Urano è la prima calzatura Nimbl disegnata e prodotta per il fuoristrada. Utilizzata in ambito ciclocross e gravel race, la Urano porta in dote il design e le peculiarità che hanno reso celebre il brand marchigiano, ambitissimo anche tra i professionisti.
La suola è completamente in carbonio e riprende fedelmente il concetto utilizzato da Nimblanche per le calzature da strada. Vediamo le Urano nel dettaglio.
Van Aert ha collaborato attivamente per lo sviluppo della UranoVan Aert ha collaborato attivamente per lo sviluppo della Urano
Suola Nimbl, garanzia di stabilità e resa tecnica
La forma della suola è uno dei punti forza sul quale si basa il progetto Nimbl, a prescindere dalla calzatura ed alla categoria alla quale appartiene. Oltre ad essere completamente in carbonio, molto rigida, ma anche estremamente confortevole per via del suo design, ha una forma che permette di contenere il piede. Dietro e ai lati, l’estremità corporea non spancia all’esterno della scarpa, a tutto vantaggio del comfort, della resa quando si pedala e della massima trasmissione di energia ai pedali. Grazie al disegno della suola il piede è molto più stabile anche quando ci si alza di sella. Il piede non appoggia all’interno della calzatura, ma alloggia senza costrizioni.
Ovviamente c’è una rivisitazione (rispetto alla suola stradale) che gli permette di interfacciarsi al meglio con l’ambiente off-road. I tacchetti sono in TPU e hanno una doppia funzione. Sono grippanti il giusto e hanno una funzione protettiva. Soprattutto il frontale è un tutt’uno con l’inserto applicato alla punta che funge come un vero e proprio scudo. La predisposizione della suola è SPD.
La forma “comoda” tipica di NimblLa tomaia è applicata a cucita a mano sopra il carbonioTomaia forata e molto sottile negli spessoriLa forma “comoda” tipica di NimblLa tomaia è applicata a cucita a mano sopra il carbonioTomaia forata e molto sottile negli spessori
Tomaia super morbida, traspirante e doppio rotore Boa
La tomaia ha spessori ridotti, DNA Nimbl. Non accumula calore e non si scalda con il sudore, è resistente, sufficientemente elastica e influisce in maniera positiva sul valore complessivo della bilancia, davvero ridotto. Si tratta di 254 grammi dichiarati nella taglia 43.
Il sistema di chiusura è con i due rotori Boa in alluminio. Quello superiore ha il cavo diretto/orizzontale, quello inferiore sfrutta un incrocio. Non ci sono inserti in plastica, ma dei passanti in tessuto (un vantaggio non banale per quanto concerne la comodità). Il prezzo di listino è di 549 euro.
Il carbonio, alto anche nella sezione del talloneI due rotori con incrocio differenziato dei caviI tasselli in TPU applicati e minimali nelle formeIl carbonio, alto anche nella sezione del talloneI due rotori con incrocio differenziato dei caviI tasselli in TPU applicati e minimali nelle forme
Le competizioni e non solo quelle
«Abbiamo investito tempo ed energie – spiega Francesco Sergio, CEO di Nimbl – per studiare una scarpa che non fosse solo una versione gravel di una calzatura Nimbl. Ci siamo concentrati su un prodotto che avesse il carattere, le prestazioni d’eccellenza e le qualità al quale i nostri atleti sono abituati. Dovevamo creare una calzatura in grado di performare su diversi terreni.
Lo studio e la progettazione di Urano hanno richiesto molti mesi e una certa delicatezza nell’affrontare i temi che ci stanno più a cuore: leggerezza, performance ed eleganza. Questi sono i tre fattori che principalmente abbiamo tenuto in considerazione per la sua realizzazione. Il risultato? Una scarpa straordinariamente veloce e versatile, indipendentemente dal terreno su cui si pedala».
Per gli appassionati delle gare gravel la novità di questo inizio 2025 è la rinascita e il ritorno sul mercato di una delle biciclette più iconiche: la SuperX di Cannondale. Il marchio americano, terra dove questa disciplina è nata e ha preso sempre più piede, ha rinnovato questa piattaforma con l’obiettivo di realizzare lo strumento definitivo per combattere sugli sterrati e le strade bianche. Nel 2024 un altro gioiello di casa Cannondale aveva fatto registrare un record incredibile. La SuperSix EVO SE, guidata da Lachlan Morton ha stabilito il tempo più veloce mai registrato per completare la Unbound Gravel.
Lo shooting per la presentazione della SuperX è stato fatto sulle strade de L’EroicaUn modello, quello di Cannondale, leggero e reattivoLo shooting per la presentazione della SuperX è stato fatto sulle strade de L’EroicaUn modello, quello di Cannondale, leggero e reattivo
Anima in carbonio
L’obiettivo che in Cannondale si sono dati, seppur elevato, è di fare un ulteriore passo in avanti nelle prestazioni. La strada scelta è stata quella di voler combinare le competenze e le esperienze derivanti da anni di gare ai massimi livelli con il gravel. Il risultato è la nuova SuperX, un modello che offre prestazioni e velocità mai viste prima.
La combinazione tra l’ingegneria sviluppata nelle corse WorldTour e il mondo gravel si evidenza in un telaio ultraleggero. Ispirato al modello SuperSix EVO, vincitore della maglia a pois al Tour de France 2024. La SuperX combina quindi un peso contenuto con la resistenza necessaria per affrontare anche le sfide più dure.
Un telaio costruito in carbonio capace, grazie alla sua elasticità, di assorbire ogni irregolarità del terreno. Questo è possibile grazie a delle zone di flessione appositamente studiate, nelle quali il tubo sella, il triangolo posteriore e il tubo orizzontale lavorano insieme per assorbire e dissipare le vibrazioni. Un’accortezza che permette al ciclista di migliorare il controllo e al tempo stesso ridurre la fatica.
Il telaio della SuperX ha un peso davvero ridotto, nella taglia 56 rimane al di sotto dei 900 grammiLa versione LAB71 è quella top di gamma, realizzata per rispondere al meglio alle sollecitazioni del terrenoIl telaio della SuperX ha un peso davvero ridotto, nella taglia 56 rimane al di sotto dei 900 grammiLa versione LAB71 è quella top di gamma, realizzata per rispondere al meglio alle sollecitazioni del terreno
Ampia scelta
Il peso del telaio risulta davvero contenuto, gli ingegneri Cannondale nella versione LAB71 SuperX sono riusciti a mantenerlo sotto i 900 grammi nella taglia 56. Questo è stato possibile grazie all’utilizzo di una particolare fibra di carbonio e una nano resina capaci di sviluppare grandi prestazioni di resistenza e compressione.
In Cannondale nel realizzare la SuperX hanno optato per una grande profondità di utilizzo e diversi equipaggiamenti, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle ruote. Il telaio, infatti, può ospitare copertoni fino a 51 millimetri nella parte anteriore e 48 millimetri in quella posteriore. Lasciando, in entrambi i casi, ben 4 millimetri di margine in modo che i detriti non creino alcun impedimento alla ruota. La SuperX riesce a fornire prestazioni di livello anche con pneumatici da 33 millimetri, perfetti per chi ama il ciclocross.
Le taglie disponibili vanno dalla 46 alla 61 e anche in questo caso Cannondale ha voluto fornire ai ciclisti il massimo della sua conoscenza e competenza tecnica. Con la filosofia del Proportional Response ogni ciclista può sperimentare il massimo potenziale della SuperX.
Per la versione SuperX Lab71 il prezzo al pubblico è di 14.999 euro.
Il 22 febbraio ci sarà il Consiglio federale e anche Daniele Pontoni è sulla graticola. E’ confermato fino a ottobre, ma c’è da programmare un intero quadriennio e il discorso è ben diverso. Il tecnico friulano giunge all’appuntamento mettendo sul tavolo quanto fatto dall’inizio del suo mandato, in particolare nel ciclocross e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, con un progresso e un prestigio acquisito che sono frutto di grande lavoro.
Sono i numeri a parlare a favore dell’ex iridato: «Tra ciclocross e gravel abbiamo conquistato ben 21 medaglie, tra le quali metto anche con particolare soddisfazione la Coppa del mondo vinta da Viezzi. Negli ultimi due anni abbiamo vinto due titoli nella stessa categoria e questo non capita spesso, soprattutto fra gli juniores, significa che abbiamo investito bene e che il lavoro a livello giovanile ha funzionato, ma non siamo assolutamente arrivati, c’è ancora tanto da fare».
Stefano Viezzi, friulano come il cittì: con lui e Agostinacchio il futuro è assicuratoStefano Viezzi, friulano come il cittì: con lui e Agostinacchio il futuro è assicurato
La curiosità è che in entrambi i casi non c’è stata la possibilità di difendere il titolo, visto che sia Viezzi che prossimamente Agostinacchio cambieranno di categoria…
E’ vero, ma significa, guardando la cosa da una prospettiva diversa, che l’anno prossimo avremo due campioni a competere fra gli under 23 e penso che sarà una grande opportunità, avremo di che divertirci… Ma io andrei anche oltre perché non abbiamo solo Stefano e Mattia. Credo che la forza vera del movimento è che abbiamo un folto gruppo di corridori di vertice, basti pensare che quest’anno fra juniores e Under 23 siamo andati a medaglia con 5-6 corridori diversi e questa è una novità. Ma io sono convinto che andando avanti questo numero si allargherà ancora.
Una delle caratteristiche di questi anni è stata l’aver voluto coinvolgere sempre più anche gli allievi. Si è sempre detto che a quell’età il ciclismo deve mantenere un preponderante aspetto ludico, ma nel ciclismo attuale così precoce sembra un discorso ormai sorpassato, tu che cosa ne pensi lavorando con loro?
E’ un tema delicato. Io credo che sia così, che ormai gli allievi siano già sotto i riflettori di procuratori e tecnici e la cosa un po’ mi spiace. Secondo me l’aspetto ludico deve continuare a pervadere l’attività non solo alla loro età ma anche dopo e soprattutto bisogna lasciare i corridori liberi di esprimersi. Faccio un esempio: quel che ha fatto Agostinacchio non solo nelle gare titolate, ma soprattutto a Zonhoven non lo insegni in allenamento. Lì c’è molto di lui, della sua fantasia, del suo modo di essere e questa libertà deve sempre rimanere.
Persico a Fayetteville, abbracciata da Pontoni dopo il bronzo iridato 2022Persico a Fayetteville, abbracciata da Pontoni dopo il bronzo iridato 2022
E’ d’altronde fondamentale per allargare la base, continuerai su questa strada?
Se verrò confermato sicuramente, ma io vorrei segnalare che il discorso non riguarda solo noi. Guardate il ranking Uci, tra i nostri, i francesi, lo spagnolo giunto 4° ai mondiali, si vede chiaramente come gli juniores di 1° anno siano subito pronti, molto più di quanto avveniva solo pochi anni fa e noi dobbiamo essere al passo. Ormai i ragazzi non sanno più che cosa sia il timore reverenziale…
Secondo te quanto ci vorrà per trasfondere questa forza d’insieme anche fra gli elite dove ancora siamo lontani da Olanda e Belgio?
Io dico che la distanza è molto minore e si ridurrà sempre meno con atleti come Viezzi, Casasola (io penso farà lo stesso Agostinacchio) che corrono in team esteri abbinando le due discipline. Prima era un tabù, ho visto io stesso tanti talenti lasciare il ciclocross dove avrebbero potuto ottenere tanto: Persico, Toneatti, Paletti, Venturelli e potrei andare avanti a lungo. Finalmente le cose stanno cambiando e questo anche perché finalmente procuratori e tecnici iniziano a sentire le volontà dei corridori.
L’esempio di Sara Casasola, espatriata per correre in un grande team, sarà sempre più imitatoL’esempio di Sara Casasola, espatriata per correre in un grande team, sarà sempre più imitato
Secondo te l’eventuale ingresso nel programma olimpico avrà effetto?
Enorme. Io penso che cambierà completamente la cultura ciclistica anche da noi perché il discorso a cinque cerchi darà un’impronta diversa a tutta la disciplina e saranno sempre di più quelli che vorranno competere ma soprattutto squadre e sponsor che cercheranno quella vetrina. Noi dobbiamo farci trovare pronti.
E per il gravel?
Lì la situazione è più nebulosa perché la specialità deve trovare ancora la sua conformazione. Io aspetto il 22 per metterci mano, ho presentato un piano e vedremo se verrà accettato. E’ chiaro che per ora ci si muove parallelamente alla strada, con molti corridori che dedicano al gravel gli scampoli di tempo e quindi possono agire soprattutto a fine stagione, quando ci sono le gare titolate. Ma una sua conformazione tecnica, fatta di specialisti, la disciplina deve ancora trovarla.
Il gravel si sta evolvendo solo ora, ma secondo Pontoni deve ancora trovare una sua stradaIl gravel si sta evolvendo solo ora, ma secondo Pontoni deve ancora trovare una sua strada
Sinceramente, ti saresti aspettato di arrivare a fine contratto con un bilancio simile?
Scherzi? Se me lo avessero detto avrei messo 1.000 firme… Ma da solo avrei fatto ben poco, con me c’è uno staff che è andato di pari passo, è cresciuto insieme a me e ai ragazzi. Pochi sanno che le gare sono quasi un riposo per noi, è durante le settimane, durante i ritiri e gli allenamenti che si fa il grosso del lavoro ed è il più impegnativo. Ora bisogna tenere la ruota oliata, continuare a investire, avere a disposizione budget adeguati com’è stato in questi anni perché di soddisfazioni possiamo prendercene ancora tante e anche di più.
LALLIO – Davanti a quella che fino a pochi anni fa era la sede di Santini, ora sorge un Trek Store alcui interno sono stati previsti degli uffici. E’ qui che Fabio Felline ritira le due nuove biciclette marchiate Trek: una da strada e l’altra gravel. La prima è una versione personalizzata della Madone, con i colori che vanno dal verde acceso al verde bosco. Appena varchiamo la soglia dello store troviamo Felline alle prese con il meccanico che sta ultimando la preparazione. L’occhio è quello del corridore e la curiosità di sbirciare, vedere e toccare con mano non la si perde in pochi mesi. La carriera finisce, ma il ciclista professionista resterà ancora un po’ anche se piano piano si è già fatto spazio il Felline appassionato di bici.
«Non correre più dopo tutti questi anni – racconta – è sempre un po’ doloroso. Ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto continuare a pedalare con Trek, marchio con il quale ho passato metà della mia vita pedalata. Che in qualche modo continuerà, anche se in vesti totalmente diverse. Quello che posso dire è che mi piacerebbe continuare in maniera coerente rispetto a quella che è stata la mia storia».
Ecco le due nuove biciclette che accompagneranno d’ora in avanti Felline nelle sue usciteLa novità per Felline sarà la bicicletta da gravel, un modo nuovo di vivere questo mezzo
Due bici: una da strada e l’altra gravel…
L’accordo era questo, il modello da strada mi rappresenta un po’ di più, mentre la gravel è legata al nuovo modo di vivere la bici. Le attività che oggi vengono spinte maggiormente sono in questo settore. E’ un mondo abbastanza nuovo, ho fatto una gara gravel quando ero professionista me per il resto non l’ho mai usata. E’ un mondo in continua espansione e si vede la volontà di costruire degli eventi per questa disciplina.
Un modo diverso di vivere la bici, come lo vedi?
Vedendo i problemi legati al traffico e alla strada il gravel diventa un modo per continuare a pedalare, ma in un ambiente diverso.
Ultimi ritocchi alla Trek Madone Project One prima della consegna a FellineUltimi ritocchi alla Trek Madone Project One prima della consegna a Felline
Torniamo alla Madone Project One e al suo colore particolare…
Nasce da un fatto un buffo: quando vinsi la maglia verde alla Vuelta del 2016 la conquistai tra la penultima e l’ultima tappa. Quindi non c’era stato modo di fare la bicicletta celebrativa. Così quando ho parlato con Rudy Pesenti (Marketing Specialist di Trek, ndr) e mi ha detto che avrei potuto scegliere il colore mi sono detto: «E’ il momento giusto per farla verde». Manca la tonalità ufficiale della Vuelta ma va bene così.
Come cambierà il tuo modo di andare in bici ora?
Durante l’inverno non mi andava di uscire con la vecchia bici da professionista, aspettavo una svolta e questa è la giusta occasione. Sicuramente cambierà qualcosa anche nel modo in cui mi approccerò al tutto. L’altro giorno sono stato con Davide Martinelli per vedere una zona dove fare un ritiro ad aprile con il suo podcast: Chiacchiere a Pedali.
Il colore del telaio, verde, è stato scelto da Felline stesso in ricordo della maglia verde vinta alla Vuelta nel 2016Il colore del telaio, verde, è stato scelto da Felline stesso in ricordo della maglia verde vinta alla Vuelta nel 2016
Un modo per portare la tua esperienza…
A mio modo di vedere il dopo carriera lo puoi dividere in tre: rimani nel mondo delle corse con un altro ruolo, ti stacchi totalmente, oppure fai qualcosa nel ciclismo ma in un’altra veste e per altre categorie. In questa fase di transizione in cui voglio capire anche se il mondo delle corse mi mancherà voglio viverlo così.
Dopo 25 anni di ciclismo fatto in un determinato modo, qual è la cosa che ti incuriosisce di più?
L’ho sempre vissuto con un obiettivo, ogni pedalata era destinata a massimizzare il mio rendimento. Quello che mi incuriosisce è se troverò qualcosa che mi darà lo stesso stimolo in termini di obiettivi.
Il corridore che c’è in Felline non è ancora sparitoPrima di salire in sella un ultimo controllo alle misureIl corridore che c’è in Felline non è ancora sparitoPrima di salire in sella un ultimo controllo alle misure
La prima uscita che pensi di fare con queste nuove bici qual è?
Appena possibile farò un giro intorno a casa, nelle colline di Torino con la massima libertà. Quindi se quel giorno voglio sentire il sapore di sangue perché voglio fare uno scatto, lo farò. Altrimenti mi fermerò in un baretto in collina perché fanno un panino buonissimo con prosciutto e maionese.
Senza più vivere con la testa sul manubrio o sulle tabelle di allenamento.
La cosa limitante era che di base vedevi un sacco di posti, ma non li osservavi mai. Da ciclista puoi dire di aver visitato mezzo mondo, ma non che lo hai conosciuto bene. Questo vale anche per la collina dietro casa e al baretto di prima, dove non mi sarei mai fermato. Era un posto per cui passavo e subito andavo via.
Ora per Felline inizia un nuovo capitolo: vivere la bici con serenità e spontaneitàOra per Felline inizia un nuovo capitolo: vivere la bici con serenità e spontaneità
Hai già pensato a come userai la bicicletta da gravel?
Penso che mi piacerà di più, dopo una vita su strada a provare le sensazioni dell’asfalto, ogni volta che esci con la gravel trovi qualcosa di diverso, lo hai vissuto talmente poco che è la novità. Umberto Marengo, che finita la carriera su strada si è messo in gioco nel gravel, ha già provato a convincermi a correre con la sua squadra, ma non sono sicuro. Per ora voglio togliermi dalla competizione.
La curiosità ti rimane nel vedere, provare, testare?
Sì, sì, assolutamente. Con la bici da gravel voglio provare a pedalare sulle strade bianche, anche in montagna per vedere come risponde e divertirmi.
Campionessa italiana: se a inizio stagione avessero pronosticato questo, a Carlotta Borello (in apertura, foto Lisa Paletti), sarebbe scoppiata a ridere, nonostante il suo incedere dominante durante l’ultimo Giro delle Regioni abbia accresciuto notevolmente le sue quotazioni. Al suo primo anno da Elite, la portacolori del Team Cingolani ha raggiunto in breve la cima del movimento italiano, cogliendo di sorpresa molti addetti ai lavori.
La Borello a Benidorm, dove domenica scorsa ha centrato un’ottima 15esima piazzaLa Borello a Benidorm, dove domenica scorsa ha centrato un’ottima 15esima piazza
«Ero partita per guadagnarmi un posto sul podio tricolore – racconta la ventitreenne piemontese – ma vincere non lo ritenevo possibile, considerando che avversarie come Casasola e Baroni fanno attività all’estero, quindi erano quasi sconosciute per me in quanto a livello qualitativo».
Andiamo alle origini della Borello ciclocrossista…
Ho iniziato come gioco, un’occasione per divertirsi durante l’inverno senza abbandonare la bici. Mi dedicavo prevalentemente, da ragazzina, alla strada e il ciclocross era un ottimo sistema per tenermi in allenamento. Gareggiavo nelle prove giovanili dei trofei Lombardia e Piemonte, vedevo non solo che andavo bene, ma che era un’attività che mi prendeva sempre di più. Con Cicli Fiorin ho trovato la massima disponibilità verso la multidisciplina, è arrivato anche il secondo posto tricolore da junior 2° anno, le prime convocazioni in nazionale e da lì è stato sempre un crescendo.
La Borello ha militato fino allo scorso anno nella DP66, centrando il podio tricolore nel 2024La Borello ha militato fino allo scorso anno nella DP66, centrando il podio tricolore nel 2024
Tu hai cambiato squadra quest’anno, fino allo scorso eri alla DP66, come ti trovavi?
Sono stata sempre molto bene, soprattutto il primo anno quando Daniele Pontoni era ancora al vertice del team, poi approdando in Federazione ha dovuto passare la mano. La qualità e soprattutto la professionalità non sono però mai venute meno. E’ un ottimo team per crescere, considerando che io vengo da una realtà geografica come il Piemonte dove non c’è una tradizione di grandi squadre, ma sentivo alla fine che avevo bisogno di cambiare qualcosa, soprattutto in corrispondenza del cambio di categoria.
A oggi ti senti più ciclocrossista o stradista?
Sicuramente più ciclocrossista, o meglio ho intenzione di fare di questa attività quella principale, il che significa che dall’estate si comincerà a pensare già alla nuova stagione. Su strada mi destreggio abbastanza bene soprattutto se i percorsi sono vallonati, selettivi, con qualche salita dove poter smuovere le acque. Visti comunque i risultati invernali, devo dare la precedenza a questi e infatti ne ho già parlato con il team.
Con la BTC City Ljubljana la Borello ha colto più soddisfazioni nel gravel, su cui vuole investireCon la BTC City Ljubljana la Borello ha colto più soddisfazioni nel gravel, su cui vuole investire
Su strada con chi corri?
Nell’ultima stagione ho militato nella BTC City LJubljana, ma più che su strada ho ottenuto risultati migliori nel gravel, come il secondo posto al Giro Sardegna Gravel, prova delle World Series e anche ai campionati italiani. Quest’anno ho deciso di rimanere al Team Cingolani anche nella stagione primaverile ed estiva, farò un’attività differenziata con qualche uscita sia su strada che in mtb, ma punto più sul gravel. Dovremo comunque metterci al tavolino per studiare un calendario compatibile.
Ora arrivano i mondiali. Tu, anche nelle uscite internazionali che hai fatto te la sei cavata bene ma ancora non sei approdata in nazionale, pensi che la maglia tricolore sia sufficiente per guadagnarti la selezione?
La speranza c’è, inutile negarlo, ma le scelte spettano al cittì che nei miei confronti è sempre stato premuroso. Di una mia partecipazione si è anche parlato, ma finché non c’è nulla di ufficiale non mi voglio illudere. Nelle occasioni in cui ho potuto gareggiare fuori dai nostri confini credo comunque di essermela cavata bene e saprei onorare al meglio la maglia azzurra.
Per la piemontese già numerose presenze in nazionale, ma non quest’anno, a dispetto dei risultatiPer la piemontese già numerose presenze in nazionale, ma non quest’anno, a dispetto dei risultati
Tra l’altro hai portato a casa anche qualche buon risultato, come il 18° posto in Coppa del mondo a Namur e il 15° a Benidorm, pur partendo dalle retrovie…
Spero che questi siano buoni biglietti da visita. Il team ha voluto investire su di me facendomi fare le prove di Coppa del periodo delle Feste, per darmi la possibilità di salire nel ranking, di affrontare il livello più alto possibile perché è solo così che si cresce. Io credo di essermela cavata bene, partendo dalla quarta fila ho pensato soprattutto a un primo giro senza errori per poi iniziare la rimonta, evitando i fuorigiri che in quei contesti si pagano caro. Sono andata sempre migliorando, spero che significhi qualcosa…
Cosmonauts, i nuovi Lander, dedicati al gravel. Leggeri e confortevoli offrono un'ampia veduta. Ottimi oer ogni tipo di attività, facilmente richiudibili
Il test completo di Olympia Challenge (versione gravel). E' la bici usata nel ciclocross da Filippo Fontana e disponibile nella versione con allestimento dedicato al gravel, noi abbiamo provato quest'ultimo. Challenge si dimostra una bici che si spinge verso l'agonismo, o comunque un prodotto dedicato a chi ama spingere sui pedali e divertirsi aprendo il gas. Compatta e agile, divertente e reattiva, ma soprattutto con un prezzo davvero interessante e alla portata di molti.
Olympia Challenge è una gran bicicletta e una volta portata sullo sterrato non ha paura di nulla, un mezzo sul quale è semplice fare affidamento. E’ usata (e vincente) in ambito ciclocross da Filippo Fontana, è un bel cavallo di razza quando i percorsi gravel obbligano ad una velocità maggiore.
Comoda sì, ma fino ad un certo punto, perché il DNA corsaiolo e spinto non si nasconde. L’abbiamo usata e provata in configurazione gravel, dove il giusto setting in fatto di ruote e coperture fa la differenza. Entriamo nel dettaglio della nostra prova.
La Challenge in versione gravelLa Challenge in versione gravel
Il nodo sella by Olympia
I dettagli di telaio e forcella sono tanti e ognuno ha un compito ben preciso. Quello che colpisce maggiormente però tutto il blocco del nodo sella, ovvero il punto di unione tra gli obliqui, il piantone e l’orizzontale, naturalmente il seat-post.
«La chiusura sella è originale Olympia – argomenta Alberto Pizzo, designer e project manager Olympia – e viene usata anche su altri modelli e-bike che abbiamo. Aiuta ad aumentare il raccordo del tubo per irrobustire il telaio e mantiene una linea filante ed integrata senza rinunciare a praticità e sicurezza. La scelta del diametro 30.9 nasce per dare la possibilità a chi volesse di montarla anche con il reggisella telescopico. Questo modello viene venduto anche come kit Telaio e prevede uno sportellino per nascondere l’attacco deragliatore, nel caso si volesse montare la corona singola. La bici è compatibile per la trasmissione meccanica ed elettromeccanica».
Il comparto centrale è unico nel suo genereFoderi obliqui spanciati verso l’esterno e reggisella da 30,9 millimetriCarro ribassato e bici slopingIl comparto centrale è unico nel suo genereFoderi obliqui spanciati verso l’esterno e reggisella da 30,9 millimetriCarro ribassato e bici sloping
La Challenge in test
Una taglia media che offre degli spunti interessanti anche sotto il profilo geometrico. Ha due valori, reach e stack in linea con la categoria, rispettivamente 39 e 55 centimetri, un carro compatto a 42,5 centimetri ed un passo complessivo di 101,2 centimetri, decisamente corto per essere una gravel. Siamo alla stregua di alcune bici road endurance di nuova generazione. Non è un fattore secondario e si riflette in modo esponenziale su una bici estremamente reattiva, agile e briosa, tutto pepe e da tenere per le briglie quando si affrontano tratti particolarmente scassati.
Telaio e forcella in carbonio (un blend di fibre lavorate con tecnologia monoscocca), attacco e manubrio in alluminio, così come il reggisella, tutto X-Feel. La sella è una San Marco GND. La trasmissione è Shimano GRX 2×12 di matrice meccanica (che funziona a meraviglia) 48/31 e 11/36. Anche l’impianto frenante è GRX con cerchi da 160 di diametro. Le ruote sono il risultato di un assemblaggio che ha l’obiettivo di dare sostanza e contenere il prezzo. Cerchio in alluminio X-Feel tubeless ready e mozzo Shimano. Le coperture sono Schwalbe G-One Bite TLE (tubeless). Il peso rilevato è di 9,8 chilogrammi (senza pedali). Prezzo di listino di 2.585 euro.
Si nota lo sterzo bello dritto/verticale. L’orizzontale ha una sede per una piccola borsaI foderi della forcella, sovradimensionati nella parte altaTesta della forcella abbondante con ampio passaggio per la gommaScatola sovradimensionata e verticale non asimmetricoTerzo portaborraccia sotto l’obliquo e accesso semplificato per cavi/guaine che possano dal centraleGRX posteriore con la frizione e 12 rapportiIl dearagliatore è posizionato in una sorta di incavoNel caso si utilizzi la monocorona la sede del deragliatore viene chiusaSezione squadrata per il terminale dei foderi bassi e obliquiI cerchi in alluminio, quelli in dotazione e gomme tubeless da 40Si nota lo sterzo bello dritto/verticale. L’orizzontale ha una sede per una piccola borsaTesta della forcella abbondante con ampio passaggio per la gommaI foderi della forcella, sovradimensionati nella parte altaScatola sovradimensionata e verticale non asimmetricoTerzo portaborraccia sotto l’obliquo e accesso semplificato per cavi/guaine che possano dal centraleGRX posteriore con la frizione e 12 rapportiIl dearagliatore è posizionato in una sorta di incavoNel caso si utilizzi la monocorona la sede del deragliatore viene chiusaSezione squadrata per il terminale dei foderi bassi e obliquiI cerchi in alluminio, quelli in dotazione e gomme tubeless da 40
Una bici tutte pepe
Come accennato in precedenza, la Challenge è un bel cavallo di razza, il DNA spinto verso le gare si percepisce, si sente parecchio. Le versione in test non è una bici banale, anche se l’allestimento non rende completamente merito ad un kit telaio molto, molto interessante. E’ veloce e agile, soprattutto nei contesti più tecnici dove è fondamentale avere un mezzo preciso e semplice da “far girare” negli spazi più stretti (che in ambito ciclocross non è un dettaglio, ma anche nei contesti gravel può fare una grande differenza). Davanti però è da tenere e assecondare, perché la sua briosità non è celata. Bello tosto anche il comparto centrale, che sotto il profilo della resa tecnica rispecchia un impatto estetico muscoloso che non passa inosservato.
La zona del nodo sella e tutto il piantone smorzano poco o nulla, dedicati a chi piace “sentire” la bicicletta. I vantaggi si sentono soprattutto in salita e quando si rilancia da seduti e si alza il ritmo. Zero flessioni e ondeggiamenti, zero dispersioni.
In salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posterioreIn salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posteriore
Fra gomme e pressioni
Comparto ruote a parte, che per essere un prodotto entry level non è affatto male, soprattutto in ottica training e gravel invernale, la Olympia Challenge necessita di un setting adeguato derivante soprattutto dalle pressioni degli pneumatici. Qualche “zero-virgola” di bar in meno per sfruttare una maggiore fase ammortizzante, un galleggiamento accentuato sullo sterrato (e sul fango) e per dare respiro ad una zona lombare che è sollecitata.
La Challenge è una bici gravel che strizza l’occhio alle gare e la customizzazione adeguata di ogni singola parte è un aspetto che non deve passare in secondo piano. A prescindere, sposiamo a pieno la scelta di usare pneumatici tubeless da 40 millimetri di larghezza su un mezzo del genere.
Corsaiola, ma non estremaCorsaiola, ma non estrema
In conclusione
Un applauso ad Olympia. Un 10 pieno al progetto e una lode a chi a disegnato la Challenge, che a prescindere dall’utilizzo e dall’interpretazione è una bici con un design e forme proprie che si distingue dalle altre. Mette qualche accento anche sulla resa tecnica, perché non fa nulla per nascondere il DNA race e quella compattezza che non guasta mai, neppure su asfalto. Sui tratti di bitume sembra una bici da strada a tutti gli effetti, con una capacità di rispondere ai cambi di ritmo che è degna di nota.
L’allestimento è più che efficiente, ma in ottica risparmio di peso e sfruttabilità completa del kit telaio un upgrade sarebbe necessario. Nel complesso il rapporto qualità/prezzo della bici completa è molto buono, diventa eccellente se consideriamo i 1.825 euro del frame-kit.
CADRO (Svizzera) – Il nostro ultimo appuntamento prima della pausa natalizia lo abbiamo dedicato alla scoperta di Challenge, marchio di riferimento nel mondo delle coperture strada, ciclocross e gravel. L’appuntamento era fissato per le 10.30 di un giovedì mattina particolarmente uggioso. Siamo a Cadro, a nord di Lugano, e ad accoglierci sono in ordine alfabetico Riccardo Brauns, Assistente amministrativo, Gianluca Modesti, Coordinatore tecnico e Responsabile delle sponsorship, Andrea Murianni, Sales Manager.
Siamo nell’ufficio commerciale di Challenge, in una delle sedi dell’azienda. Le altre sono in Thailandia, dove si trova la sede produttiva, a Montignoso, in provincia di Massa-Carrara, c’è la sede italiana, a La Spezia si trova il magazzino europeo, e infine in California gli uffici della sede americana.
La sede produttiva di Challenge si trova in ThailandiaLa sede produttiva di Challenge si trova in Thailandia
I “primi” 25 anni
A rompere il ghiaccio è Riccardo Brauns che ci racconta le origine del marchio. A fondarlo nel 2000 è stato suo padre Alessandro, insieme ad un amico e socio scomparso purtroppo pochi mesi dopo. Nel 2025 l’azienda festeggerà un compleanno importante visto che saranno passati 25 anni dalla sua nascita. Al momento non sono previsti festeggiamenti o iniziative particolari per questa particolare ricorrenza, ma nulla però è da escludere.
Come anticipato, la sede produttiva si trova in Thailandia, esattamente a Ban Chang, nella provincia di Rayong. Qui alcune delle più importanti aziende che utilizzano la gomma naturale per la produzione di pneumatici per biciclette hanno la loro sede produttiva. Fin dalla sua creazione, la sede di Ban Chang si è caratterizzata per essere una fabbrica completamente elettrica dove non è previsto l’utilizzo di sostanze fossili e inquinanti per il suo funzionamento. Qui oggi lavorano più di 70 operai, anzi “artigiani”, come ci tiene a sottolineare Riccardo Brauns.
«Challenge è un’azienda familiare che si basa sull’operato di artigiani che realizzano con le loro mani prodotti estremamente performanti utilizzando materiali naturali di prima qualità».
Nella realizzazione dei pneumatici sono previsti dei procedimenti in cui la componente umana è ancora fondamentale e necessità di una maestria che non è assolutamente fuori luogo definire artigianale. Anche per questo a chi lavora in Challenge è riconosciuto un ruolo centrale nella sua crescita e sviluppo della stessa azienda.
Challenge si basa sull’operato di artigiani che realizzano i prodotti a manoChallenge si basa sull’operato di artigiani che realizzano i prodotti a mano
Dal ciclocross al gravel
Challenge è da sempre legata al mondo del ciclocross. Tanti campioni hanno gareggiato e vinto utilizzando coperture Challenge. Negli ultimi anni l’azienda ha accompagnato Tom Pidcock in tutti i suoi trionfi, a partire dal titolo iridato ottenuto dal britannico negli under 23 fino alla maglia di campione del mondo elite vinta nel 2022 a Fayetteville.
Da sempre attenta alle evoluzioni del mercato, oggi Challenge ha deciso di entrare in maniera importante anche nel mondo del gravel, una disciplina in costante crescita, e l’ha fatto con una gamma di coperture estremamente performanti.
«Abbiamo deciso di trasferire nel gravel l’esperienza che abbiamo maturato in tutti questi anni nel ciclocross – ci racconta Gianluca Modesti – portando nel gravel lo stesso confort e la stessa affidabilità presente nelle nostre coperture da ciclocross, aumentando la protezione dalle forature. In questo momento stiamo lavorando per ampliare la nostra offerta in questo settore».
Il Natale del ciclocross
Il periodo natalizio è sempre un momento di grande festa per gli appassionati di ciclocross. Si è partiti sabato 21 dicembre con la coppa del mondo a Hulst in Olanda e si arriverà con un calendario fittissimo di appuntamenti fino al 5 gennaio con la prova di Derdemonde. In mezzo altre nove gare di ciclocross, fra coppa del mondo, Exact cross, Superprestige e X2O Trofee. Per chi non può essere in Belgio non resta che mettersi davanti alla TV per godersi lo spettacolo.
Proprio il ciclocross ci offre lo spunto per parlare del rapporto fra Challenge e gli atleti sponsorizzati. Qui sale simbolicamente in cattedra Gianluca Modesti grazie al suo ruolo di Coordinatore tecnico e Responsabile delle sponsorship.
«Per noi è fondamentale il rapporto con gli atleti. I loro feedback sono estremamente importanti in fase di sviluppo del prodotto. Ad alcuni atleti selezionati forniamo in anteprima dei prototipi che vengono utilizzati anche in gara. Nulla è infatti meglio della gara per capire come una copertura risponda alle sollecitazioni. E’ avvenuto così anche per il Flandrien che abbiamo presentato in anteprima in occasione di Eurobike».
Il marchio Challenge è famoso nel ciclocross, quest’anno ha affiancato Thibau Nys in diversi successiIl marchio Challenge è famoso nel ciclocross, quest’anno ha affiancato Thibau Nys in diversi successi
Tripletta europea
Tra i campioni di ciclocross che utilizzano coperture Challenge, e che l’azienda ritiene essere degli ottimi tester, vanno segnalati Pim Ronhaar, Annemarie Worst e Thibau Nys. Quest’ultimo è stato di recente protagonista di una storica “tripletta Challenge” ai campionati europei di Pontevedra in Spagna. Nell’occasione Challenge ha accompagnato sul gradino più alto del podio lo stesso Nys nella categoria elite, il belga Jente Michels e la francese Celia Gery, entrambi nella categoria Under 23.
Uno dei nomi più in vista associati a Challenge è quello di Tom Pidcock, campione del mondo di cx nel 2022Uno dei nomi più in vista associati a Challenge è quello di Tom Pidcock, campione del mondo di cx nel 2022
Presenza alle gare
Challenge garantisce il suo supporto in gara agli atleti sponsorizzati. Nelle occasioni più importanti è l’azienda stessa ad essere presente in prima persona. Negli altri casi si avvale di collaboratori locali. Fra questi merita di essere citato l’ex crossista Vincent Baestaens, che fornisce il suo supporto tecnico agli atleti in occasione delle gare che si tengono in Belgio e Olanda.
Restando al ciclocross, segnaliamo che Challenge è stata protagonista nel ruolo di sponsor della gara in occasione della prova di coppa del mondo che si è svolta ieri a Besançon in Francia. Come ci hanno raccontato Riccardo Brauns e Gianluca Modesti, il mercato francese è decisamente molto importante per Challenge. A ciò si aggiunge il fatto che da anni la stessa Challenge collabora con la società che organizza la prova transalpina.
La nostra chiacchierata si conclude con gli immancabili auguri per le festività natalizie, ma soprattutto con la convinzione di aver conosciuto meglio un’azienda dal respiro internazionale ma con un cuore molto italiano, un concetto questo emerso molte volte in occasione del nostro incontro.
Luca Bramati era a Tabor per il 1° turno di Coppa del mondo, dato che fra le junior correva anche sua figlia Lucia. Ecco cosa pensa della gara degli elite vinta da Vanthourenhout
Nuova Manto, stile e performance nel gravel secondo Aurum. La prima bici gravel dell'azienda spagnola nasce con una forte connotazione corsaiola, fattore che parte integrante del DNA di Aurum. Il layup del carbonio è specifico per il gravel, ma il design e le forme non mentono, lo zampino di Contador si vede. La Manto ha debuttato per la prima volta alla massacrante Badlands.
MISANO ADRIATICO – Aurum Manto è una chicca, una bicicletta che nasce in modo specifico per il gravel, per chi vuole competere in questa disciplina ed affrontare anche le prove endurance / ultracycling più iconiche che meglio rappresentano il gravel.
La Manto si basa su un telaio full carbon costruito secondo i canoni e le specifiche Aurum. E’ così anche il design e l’impatto estetico, tra eleganza e raffinatezza, essenzialità e quel pizzico di aggressività che si percepisce da alcuni dettagli. Vediamo le peculiarità della Aurum Manto.
Attacco alto degli obliqui e passaggio ampio per le gommeTesta generosa della forcella e sterzo con sedi da 1″1/2Attacco alto degli obliqui e passaggio ampio per le gommeTesta generosa della forcella e sterzo con sedi da 1″1/2
La prima gravel di Aurum
Dopo aver presentato la nuova versione della Magma ed essere stati a diretto contatto con Il Pistolero, Alberto Contador, avendo toccato con mano il suo essere esigente in fatto di tecnica del mezzo, ci viene da pensare quanto ha fatto “tribolare” gli ingegneri per lo sviluppo della prima gravel del marchio spagnolo.
«Le richieste di Alberto sono state severe», ci racconta Juanjo Pereira, responsabile marketing Aurum, persona che lavora a stretto contatto di Contador. «Le linee guida del progetto gravel sono state chiare fin da subito, ovvero disegnare una bici con forme in grado di richiamare la famiglia Aurum, ma con le specifiche adatte per fare gravel. Competere ed essere veloci in ambito off-road.
«Zero compromessi – conclude Pereira – per un perfetto matching tra performance, qualità superiore dei materiali epiena sfruttabilità del mezzo anche sulle lunghe distanze, dove anche l’aerodinamica gioca un ruolo fondamentale. Il banco di prova ultimo è stato la massacrante Badlands e le risposte del mezzo sono state eccellenti, hanno sorpreso noi per primi».
Juanjo Pereira di Aurum con la bici usata per la BadlandsJuanjo Pereira di Aurum con la bici usata per la Badlands
Il richiamo alla Magma è forte
La tecnica di costruzione utilizzata per la Manto è la medesima utilizzata per la bici da strada, ma con un layup customizzato delle fibre di carbonio. L’obiettivo è renderla più resistente, ma anche confortevole il giusto: capace di copiare il terreno e dissipare buona parte delle vibrazioni. Per i disegni di ogni singola tubazione sono stati utilizzati due modelli differenti di software. Per l’avantreno e la sezione centrale i CFD combinati con i modelli FEA per dimensionare gli spessori nella maniera adeguata.
Inoltre anche la Manto adotta alcune soluzioni dei componenti, come la Magma, tanto moderne, quanto efficienti e votate a “non complicare” eccessivamente il progetto. Ad esempio il reggisella rotondo da 27,2 millimetri di diametro, le sedi T47 filettate per il movimento centrale. A queste si aggiunge anche il forcellino UDH che diventa sempre più una sorta di standard internazionale.
Le uniche rivettature presenti sulla MantoBlocchetto integrato per la chiusura del reggisellaIl carro posteriore scende in modo limitato verso il basso ed è piuttosto compattoScatola massiccia quella del movimento centraleLe uniche rivettature presenti sulla MantoBlocchetto integrato per la chiusura del reggisellaIl carro posteriore scende in modo limitato verso il basso ed è piuttosto compattoScatola massiccia quella del movimento centrale
Borse sì, ma in ottica gara
Le uniche rivettature filettate che supportano un piccolo bag sono quelle presenti sulla tubazione orizzontale. La Aurum Manto nasce per essere competitiva e meno si adatta a un utilizzo bikepacking.
Si possono montare borse fascettate alle tubazioni o applicati con i cinturini a velcro, non si prevedono fori sugli steli della forcella, all’interno del triangolo e sui profilati del carro posteriore. La tolleranza massima dichiarata per il passaggio degli pneumatici, anteriore e posteriore è di 45 millimetri.
L’allestimento con ruote Zipp e trasmissione ForceLa gialla, quella con il pacchetto Shimano e doppia coronaL’allestimento con ruote Zipp e trasmissione ForceLa gialla, quella con il pacchetto Shimano e doppia corona
In cinque misure
Le taglie disponibili sono cinque, dalla 48 alla 58. Gli allestimenti sono diversi e cambiano molto in base alla tipologia di ruote. Tutti si basano sulle piattaforme Shimano GRX Di2 a 12 rapporti e doppia corona anteriore, sul pacchetto Sram Force AXS con monocorna ed lo Sram Rival. I prezzi di listino per la bici completa partono da 5.746 euro.
Cosmonauts, i nuovi Lander, dedicati al gravel. Leggeri e confortevoli offrono un'ampia veduta. Ottimi oer ogni tipo di attività, facilmente richiudibili
ASIAGO – Quando Sina Frei, Silvia Persico e Alice Maria Arzuffi salgono sul podio delle premiazioni al termine del campionato europeo gravel di Asiago, ad attenderle non c’è l’inno nazionale, non c’è l’alzabandiera, nemmeno la vestizione della maglia.
La svizzera Frei, campionessa continentale da pochi minuti, l’ha indossata dietro le quinte e si presenta davanti al pubblico solo per un breve saluto. Lo stesso accade pochi minuti dopo per la categoria uomini elite. Sul palco sfilano il ceco Martin Stosek, il britannico Toby Perry e il belga Jenno Berckmoes, rispettivamente primo, secondo e terzo.
Questo perché quella che doveva essere una giornata di competizioni per gli atleti e di divertimento per le centinaia di amatori arrivati sull’Altopiano di Asiago da tutta Europa, è diventata di colpo molto più tetra. Dopo la notizia del malore fatale occorso a Silvano Janes.
La gara degli elite era partita, quando sono scattati gli amatori. Quasi subito la notizia del malore di JanesSilvano Janes aveva 69 anni e negli anni 90 era stato un protagonista della scena amatoriale (immagine Instagram)La gara degli elite era partita, quando sono scattati gli amatori. Quasi subito la notizia del malore di JanesSilvano Janes aveva 69 anni e negli anni 90 era stato un protagonista della scena amatoriale (immagine Instagram)
Un malore fatale
Janes, “il vecio”, era partito pochi minuti dopo i professionisti, con il numero 564 nella categoria Master 65-69 anni. Dopo circa 3 chilometri dal via, in un tratto pianeggiante, si è accasciato a terra. Appena dietro di lui seguiva la gara un quad dell’organizzazione che ha immediatamente allertato i soccorsi, ma non c’è stato niente da fare.
Silvano Janes era un nome molto conosciuto negli ambienti delle granfondo e della mtb, disciplina di cui era stato pioniere. Tra i cicloamatori aveva vinto dieci mondiali, cinque titoli europei e decine di tricolori, ed era stato compagno di allenamento di Moser e Simoni, come pure di Martino Fruet, trentini come lui.
«Del mezzo milione di chilometri della mia carriera – ha detto Martino Fruet – non ho dubbi che almeno 250 mila li ho pedalati con lui. Era compagno di allenamenti di Francesco Moser e anche di Simoni e Marco Bui. Eravamo un bel gruppo e dicevamo sempre, magari scherzando, che sarebbe morto in bicicletta. Poteva aspettare ancora qualche anno, ma ha fatto sino in fondo quello che più gli piaceva».
Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTBMartin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB
Spauracchio belga
Appena saputa la notizia, l’organizzazione ha deciso di interrompere tutte le competizioni salvo quelle degli elite. E anche nel loro caso di è scelto di far arrivare solo i gruppi di testa.
Tra gli uomini erano partiti in 142, con alcuni grandi nomi tra i quali spiccavano Greg Van Avermaet e il connazionale Gianni Vermeersch, quinto al recente campionato del mondo e vincitore del primo titolo iridato gravel nel 2022. Ma già dal primo dei tre giri da 51 km ciascuno (totale 153 km con 2.400 metri di dislivello) a prendere in mano la situazione era stato un gruppetto di sette corridori. Il tedesco Voss, il russo (ma con maglia neutrale) Grigorev, il ceco Stosek, la coppia belga Berckmoes e Godfroid, lo svizzero Simon Pellaud e il britannico Perry.
Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)
Dalla marathon al gravel
Durante il secondo giro la situazione è rimasta invariata, con il solo cedimento di Pellaud, e tutto si è deciso nell’ultima tornata.
Stosek, specialista della marathon e campione nazionale gravel, ha accelerato nella parte più dura della prima salita e ha lasciato la compagnia degli avversari. Un’azione talmente decisa che all’ultimo dei due intermedi aveva oltre 3’ di vantaggio su un terzetto formato da Berckmoes, Godfroid e Perry. Il britannico è riuscito poi a sorprendere i due belgi e ad arrivare sul traguardo di Piazza II Risorgimento a 3’43’’ di ritardo dal vincitore, seguito dopo 35’’ da Berckmoes. Appena dopo l’arrivo Stosek ci ha raccontato di questa vittoria.
«La mia disciplina è la marathon – ha detto – quindi è bello vedere che sono competitivo anche nel gravel, soprattutto perché si tratta solo della mia terza gara in questa specialità. Comunque anche qui servono molta potenza e una buona dose di tecnica. Ho attaccato al terzo giro nella parte di salita più dura e fangosa. Ho cercato solo di spingere forte e fare il mio passo, sapendo che finita quella avrei potuto fare la discesa senza prendermi troppi rischi. Che dire, ha funzionato!».
Sul podio delle donne, Sina Frei ha preceduto Silvia Persico e Alice Maria ArzuffiLa svizzera ha scelto di anticipare ed è arrivata da sola, per anticipare lo squadrone azzurroSul podio delle donne, Sina Frei ha preceduto Silvia Persico e Alice Maria ArzuffiLa svizzera ha scelto di anticipare ed è arrivata da sola, per anticipare lo squadrone azzurro
Frei fra le azzurre
Nella categoria donne c’era molta attesa vista la numerosa squadra azzurra che comprendeva, tra le altre, Elena Cecchini, Soraya Paladin, Silvia Persico e Letizia Borghesi. Da affrontare c’erano due giri del percorso, 102 km con 1.600 di dislivello, e il primo passaggio sotto l’arrivo ha visto tutte le migliori ancora assieme.
Ma non è passato molto prima che la biker elvetica Sina Frei prendesse in mano la situazione e se ne andasse via da sola. A seguirla sono rimaste Persico e una bravissima Alice Maria Arzuffi, che si sono giocate il secondo posto in volata. Alla fine il rettilineo ha detto seconda Persico e terza Arzuffi, rispettivamente a 1’24 e 1’26’’ dalla vincitrice.
Queste le parole della campionessa europea gravel dopo l’arrivo. «Sono molto felice – ha detto – è il modo migliore di finire la mia stagione, con una gara così qui ad Asiago. Le italiane erano tante e forti e hanno corso tutte assieme, quindi sapevo che per me era dura. Per questo ho deciso di partire presto, quando mancavano circa 35 km alla fine, sulla prima salita. Ho provato e mi è andata bene, molto bene».
Le azzurre hanno subito preso in mano la corsa: al via c’era anche Elena CecchiniIl cittì Pontoni con Persico e Arzuffi: curiosamente ex atlete del ciclocrossLe azzurre hanno subito preso in mano la corsa: al via c’era anche Elena CecchiniIl cittì Pontoni con Persico e Arzuffi: curiosamente ex atlete del ciclocross
La scelta di Pozzato
Finiamo con le parole di Pippo Pozzato, in una giornata certamente non facile per chi organizza un evento così importante e si trova ad affrontare un momento tutt’altro che semplice, emotivamente e logisticamente.
«Sono notizie che non vorremmo mai sentire – ha detto il vicentino – ma davanti a questo ci si ferma su tutto. Per questo abbiamo subito deciso di stoppare tutti sotto l’arrivo, tranne i primi 15 concorrenti elite. Si sarebbe anche potuto continuare, ma ci sembrava doveroso nei confronti di Silvano Janes, dei suoi amici che erano qui e della sua famiglia».