Germani tra Giro e Vuelta: l’analisi di due fatiche diverse

05.09.2024
5 min
Salva

Le grandi fatiche di Lorenzo Germani alla Vuelta (immagine Groupama-Fdj in apertura) si distendono e trovano pace nell’ultimo giorno di riposo a Oviedo. Il tempo non è stato dei migliori, la pioggia picchietta sulle finestre dell’hotel e gli atleti ne approfittano per rilassarsi. Germani sta mettendo insieme, giorno dopo giorno, il suo secondo Grande Giro della stagione. Prima l’esordio al Giro d’Italia e poi il ritorno alla Vuelta Espana, esattamente un anno dopo il debutto. 

«Oggi (lunedì, ndr) – racconta Germani – è stato un giorno rilassante, disteso. Il brutto tempo ci ha impedito di fare la nostra sgambata, così ho deciso di non fare nulla. Ci fosse stato il sole, una pedalata a ritmi blandi l’avrei fatta volentieri, ma vista la pioggia ho rinunciato. Non aveva senso fare i rulli giusto per farli, mi sono detto che sarebbe stato meglio fermarsi totalmente».

Recupero assoluto nel secondo riposo a Oviedo (foto Groupama-FDJ)
Recupero assoluto nel secondo riposo a Oviedo (foto Groupama-FDJ)

Giorni difficili

Quelle della Vuelta non sono state fino ad ora tappe facili, la seconda settimana ha messo il carico da cento sulle gambe degli atleti. Il caldo spagnolo non ha risparmiato la carovana, lo si è visto nei giorni passati. A farne le spese è stato anche Antonio Tiberi, ritiratosi per un colpo di calore nella nona tappa, con arrivo a Granada. 

«Ho passato una serie di giorni non facili – spiega Germani – ma ho terminato abbastanza bene la settimana. I primi nove giorni c’erano temperature medie sopra i 40 gradi centigradi, tanto che non capivo se fossi io a stare male o il caldo a svuotarmi. Era come se ci fosse un forno aperto davanti alle nostre facce, anche in discesa non ti raffreddavi. Mi sentivo bloccato, sia con il respiro che con le gambe. Poi la seconda settimana siamo saliti a nord, le temperature erano minori ma l’umidità era talmente elevata che si sudava anche a stare fermi».

L’unica cronometro corsa fino ad ora è stata quella di Lisbona del primo giorno
L’unica cronometro corsa fino ad ora è stata quella di Lisbona del primo giorno

Due fatiche diverse

Germani dopo il Giro ha riposato, ripartendo con la preparazione in vista della sua seconda Vuelta. Proprio questa partecipazione a due dei tre Grandi Giri ci ha fatto chiedere come sia viverli dall’interno. Quali sono le differenze e come si affrontano queste due fatiche simili ma in realtà tanto diverse. 

«Qui in Spagna – analizza – nella seconda settimana abbiamo fatto più di 4.000 metri di dislivello al giorno. Mentalmente e fisicamente è difficile da gestire, non hai una tappa che ti permette di respirare. Non ci sono state tappe in cui staccare, come può essere una cronometro o una frazione pianeggiante. Da martedì a domenica è stato un costante martello pneumatico».

«Anche al Giro abbiamo incontrato giorni caldi – continua – ma non a questo livello, sarà anche il periodo dell’anno. Ci sono state anche le tappe dure e impegnative, ma in stile normale. Magari c’era una tappa piatta, poi una vallonata e infine una o due di montagna con salite lunghe ma pedalabili».

Le salite alla Vuelta sono delle rampe verticali con pendenze sopra al 10 per cento che fanno male alle gambe
Le salite alla Vuelta sono delle rampe verticali con pendenze sopra al 10 per cento che fanno male alle gambe

Le salite

Alla Vuelta si sa che non ci sono montagne simili alle nostre, le salite sono più brevi ma verticali, quasi dei muri. Questo fa una grande differenza nel metodo di approccio della fatica. 

«Ci sono state scalate brevi – spiega ancora Germani – ma molto molto ripide. Ieri (domenica, ndr) sul Cuitu Negru pensavo di ribaltarmi all’indietro. C’è stato un tratto al 24 per cento. Sembrava una di quelle strade private che usano i pastori per portare al pascolo i greggi, non mi stupirei fosse davvero così. Abbiamo pedalato per diverse volte su tratti lunghi, tipo 5 chilometri, a pendenze del 12 per cento. Al Giro non hai queste cifre, le salite sono più lunghe e dolci ed è un costante sali e scendi. La pendenza media è del 7 per cento, non del 10 o 11».

La prima settimana si è corsa tutta con la temperatura superiore ai 40 gradi (foto Groupama-FDJ)
La prima settimana si è corsa tutta con la temperatura superiore ai 40 gradi (foto Groupama-FDJ)

Corridori diversi

Tutto questo influisce sulla fatica fatta dai corridori e sulle scelte delle squadre, infatti in Spagna è difficile vedere dei velocisti puri. 

«Le squadre – racconta Germani – hanno portato tanti scalatori e passisti scalatori a supporto del leader, come Nico Denz. L’atleta che si avvicina per caratteristiche ai velocisti è Groves, ma definirlo tale è riduttivo. Se dopo una tappa con 3.000 metri di dislivello arrivi davanti e vinci, vuol dire che sei forte anche in salita. Infatti il gruppetto qui va davvero forte, il livello è alto. Al Giro, invece, i velocisti puri c’erano e capitava che si chiamasse gruppetto già dal chilometro zero. Qui no, tutti vogliono rimanere attaccati e provare a resistere. Parlavo con De Gent qualche giorno fa, mentre eravamo nel gruppetto, scherzando mi ha detto che avrebbe fatto meglio a ritirarsi alla fine del 2023, considerando che manca ancora una settimana di gara».

Le differenze tra i leader non sono così marcate, la corsa diventa molto aperta e imprevedibile
Le differenze tra i leader non sono così marcate, la corsa diventa molto aperta e imprevedibile

Fuori i tre tenori

Un altro tema che ha tenuto banco per quanto riguarda la Vuelta è l’assenza di Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel. Questo ha aperto la possibilità a tutti gli altri di potersi giocare la vittoria di una Grande Giro, cosa non da poco visti i tempi in cui viviamo. 

«Ogni giorno è una bagarre – replica Germani – ci sono molti pretendenti alla vittoria di tappa e questo il gruppo lo sa. Le fughe prendono forma di forza e hanno grandi possibilità di arrivare in fondo, sono tutti super agguerriti. Non c’è la squadra forte che va a prendere i fuggitivi tutte le volte, come era la UAE al Giro. I ragazzi della Decathlon AG2R tirano ma non vogliono rientrare sui primi, quindi la fuga anche con 6 o 7 minuti sa che può giocarsi la vittoria. Al Giro non eri sicuro di arrivare al traguardo nemmeno con 10 minuti.

«I distacchi in classifica generale sono contenuti – conclude – a testimonianza che c’è un corridore più forte, Roglic, ma che non domina in lungo e in largo. Roglic, Mas, Carapaz e Landa sono racchiusi in due minuti. Al Giro Pogacar aveva questo vantaggio alla fine della prima settimana».

Conci al bivio: inseguire la vittoria o aiutare un capitano?

13.08.2024
6 min
Salva

Dopo un buon Giro d’Italia fatto di mille fughe in montagna, lo Svizzera e il campionato italiano chiuso al tredicesimo posto, con 46 giorni di corsa nella prima parte dell’anno, Nicola Conci ha sentito il bisogno di staccare. Il trentino, che dal 2022 corre con la maglia della Alpecin-Deceuninck, si è ripresentato a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne. Nella prima tappa, che aveva l’arrivo in salita a Karapacz, ha cominciato con un decimo posto niente male a 9 secondi da Nys. L’obiettivo in queste corse è la vittoria, che gli manca da un tempo siderale.

Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin
Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin

Il tempo delle scelte

Nel frattempo nella sua testa sempre molto razionale si fa largo la necessità di scegliere una nuova strada. E’ il bivio di tanti buoni corridori che, in questo ciclismo popolato di grandi campioni, piuttosto che insistere con le ambizioni personali, si rimboccano le maniche per i più grandi, diventando parte integrante delle loro vittorie. Lo spiegava giorni fa Dario Cataldo e forse anche Conci è sulla porta di quella scelta. Nel frattempo ha cambiato i suoi procuratori e da Fondriest-Alberati è passato ai fratelli Carera.

«Insomma – dice – ho fatto un bel periodo di stacco dalle gare. Dal Polonia andrò diretto al Giro di Germania, quindi ho davanti due o tre settimane abbastanza intense. Poi ho in programma di fare il Lussemburgo e il blocco di gare italiane fino al Giro del Veneto. Sono in scadenza di contratto, stiamo lavorando su più fronti, ma ancora non sono certo di cosa farò. Mi sono diviso da Maurizio e Paolo perché dopo anni sentivo il bisogno di cambiare. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, non è successo niente di particolare. Qui alla Alpecin sto bene. E’ un’ottima squadra, manca solo la familiarità cui noi italiani siamo abituati e che a volte farebbe piacere. Prima eravamo parecchi, ora ci siamo solo Luca Vergallito ed io. Faccio un esempio. A me piace parlare durante il massaggio, ma farlo in inglese è un po’ limitante. Non posso certo lamentarmi perché non posso parlare italiano durante i massaggi, ma sono le piccole sfumature con cui si convive».

Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
A primavera ci eravamo detti che il Giro sarebbe stato un momento importante. Sei stato protagonista di tante fughe, come lo valuti?

Sono stato contento perché mi sono ritrovato. Sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto e di qualche tappa in modo particolare. Penso che fare meglio sarebbe stato difficile. Ad esempio quella di Torino, la prima, dove sono arrivato quinto. Sarei anche potuto star lì e provare a seguire, anche se probabilmente nessuno sarebbe riuscito a tenere Pogacar. Invece ho deciso di fare una bella azione: ho provato a vincere e mi è piaciuto. Un altro giorno in cui mi sono divertito tanto è stato quello di Livigno, la tappa più dura del Giro. Sono stato per 177 chilometri all’attacco, c’era tantissimo dislivello e alla fine sono arrivato dodicesimo. Mi hanno preso quelli di classifica a due chilometri all’arrivo, quindi è stata una bella tappa (foto di apertura, ndr). Certo mi rimane un po’ rammarico per alcune fughe come quella di Fano, in cui ha vinto Alaphilippe e io non ho trovato il momento giusto e quella del Brocon.

Dove peraltro correvi in casa, visto che sei originario della Valsugana…

Mi dispiace un po’ il fatto che non abbiano dato spazio alla fuga. Sono stato fuori per quasi 70 chilometri, poi inspiegabilmente la DSM si è messa a tirare, ha chiuso la fuga e poi si sono fermati. E in quel momento è ripartito Steinhauser, che ha vinto. Sinceramente a quel punto non avevo le gambe per seguirlo una seconda volta. Mi è dispiaciuto, sono i miei posti, volevo fare bene.

In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
Che cosa ti lasciano oltre a tanta fatica queste fughe così lunghe?

Nel giorno del Mottolino, sono stato sorpreso di me stesso. Dopo tutto il giorno all’attacco, sono riuscito a spingere bene anche sul Foscagno e a scollinare quarto. Non è scontato rimanere vicino ai primissimi nel ciclismo che stiamo vivendo, in cui c’è un gap enorme tra pochi campioni e il resto del gruppo. Se quel giorno avessi scelto di restare in gruppo, non avrei migliorato il mio risultato. Non avrei tenuto le ruote degli altri di classifica e sarei stato risucchiato indietro. Invece sono riuscito a sorprendere me stesso. Sul Mortirolo ero un po’ infastidito che molti non tirassero, così ho attaccato dalla fuga e sono rientrato davanti. Ho sprecato un po’ di energie, però è stata una bella giornata.

Sei stato uno junior da tante vittorie ogni anno, quale differenza vedi fra il Conci di allora e gli juniores di ora, che vincono il tuo stesso numero di gare e poi sono pronti per passare professionisti?

Parliamo di dieci anni fa, ma il mondo è cambiato totalmente. Da junior non ho mai fatto più di quello che dovevo, anzi mio papà iniziò a seguirmi proprio per tutelarmi. Di certo non sono uno che a quell’età faceva le 6 ore. Semplicemente andavo forte in salita e ho vinto diverse gare perché mi veniva facile fare la differenza. Poi da professionista è un’altra cosa, anche se il problema dell’arteria iliaca mi ha condizionato parecchio. Tornando al periodo da junior, non è che facessi grandi lavori. Si curava la forza, ma ad esempio non ho mai fatto dietro macchina. Cominciai da dilettante e nel dirlo sembra che parliamo degli anni 40 invece era il 2014-2015…

In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
Hai 27 anni e tanti corridori alla tua età hanno già fatto una scelta quasi radicale: non vinco, meglio andare a lavorare per qualcuno che sa farlo. Inizia a balenarti per la testa?

Certamente. Stiamo vivendo un ciclismo molto particolare, ci sono certi atleti che vanno molto più forte degli altri e quindi ci sta che le squadre vengano costruite attorno a loro. Quindi quelli che non vincono, come me – perché dati alla mano non ho ancora vinto – è normale che un giorno o l’altro si mettano a disposizione. In realtà ho sempre lavorato anch’io per i miei compagni, anche se magari al Giro nelle tappe più dure avevo la libertà di andare in fuga.

Ieri sei arrivato decimo nell’arrivo in salita, quanta voglia hai di alzare le braccia?

Ci penso sempre. Ho 27 anni e non so per quanti anni correrò ancora, perché è un ciclismo spietato. Spero ancora tanto, però sarebbe un peccato chiudere senza aver mai vinto da professionista. Non è che vincere sia la cosa più importante, si può anche aiutare e avere grandi soddisfazioni. Oggettivamente mi sono reso conto che per vincere devo cercare di inventarmi qualcosa, non posso aspettare i finali. Anche ieri ho pensato diverse volte negli ultimi 2-3 chilometri di provare ad anticipare, però ero un po’ stanchino.

Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ci sono appena state le Olimpiadi e ora si lavora per i mondiali. Hai corso quelli di Wollongong nel 2022, Zurigo potrebbe essere adatta a te…

Sinceramente ci penso molto, ma non ho ancora sentito Bennati. In verità penso che dipenda da me e dal fatto che riesca a dimostrare di pedalare bene. Wollongong resta un bel ricordo, facemmo una bella corsa e mancò la medaglia con Rota per dei tatticismi. Rimasi in fuga per 60 chilometri insieme a lui. Fu una bella giornata, l’ho supportato per quanto possibile e venne fuori una gran corsa. Sicuramente è stato un bel onore vestire la maglia nazionale, è sempre qualcosa di speciale. Vedremo se riuscirò a conquistarla ancora.

La tripletta di Roche, prossimo traguardo di Pogacar?

06.08.2024
6 min
Salva

Tadej Pogacar lo ha detto senza mezzi termini: «Ora punto tutto sul mondiale». Il suo obiettivo è realizzare la tripletta Giro-Tour-gara iridata che in passato è riuscita solo due volte. La prima a Eddy Merckx in quella che fu l’ultima sua grandissima stagione, il 1974. La seconda a Stephen Roche, l’irlandese della Carrera che visse un anno magico nel 1987, mai più replicato.

Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx
Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx

Oggi l’irlandese gestisce con passione il suo albergo a Sainte Maxime, sulla Costa Azzurra ma resta sempre legato al vecchio mondo. Sa bene che quella tripletta è rimasta storica, anche per come arrivò, soprattutto per il carico di polemiche che si portò dietro nella sua prima tappa, il Giro d’Italia vinto contro tutto e tutti.

Tra Giro, Tour e mondiali, quale fu la corsa più difficile da conquistare e quella che ti diede maggiore soddisfazione?

Ognuna delle tre è molto difficile da vincere. Il Giro lo conquistai avendo problemi con alcuni dei miei compagni di squadra che hanno corso contro di me. E’ stato molto, molto difficile mentalmente perché mi trovavo nell’assurda situazione di dover convincere il pubblico italiano che non ero un cattivo ragazzo e che onoravo la patria che mi stava ospitando e dando lavoro. Quello che è successo con Roberto Visentini è stato qualcosa che è capitato, non c’era acredine fra noi, ma chiaramente molti tifosi italiani mi erano contro. Ogni giorno combattevo con i media e con i miei compagni di squadra, quindi era molto complicato.

L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
Tu hai vinto il Giro senza l’appoggio della tua squadra, con il solo Schepers dalla tua parte. Com’era l’atmosfera nel team fuori dalla corsa, alla sera o prima delle tappe?

Dopo il primo giorno o due ci siamo messi intorno a un tavolo. La squadra voleva la maglia rosa. Visentini era il campione uscente, io venivo dalla vittoria al Romandia. Ma un giro di 3 settimane è qualcosa di diverso. L’accordo era di proteggere entrambi, ma principalmente di puntare su di me perché avevo dimostrato che l’87 era stato un buon anno per me, era da febbraio che ero competitivo. Quindi la squadra ha deciso di darmi la mia possibilità. Ma l’atmosfera era difficile, tra me e i miei compagni di squadra. Ma poi le cose sono andate lentamente meglio perché anche io mi stavo comportando bene. Come detto, al team interessava vincere perché le vittorie portano finanziamenti. E’ chiaro però che tutto quel che avvenne ebbe un prezzo, gli equilibri erano infranti.

Ho letto che la Panasonic si schierò dalla tua parte, come raggiungesti un accordo con il team di Millar e pensi che sia possibile fare lo stesso oggigiorno?

Molte persone nell’87 erano un po’ disgustate dalla reazione del popolo italiano e da quello che mi stava succedendo. Millar era un mio caro amico, quindi voleva vincere una tappa e pensò che fosse un buon compromesso aiutarmi per ottenere il suo scopo. Cosa che avvenne, quindi ci guadagnammo entrambi. Penso che oggi, sì, questo può ripetersi e avvenga. Tutto e niente di ciò che abbiamo fatto è stato eccezionale.

Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Pogacar punta a ripetere la tua impresa, tu pensi che possa farlo?

Penso onestamente, sì, ci sono stati corridori in passato capaci di farlo come Indurain, Armstrong, Pantani. Potevano. Ma per essere in grado di fare queste tre cose con tre vittorie, tutto deve andare di pari passo, devi programmarti bene. Devi anche avere la fortuna di trovare un percorso adatto: se sei forte in salita e ti trovi un mondiale pianeggiante, diventa tutto complicato. Quest’anno abbiamo lui che ha già vinto Giro e Tour e ha un campionato del mondo a Zurigo molto, molto ondulato. Quindi sì, penso che tutto sia possibile per lui quest’anno perché sta mostrando una forza incredibile nel recupero ed è anche uomo da classiche. Certamente comunque la concorrenza non mancherà con gente come Evenepoel e Van Aert. Deve avere il meteo dalla sua. Deve avere fortuna, non deve avere forature. Deve avere una squadra. Tutto deve coincidere.

Vista la sua superiorità a Giro e Tour, al suo posto proveresti a vincere anche la Vuelta?

In Irlanda diciamo «il cimitero è pieno di eroi morti» – dice Roche sorridendo – Puoi andare e provare a vincere, ma poi se non funziona, allora potrebbe essere più dannoso per lui anche fisicamente perché ha solo 25 anni. Ha già fatto così tanto nella sua breve carriera finora. Non deve rischiare di bruciarsi anzitempo. La gente potrebbe pensare che vincere Giro e Tour non fosse troppo difficile per lui, l’opposizione non c’era. Forse, ma nonostante ciò lo ha fatto accumulando migliaia di chilometri, caldo, fatica. Penso che potrebbe essere un po’ troppo. E’ molto più saggio concentrarsi ora sul campionato mondiale.

Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Segui il ciclismo irlandese e rispetto ai tuoi tempi lo trovi migliorato come livello?

Sì, il nostro ciclismo è molto cresciuto. Abbiamo gente forte come Healy, Ryan. OK, Sam Bennett sta andando un po’ giù, ma ci sono alcuni bravi ragazzi lì che stanno arrivando nell’EF Education EasyPost che fanno sperare. E penso che la federazione stia lavorando bene, avremo sempre più ragazzi di cui parlare in futuro. Healy mi impressiona, io dico che presto vincerà anche una grande gara.

Quello di oggi è un ciclismo che ti piace?

Sì, penso che il ciclismo di oggi sia cambiato un po’ rispetto all’ultima generazione. I ciclisti sono più aggressivi, sono un po’ più istintivi, vanno forte in salita come a cronometro, nelle corse d’un giorno come in quelle a tappe. Quindi penso che per i prossimi due anni vedremo un po’ di ciclismo davvero buono.

Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Guardandoti indietro, come giudichi la tua carriera ciclistica?

Guardo tutta la mia carriera e dico OK, posso dire che questo anno è stato buono. Quello no, quell’altro è stato pessimo. Tutto sommato, il complesso è stato positivo. Sai, è molto facile dire che avrei dovuto, avrei potuto…. Ma non è una cosa che potrei cambiare. Ripensandoci, l’unica cosa è che non avrei lasciato la Carrera alla fine dell’87. Avrebbe potuto essere meglio, ma non ne avrò mai la certezza.

DMT Pogi’s: è il momento di celebrare un’altra impresa

02.08.2024
3 min
Salva

La fame di vittoria di Tadej Pogacar nel 2024 è stata pressoché inarrestabile. Il fuoriclasse sloveno dopo aver vinto il suo primo Giro d’Italia ha portato a casa anche il terzo Tour de France. Pogacar è riuscito, 26 anni dopo Marco Pantani, nella celebre doppietta Giro-Tour. Un’impresa che lo fa entrare direttamente nell’olimpo del ciclismo. Il corridore del UAE Team Emirates ha “costretto” DMT, azienda che gli fornisce le scarpe, a creare un altro modello celebrativo delle Pogi’s

Questa volta il colore è il giallo, come quello della maglia che contraddistingue il vincitore della Grande Boucle. Simbolo che Pogacar ha conquistato a Valloire e che ha portato fino a Nizza, senza vacillare nemmeno una volta. 

Sempre migliori

Le DMT Pogi’s migliorano anno dopo anno, come il talento dello sloveno. Nella nuova versione sono tanti i particolari che portano queste scarpe ad essere uno dei prodotti più ambiti. Innanzitutto la particolarità rimane sempre una: la chiusura con i lacci, richiesta dallo stesso Tadej e diventata celebre con le sue imprese. Per una maggior sicurezza in corsa e una migliore aerodinamicità DMT ha pensato di creare e perfezionare la tasca Aerosafe. Posizionata nella parte superiore della scarpa permette di riporre il nodo in maniera ottimale, senza ingombri. 

La tomaia, invece, leggerissima e traspirante, è realizzata con tecnologia Knit. Il tutto è arricchito con un nuovo filato super tecnologico che ne aumenta le qualità tecniche. Le Pogi’s diventano così una combinazione perfetta, avvolgendo comodamente il piede. Il collarino Flex Fit assicura una calzata unica e confortevole anche dopo tante ore di attività. 

La suola, realizzata con un mix di fibre di carbonio è rigida e leggera
La suola, realizzata con un mix di fibre di carbonio è rigida e leggera

Sicura e performante

Per un ciclista il trasferimento di potenza è importante, riuscire a trasmettere alla bici ogni singolo watt sprigionato è fondamentale. DMT ha così deciso di realizzare una suola rigida e leggera, creata con un mix di carbonio unidirezionale ad alta resistenza. La pedalata risulta sempre piena e permette di spingersi oltre i propri limiti. 

Anche la chiusura è un aspetto fondamentale, le Pogi’s hanno un sistema di canaline integrate 3D che fanno scorrere i lacci perfettamente. Non sarà più necessario stringere ogni singolo passaggio, ma basterà tirare dall’estremità per avere una chiusura omogenea. Per assicurare la chiusura DMT ha pensato ad un sistema di aggancio comodo e immediato. Tramite due alette è possibile assicurare i lacci, senza alcuna preoccupazione. 

Il prezzo al pubblico è di 499 euro.

DMT

Ellena: «Per Piganzoli è il momento del salto definitivo».

13.07.2024
5 min
Salva

Il fatto che Davide Piganzoli stia bene lo si vede dalle storie su Instagram e dalla costante voglia di scherzare con i compagni. Lui e la squadra, la Polti-Kometa, sono andati in ritiro in Valtellina per preparare la seconda parte di stagione (in apertura foto Maurizio Borserini). Il bilancio per Piganzoli fino a qui è positivo, con un tredicesimo posto al Giro d’Italia inseguendo i migliori. A inizio anno era anche arrivata la prima vittoria da professionista, in salita al Tour of Antalya. 

Abbiamo così bussato alle porte di Giovanni Ellena, diesse del team Polti-Kometa, e con lui si è parlato del nuovo Piganzoli. Di cosa è rimasto nel giovane valtellinese dopo le fatiche del Giro d’Italia e di ciò che potrà fare in futuro.

Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti
Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti

Costante confronto

Se si pensa a Piganzoli di riflesso la mente va anche verso il nome di Giulio Pellizzari. Entrambi sono stati un binomio indissolubile della nazionale di Amadori e insieme hanno lottato al Tour de l’Avenir lo scorso anno. Dal Giro si è visto come i due siano stati gestiti diversamente dalle rispettive squadre. Piganzoli dopo la Corsa Rosa è andato allo Slovenia, si è ritirato e si è fermato. Pellizzari ha proseguito fino al Giro d’Austria, concluso pochi giorni fa.

«Piganzoli al Giro – racconta Ellena – ha voluto provare a tenere duro e fare classifica, ottenendo un tredicesimo posto finale. Un risultato tutto sommato positivo se si considera che era alla prima esperienza. Pellizzari, invece, è uscito di classifica e ha avuto modo di tentare di vincere una tappa. Gestioni diverse, vero, ma da noi è stato lo stesso Piganzoli a chiedere di provare a tenere duro. Un ragionamento che ci siamo sentiti di incoraggiare».

La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
Poi è andato al Giro di Slovenia e si è ritirato.

Purtroppo tra la fine del Giro d’Italia e l’inizio dello Slovenia è caduto, e questo ha compromesso il finale della prima parte di stagione. Ha provato a correre, ma alla fine abbiamo optato per fermarlo e ricostruire la condizione per la seconda parte dell’anno. E’ stato un peccato però.

Come mai?

La gamba dopo il Giro era buona e allo Slovenia poteva fare bene, così come all’italiano. Poi avremmo valutato se mandarlo anche allo Slovacchia, ma la caduta ce lo ha impedito. “Piga” avrebbe potuto fare molto bene a mio avviso.

Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Dopo il Giro cosa gli è rimasto?

Che la classifica finale può essere una strada percorribile. Anche se il ragazzo ha ancora tanto da imparare, ma ci sta, visto che ha solo 22 anni. La vittoria a inizio stagione ha fatto capire che ha una maturità importante, ma deve ancora scoprirsi totalmente. Se chiedete a lui, il tredicesimo posto al Giro è motivo di orgoglio. Solo che agli occhi della gente nessuno ci fa caso, solamente due o tre addetti ai lavori. Tuttavia il risultato rimane ed è incoraggiante. 

Adesso ha lavorato per ripartire forte?

Sì. La sua stagione riprenderà con calma alla Vuelta a Burgos. Non arriverà al 100 per cento, ma va bene così. Sarà una corsa che servirà in chiave di costruzione. Da lì andrà in altura e poi affronterà tutto il calendario italiano di fine anno. 

Tu che corridore hai trovato dopo il Giro d’Italia?

Sicuro, lui è sempre stato un ragazzo che ostenta sicurezza. Quel che si vede è una crescita mentale e fisica importante, ma non definitiva. La testa c’è, altrimenti un Giro del genere non lo avrebbe fatto. Dal punto di vista atletico deve ancora crescere ma i passi sono quelli giusti. Deve migliorare nello spunto veloce, cosa che cresce provando a vincere. Vero che ha vinto in Turchia, ma era un arrivo in salita, dove la forza emerge in maniera netta. 

Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Ora quindi va a correre per imparare altro?

Il calendario italiano offre chance importanti con gare vicine alle sue caratteristiche che però non hanno un arrivo in salita. All’Agostoni, alla Tre Valli o all’Emilia non vince sempre il più forte, ci sono tanti componenti da considerare: freddezza, lucidità, spunto veloce…

Lo lanciate nella mischia e vedrete che combina…

E’ il momento di imparare ancora e può farlo con la consapevolezza che la squadra c’è e che crede in lui. 

E che ha ancora un anno di contratto.

Scadrà nel 2025 e questa fase di costruzione ulteriore servirà anche a lui. Un conto è presentarsi ad una squadra WorldTour da giovane promessa, un altro è arrivare come un corridore pronto per vincere e fare bene. 

L’Avenir lo avevate preso in considerazione?

Era tutto in mano a Piganzoli. Lui avrebbe deciso se partecipare o meno, chiaramente confrontandosi con noi e con Amadori. La caduta a inizio giugno ha compromesso un eventuale cammino verso l’Avenir, non sarebbe arrivato al massimo della forma. Poi fare delle gare con noi tra i professionisti penso possa fargli bene per crescere ancora.

Addio Geminiani, uno degli ultimi eroi a due ruote

07.07.2024
5 min
Salva

“Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita”. E’ un verso di Paolo Conte dedicato a Bartali, ma potrebbe benissimo adattarsi anche a Raphael Geminiani, che ci ha lasciato alle soglie del secolo di vita. In lui convivevano due anime: quella delle origini romagnole derivate dal padre Giovanni, emigrato in Francia, a Clermont Ferrand nel 1924 lasciando il suo negozio di biciclette a Lugo di Romagna per non sottostare al giogo fascista (Raphael parlava perfettamente il dialetto romagnolo, mentre faceva più fatica con l’italiano). L’altra era quella fieramente francese, quasi pugnace, fumantina, come un eroe dei romanzi di Rostand.

Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953
Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953

La litigata con Robic

Ne sapeva qualcosa Robic, uno dei grandi rivali che hanno attraversato la sua epopea. Al Tour del 1952 Geminiani era suo compagno di squadra. Verso Namur l’ordine era proteggere la maglia gialla di Nello Lauredi, ma lui tirava e tirava, Robic faticava e diceva di essere in crisi. Solo che quando è scattato Coppi, proprio Robic gli è andato dietro.

Tornati in hotel, Raphael sentì il compagno esprimersi in maniera non proprio lusinghiera nei suoi confronti: «Non volevo fare come quel coglione di Gem che lavorava per uno che era alla frutta…». Salito in camera, Robic trovò davanti a sé un Gem furibondo, che gli ficcò la testa nella tazza del water…

Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)
Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)

Il lusso “assaggiato” alla Bianchi

Geminiani, soprannominato “Le Grand Fucil” per il suo fisico alto e allampanato proprio come la canna di un fucile era uno che in salita andava forte nonostante si portasse addosso non poco peso, ma questo limitava il suo raggio d’azione e Raphael fu lesto a comprenderlo. Non era un capitano, poteva essere un vincente, sicuramente era un luogotenente di lusso e infatti i big se lo contendevano. Coppi lo volle con sé alla Bianchi, con cui condivise il trionfale Giro del 1952.

«Alla Bianchi si viveva nel lusso – raccontò qualche anno fa su L’Equipeti massaggiavano le gambe con acqua di colonia, io ero abituato a passarci l’alcol quando andava bene… Fausto era mio grande amico, ma anche con Bartali andavo d’accordo. Un giorno mi disse che avevo sbagliato: se fossi passato con lui alla Legnano, lui avrebbe “distratto” Coppi e mi avrebbe fatto vincere quello stesso Giro. Chissà se aveva ragione…».

Alla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatori
Alla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatori

La ricerca degli sponsor

Naso grosso e cervello fino, si dice. Geminiani era molto moderno. Intuì ad esempio che l’epopea del ciclismo meritava di essere sfruttata anche dal punto di vista economico, ma si poteva fare solo coinvolgendo realtà diverse, elevando la sua popolarità: «Non potrò mai dimenticare il Tour del 1947, la folla di gente a Parigi. Capii in quel mentre che davvero la guerra era qualcosa che ci eravamo messi alle spalle». Questa popolarità, Geminiani la spese andando a cercare sponsor al di fuori del territorio prettamente ciclistico: la Saint Raphael Geminiani Dunlop del 1954 fu uno dei primissimi esempi di team con uno sponsor non appartenente al mondo delle due ruote.

Questa sua saggezza seppe spenderla anche quando chiuse la sua carriera: per molti anni è stato apprezzato direttore sportivo, con scelte mai casuali. Ebbe a che fare da dirigente con Anquetil avversario dei suoi ultimi anni da corridore ma negli anni Settanta portò alla Fiat France anche un Merckx pronto a sparare le sue ultime cartucce. Investì su Stephen Roche incantato dal suo clamoroso anno della tripletta Giro-Tour-mondiale. Infine capì prima di altri il grande patrimonio dato dal ciclismo colombiano, dirigendo Herrera e Parra, primi campioni di una lunga serie.

Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)
Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)

Testimone del dramma di Coppi

Con Geminiani se ne va anche il testimone diretto della scomparsa di Fausto Coppi e in fin dei conti, quel dramma è legato anche a questa sua lungimiranza. Il francese infatti aveva capito che c’era possibilità di monetizzare la grande popolarità ottenuta andando alla ricerca di nuovi contesti (una politica che l’Uci ha sposato negli ultimi anni, lui l’aveva capito molto prima). Raccoglieva lauti ingaggi per criterium da correre in Africa, dove a fronte di assegni cospicui e un impegno sportivo molto relativo c’era anche la possibilità di farsi una bella vacanza tutta spesata.

Nel 1959 coinvolse anche il suo amico Fausto Coppi: «Bobet non può venire, ti va di venire con me in Alto Volta?”. Una delle ultime notti, le zanzare invasero la loro stanza e li punsero a ripetizione. Tornati a casa, Geminiani chiamò Fausto col quale era in trattativa per portare corridori da affiancare a Bahamontes: «Sai, Gem, da quando sono tornato non sto molto bene». «Neanch’io». Stessa camera, stesse zanzare, stessa malaria, cure diverse: la sua fortuna fu che le sue analisi, portate all’istituto Pasteur di Parigi evidenziarono la malattia, la cura di chinino lo salvò a un passo dalla morte, quel passo che l’Airone non riuscì a compiere, curato con antibiotici assolutamente inutili.

Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione
Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione

Il ciclismo che non c’è più

Geminiani era il più anziano detentore della maglia rosa, indossata per 3 giorni nel 1955, ma soprattutto era uno degli ultimi testimoni di un ciclismo che sapeva d’avventura, di passaparola, di imprese epiche. Delle quali, se eri fortunato, restava qualche foto sbiadita dallo scorrere del tempo. Qualcosa che, nell’era del ciclismo tecnologico fatto di radioline e rigide tabelle d’allenamento, di informazioni che ti arrivano nello spazio di microsecondi, è anche difficile da immaginare per chi non c’era…

Zambanini continua a crescere, così come le sue ambizioni

05.07.2024
5 min
Salva

La voce di Edoardo Zambanini oltrepassa il microfono del telefono con un tono raggiante e simpatico. Il classe 2001 della Bahrain Victorious sta andando a Livigno per trascorrere tre giorni un po’ diversi, ma sempre con la bici al suo fianco. La prima parte di stagione è alle spalle, terminata con il Giro di Slovenia e poi con il terzo posto al campionato italiano. Ora Zambanini prepara le fatiche della seconda metà dell’anno.

«Sto andando a Livigno – racconta – perché ci sono su la mia ragazza e alcuni compagni di squadra. Niente altura, quella arriverà settimana prossima quando con il team andremo in ritiro. Avevo voglia di cambiare zone di allenamento. Ho ripreso lunedì dopo una breve pausa arrivata al termine del campionato italiano. Ho staccato per una settimana e sono andato al mare, vicino a San Marino. Ho sfruttato la vicinanza per andare a godermi il Tour in Italia, ho visto l’arrivo di Rimini e la partenza da Cesenatico».

La stagione di Zambanini è iniziata a gennaio, con l’AlUla Tour
La stagione di Zambanini è iniziata a gennaio, con l’AlUla Tour

Lenta ripresa

Le vacanze per Zambanini sono finite: brevi ma comunque rigeneranti. Una settimana al caldo con l’unico pensiero di rilassarsi e godersi il meritato riposo dopo una prima parte di stagione intensa. 

«Lunedì ho ripreso gli allenamenti – continua – con calma. Ho fatto un’uscita leggera, di un paio d’ore, con il passare dei giorni ho aumentato l’impegno in sella, ma senza esagerare. Domani (oggi per chi legge, ndr) ho in programma una mezza distanza, ma nulla di troppo intenso. 

«Il 2024 – riprende – è stato un anno più fortunato rispetto a quello passato, almeno dal punto di vista della salute. Non ho avuto intoppi e mi sono allenato parecchio bene, con grande continuità. Nei primi mesi non avevo in programma nessuna altura, anche perché non ero nella selezione per il Giro d’Italia. La squadra voleva farmi fare altre corse, l’idea era quella di andare alle Vuelta».

Al Tour of Antalya ha corso con libertà concludendo terzo nella generale
Al Tour of Antalya ha corso con libertà concludendo terzo nella generale
Cos’è cambiato?

Che sono andato forte fin dalla prima parte di stagione, al Saudi Tour ho dato una mano ai velocisti. Da lì sono andato all’Antalya dove ho avuto spazio per me e ho raccolto un buon terzo posto nella generale. Poi ho messo insieme tante esperienze importanti, con un calendario interamente WorldTour: Strade Bianche, Catalunya, Baschi, Freccia Vallone e Romandia. 

Avevi già 36 giorni di corsa nelle gambe e ancora il Giro d’Italia da affrontare.

Ho corso parecchio, ma mi ha fatto bene, praticamente mi alternavo tra corse e casa. Una settimana da una parte e una dall’altra. Poi rispetto al 2023 ho avuto un grande cambiamento: il preparatore. Da Fusaz sono passato a lavorare con Michele Bartoli

Come mai?

La squadra ha deciso così. Da subito abbiamo avuto un bel feeling, ha un metodo di allenamento che mi piace. Gran parte del merito per questa prima parte di stagione corsa a buoni livelli va a lui.

Il risultato di maggior prestigio è stato il secondo posto di tappa dietro Hermans al Giro dei Paesi Baschi
Il risultato di maggior prestigio è stato il secondo posto di tappa dietro Hermans al Giro dei Paesi Baschi
Tanto che arrivata la convocazione per il Giro, accanto a Tiberi, che esperienza è stata?

Al Giro mi sono divertito tutti i giorni. Ho fatto la fatica giusta ma il tempo è volato, sono 21 tappe che porto tutte nel cuore. Mi sono messo a disposizione di Tiberi, vero, ma anche di Bauhaus finché c’è stato. Ogni giorno avevo qualcosa da fare e sono felice di com’è andato. Il mio compito era di rimanere accanto a Tiberi fino all’ultima salita, da lì andavo su con il mio passo.

Cosa hai imparato in quelle tre settimane?

Che lo spirito di squadra fa tanto. Noi avevamo un team davvero unito, sia tra noi corridori che con lo staff. Eravamo tanti italiani e questo ha contribuito al divertimento. Al Giro del 2023 non mi ero divertito così tanto, forse perché arrivavo con un’altra condizione. 

Zambanini ha corso il Giro accanto a Tiberi, con il quale dal 2024 condivide il preparatore: Bartoli
Zambanini ha corso il Giro accanto a Tiberi, con il quale dal 2024 condivide il preparatore: Bartoli
Fatiche concluse con un bel terzo posto al campionato italiano.

Prima sono andato al Giro di Slovenia, dove stavo molto bene e ho lavorato per Pello Bilbao che stava preparando il Tour de France. In classifica mi sono piazzato dodicesimo, ma la gamba era buona. Infatti al campionato italiano ho avuto più spazio e ho raggiunto il terzo posto finale, mi sono giocato le mie carte.

Dimostrando che quando hai spazio sai cosa fare. 

Sì, devo dire che quando mi è stata data libertà d’azione ho sempre fatto bene, in generale. Ricordo al primo anno, nel 2022 al Giro di Ungheria ero arrivato quarto nella generale, così come al Gran Piemonte. 

La prima parte di stagione si è conclusa con un ottimo terzo posto al campionato italiano, segno che la gamba c’è
La prima parte di stagione si è conclusa con un ottimo terzo posto al campionato italiano, segno che la gamba c’è
E’ ora di prendersi ancora più libertà?

Ne ho parlato con la squadra e ho chiesto proprio questa cosa. Nella seconda metà di stagione mi piacerebbe avere più chance. La Bahrain mi ha fatto crescere bene, se avrò questa condizione da qui a fine anno potrò giocarmi le mie carte. 

Anche perché sei in scadenza…

Questa cosa non mi preoccupa, con la squadra parlo costantemente e lo faremo ancora da qui a fine anno. Non resta che rimboccarsi le maniche, fare questi 20 giorni d’altura e fiondarmi nel finale di stagione. Ripartirò dal Giro di Polonia, poi Gran Bretagna, Plouay, Canada, Tre Valli Varesine, Gran Piemonte e Lombardia. 

In bocca al lupo.

Crepi! A presto!

I numeri sul Grappa e il futuro di Pellizzari: gli appunti di Piepoli

04.07.2024
5 min
Salva

Dal Tour of the Alps al Giro d’Italia. Poi il Giro di Slovenia, i campionati italiani e proprio in questi giorni Giulio Pellizzari è impegnato al Tour of Austria. Non sarà troppo? E’ una curiosità che proveremo a toglierci con il supporto di Leonardo Piepoli, chiamato al suo fianco da Massimiliano Gentili, il vero mentore di Giulio. Come lo ha visto al Giro? E cosa pensa del programma successivo?

«Credo che al Giro fosse difficile – spiega il pugliese – fare meglio di così. Immaginavo che potesse essere già a quel livello, perché al Tour of the Alps aveva dimostrato di essere cresciuto. Giulio ha sempre continuato a migliorare e arrivando al Giro ha fatto un ulteriore salto di qualità. Non mi ha stupito. Se si guarda la prima tappa in Piemonte, quella di Torino, era già andato davvero forte».

Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Diciamo che il suo avvicinamento al Giro è stato singolare, con il Belvedere e il Palio del Recioto prima di andare al Tour of the Alps.

Secondo me il progetto che stanno facendo i Reverberi funziona. Magari subito può sembrare strano, perché fare quelle corse potrebbe sembrare un passo indietro per uno che ha già fatto bene tra i professionisti. Invece, secondo me, è utile anche portarlo in corse più piccole e mi piace che lui lo abbia preso bene, secondo me è stato propedeutico. Non si è tirato indietro, ha detto che sono corse belle e che gli piacciono e proprio con questi atteggiamenti lui fa la differenza. Quanto a testa è migliore di tanti altri e questa ne è la dimostrazione.

Perché dici che è stato propedeutico?

Li mandi sotto e fanno risultato, poi li mandi sopra e faticano. Come adesso con Pinarello. Negli under 23 cresce forte, mentre fra i pro’ non ci riesce ancora. Perciò lo rimandano sotto, fa risultato, prende fiato e poi torna tra i grandi. E’ una cosa che ti aiuta a crescere.

Dove vedi i margini più ampi di Pellizzari?

Credo che ne abbia in tutti i campi, perché è molto acerbo in tutto. Sicuramente il primo fronte da attaccare potrebbe essere la cronometro, per un fatto fisico e di attitudine. Ci ha lavorato davvero poco finora, anche perché facevamo un certo tipo di attività per cui la cronometro era relativa. Ora dovrà cominciare a lavorarci, a conoscere i materiali. C’è di buono che è giovanissimo, quindi ha l’elasticità che serve per adattarsi alla bici. E quando si tratta di spingere, non ha problemi.

La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
Non averci lavorato prima è un limite o davvero non serviva?

Io credo che Max Gentili meglio di così non potesse gestirlo. Un giorno mi disse una cosa, quella che mi è rimasta più impressa. Mi disse che da junior, se avesse voluto, con Giulio avrebbe potuto vincere dieci corse. Invece per tutto il tempo che l’ha avuto, ha cercato quelle meno adatte a lui e lo mandava all’attacco perché provasse ugualmente a vincere. E questo ha fatto sì che adesso abbiamo quel ragazzo che prende e attacca. Sfrontato, senza la paura di crollare. E se rimbalza, il giorno dopo è nuovamente lì. Max era molto convinto che sarebbe diventato un corridore e ha fatto tutto il necessario per farlo crescere e non per portare a casa vittorie. Cosa che non è troppo comune e secondo me è una mossa giustissima.

Come vedi la scelta di andare al Tour of Austria?

Un giorno Giulio mi ha chiamato e mi ha chiesto che cosa ne pensassi, dato che gli avevano proposto di andare. Anziché rispondergli, ho chiesto la sua opinione. E lui ha detto che negli stessi giorni la sua ragazza era al Giro Donne, mentre i genitori sarebbero andati in vacanza. Allora ha detto che quasi quasi avrebbe fatto meglio a correre, così magari avrebbe provato a vincere una corsa, dato che finora tanti attacchi, ma zero vittorie. E questo è un altro dei casi in cui dico che Giulio Pellizzari ha la testa due spanne sugli altri.

Per cosa?

Altri avrebbero tirato fuori delle menate. Sulla squadra che li spreme, sul fatto che erano stanchi, sul fatto che si sarebbero finiti. Giulio sa che potrebbe essere stanco, è ovvio. E quando si renderà conto che non ce la dovesse fare, prenderà le sue decisioni. Ma secondo me, dato che di qui a fine anno non parteciperà più a corse a tappe, l’Austria ci può stare. Il suo calendario, dall’estate in avanti, prevede solo corse di un giorno, che gli vanno bene anche a livello di crescita. Lavorerà sul cambio di ritmo, farà a tutta salite di due o tre minuti, dovrà limare per arrivare a prenderle davanti. Perciò l’Austria adesso non gli farà male. Gli under 23 olandesi o belgi fanno 8 corse a tappe per anno. Va bene che Giulio ha fatto il Giro d’Italia, ma la sua non è stata un’attività eccessiva rispetto a quella dei coetanei europei.

Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Visto che fare dei passaggi fra gli U23 è propedeutico, perché escludere di partecipare al Tour de l’Avenir? L’anno scorso è stato sul podio, lavorare per vincere non sarebbe utile?

Non so in realtà se abbiano scelto qualcosa, però io personalmente sono sempre stato contrario, per il fatto che hai solo da perdere. Non riesci a crescere. Nel suo caso, preferisco che faccia il Giro d’Austria. Qualunque sia il risultato, chiunque ci lavorerà il prossimo anno, vedrà che è andato forte al Tour of the Alps, al Giro d’Italia, allo Slovenia e magari anche in Austria. Vuol dire qualcosa. Per andare al Tour de l’Avenir devi fare una preparazione su misura, mentre adesso conviene che Giulio finisca l’Austria, poi stacchi e inizi a preparare le corse italiane.

Avrai sicuramente visto i suoi dati del Giro: ci colpì nel giorno del Grappa, quando provò a stare dietro a Pogacar che saliva a 600 watt. Quel giorno Giulio ha fatto qualche record personale?

Ha tirato fuori anche quello che non aveva. Il Grappa è un’ora di salita e lui alla prima scalata ha fatto la sua ora migliore di sempre. E nella seconda passata, circa mezz’ora dopo, ha migliorato la sua migliore ora di sempre. Ha fatto il suo “best all time” in entrambi i casi, più di così non poteva andare. Ma anche lì dimostra la consistenza del ragazzo di fare una salita così forte e poi di farla ancora poco dopo. Vuol dire che ha tanta testa, ma anche tanto motore. Fare certi numeri a fine Giro vuol dire avere qualcosa di più rispetto alla media.

Per Decathlon è ancora vivo l’effetto Giro

01.07.2024
4 min
Salva

LISSONE – Non si corre certo il rischio di essere smentiti se si afferma che il team rivelazione di questa prima parte del 2024 sia la Decathlon-AG2R La Mondiale. La formazione transalpina ha saputo cogliere tantissimi successi e soprattutto l’ha fatto con diversi atleti. Gli ultimi due in ordine di tempo sono stati Bruno Armirail e Paul Lapeira, entrambi in gara in questi giorni al Tour de France. Grazie a loro sono arrivati i titoli nazionali francesi a crono e su strada. Due sono stati anche i successi ottenuti dalla Decathlon-AG2R La Mondiale sulle strade dell’ultimo Giro d’Italia, grazie a Valentin Paret-Peintre e al nostro Andrea Vendrame, ai quali ha fatto gradita compagnia la vittoria nella classifica a squadre.

Per sapere se c’è stato un possibile «effetto Giro» sulle vendite dei prodotti ciclo in casa Decathlon Italia abbiamo fatto visita a Rosario Cozzolino, Category Manager Ciclismo della filiale italiana dell’azienda francese.

Foto di gruppo nello store di Settimo Torinese, al centro Andrea Vendrame e Rosario Cozzolino
Foto di gruppo nello store di Settimo Torinese, al centro Andrea Vendrame e Rosario Cozzolino
Che bilancio possiamo tracciare a poco più di un mese dalla conclusione del Giro d’Italia?

Il bilancio è decisamente positivo. Il Giro d’Italia è andato al di là delle nostre più rosee aspettative. Il successo di squadra, le due vittorie di tappa e il fatto che una di queste sia arrivata dall’unico italiano presente nel team, Andrea Vendrame, ci ha fatto enorme piacere. Prima del Giro avevamo avuto Andrea come nostro ospite presso il nostro store di Settimo Torinese… In qualche modo gli abbiamo portato fortuna.

Un Giro d’Italia così positivo da parte della squadra ha avuto un “ritorno” anche per voi di Decathlon Italia?

Direi di sì. In occasione del Giro abbiamo lanciato la campagna “Segui la scia” che ha interessato circa 100 prodotti legati al mondo road cycling presentati con un’offerta ad hoc. Durante il Giro d’Italia abbiamo poi creato una serie di contenuti video per evidenziare le ottime performance realizzate dalla squadra e di conseguenza l’ottima qualità dei prodotti Van Rysel e più in generale Decathlon. Il risultato finale in termini di vendite è stato decisamente positivo.

Gli atleti del team Decathlon-AG2R La Mondiale in azione con le loro bici Van Rysel (foto P.Ballet Team Decathlon-AG2r)
Gli atleti del team Decathlon-AG2R La Mondiale in azione con le loro bici Van Rysel (foto P.Ballet Team Decathlon-AG2r)
A livello generale, state riscontrando dei dati positivi nel segmento ciclo?

Rispetto allo scorso anno abbiamo avuto un incremento delle vendite che sfiora il 30%. Se guardiamo poi al 2022, un anno che viveva ancora dell’onda lunga della voglia di bici generata dal Covid, possiamo notare una tendenza positiva. Tutto questo non può che renderci contenti. Focalizzandoci al solo comparto delle bici di alta gamma, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, abbiamo venduto più del doppio di biciclette. Tutto questo si è andato ad accompagnare ad una crescita costante nella vendita di tutti gli accessori firmati Van Rysel, come occhiali, caschi e scarpe. Si tratta di un segmento, quello degli accessori, che in Italia ha sempre avuto un trend positivo.

Cosa significa per Decathlon diventare un player che tratta prodotti di alto di gamma?

Per noi è molto importante. Vogliamo diventare un riferimento anche per un tipo di clientela che cerca prodotti top e che può diventare quindi di interesse anche per altri brand alto di gamma. Per questi brand Decathlon deve diventare come una “opportunità” da cogliere per raggiungere nuovi potenziali clienti e non come qualcosa che può generare timore. Proprio per questo il nostro obiettivo è creare nuove partnership, così come abbiamo fatto con Santini. Un ruolo di primo piano lo svolgeranno i nostri negozi “Gold” con prodotti e competenze al top. Tutto questo però non deve tradire quella che è da sempre la forza e la filosofia di Decatlon. Sto parlando dell’accessibilità allo sport. Il nostro obiettivo rimane sempre quello di rendere lo sport, qualunque sia la disciplina praticata, accessibile al maggior numero di persone possibile.

Fotografata ieri al via da Cesenatico la nuova Van Rysel FCR 2
Fotografata ieri al via da Cesenatico la nuova Van Rysel FCR 2
Ritorniamo al team. Una cosa che ha colpito è il fatto che in tutte le loro interviste staff e atleti attribuiscono all’arrivo di Decathlon i risultati positivi ottenuti fino ad oggi…

Tutto questo per noi è fonte di grande soddisfazione, così come il vedere apprezzate dai ragazzi del team le Van Rysel in uso alla squadra. Di recente ho avuto modo di partecipare ad un incontro presso la sede Van Rysel a Lille. E’ emerso che gli atleti sono davvero molto soddisfatti del materiale a loro disposizione. Se erano titubanti al momento di ricevere le nuove bici ora sono contentissimi. Ci hanno rivelato che oggi possono “sgomitare” con gli altri e buttarsi in avanti anche ad alte velocità senza alcun timore dal momento che si sentono sicuri in sella.

Siamo a inizio Tour, a livello di novità di prodotto ci dobbiamo aspettare qualcosa?

Al Tour de France ha debuttato la nuova FCR 2 (il debutto è avvenuto ieri nella tappa di Cesenatico, ndr). L’hanno usata Sam Bennet e Oliver Naesen. Non resta che cercarla in gruppo.

Decathlon