano prese tutto lo spazio nella gamma dei rumori. I pullman sono arrivati alla spicciolata e quando Giulio ci raggiunge, ha lo sguardo divertito di sempre.
Ti abbiamo visto abbastanza stanco, come stai dopo il giorno di riposo?
L’altro giorno è stata una tappa folle. E’ vero, nell’ultima salita ho pagato qualcosa, però vi assicuro che non è stato un crollo. I miei dati erano buoni, la potenza era buona. Era semplicemente che Il ritmo era troppo alto per le mie possibilità, tutto qui. Ieri è stato un buon giorno di recupero e ora siamo nell’ultima settimana, vediamo cosa si riesce a tirar fuori.
L’idea comunque non era di fare classifica, giusto?
No, il leader era Geoghegan Hart, sulla carta. Arrivavo qui per fare qualche tappa, per riprovare magari la maglia pois. Poi però siamo partiti dall’Italia e, come avevo già dichiarato, volevo vedere come andava la prima settimana e poi decidere. Finora ho avuto delle belle prestazioni in salita, forse la peggiore è stata proprio a Plateau de Beille. Comunque tolti i tre fenomeni, poi il livello è molto bilanciato. Secondo me vale la pena provare a tenere duro. Manca ancora la settimana più dura, quindi se capita l’occasione non voglio tirarmi indietro.
Qualcuno ha detto che, visto il livello che hai in questo Tour, potevi fare un bel Giro.
Mi sarebbe piaciuto e come ho sempre detto, il Giro rimane il mio sogno. Però purtroppo per forza di cose sono già due anni che i programmi saltano. Ma ripeto per me il Giro è il Giro e magari fare un Tour così bene mi darà ancora più fiducia per riprovarci in Italia.
Cos’è che rende il Tour così duro?
Il Tour è il Tour, è micidiale. Non c’è una tappa dove si può stare tranquilli e le velocità sono pazzesche. Lo stress è altissimo, il livello è altissimo: è tutto diverso. Il Tour è una gara completamente a parte, non esiste una gara simile al Tour.
I valori sono buoni, la potenza è buona, quindi si corre guardando i dati sennò si salta?
Diciamo che io non li guardo, cerco di seguire la corsa e non mi lascio condizionare dai dati. Però poi ovviamente si analizza tutto e a leggere ci sono dei valori mostruosi. Ve lo assicuro. Quindi sono contento così.
GRUISSAN (Francia) – Pogacar è di buon umore. Racconta di aver fatto appena un giro con i compagni stamattina (in apertura foto di Alen Milavec) e di essersi fermato in una pasticceria, mangiando – con preghiera di non dirlo al suo nutrizionista – il miglior muffin di sempre.
La maglia gialla si racconta online, come si usa dagli anni del Covid e come le squadre amano fare per non dover allestire una sala in cui accogliere i giornalisti. In più l’impennata di casi di Covid ha indotto ASO a imporre le mascherine ai media che hanno a che fare con gli atleti. Una decisione che la gente comune non capisce, sta però il fatto che per il Covid diversi atleti hanno già dovuto rinunciare alle prove olimpiche.
In questo giorno di riposo hanno già detto la loro Vingegaard e anche Evenepoel. Il belga ha ammesso che difenderà il terzo posto e non vede l’ora di correre l’ultima crono. Dice che ha studiato le tappe che ci attendono e che ieri a Plateau de Beille lo ha motivato il fatto di aver corso più veloce di Pantani.
Pogacar è di buon umore, forte del vantaggio accumulato e della consapevolezza di avere ancora del tempo libero, prima che riprenda la rumba del Tour. «Manca ancora metà del giorno di riposo – sorride – spero che finiremo velocemente la conferenza stampa così potrò rilassarmi nella mia stanza e guardare un bel film…».
Vingegaard ha detto che ieri ha avuto la migliore prestazione della sua vita. Cosa significa per te?
Penso che ieri tutti abbiamo assistito a una delle migliori esibizioni in salita di sempre. Anche per me, quando ho controllato i miei numeri, è stato davvero pazzesco. Soprattutto la parte in cui Matteo Jorgenson e Jonas sono andati in testa, sono stati i numeri più alti che abbia mai fatto nella mia carriera. E’ stato un grande giorno. E si capisce che Jonas è venuto qui preparato a lottare per la vittoria. Ieri finalmente hanno mostrato le palle e hanno colpito forte. Alla fine è stato uno sforzo totale, dal basso e fino alla cima. E’ stata una tappa pazzesca, davvero pazzesca.
Si è molto parlato del fatto che tu abbia battuto il record di Pantani.
Marco Pantani ha fatto la doppietta. Giro-Tour, penso che fosse l’anno in cui sono nato. Purtroppo in Italia Marco Pantani è il dio del ciclismo, ma personalmente non mi piacciono questi confronti. Ci sono quasi 30 anni di differenza, quindi non voglio pensare alla doppietta in termini di un confronto. Mi concentro ogni giorno per raggiungere l’obiettivo in giallo, senza pensare a queste cose.
Hai letto i commenti sui social media?
Ci sono sicuramente commenti negativi, me ne sono reso conto negli ultimi due anni. In nessuna situazione puoi piacere a tutti. Anche se fai tutto alla perfezione, ci sarà sempre qualcuno a cui qualcosa non piace. Per alcuni non va bene se non vinci, per alcuni non va bene se attacchi in quel chilometro. Ci sono venuto a patti. Sui social non seguo quasi nulla, ho persone che mi aiutano in questo, soprattutto su Instagram. Il mio Instagram è una parte di me, sembra piuttosto bello, ma non guardo troppo cosa succede, perché penso che i social network siano una specie di veleno in questo nostro mondo.
La prestazione di ieri a cosa ti fa pensare?
Il ciclismo si sta evolvendo davvero tanto. Quando sei anni fa sono arrivato in questa squadra, non voglio parlarne male, ma era tutto totalmente diverso. Se confronto quest’anno con il mio primo alla Vuelta, allora era quasi tutto dilettantistico, eppure pensavo che fosse molto professionale. Andiamo avanti così velocemente perché le squadre si spingono a vicenda con la tecnologia, la nutrizione, con i piani di allenamento, con i ritiri in altura. Penso soprattutto alla Visma contro UAE e Ineos. Alla Lidl-Trek e alla Soudal-Quick Step. Ci rincorriamo per raggiungere i nuovi limiti. E così ieri abbiamo assistito alla scalata più veloce mai vista. E penso che potremmo vedere qualcosa del genere ogni anno, perché tutti si concentrano così tanto sui dettagli, altri limiti cadranno. Si ragiona su ogni singolo grammo di cibo, dove puoi risparmiare sulla bici. Stiamo andando molto veloci e per me è davvero impressionante vedere come sono cambiate le cose negli ultimi sei anni della mia carriera.
Quali sono gli aspetti che più hanno cambiato le cose?
La nutrizione, per quanto mi riguarda. Sei anni fa, quando ho iniziato, era tutto incentrato sui carboidrati. A colazione si mangiava pasta in bianco, riso bianco e magari frittata. Adesso facciamo una colazione più normale come riso, porridge, fiocchi d’avena. Ancora frittata, pane, pancake e già penso questa piccola cosa faccia la differenza. Per cui non hai più bisogno di mangiare la pasta al mattino. Il cibo è ponderato per la colazione, per la tappa, per il dopo la tappa, per i tempi in cui hai bisogno di mangiare. Quando un anno dopo di me Gorka si è unito al team, il nostro nutrizionista, per me è stato molto difficile seguirlo. Devo dire che ci sono voluti circa quattro anni per iniziare a concentrarmi davvero sul suo piano, perché non è facile seguire mentalmente così tanto l’alimentazione. Questo è stato un grande cambiamento.
E sulle bici?
Ora sono molto più veloci. Penso che le gomme facciano la differenza più grande rispetto a quelle che avevamo sei anni fa, dieci anni fa. Le ruote, l’aerodinamica, i telai. E’ semplicemente incredibile quanto sia diversa la bici adesso rispetto a cinque anni fa.
Ti abbiamo visto parlare più spesso di un tempo con Evenepoel: come è cambiato il vostro rapporto?
Quando lo guardavo in tv, sembrava un vero campione. Uno che non gliene frega niente di nessun altro, che ha sempre fatto le sue cose e vinceva davvero sempre tutto. Fra noi non abbiamo gareggiato quasi mai negli ultimi cinque, sei anni. E ora finalmente ci siamo trovati al Tour de France. Devo dire che in queste due settimane ho sviluppato tanto rispetto nei suoi confronti. Il modo in cui guida nel gruppo, non è nervoso, è davvero rispettoso verso tutti, per cui mi piace correre contro di lui. E’ un corridore di super classe.
Nell’ultima settimana ci sono più montagne che in qualsiasi altra settimana e poi la crono. Ti aspetti attacchi di Vingegaard?
Attaccherà di certo. Non penso che punteranno su entrambe le tappe, venerdì e sabato: penso che si concentreranno su una. Noi proveremo a fare la nostra gara, non credo che possano fare nulla di pazzesco. Siamo fiduciosi di poter andare al nostro ritmo e passare le montagne con quanti più corridori possibile, perché abbiamo una squadra super buona. Ma penso che sicuramente ci proveranno. Jonas ha detto che non rinuncerà alla lotta e penso che sia il giusto modo di pensare e parlare. Sarà una settimana dura in cui sicuramente vedremo molti fuochi d’artificio, da parte di tutti.
La tappa della Bonette può essere un ostacolo, vista l’altitudine e l’arrivo a Isola 2000?
Adoro il Col de la Bonette, è una salita super bella. L’ho fatta per la prima volta l’anno scorso ad agosto e mi è piaciuta. Amo quei passi sulle Alpi e poi la discesa verso Isola 2000, dove ci siamo allenati prima del Tour. Per cui non ho paura né apprensione e non vedo l’ora che quella tappa arrivi. La scalata a Isola 2000 è fantastica, simile a quella del Plateau de Beille. Invece la tappa di sabato è quasi la mia tappa di casa, direi che è la mia tappa di casa. Mi alleno molto su quelle salite. Le conosco molto bene e non vedo l’ora di trovarmi lì il prossimo fine settimana.
Che cosa ti fa paura?
Non so cosa temo di più, credo di non temere nulla. Ci sono ancora sei tappe da percorrere, prima di finire a Nizza con una cronometro davvero dura. Ovviamente non voglio ammalarmi o altro nell’ultima settimana, quindi proviamo a evitarlo. Nel complesso, sta girando molto Covid e molte malattie. Anche in salita, quando le persone sono così vicine, è difficile prevenirlo. Perciò, incrociamo le dita perché vada tutto liscio.
Ci sono corridori malati in gruppo?
Sembra di sì, Covid soprattutto. Il team di Aso ha provato a mettere le mascherine sui podi, dietro il podio e nelle zone con la stampa. Penso che più o meno tutti stiano sperimentando lo stesso Covid che ho avuto anche io prima del Tour. Era una lieve malattia, due giorni in cui mi sono sentito un po’ spento. Niente di veramente pazzesco. Qualcuno ha la febbre o qualcosa del genere, allora forse è meglio fermarsi.
Continui a escludere di andare anche alla Vuelta?
Manteniamo la percentuale del 99 per cento che non ci andrò quest’anno. Più probabile il prossimo.
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