«Molte persone me lo chiedono quando mi conoscono, pensano che sia di origini italiane ma non è così. La mia famiglia è tutta catalana, Blasi è un nome tipico dalle mie parti». Nessuna radice italiana, nessuna parentela con Ilary: Paula Blasi è spagnola purosangue. Anche se è in Italia che ha colto finora la sua vittoria più importante, trionfando all’ultimo Gran Premio Liberazione concretizzando l’ennesima supremazia nella corsa romana della UAE.
Una carriera iniziata… lo scorso anno
La ragazza di Esplugues de Llobregat proprio da quel giorno di aprile sembra avere fatto un bel salto di qualità, avendo raccolto un’altra vittoria in patria nel gravel e poi la Pointe du Raz, classica francese, ma d’altro canto parliamo di una ciclista che lo scorso anno ha sfiorato il podio al Tour de l’Avenir. Proviamo allora a conoscerla meglio, perché la sensazione è che ne sentiremo sempre più parlare.
«La mia storia è curiosa, perché vado in bicicletta solo da un anno e mezzo. Prima andavo su pista, ma quella di atletica. Ero una mezzofondista, correvo 800 e 1.500 metri, poi mi sono infortunata e ho detto: “Bene, mi prenderò un paio d’anni di pausa”. Ho iniziato a giocare a calcio, poi 4 anni fa ho deciso di iniziare il triathlon, ma l’anno scorso mi sono infortunata di nuovo perché nel triathlon si corre e si nuota. Potevo solo andare in bici. A marzo 2024 ho fatto la mia prima gara in Spagna finendo seconda, da lì ho continuato e andavo sempre meglio, ho vinto il campionato catalano e altre gare, così a fine stagione sono entrata nel devo team della Uae».
Quest’anno stai ottenendo molti grandi risultati nelle prove di un giorno, ma lo scorso anno sei stata protagonista nelle corse a tappe. Quali preferisci fra le due?
Ah, l’ho ben chiaro: adoro le corse a tappe. Perché penso di essere una ragazza molto costante nel rendimento, quanto basta per puntare alla classifica generale e poi mi piace tutto il gioco di strategie che s’innesca giorno dopo giorno. Se sei molto costante con i risultati, puoi farcela, quindi di solito cerco anche di dare quel di più che serve pensando al risultato finale, dimenticandomi la stanchezza.
Nel tuo team siete tante a essere vincenti, è difficile trovare spazio e essere la leader? Si decide in corsa o si stabilisce prima?
Dipende molto dalla strada. Abbiamo sempre ruoli molto chiari, ma ad esempio, nel Liberazione c’era un accordo per il quale, se la gara fosse stata aperta e c’era l’opportunità di una fuga buona, l’avremmo colta. Non importa se era una ciclista del devo team o una titolare (a Roma ha corso una squadra mista, ndr). Ma le gare sono solitamente abbastanza definite nei ruoli di ciascuno.
Il tuo attacco al Gran Premio Liberazione era stato quindi pianificato…
La nostra tattica è stata, per i primi 5 o 6 giri, di controllare la gara, per assicurarci che nessuno scappasse, e poi da lì abbiamo cercato di rendere la gara aggressiva e dura e iniziato ad attaccare. Certo, non mi aspettavo che il primo attacco si rivelasse una buona fuga, ma alla fine ha funzionato.
Che valore dai alla vittoria di Roma?
Beh, lasciami dire che questa è la mia prima vittoria da professionista. La mia vittoria più speciale. Finora non ero mai riuscita ad alzare le braccia in una gara di questo livello, quindi è stato un po’ inaspettato perché non sono andata lì con l’intenzione di vincere, questo ha reso tutto molto speciale.
Paula, qual è la situazione del ciclismo femminile in Spagna? E soprattutto, quale attenzione danno i media gare femminili?
Suppongo che sia difficile crescere perché, in fin dei conti, in Spagna ci sono poche grandi squadre e il ciclismo non è come in Belgio; non è uno sport di punta, quindi non ha molta visibilità. Ma anche a livello mediatico vedo che gradualmente si fanno degli sforzi per dargli più spazio, ma è vero che non è sviluppato come altrove. E certamente non come quello dei nostri colleghi.
Quanto ha significato l’esempio di Mavi García per te e per la tua generazione di ciclisti?
Personalmente per me è il punto di riferimento numero 1 in Spagna. Più di ogni altra cosa perché ho una storia molto simile a lei, perché anche lei proveniva dal duathlon, dalla corsa. E poi è passata al ciclismo. Io ho fatto il cambio che ero un po’ più giovane, ma da quando ho deciso di iniziare ad andare in bici, tutto mi riporta a lei. Ho seguito gli stessi passaggi di Mavi. Naturalmente ero interessata a vederne i risultati, come stava andando. Dici il nome Mavi García e tutto il mondo sa chi è, quindi penso che sia un ottimo riferimento.
In questa stagione che obiettivi ti sei posta?
Il Tour de l’Avenir, penso che per me questo sia un obiettivo chiaro. L’anno scorso credo che sia stata la gara che mi è piaciuta di più e che mi è rimasta più impressa. Mi sono classificata quarta nella classifica generale senza avere fatto una preparazione specifica, senza avere alle spalle un team importante come la UAE. Penso che il mio grande obiettivo quest’anno sia quello di poter competere per portare a casa la maglia gialla.