Mentre i commissari tecnici hanno ricevuto la raccomandazione di non rilasciare dichiarazioni fino al Giro d’Onore del 20 dicembre, un’intervista di Ciro Scognamiglio a Beppe Martinelli ha fatto emergere il desiderio del tecnico bresciano di diventare commissario tecnico della nazionale. Non si è candidato, ha semplicemente risposto alla domanda su una voce che girava da tempo.
Il posto è di assoluto prestigio, seppure vincere fra i professionisti sia al momento piuttosto complesso, come le ultime apparizioni hanno dimostrato. E’ tuttavia singolare che le candidature arrivino prima che si sia spesa una sola parola a favore o contro l’attuale cittì Bennati. E’ un silenzio che colpisce. Non il suo, che è anche comprensibile, volendo capire che cosa accadrà con le prossime elezioni. Piuttosto quello dell’ambiente, quasi per una scelta apatica o di accettazione: si è passati dalle critiche incalzanti all’ultimo Cassani durante la campagna elettorale, al silenzio per il suo successore. Quello che è emerso è che il contratto non sia stato rinnovato dal Consiglio federale. A detta di Roberto Amadio, perché si tratta del ruolo più oneroso, per il quale è giusto lasciare diritto di nomina a chiunque vincerà le prossime elezioni federali.
Il post di Visconti
Si potrebbe parlare a lungo di come andrebbe gestita la nazionale, ma alla fine risulta evidente che, fra le svariate scuole di pensiero mondiali, prevalga quella di chi vince, con buona pace per ragionamenti e criteri. Vanno bene tutti, in un settore in cui l’importante è avere una buona immagine e possibilmente vincere. Si pesca fra ex corridori, ex direttori sportivi, manager e raramente fra le risorse già presenti in casa. A parziale eccezione, salta agli occhi la scelta del Belgio, che al momento di sostituire Vanthourenhout, ha preferito Serge Pauwels al ben più prestigioso Philippe Gilbert, puntando sull’ex tecnico degli juniores, nel segno della continuità tecnica.
Dario Cataldo, diventato direttore sportivo della Astana Qazaqstan neanche un mese dopo aver smesso di correre, dice quanto sia difficile parlare con i corridori più giovani. Per cui occorre conoscere la loro lingua e anche sapersi muovere in un modo di correre che è tanto diverso da quello di sei o sette anni fa. Seguendo questo stesso filo, Giovanni Visconti ha detto la sua in un post su Instagram pieno di orgoglio, ragionamento e passione. Ma il punto è proprio questo: quali devono essere i requisiti di chi guiderà la nazionale dei professionisti?
Le doti del cittì
Deve avere grande carisma, per cui uno sguardo vale più di mille parole. La forza di stringere a sé i corridori perché siano disposti a gettarsi nelle fiamme per lui. Il loro rispetto incondizionato. La capacità di impostare una tattica che funzioni (il divieto di usare le radio fa sì che questa sia una delle doti più importati). L’abilità di parlare al futuro senza troppi riferimenti al passato. La schiena dritta, perché mai e poi mai il suo essersi offerto diventi un punto di debolezza o il pretesto per subire imposizioni tecniche.
E’ importante che abbia corso e che lo abbia fatto negli ultimi anni? E se invece di un ex atleta si andasse a chiamare un direttore sportivo in attività, di quelli giovani che ci sono dentro e battono al ritmo del ciclismo di adesso? Bramati come Tosatto, ma anche Pellizotti e Gasparotto che in quel ruolo andrebbe a nozze. Potrebbe essere un ruolo part time, legato alle corse e alla loro vigilia: non puoi chiedere a un tecnico WorldTour di rinunciare al suo stipendio per il solo amore della maglia azzurra. E a quel punto si potrebbe affidare il ruolo a tempo pieno di ambasciatore della Federazione a un ex campione di grandi storia e prestigio, come ad esempio Bugno, che avrebbe nel testimoniare la bellezza del ciclismo un passo di vantaggio rispetto a molti altri.
Il progetto della nazionale
Ci piacerebbe in effetti sapere quale sia stato e quale sarà (per questo dovremo aspettare le elezioni) il progetto federale per la nazionale dei professionisti. Se la si vede come un comparto a sé o che invece dialoghi e lavori in continuità con l’attività giovanile. E se un progetto esiste, perché qualcuno dovrebbe candidarsi per diventare commissario tecnico e non c’è piuttosto un identikit già pronto?
Ballerini non si candidò e tantomeno fece Bettini: furono scelti. E se vieni scelto, hai il coltello dalla parte del manico. Sei lì perché i tuoi meriti e i tuoi titoli hanno parlato per te. La scelta di Cassani rispose alla volontà di inseguire il ricordo di Martini, provando a colmare il gap generazionale con la vivacità mediatica del romagnolo. Quella di Bennati (per un ruolo offerto prima a Fondriest e poi a Pozzato) forse ha esposto Daniele a pressioni di cui non avvertiva la necessità. La sensazione è che con lui i corridori, tolto forse il primo anno a Wollongong, non abbiano dato proprio tutto, gestendo alcune situazioni di gara in modo diverso da quanto pattuito. Forse non hanno creduto completamente in lui e nella sua visione. C’era tutto perché si vincessero gli europei, ad esempio, ma è mancata la voglia o la capacità di attenersi alla tattica condivisa. Ed è mancata, soprattutto agli ultimi mondiali, la sensazione che fossero pronti a gettarsi per lui nel fuoco.