Il mondo del ciclismo dal duemila a oggi ha conosciuto un cambiamento davvero notevole che ha interessato non solo atleti e team, ma anche le aziende, che erano parte attiva di questo mondo e lo sono tuttora con i loro prodotti: biciclette, componentistica e accessori. Per loro ogni giorno rappresenta una sfida continua per restare al passo con la concorrenza. In tutto ciò assume un ruolo strategico la capacità di saper comunicare nel migliore dei modi le proprie novità di prodotto, attraverso messaggi in grado di raggiungere in maniera efficace e rapida la clientela. La pubblicità, ma non soltanto quella.
Se un tempo la comunicazione si riduceva ad una pagina pubblicitaria ripetuta per qualche mese sui magazine di settore, oggi tutto è cambiato grazie o per colpa – dipende da come la si voglia vedere – dell’avvento di internet e dei social.
C’era una volta la carta stampata
Prima del loro irrompere e della contemporanea crisi della carta stampata, come si muovevano le aziende per comunicare con il pubblico? Per saperne di più, abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Alberto Giacopello, uno degli agenti pubblicitari “storici” nel mondo ciclo.
Giacopello ha da poco superato gli ottant’anni. La mente è sempre brillante e lucidissima. Per ventisei anni, dal 1980 al 2006, ha lavorato per Compagnia Editoriale, la casa editrice del mensile Bicisport, occupandosi della vendita degli spazi pubblicitari. Ha vissuto in prima persona un modo di comunicare da parte delle aziende che oggi non esiste più. Ascoltarlo può essere d’aiuto anche per comprendere la realtà di oggi.
Una premessa prima di passare alle domande. Chi scrive ha lavorato per alcuni anni accanto ad Alberto Giacopello e da oltre vent’anni ha la fortuna di esserne amico. Perdonerete allora l’uso del più confidenziale “tu”.
Ai tuoi tempi come era il rapporto con le aziende?
Potrei rispondere con una sola parola che racchiude in sé tutto: diretto. Si parlava direttamente con il titolare dell’azienda e quindi era tutto decisamente più semplice e immediato. Quando sono andato in pensione nel 2006, nelle aziende era raro trovare una persona addetta al marketing o più in generale ai rapporti con le riviste. Una delle prime a introdurre una figura simile fu Columbus con Claudia Vianino. Ora so che ha aperto un’agenzia di comunicazione a Torino, che mi dicono vada molto bene. La cosa non mi sorprende, perché già ai tempi era davvero una persona tosta e preparata.
Avere un rapporto diretto con il titolare dell’azienda cosa voleva dire dal punto di vista pratico?
I contratti non si definivano certo al telefono. Si fissava un appuntamento in azienda e in quell’occasione si concordava il programma per l’intero anno. Poteva poi capitare che a seguito di una vittoria importante, come una Sanremo o un mondiale, ci fosse una integrazione a quanto definito a inizio anno. In quel caso, per accordarsi bastava una telefonata perché di fondo c’era una fiducia reciproca con i titolari, che avevo saputo costruire nel corso degli anni. Oggi non credo avvenga la stessa cosa. Credo sia tutto più “professionale”, ma anche più freddo.
Da cosa si capiva che ci fosse questo buon rapporto?
Dal fatto che mi sentivo sempre il benvenuto. Poteva capitare che durante uno dei miei viaggi di lavoro, di passaggio vicino ad un’azienda, chiamassi per chiedere se potevo passare per un saluto o un caffè. In tanti anni non ho mai ricevuto un rifiuto.
Come avveniva la definizione di un contratto?
Dovete tenere presente che quando ci si sedeva di fronte al titolare di un’azienda per parlare di pubblicità, si discuteva non solo del budget da investire, ma anche del soggetto pubblicitario che avremmo poi visto sulla rivista. In un certo senso, era come se fossi una specie di consulente marketing di oggi. Le aziende si fidavano così tanto da arrivare a chiedermi dei consigli sui mesi che, secondo me, potevano essere più interessanti per fare pubblicità. Spesso poi capitava che mi venisse mostrato in anteprima un prodotto prima che fosse lanciato sul mercato per avere un mio parere in merito. Oggi le aziende hanno così tanti esperti a cui affidarsi che raramente hanno bisogno di un parere esterno. Sono davvero cambiati i tempi. Allora si lavorava molto con il fax… Oggi il fax per una qualsiasi azienda è un soprammobile.
Ai tuoi tempi le fiere di settore che importanza avevano?
So che oggi sono quasi sparite. Ai miei tempi si andava un anno a Milano e un anno a Colonia. Poi è arrivata Friedrichshafen che ha soppiantato entrambe. Allora la fiera era un momento fondamentale della stagione. Lì si incontravano tutti i clienti e in alcuni casi era l’unica occasione per poterli vedere. Di conseguenza si chiudevano anche molti contratti. Oggi credo che siano più un momento per coltivare le famose “pubbliche relazioni”.
In quegli anni come era vista la pubblicità? Era considerata uno strumento importante per comunicare?
Tutti erano convinti dell’importanza di fare pubblicità. Allora però c’erano solo le riviste e quindi le aziende avevano solo la carta stampata come strumento di promozione. Oggi con l’avvento dei social, con la nascita dei siti internet specializzati tutto è cambiato. Anche io che ho ottant’anni, se voglio sapere qualcosa di ciclismo mi collego a internet.
Questo lavoro che cosa ti ha lasciato da un punto di vista personale?
Grazie a questo lavoro ho avuto la fortuna di andare alle corse e incontrare gli idoli della mia gioventù come Binda a Bartali, un uomo forse “ruvido”, ma di una grandissima umanità. Ho avuto modo di arricchirmi umanamente, ma anche culturalmente. Pensa, con Antonio Colombo di Columbus, parlavamo di lavoro, ma anche di cultura spaziando dal pittore Schifano al regista Nanni Moretti. Oggi credo sia una cosa impossibile. Tutti hanno fretta e poco tempo a disposizione per parlare di qualcosa che sia altro dal lavoro.
Figure che hanno fatto e ancora fanno la storia del ciclismo…
Ricordo con affetto il Cavaliere Pietro Santini, un vero signore, che mi parlava sempre del suo grande amore per la pista di Dalmine. Come non citare poi Ernesto Colnago. Con lui ho fatto in assoluto il mio primo appuntamento di lavoro. Quante battaglie facevamo sui costi delle pagine pubblicitarie (ride, ndr), ma quanto era bello poi ascoltarlo mentre mi parlava dei suoi progetti. Con tanti di loro ho costruito rapporti umani davvero profondi. Pensa che ancora oggi a Natale mi sento con Giuseppe Bigolin di Selle Italia per scambiarci gli auguri. Uso un’espressione che può forse sembrare desueta: grazie al mio lavoro ho conosciuto tante brave persone.
Se dovessi ricominciare oggi, quali difficoltà ti troveresti a dover affrontare?
Sicuramente avrei difficoltà a destreggiarmi con le nuove tecnologie e a dovermi rapportare con addetti stampa o al marketing. Come ti dicevo, io ero abituato a parlare direttamente con il titolare. Ai miei tempi lavoravo poi solamente con aziende italiane. Il cuore dell’industria ciclo era tutto in Italia. Ora mi sembra che ci sia più internazionalizzazione. Il solo pensiero di dover parlare in inglese con un responsabile marketing mi toglierebbe sicuramente il sonno.