Sicuri che sarà un Lombardia tanto facile? Ne parliamo con Vegni

19.09.2024
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Centodiciotto edizioni, 252 chilometri e 4.823 metri di dislivello: sono i numeri del prossimo Giro di Lombardia. La “classica delle foglie morte” andrà in scena il prossimo 12 ottobre e sarà l’ultimo monumento dell’anno, come di consueto. Si partirà da Bergamo e si arriverà a Como.

Ma se le località di partenza e arrivo sono nel segno della tradizione è ben diverso quel che c’è nel mezzo. Di fatto è un Giro di Lombardia “nuovo”, specie nel finale. Un finale meno duro, se vogliamo, che lascia più spazio a possibili iniziative e scenari. 

Mauro Vegni (classe 1959) è il direttore del ciclismo di RCS Sport
Mauro Vegni (classe 1959) è il direttore del ciclismo di RCS Sport

Parla Vegni 

E di questa creatura ne abbiamo parlato con il patron Mauro Vegni. «Senza dubbio è un Lombardia particolare – dice Vegni – anche se forse dentro di me preferivo quello dell’anno scorso. Ma con i problemi di viabilità che ci sono non siamo potuti andare sul Civiglio e pertanto siamo stati costretti a cambiare un po’ di cose. Vedremo quando poter tornare sul Civiglio, non sarà una cosa breve da quel che ho capito. Poi se piaccia o no, ognuno ha il proprio punto di vista».

Vegni si riferisce a qualche polemica relativa proprio al finale meno duro. Non c’è la classica doppietta Civiglio, San Fermo della Battaglia, ma solo il San Fermo. Va da sé che gli scenari e gli andamenti tecnici e tattici potranno essere differenti. Prima il finale durissimo bloccava parecchio la corsa.

A nostro parere non è una brutta cosa. Spesso il Lombardia si riduce a quelle poche persone, 4-5 atleti, ancora in forze e lo fa senza appelli. Magari stavolta potrebbe esserci spazio per colpi di scena e un lotto di pretendenti leggermente maggiore.

«Più di qualcuno – riprende Vegni – ha subito detto che è un Lombardia troppo facile, addirittura per velocisti. Io dico che il dislivello, oltre 4.800 metri, è superiore a quello dell’anno scorso (erano 4.600 metri, ndr). Probabilmente avremo un finale un po’ più incerto, ma ricordiamoci che la corsa la fanno i corridori e in ogni caso non sarà una gara semplice».

«Sono sempre più di 250 chilometri, il dislivello come detto è tanto e siamo a fine stagione. Poi se ci dovesse essere il Pogacar che abbiamo visto al Giro e al Tour resta difficile pensare che altri corridori abbiano poi così tanto spazio. Dipende sempre da chi trovi e chi ci sarà. Se penso agli uomini da corse di un giorno (e non solo, ndr) anche un Evenepoel potrebbe essere davvero pericoloso. In ogni caso il Lombardia è e resta una corsa per gente forte. Mi auguro solo che a vincere non sarà un corridore di mezza levatura».

L’altimetria del prossimo Giro di Lombardia: da Bergamo a Como 252 km
L’altimetria del prossimo Giro di Lombardia: da Bergamo a Como 252 km

Da Como a Bergamo 

Si va sulle più iconiche salite bergamasche e lariane, si leggeva nel comunicato della presentazione. Ed è vero. Vegni stesso ci ha raccontato come è nato questo percorso.

«Dovendo sostituire il Civiglio, quello che non si fa nel finale si doveva fare prima. Sono anni che giriamo in quelle zone, che affrontiamo certe salite. E anche quelle che non avevamo mai fatto, magari le avevamo visionate per altre gare. Pertanto abbiamo una buona conoscenza di queste terre. Una conoscenza che ci ha portato ad inserire più salite nella prima parte proprio in funzione del finale e questo alla fine renderà il Lombardia duro come sempre».

Si parte dunque dal centro di Bergamo, si va verso la Val Cavallina e da qui la prima sequenza di salite: Forcellino di Bianzano, Ganda, Berbenno e Valpiana. Una cinquantina di chilometri per riordinare le idee, valutare determinate fughe in atto e poi ecco il duetto mitico: Madonna del Ghisallo e Colma di Sormano. Di nuovo una fase di “recupero” prima del gran finale sul San Fermo della Battaglia e l’arrivo sul lungolago di Como, appena 5,2 chilometri dall’ultima vetta.

Lo sprint del 2023 a Como tra Pogacar e Mas. Lo sloveno trionfò per un soffio
Lo sprint del 2023 a Como tra Pogacar e Mas. Lo sloveno trionfò per un soffio

Quali tattiche?

Nei vari giochi tattici la fuga del mattino potrebbe essere più importante del solito. Magari potrebbe contribuire a sgretolare maggiormente le squadre e di conseguenza la corsa sarebbe meno controllabile. Quasi sicuramente sarà una fuga “da gamba”.

«Personalmente – conclude Vegni – resto del parere che la fuga iniziale sia più per farsi vedere, mentre è un discorso diverso se qualcuno dovesse partire a 30-40 chilometri dall’arrivo».

Vedremo insomma quel che succederà senza il Civiglio prima del San Fermo. Magari un corridore relativamente veloce, senza il doppio strappo, potrebbe tenere le ruote di chi è più scalatore in vista del finale.

Senza andare troppo indietro negli anni, non scordiamoci del Lombardia del 2022, che arrivava proprio a Como e faceva Civiglio e San Fermo. Quel giorno Enric Mas rese la vita difficile a Pogacar. Lo sloveno ebbe la meglio solo allo sprint. Magari con qualche tossina in meno nelle gambe dovuta alla doppia salita finale e agli sforzi per tenere le ruote di Tadej, lo sprint di Mas sarebbe stato diverso.

Insomma si prospetta un Lombardia davvero interessante tutto da scrivere, da correre… da gustare.

E Pozzovivo come sta? Entusiasta e pronto per il gran finale

27.08.2024
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Parlare con Domenico Pozzovivo è sempre coinvolgente. Il lucano non è mai banale e, a quasi 42 anni, ha l’entusiasmo di un novellino, ma con la sapienza degna di un’enciclopedia. Lo avevamo lasciato sul rettilineo dei Fori Imperiali, quando il gruppo, Roma e il Giro d’Italia gli resero omaggio. Ma come è andata da allora? 

Il corridore della VF Group-Bardiani sta preparando il finale di stagione, e di carriera. Lo attendono sei gare in due blocchi: Gp di Larciano, Giro di Toscana e Memorial Pantani a settembre. Giro dell’Emilia, Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia ad ottobre.

A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
Domenico, ci eravamo lasciati al Giro, anche se poi avevi tirato lungo fino allo Slovenia. Come sono andate le cose da allora?

Più che tirare lungo è stato uno “stop&go”. Dopo il Giro infatti ho avuto la polmonite, uno strascico del Covid che avevo preso in gara. Sono stato una settimana fermo e a prendere gli antibiotici. E infatti poi in Slovenia sono andato inaspettatamente bene. In ogni caso dopo l’italiano mi sono fermato. Volevo recuperare bene, anche perché poi prima di tornare alle corse ci sarebbe stato abbastanza tempo.

Chiaro…

Il Giro dell’Appennino a luglio è stata più che altro una parentesi celebrativa. Successivamente sono andato all’Arctic Race, che è stata una bella sorpresa. Al rientro ho recuperato un po’ e quindi sono salito dieci giorni in ritiro sullo Stelvio. Devo dire di aver trovato un bel caldo anche lì e parecchio traffico sotto Ferragosto, ma sapevo come evitare le strade più caotiche.

Come stai? Come sono i valori?

I valori sono buoni, ma non sono quelli che avevo prima del Giro. Ma ho ancora due settimane per metterli su e vederli sul computerino! Io purtroppo ho questi strascichi post Covid molto lunghi, ma i 2-3 mesi canonici ormai sono passati.

In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
E come ce li metti nelle gambe? Anzi, nel computerino!

Sostanzialmente facendo brillantezza. Già per il solo fatto di essere stato lassù e aver fatto salite lunghe è normale che non siano altissimi. Scendendo di quota le cose dovrebbero migliorare. In più si riduce il minutaggio dei lavori e si insiste un po’ sull’intensità. Cercherò di arrivare alla performance massima “a pezzi”, magari stando qualche minuto al di sopra dei valori di riferimento sui 20′. Comunque la parola d’ordine è brillantezza.

Prima hai parlato dell’Arctic Race, come sorpresa. E’ stata un’esperienza nuova…

In realtà volevo fare anche Hainan, in Cina (dove stamattina Jakub Mareczko ha vinto la prima tappa, ndr). Anche quello non l’avevo mai fatto. Solo che poi non c’era la tappa in salita che credevamo, il percorso non era per nulla adatto a me e non sono andato. Lo spirito della scoperta non l’ho perso! Dall’Arctic Race non mi aspettavo nulla di preciso dalla gara, anche questa non troppo idonea alle mie caratteristiche, ma è stata una bella sorpresa: scenari diversi, un buon clima, anche troppo caldo per quelle latitudini. Poi è stata vissuta bene proprio la trasferta. Le tappe partivano abbastanza tardi, quindi la mattina ci vedevamo le varie qualificazioni delle Olimpiadi, facevamo la nostra corsa e la sera di nuovo le Olimpiadi in tv con le finali dell’atletica. L’unica cosa negativa è stata che la valigia mi è arrivata il penultimo giorno. Mi sono dovuto arrangiare a lavare i panni ogni volta!

Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Quindi viva la vecchia regola degli scarpini nello zaino da portare nella cabina dell’aereo…

Esatto. Lo stretto necessario ce lo avevo. Poi è anche vero che il ciclismo attuale ci vizia. Mi mancava la “copertina di Linus”, tipo quegli integratori personali, quella maglia… ma avevo tutto. E’ che con il caldo che davano le previsioni, avevo deciso di portare i miei sali minerali e non li avevo. Un giorno sono andato a fare un giro e in un supermarket locale ho trovato un “super food”. In pratica era una sorta di pesce azzurro secco. Ho guardato i nutrienti e ho visto che era valido. L’ho preso, ma quando l’ho aperto i miei compagni non sono rimasti contenti!

Possiamo immaginare…

Il gusto non era neanche malaccio, ma l’odore non era il massimo. Sapeva di pesce un po’ malandato. Ma a livello nutrizionale lo consiglio: 60 grammi di proteine ogni 100 di prodotto.

E della Norvegia cosa ti è parso?

Selvaggia. Si aveva l’impressione di essere in montagna pur stando al livello del mare. C’era anche un stazione sciistica… a 300 metri di quota. Magari facevi 100 chilometri e il fiordo ti seguiva, oppure te lo ritrovavi al di là di una collina. E poi lo spettacolo delle maree, come entravano ed uscivano dal fiordo. Davvero comprendi la forza della natura.

Dall’entusiasmo con cui racconti, non sembri uno che sta per smettere. Perché smetti questa volta, giusto?

Sì, sì basta! L’entusiasmo e gli stimoli non mancano. Il motivo per cui smetto è l’età chiaramente e il rischio che comporta il ciclismo. Continuare sarebbe un po’ come cercarsela… A me non capita mai di non avere voglia di andare in bici o di trascinarmi perché devo. Voglia di allenarmi e correre ci sono sempre.

Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
E ora si profilano queste sei gare. Ce ne sono alcune che senti in modo diverso?

Indubbiamente l’Emilia e il Lombardia. All’Emilia nel 2022 feci il podio lottando spalla a spalla con Pogacar. E il Lombardia è la classica che più mi piace e da cui sono affascinato. Ci tengo particolarmente a fare bene lì.

Hai un aneddoto particolare di questa corsa?

Quando vinse Zaugg. Ci andai vicino, quell’anno si arrivava a Lecco. Caddi in una discesa. Ricordo che finii sopra a Diego Rosa. Passai tutto il lungolago a spingere per ricucire il gap, spendendo molto. Rientrai a piedi dello strappo finale. Lo presi per ultimo, ma di slancio tirai dritto. E andai forte. Ma Zaugg partì in contropiede. Dietro mi giocai il podio con il drappello inseguitore (Pozzo fu sesto, ndr). Penso sempre che se non fossi caduto, magari avrei fatto io la differenza. Quel giorno mi sentivo il più forte in gara.

Domenico, stai pensando ad un’uscita colorata? A qualcosa di particolare?

A dire il vero, no. Magari ci penserò quando saremo più vicini all’evento.

Un’idea dal nulla: a Bergamo i mondiali del 2029

07.06.2024
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«Il mondiale di ciclismo a Bergamo nel 2029». Questa è la promessa di Marco Reguzzoni, presidente della Provincia di Varese dal 2002 al 2008 e a capo dell’organizzazione dei mondiali 2008. E il ciclismo italiano, al di là dei colori politici, non può che quantomeno iniziare a sognare. Un’idea in fase embrionale che in ambiente locale ha stuzzicato, anche se l’acquolina è subito stata placata dalla portata dell’evento che richiederebbe circa 15 milioni di euro per realizzarlo. Quando nel 2008 si corse a Varese per l’Italia del c.t. Ballerini su un’edizione trionafle, perché a trionfare con una fucilata nel finale fu Alessandro Ballan (con Damiano Cunego medaglia d’argento). E allora sognare appunto diventa un po’ più bello.

Ultimi iridati azzurri

Dal 2008 l’Italia del ciclismo in campo maschile (sponda professionisti) non ha più vinto nelle prove in linea, ma lo ha fatto con Elisa Balsamo (ormai bergamasca acquisita) tra le professioniste nell’edizione 2021 disputata nelle Fiandre. E l’anno scorso un bergamasco doc come Lorenzo Milesi ha vinto la maglia iridata a cronometro tra gli under 23. Insomma, Bergamo non ha bisogno di conferme in quanto a talenti nati in provincia e a passione per la bicicletta. Basterebbe il nome di Felice Gimondi che il mondiale lo ha vinto nel 1973 a Barcellona. Ha bisogno invece di una spinta il movimento maschile e chissà che un’edizione italiana non possa incoronare qualche atleta di casa nostra.

Ballan Varese 2008
L’ultimo mondiale di un professionista italiano resta quello di Ballan a Varese 2008
Ballan Varese 2008
L’ultimo mondiale di un professionista italiano resta quello di Ballan a Varese 2008

Percorso da definire

Dopo Varese sono state due le occasioni per vincere in casa: a Firenze nel 2013 e ad Imola nel 2020, occasione in cui Filippo Ganna infilò la prima maglia arcobaleno a cronometro poi bissata nelle Fiandre dodici mesi più tardi.

Quanto al percorso ipotetico ancora non c’è nulla di scritto né “spifferato”, ma c’è l’imbarazzo della scelta. Chi conosce le strade cittadine sa che un circuito finale da ripetere diverse volte è già naturalmente disegnato. Si pedalerebbe sui colli bergamaschi facendo un continuo su e giù tra Bergamo Alta e Bergamo Bassa. Non ci sarebbe un metro di pianura, ma continui strappi e discese molto tecniche.

Imola 2020, gara su strada per Alaphilippe, ma nella crono vince Ganna
Imola 2020, gara su strada per Alaphilippe, ma nella crono vince Ganna

Bergamo, non solo Colle Aperto

Il grande pubblico conosce solo lo spettacolare passaggio dalla “Boccola” che porta in Colle Aperto e quella sarebbe senza dubbio la vetrina. Ma c’è molto di più. Ad esempio il passaggio in San Vigilio che era già stato proposto da Promoeventi per l’arrivo di un recente Lombardia. Una salita veloce, ma non semplice caratterizzata da un falsopiano – prima di un’altra impennata – che spesso diventa decisivo soprattutto nelle corse di un giorno.

E per quanto riguarda l’avvicinamento al circuito? Le salite in provincia ci sono e hanno le giuste caratteristiche per una grande classica. Basti pensare al Lombardia con Selvino, Colle Gallo, Roncola protagoniste. Ma è solo per citarne alcune. Uscirebbe un percorso per corridori veri. Scalatori, ma veloci, esplosivi e in grado di saper stare in gruppo e guidare la bicicletta perché sui colli le strade sono strette e piene di insidie.

La salita fino a Colle Aperto è ormai l’emblema del Lombardia. Qui Pogacar nel 2023
La salita fino a Colle Aperto è ormai l’emblema del Lombardia. Qui Pogacar nel 2023

La città del ciclismo

Peraltro nel 2029 Bergamo sta anche pensando di organizzare la 100esima adunata degli Alpini. Che c’entra? Significherebbe fare le prove anche per l’accoglienza del grande numero di persone che arriverebbe per i mondiali. Anche se la struttura è già stata testata l’anno scorso quando Bergamo con Brescia è stata Capitale della Cultura. Il tutto facilitato dall’aeroporto di Orio al Serio (terzo scalo italiano per numero di passeggeri) che dista una ventina di minuti di macchina dal centro città. E che per il 2029 sarà anche servito da un treno che collegherà lo scalo con il cuore di Bergamo.

Il sindaco uscente di Bergamo, Giorgio Gori ha sempre lavorato perché Bergamo ospitasse il grande ciclismo. In dieci anni di amministrazione la città ha sempre ospitato o l’arrivo o la partenza del Lombardia e negli occhi dei tifosi c’è ancora il doppio passaggio sulla Boccola al Giro d’Italia 2023.

Le carte in regola ci sono anche per quanto riguarda le altre discipline. Bmx (nel quartiere cittadino di Loreto è in fase di ristrutturazione una delle piste più apprezzate), mountain bike (boschi e sentieri caratterizzano buona parte del territorio bergamasco) e pure il ciclismo su pista. Chissà che lo storico Velodromo di Dalmine non possa tornare a vestire il suo abito migliore per un evento così…

Alfonsina Strada, cent’anni dopo pedalando contro il pregiudizio

20.05.2024
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Ci sono tanti modi per vincere. E non tutti richiedono che si transiti per primi sotto il traguardo. Alfonsina Strada lo ha fatto, più volte. Ma non è famosa per quello. La sua vittoria è molto più profonda, radicata. Lei può essere davvero considerata un’antesignana dell’emancipazione femminile, un personaggio a suo modo modernissimo, in un’epoca ormai lontana un secolo. Perché a colpi di pedale ha preso a spallate lo status quo, i pregiudizi legati all’universo femminile. Se oggi le ragazze gareggiano in giro per il mondo, vivono di ciclismo con contratti importanti, lo devono anche a lei. E le celebrazioni per il centenario della sua presenza al Giro, stabilite in quest’edizione, sono un tributo sacrosanto.

Carattere forte, quello di Alfonsina. Seconda di 10 figli, impara presto che la vita bisogna guadagnarsela ogni giorno, masticando il duro sapore della povertà. A 10 anni, quasi inaspettatamente un giorno suo padre rientra a casa con una bici. A maschi di famiglia vorrebbero impossessarsene, ma Alfonsina sa come farsi rispettare e alla fine ci sta sempre lei, sopra. E’ come se quel mezzo diventasse la sua voce, esprimesse la sua voglia d’indipendenza.

Un murales recente a ricordo dell’impresa della Strada. Il Giro celebra il centenario della sua presenza
Un murales recente a ricordo dell’impresa della Strada. Il Giro celebra il centenario della sua presenza

Che smacco per gli uomini…

Inizia a gareggiare, corre contro i maschi e spesso li batte. Sono gare dove c’è sopra un bel giro di scommesse, Alfonsina porta a casa soldi e questi insabbiano ogni renitenza, ogni retaggio culturale in famiglia. Non fuori però: quella ragazzina che non sa stare al suo posto non piace, se poi si permette anche di battere i maschi… Non è una situazione che può durare a lungo, anche perché le dicerie pesano sull’equilibrio famigliare, così arriva il tempo che Alfonsina prende la sua strada.

Nel 1907, a 16 anni, vince il titolo di miglior ciclista italiana (poca cosa in verità, non è che fossero poi così tante…), va anche a correre all’estero, addirittura a San Pietroburgo viene premiata dallo Zar Giorgio II in persona. Nel 1911 stabilisce il record mondiale di velocità. Si trasferisce a Milano dove incontra Luigi Strada. A differenza di tanti altri, lui non disapprova la sua passione per le biciclette, anzi. Il giorno delle nozze, le regala una bici. Alfonsina cambia cognome, da Morini diventa Strada, quasi un destino in quelle sei lettere.

L’iconica immagine della giovanissima emiliana in sella alla sua bici
L’iconica immagine della giovanissima emiliana in sella alla sua bici

L’iscrizione al Lombardia

La svolta arriva nel 1917: Alfonsina decide di iscriversi al Giro di Lombardia. C’è grande trambusto nella sede del comitato organizzatore. La sua richiesta arriva come un fulmine a ciel sereno. Non la vorrebbero, ma nel regolamento non c’è alcun articolo, alcuna postilla che dica che sono solo gli uomini a poter partecipare. Alla fine sono costretti loro malgrado a farla partecipare. Tanti le fanno il tifo contro, la chiamano il “diavolo in gonnella”, ma lei è superiore a tutto. Non vince, sarebbe stato troppo, ma visto che più della metà dei corridori si ritira per il clima impervio e il percorso e lei non è fra questi, è come se avesse dato uno schiaffo a tutti i pregiudizi e a chi li esprime. Ci tornerà l’anno successivo, finendo 21° assoluto (prima donna, naturalmente…)

I soldi che guadagna in bici non bastano, anche perché nel frattempo il marito si è ammalato. Lavora come sarta, ma sente che è un ripiego. Che non rispecchia quel che vuol fare. Nel 1924 decide di riprovarci, ma alza le sue ambizioni: ora vuole partecipare al Giro d’Italia. Questa volta gli organizzatori la accolgono di buon occhio. Calma, non è che sia cambiata la cultura del tempo, anzi… Solo che le difficoltà economiche e dissidi nell’ambiente hanno tenuto lontani molti team e agli organizzatori fa comodo il richiamo di una donna al via contro i maschi. E’ pur sempre una bella pubblicità.

La Strada ha stabilito il record dell’ora femminile nel 1938 con 35,38 chilometri (foto Umbekannter Kustler)
La Strada ha stabilito il record dell’ora femminile nel 1938 con 35,38 chilometri (foto Umbekannter Kustler)

Un manico di scopa

Con il numero 72, Alfonsina Strada si presenta al via: saranno 12 giorni di gara, 3.613 chilometri da percorrere in 12 tappe. A ogni frazione la gente si divide fra chi la osanna e chi la critica. Gli organizzatori cavalcano l’onda della popolarità, a ogni arrivo senza guardare la classifica lei viene acclamata e premiata anche più del vincitore assoluto.

L’ottavo giorno, tappa da L’Aquila a Perugia, si pedala sotto la pioggia battente e la corsa diventa una lunga prova a eliminazione. Una pozza d’acqua le fa compiere un sobbalzo e il manubrio si spacca. Chiunque si sarebbe ritirato, non lei. Prende un manico di scopa e lo adatta con un po’ di nastro, fatto sta che raggiunge il traguardo. Ma fuori tempo massimo. Dovrebbe chiuderla lì, ma per gli organizzatori sarebbe un dramma: poi la corsa chi la segue più? Si raggiunge così un compromesso: continuerà a correre senza che le venga preso il tempo. A patto che arrivi al traguardo finale di Milano.

Una carriera lunga quella di Alfonsina Morini in Strada, nata a Castelfranco Emilia nel 1891
Una carriera lunga quella di Alfonsina Morini in Strada, nata a Castelfranco Emilia nel 1891

L’apertura del negozio

Alfonsina lo fa, è fra i 30 che completano il Giro a fronte dei 60 che non ce l’hanno fatta. Poco importa il responso cronometrico finale, lei c’è. Diventa un’icona per l’universo femminile, forse anche troppo. Sono anni difficili per il Paese che sta cambiando pelle e sui retaggi culturali si fa leva per il cambiamento che nulla cambia… La Strada però ha ormai una popolarità che ha valicato i confini nazionali: la chiamano a correre all’estero e lei lo fa, torna anche a vincere contro gli uomini, porta a casa un bel po’ di quattrini.

Dopo la Guerra, morto il primo marito, Alfonsina si risposa con un ex ciclista, Carlo Messori, con il quale nel 1950 finalmente può avverare il suo sogno: aprire una bottega di bici a Milano. Quel negozio rimane aperto per 7 anni, durante ii quali è un riferimento nazionale, anche perché resta un unicum nell’universo nazionale. Pensateci bene: anche oggi quante sono le donne meccanico di bici? Quante fra le stesse cicliste sanno mettere mano a una bici? Per Alfonsina la bicicletta non aveva segreti e tanti si rivolgevano a lei per riparazioni e consigli.

La Strada all’uscita dalla sua bottega, riferimento per anni per i ciclisti milanesi (foto Umbekannter Kustler)
La Strada all’uscita dalla sua bottega, riferimento per anni per i ciclisti milanesi (foto Umbekannter Kustler)

Morire come ha vissuto

Alfonsina muore nel 1959, a 68 anni, con una fine in fin dei conti degna di come aveva vissuto. Era andata ad assistere alla Tre Valli Varesine, provando a mettere in moto la sua Moto Guzzi 500 cc ha un infarto che le è fatale. Anche la sua morte contribuisce alla sua storia, alla sua immagine di emblema del riscatto femminile, della parità dei sessi. Una battaglia vissuta in anni remoti, da sola, contro un muro. Sgretolato a colpi di pedale.

Marcellusi re del Ghisallo e progetti da leader

09.10.2023
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BERGAMO – «Non lo so neanche io dove prende la grinta questo ragazzo», così commenta un soddisfatto Alessandro Donati la prestazione di Martin Marcellusi. Il direttore sportivo della Green Project-Bardiani è contento visto che anche Tolio se l’è cavata. Per la squadra dei Reverberi una prestazione così in una gara WorldTour, per di più classica Monumento, vuol dire molto.

Marcellusi è stato protagonista della fuga di giornata al Lombardia, tra l’altro presa in seconda battuta, e non sul nascere. Ha scollinato davanti su un paio di salite tra cui il Ghisallo e fino alla fine ha resistito ad un contrattaccante doc quale Ben Healy, uscito in avanscoperta 150 chilometri dopo di lui. 

Marcellusi transita in testa sul Ghisallo, precedendo Battistella, e porta a casa il prestigioso premio
Marcellusi transita in testa sul Ghisallo, precedendo Battistella, e porta a casa il prestigioso premio
Martin, ti aspettavi un Lombardia così? Come doveva andare?

Dal Gran Piemonte sono uscito con una grande gamba. Lì ho visto che potevo stare davanti, ma ovviamente il Lombardia era un’altra gara e non pensavo andasse così! La fuga era era l’obiettivo della squadra. In effetti pensavo di prenderla, di fare le mie 2-3 salite con i primi e poi ciao. Invece più andavo avanti e più stavo bene. Tanto che nella discesa in cui siamo andati via io e Healy ho deciso di fare il forcing.

Perché?

Per provare ad arrivare ancora più lontano. A quel punto l’obiettivo era di restare davanti il più possibile… Non certo provare a vincere il Lombardia!

L’obiettivo del Premio Ghisallo è venuto strada facendo o te l’hanno detto dall’ammiraglia?

Me l’hanno detto in corsa. “Se sei ancora davanti, Martin, fai la volata”. E io così ho fatto.

Ci racconti invece della fuga? All’inizio voi della Green Project-Bardiani non c’eravate…

In realtà noi c’eravamo. C’era Filippo Magli, ma probabilmente ha calcolato male le energie. Ha chiesto un cambio e l’hanno lasciato al vento. Eravamo preoccupati perché poi il gruppo aveva cominciato a fare il barrage ed eravamo tagliati fuori. Ad un certo punto io e Tolio abbiamo trovato un varco. Lui è partito prima di me e io a ruota.

E vi hanno lasciato andare?

Il gruppo non era così intenzionato a lasciarci. Dal mio conto, eravamo fuori dalla fuga. Ovviamente avrei provato fino all’ultimo ad andare via. Poi c’è stata una caduta di gruppo (quella innescata da Remco, ndr), per fortuna senza grandi conseguenze e ne abbiamo approfittato. Non è bello da dire, me ne rendo conto, ma è così. Una parte di me non voleva continuare ad attaccare con un gruppo che era per terra. Poi altri hanno tirato dritto e io li ho seguiti.

Il laziale (classe 2000) tra i più attivi della fuga, eccolo davanti con Healy
Il laziale (classe 2000) tra i più attivi della fuga, eccolo davanti con Healy
C’è stato un momento di difficoltà? Un momento in cui veramente hai dovuto tirare fuori la tua proverbiale grinta?

Sulla salita verso Crocetta: lì ho attraversato un momento di crisi. Però è durato poco. Ho tenuto duro. Stavo per per mandare tutto a quel paese! Invece è rientrato forte Healy e sono riuscito a tenerlo. Siamo rimasti davanti in quattro. Magari è stato un momento di crisi psicologico.

Però alla fine ti giri e in una fuga corposa e con gente importante, vedi sempre meno corridori: immaginiamo che emerga anche un po’ di orgoglio…

Più che orgoglio ti sale il morale alle stelle. Sai, quando vai in fuga in venti e ti stacchi per decimo è un conto, quando invece sei l’ultimo a rimanere davanti ti viene un’altra gamba. Ho iniziato a vedere i primi corridori che si staccavano ed io ancora non ero affaticato più di tanto. In effetti è stata una bella spinta morale e da lì è iniziato un’altro Lombardia per me.

Fino a ritrovarti nel gabbiotto dei campioni, il gazebo dietro al palco di Bergamo dove si cambiavano tutti i “giganti”…

Sì, in effetti è stato figo! Pogacar mi ha dato due volte la mano. Non so perché, magari era contento così! Bello comunque.

Analizzando la tua corsa, ma sarebbe meglio dire questa seconda parte di stagione post Giro d’Italia, sei andato molto forte in salita. Hai vinto la maglia dei Gpm al Tour du Limousin, al Gran Piemonte, il cui finale era tosto, sei arrivato settimo e con gente molto importante, al Lombardia ancora una prestazione di livello in salita: ma ci hai lavorato? Stai intraprendendo un cambiamento?

Sì, ci abbiamo lavorato anche se io non ero molto d’accordo. Io volevo rimanere un po’ meno scalatore e un po’ più “velocista”. Perché automaticamente quando fai queste scelte poi vai un pelo più forte in salita, ma in volata cali. Per quest’anno abbiamo fatto così anche perché c’era di mezzo il Giro d’Italia. E il Giro, vuoi o non vuoi, in 21 giorni ti fa diventare “più scalatore”. Se non stai male, che ne esci bene, ti dà qualcosa in più in salita… Automaticamente ti porta a diventare più scalatore, però scalatore io non lo sarò mai.

Martin esce dal “gazebo dei campioni” e si accinge a salire sul podio
Martin esce dal “gazebo dei campioni” e si accinge a salire sul podio
Hai altre doti: non diciamo un passista veloce, un corridore più completo, che faceva e che fa dello spunto veloce la sua arma vincente. Era così anche tra gli under 23…

Esatto, posso difendermi in salita, ma se poi arrivo allo sprint e in volata non vado, serve a poco. Io quella possibilità di sprint a ranghi ridotti me la voglio giocare invece.

Hai firmato anche per il prossimo anno con la Green Project-Bardiani. Una scelta importante: diventerai un leader?

In realtà ho firmato per tre anni. Loro credono in me tanto e già in queste gare mi fanno correre da leader. Sono rimasto anche per questo motivo. E poi io in questo team sto bene, non mi manca nulla, sento la fiducia. Magari quando avrò 26 anni, che scadrà il contratto, allora penserò al futuro in modo diverso.

E’ un investimento sul tuo futuro. Non sono poi molti i corridori italiani, WorldTour incluse, che possono fare i leader…

Anche perché sto andando forte, ma non è che abbia fatto chissà quali grandi risultati per poter dire: “Vado in una WorldTour e mi fanno fare il capitano”. Se ci andassi oggi dovrei mettermi davanti al gruppo a tirare. Mentre, come ripeto, qui ho i miei spazi e c’è un bell’ambiente.

Che corse farai adesso?

Mi spetta ancora una settimana di gare, chiuderò alla Veneto Classic. Ma ammetto che sono un po’ al limite. Però finché tiro fuori queste prestazioni va bene così!

Il Lombardia da dentro. In corsa c’era anche Elisa Longo Borghini

08.10.2023
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BERGAMO – Il Lombardia visto da dentro. Questa è stata la giornata di Elisa Longo Borghini nell’ultima Monumento della stagione. Una gara che l’ossolana della Lidl-Trek adora dichiaratamente e che ha seguito sull’auto di Stefano Allocchio, direttore delle corse targate Rcs Sport.

La stagione agonistica di Longo Borghini è finita anzi tempo per una serie di sfortunate vicissitudini fisiche. Non ha mai fatto mistero di quanto abbia sofferto chiudere prima il 2023, quindi tanto vale fare le cose che uno ama di più e, se possibile, divertirsi per guardare oltre. Elisa ha già superato questo step, anzi ha gli ultimi preparativi del matrimonio col suo Jacopo Mosca che l’attendono. E ne racconta alcuni divertenti di prima mattina a Como mentre è davanti al bus della sua squadra prima della partenza.

Così, tra una chiacchiera e l’altra, ne approfittiamo per rendere Elisa nostra inviata per sapere come un’atleta vive una gara da un altro punto di vista.

Stefano Allocchio è il direttore di corsa di Rcs Sport. Nella sua auto passano tutte le informazioni della gara
Stefano Allocchio è il direttore di corsa di Rcs Sport. Nella sua auto passano tutte le informazioni della gara

Dopo il traguardo

I mezzi dell’organizzazione scorrono sotto la linea d’arrivo di Bergamo anticipando le ultime pedalate solitarie di Pogacar. L’appuntamento con Longo Borghini ce lo abbiamo in zona palco premiazioni per il suo racconto.

«Avevo già vissuto questa esperienza nel 2016 – spiega Elisa – Rispetto al passato stavolta partiva Jacopo ed è stato particolare durante il trasferimento iniziale al chilometro zero vederlo di fianco a me. Io sull’auto del direttore di corsa, lui in bici. Anche se della gara in sé si vede poco, se non la testa, ho seguito la corsa da amante del ciclismo da una postazione privilegiata. Di mestiere faccio la professionista, amo profondamente questo sport e mi piace guardare le corse ma vederle dal vivo è tutta un’altra cosa, specie in questo modo.

«Se mi aspettavo Jacopo in fuga? – risponde – Diciamo che sapevo che, mancando Ciccone, doveva andare in fuga uno dei nostri compagni di squadra. Sapevo che ci avrebbero provato anche se poi le dinamiche di gara sono diverse e non sempre così semplici. Alla fine lui non c’era ma ci è andato in fuga Hellemose ed è stato bello vederlo tutto il giorno davanti».

Dentro l’auto

Qualcuno dice che se non si vuole vedere o sapere nulla di una gara di ciclismo, bisogna salire su un’auto in corsa. In realtà non è proprio così, però certamente si percepisce l’emozione e l’adrenalina ti fa trascorrere sei ore di gara senza quasi accorgertene.

«In macchina ci sono tantissime comunicazioni radio – prosegue Longo Borghini – tra direttore e radio corsa, staffette, cambio ruote, polizia, squadre e altri mezzi. É un continuo scambio di informazioni per avere la situazione sempre sotto controllo. Sono importantissime per tutti, e di conseguenza per i corridori».

Il Giro di Lombardia regala sempre grandi panorami, soprattutto se il clima è più estivo che autunnale
Il Giro di Lombardia regala sempre grandi panorami, soprattutto se il clima è più estivo che autunnale

«Secondo me – va avanti nella analisi – sono fondamentali alcune segnaletiche, anche laddove uno possa pensare che sono superflue. Bisogna tenere conto che negli 30/40 chilometri di gara si è sempre al gancio, può mancare un po’ di lucidità. Ad esempio le insegne luminose, accompagnate da un suono che attirano l’attenzione, penso che abbiano portato molta più sicurezza per noi corridori in curva o nei punti in cui possono esserci ostacoli sul percorso».

«Tuttavia da amante della velocità – ci dice col sorriso sulle labbra – mi è piaciuto particolarmente essere nella macchina del direttore perché deve sempre allungare rispetto corridori, quindi eravamo sempre un po’ di traverso nelle curve. Mi sono divertita in quei momenti e scusate se non vi ho fatto nessuna foto dal finestrino. Significava avere la nausea e far passare una brutta giornata a tutti».

Amore per il Lombardia

L’anno scorso quando il Giro Donne arrivò a Bergamo, Longo Borghini lo disse subito che quel traguardo profumava di Giro di Lombardia. E la versione femminile sarebbe il suo sogno. II panorami, le grandi salite e il pubblico possono stimolare il corridore a non sentire la fatica.

Il pubblico ha salutato l’ultima gara di Pinot. Ma bisogna fare attenzione a non esagerare col contatto per non far cadere l’atleta
Il pubblico ha salutato l’ultima gara di Pinot. Ma bisogna fare attenzione a non esagerare col contatto per non far cadere l’atleta

«Mi piace l’atmosfera che si respira. Di questa gara mi piace veramente tutto. Si passa in zone in cui il ciclismo è nel cuore delle persone, che sono sempre tante sulla strada. I paesaggi sono stupendi e quindi per me il Lombardia ha sempre un fascino particolare. E’ per questo che vorrei un giorno poter correre il Lombardia femminile. So che c’è la volontà per farlo ma tuttavia so che ci sono delle difficoltà logistiche che comprendo pienamente. Però ripeto, sarebbe bello poterlo correre.

«Il ciclismo è lo sport del popolo – chiude – oggi ne ho avuto l’ennesima riprova. Il pubblico del ciclismo non paga un biglietto per i propri idoli in gara. E’ il bello del ciclismo. Il pubblico non può essere contenuto però deve essere più disciplinato, questo sì».

Remco non va, Bagioli capitano: prove generali di futuro

08.10.2023
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BERGAMO – Ha completato il suo personalissimo podio negli ultimi cinque giorni. Terzo alla Bernocchi, primo al Gran Piemonte ed infine secondo al Lombardia. Non smette di ripeterlo Andrea Bagioli nel dopo corsa. Lo dice con una bella carica di soddisfazione. E non gli si può dare torto, considerando come alla fine si sia inserito tra i due attesissimi totem sloveni Pogacar e Roglic.

Il pubblico di Bergamo si gusta l’arrivo solitario del leader della UAE Emirates ed applaude la volata del valtellinese della Soudal-Quick Step, che anticipa il capitano della Jumbo-Visma e il resto dei migliori. Appena tagliato il traguardo Bagioli viene subito precettato per il cerimoniale delle premiazioni, ma si capisce subito che ha voglia di parlare. La prestazione del Lombardia è la normale conseguenza di una condizione ottimale arrivata (e concretizzata) in quest’ultima settimana. Una settimana movimentata per la sua formazione.

Caduto nella prima parte di gara, Evenepoel paga dazio quando esplode la corsa. A quel punto Bagioli diventa leader
Caduto nella prima parte di gara, Evenepoel paga dazio quando esplode la corsa. A quel punto Bagioli diventa leader

Sorpreso di se stesso

Con una gamba così talvolta sembra quasi un dispiacere dover chiudere per forza l’annata, ma Bagioli non ci vuole pensare più di tanto. Guarda a ciò che è appena diventata storia agonistica con un pizzico di sorpresa.

«Diciamo che tra Gran Piemonte e oggi (ieri per chi legge, ndr) – spiega Bagioli – il livello era molto diverso, molto più alto qui al Lombardia. Sapevo di stare bene, ma sinceramente non avrei mai pensato di tenere sul Passo di Ganda. Questa era una salita di oltre venti minuti e solitamente sono troppo lunghe per me. In quel momento mi stavo vedendo nel gruppetto con Pogacar, Roglic, Carapaz, Vlasov e i due Yates.

«E’ stato strano, era la prima volta per me essere davanti con loro, però è stata una settimana incredibile con tre piazzamenti sul podio. In ogni caso sono riuscito a passare via bene la salita e poi ho pensato alla volata quando abbiamo capito che Pogacar non si poteva più riprendere».

Nel tratto di pianura dopo il Ganda, Bagioli e gli altri si danno i cambi, ma Pogacar scappa sempre di più
Nel tratto di pianura dopo il Ganda, Bagioli e gli altri si danno i cambi, ma Pogacar scappa sempre di più

Obiettivo sprint

Pogacar contro tutti, gli ultimi 30 chilometri si sono vissuti così. Il vincitore inizia la discesa del Ganda per primo senza dare l’impressione di attaccare. Invece guadagna terreno e gli inseguitori iniziano a pensare al secondo posto.

«Forse a qualcuno – prosegue Bagioli – può sembrare che in vetta sia Pogacar che Roglic fossero in crisi ma non lo erano, Pogacar soprattutto. Proprio sullo scollinamento Tadej ha allungato di poco, aveva pochi secondi, ma noi dietro ci siamo guardati e lui ha preso vantaggio. Noi eravamo a tutta, lui invece aveva ancora qualcosa nelle gambe ed ha fatto la differenza. Complimenti a Pogacar perché tenere tutto il tratto di pianura col vento contrario significa andare veramente forte. Nel finale ho pensato solo a spingere malgrado i crampi».

Bagioli voleva arrivare allo sprint con quel gruppetto perché sapeva di essere il più veloce. «Avevo solo paura che Roglic partisse presto visto che l’arrivo era in leggera discesa e quindi poteva sorprenderci da dietro. Lo ha fatto, Vlasov l’ha seguito, io mi sono messo a ruota ed ho fatto la mia volata negli ultimi 100 metri. Comunque sono contentissimo di questo secondo posto».

Verso Bergamo Alta Andrea (col 193) tiene bene alle “menate” di Rodriguez e Vlasov
Verso Bergamo Alta Andrea (col 193) tiene bene alle “menate” di Rodriguez e Vlasov

Vice Remco

Il grande merito di Bagioli è quello di essersi fatto trovare pronto nel momento in cui la Soudal-Quick Step si è trovata in difficoltà. Se partiva con i gradi del vice capitano, allora il suo dovere lo ha fatto alla grande fino in fondo. Oltretutto è la seconda volta che un italiano del “Wolfpack” coglie la piazza d’onore al Lombardia dietro Pogacar. Dopo Masnada nel 2021, ecco Bagioli e sullo sfondo Evenepoel che alza bandiera bianca, stavolta per una caduta.

«Quando è caduto Remco ad inizio gara – racconta Andrea – io ero dietro di lui. Ho dovuto frenare e rallentare, ma non ho subito nessun problema. Tuttavia appena abbiamo cominciato il Passo Ganda Remco ci ha detto subito che non era al top, quindi mi hanno dato il via libera per fare la mia corsa. Così ho fatto e naturalmente sono contentissimo di essere rimasto davanti con i migliori».

Bagioli (secondo da destra) sfrutta la ruota di Vlasov e lo salta negli ultimi 100 metri
Bagioli (secondo da destra) sfrutta la ruota di Vlasov e lo salta negli ultimi 100 metri

Il presente

Non potevamo esimerci da una considerazione sull’affaire fusione tra Soudal e Jumbo. Si fa, non si fa, tutto è ancora incerto anche se pare che i due top team continueranno per conto proprio. Bagioli guarda a quello che sta lasciando e a ciò che verrà.

«L’atmosfera in squadra nelle ultime settimane era parecchio strana – va avanti Bagioli – nessuno sapeva realmente niente: né direttori, né corridori. E’ vero che io vado in un altro team, ma mi dispiace per loro. Abbiamo cercato di mantenere l’umore alto in hotel soprattutto in questa settimana, sia tra compagni che staff. Abbiamo solo pensato di fare il meglio possibile e penso che lo abbiamo dimostrato. Ilan (Van Wilder, ndr) ha vinto la Tre Valli, io il Gran Piemonte e poi secondo al Lombardia. Sono contento di aver contribuito in questo senso. Le ultimissime notizie dicono che la fusione non ci sarà e spero per loro che non avvenga. Per me è giusto che la squadra vada avanti da sola, anche considerando il personale che potrebbe restare a piedi».

Quanto tifo per Andrea che da queste parti ha anche corso quando era alla Colpack (foto @woutbeel)
Quanto tifo per Andrea che da queste parti ha anche corso quando era alla Colpack (foto @woutbeel)

Il futuro

Bagioli è in parte dispiaciuto di lasciare questo team, però lui stesso ha parlato di scelte. L’anno prossimo inizierà una nuova avventura con la Lidl-Trek. Lefevere, il suo team manager, lo aveva tirato in ballo dicendo che cambiando squadra avrebbe avuto la mente libera e avrebbe fatto bene.

«Può essere – dice il valtellinese – ma la mente è più libera perché si firma un contratto, non perché si cambia squadra. Con un contratto nuovo sai di essere a posto per gli anni successivi e quindi puoi correre con più forza nelle gambe. Non hai l’ossessione.

«Spero che in queste corse sia nato un nuovo me. In particolare in questi ultimi mesi sono cresciuto sia mentalmente che fisicamente. Non vedo l’ora di iniziare il prossimo anno. Vorrei fare molto bene nelle classiche delle Ardenne. Prima però farò un po’ di vacanza».

L’assolo di Bergamo: un Pogacar umano che piace anche di più

07.10.2023
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BERGAMO – Un affondo apparentemente banale, in un punto non cruciale della corsa, e Tadej Pogacar si è portato a casa il suo terzo – consecutivo – Giro di Lombardia. Lo sloveno è riuscito a trasformare in poesia quei 30 chilometri finali.

Un affondo drammatico, sul limbo dei crampi. Con il tuo connazionale, Primoz Roglic, che vuol chiudere con una vittoria il suo viaggio nella squadra che lo ha reso grande. Con quei chilometri che sembrano non passare mai e con la consapevolezza di non essere il più forte. O almeno il solito “schiacciasassi”.

Altro che classica d’autunno: il 117° Giro di Lombardia si è corso con temperature quasi estive
Altro che classica d’autunno: il 117° Giro di Lombardia si è corso con temperature quasi estive

Tattica 10

«Questa mattina Tadej non stava bene – confida il manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti, dopo il traguardo – aveva un po’ di tosse. “Ma vedrai che che col caldo passerà”, gli dicevamo…  Non era il più brillante? E’ vero, ma ha fatto un capolavoro.

«La tattica era di fare forte quel tratto. Ha visto che Roglic era un po’ dietro e, visto che tirava da un po’, ci ha provato. Ha pensato che stando a tutta da diversi minuti avrebbe fatto fatica ad inseguirlo subito. Però quando ha avuto quel crampo abbiamo tremato».

Ecco perché dicevamo che era uno scatto banale solo in apparenza. Altroché. C’era acume tattico, una freddezza glaciale. Pogacar oggi non era il più forte. Conoscendolo, se lo fosse stato, al primo scatto sul Ganda avrebbe salutato tutti. E invece non è successo.

Rifornimento galeotto: ai -11 km Pogacar ha i crampi. Marzano lo affianca e gli passa un gel. Gianetti: «Felice di pagare la multa»
Rifornimento galeotto: ai -11 km Pogacar ha i crampi. Marzano lo affianca e gli passa un gel. Gianetti: «Felice di pagare la multa»

Pogacar l’umano

Però non ha mollato e dove non sono arrivate le gambe è arrivata la testa. Ci tornano in mente le parole di Hauptman, il direttore sportivo che meglio lo conosce: «Vedrete che Tadej si farà trovare pronto per il Lombardia». Non aveva sbagliato. 

E’ sicuramente un dato di fatto che la sua stagione dopo la caduta della Liegi abbia subito una piega diversa da quella prevista. Dopo quello stop Pogacar ha vinto, ma non ha più convinto. Al Tour de France ha salvato la piazza d’onore grazie anche alla squadra e in queste gare di avvicinamento all’ultimo Monumento non ha alzato le braccia al cielo, né “giocato” come era solito fare.

Evidentemente anche i supereroi pagano dazio in questo ciclismo al limite. Ma questo non fa altro che elevare il mito di Pogacar. Un Pogacar umano. E questo piace. Piace tanto. Il boato quando è salito sul podio di Bergamo è stato più forte persino di quello di Andrea Bagioli, che giocava in casa.

Poche volte abbiamo visto lo sloveno soffrire così. Eccolo nel bagno di folla (splendido) di Bergamo Alta
Poche volte abbiamo visto lo sloveno soffrire così. Eccolo nel bagno di folla (splendido) di Bergamo Alta

Più testa che gambe

Dopo il traguardo lo abbiamo visto insolitamente commosso. Lo sloveno ha festeggiato come mai prima. Braccia al cielo. Abbracci forti. Forse un accenno di commozione dietro agli occhialoni. Tutti elementi che ci dicono che la vittoria oggi era affatto scontata.

«Ho provato ad attaccare in salita – ha detto Pogacar – ma non sono riuscito a fare la differenza. Quando passava in testa Vlasov faticavo. Credo che oggi lui sia stato uno dei più forti in salita. Io però credevo nella vittoria di questo Lombardia, mi ero allenato bene in queste settimane.

«Sull’ultima salita, che conoscevo davvero bene, ho tirato fino in cima perché speravo che io e Alexander saremmo arrivati insieme al traguardo. Poi, all’inizio della discesa, quando gli altri erano ancora lì e ho visto che c’era un piccolo buco, mi sono buttato. Ricordavo la discesa. Di certo meglio di due anni fa quando fu un disastro!».

Pogacar racconta poi quanto sia stata dispendiosa proprio la discesa. La planata dal Ganda, che poi è Selvino, richiedeva un grande impulso vista la scarsa pendenza. Era un continuo rilanciare se si voleva fare velocità.

E infatti lo stesso Tadej ha detto: «Stavolta è stata dura finire l’attacco da così lontano. In pianura poi ho avuto i crampi. Prima un crampo a destra, poi uno a sinistra. Pensavo che fosse tutto finito, così ho calato un po’ il ritmo e la potenza. Ho cercato di essere più aerodinamico possibile, di chiudermi con le spalle. Ma ormai ero in ballo e mi sono concentrato su come salvarmi per lo strappo finale. Fortunatamente dietro non hanno collaborato al meglio. E in quel momento ci speravo».

«Alla fine, anche se doloroso, mi sono goduto gli ultimi chilometri. Questa è stata la vittoria più difficile delle tre, anche perché sono arrivato da solo. E’ stata una giornata bellissima, abbiamo anche vinto la classifica WorldTour a squadre e devo ringraziare tutti i ragazzi ancora una volta. Mi dispiace solo per Bax che si è rotto il femore. Un peccato perché stava benissimo».

Roglic senza rimpianti

Dietro non hanno collaborato al meglio. Il rivale numero uno Primoz Roglic, a cui tutti guardavano,  piomba sull’arrivo di Bergamo in terza posizione. E’ stanco ma ride. E mentre gira la bici per andare al podio dice: «No rimpianti, no rimpianti».

«Semplicemente – ha detto Primoz – non avevo le gambe, ma ho dato tutto. E’ stata una lotta molto, molto lunga. Ma quando Pogacar è scappato non potevo fare nulla. Non avevo scelta.

«Se penso a come ho iniziato la mia stagione e all’infortunio da cui venivo, non posso che essere soddisfatto di questa annata. Voglio ringraziare la mia squadra. Siamo stati uniti fino alla fine».

E anche la Jumbo-Visma ha ringraziato lui. Dal team manager Plugge ai compagni, fino al personale che lo attendeva al bus con delle pizze fumanti.

«Abbiamo lavorato al massimo per lui fino alla fine, con la massima serietà. Primoz è il nostro campione. Dopo otto anni non poteva essere diversamente», ci ha detto Ard Bierens, addetto stampa del team olandese.

Lombardia: avvicinamento e preparazione ideale con Bartoli

06.10.2023
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Era il 18 ottobre 2003 e Michele Bartoli conquistava il suo secondo Giro di Lombardia. Quell’anno si andava da Como a Bergamo, esattamente come sabato prossimo. I chilometri allora erano 249, stavolta saranno 238, ma i connotati di quel tracciato erano davvero simili a quello che sta per arrivare. Specie nella parte iniziale e in quella finale con lo strappo di Bergamo Alta.

Oggi Bartoli è un preparatore affermato e ci aiuta ad entrare nei segreti del tracciato del prossimo Giro di Lombardia anche da un punto di vista della prestazione.

Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)
Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)

Finali a confronto

Da Como Bergamo, dicevamo: 239 chilometri, 4.400 metri di dislivello. Si va da un ramo del Lago di Como all’altro. Si sale sul Ghisallo in avvio, ci si tiene sul filo dell’Alta Brianza e ci si sposta verso est superando nell’ordine le alture di: Roncola, Berbenno, Passo della Crocetta Dossena, Zambla Alta, Passo di Ganda (zona Selvino) e infine Bergamo Alta, prima di planare sulla città in pianura.

Il finale di Como dello scorso anno era più impegnativo, con due salite a ridosso dell’arrivo. Per contro, ed è la teoria di Giulio Ciccone (che purtroppo non vedremo al via), arrivando a Bergamo ci sono da affrontare salite più lunghe e regolari.

«Il percorso del Lombardia – dice Bartoli viene sempre selettivo. Io credo che vinceranno gli stessi che potevano vincere anche a Como. E lo dico non solo per le caratteristiche del percorso, ma perché gli atleti che possono vincere sono tutti veloci. Pogacar, Roglic… sono loro i favoriti numero uno».

«Salite più lunghe dice Ciccone: questa analisi ci sta benissimo, è vera, ma le cose non cambiano. Il Lombardia resta quello. Ci sono il Ghisallo, il Selvino, la Roncola. Forse quando vinsi io il Berbenno era più vicino al traguardo e il fatto che non ci sia potrebbe togliere una difficoltà. Ma come ripeto, cambia poco. L’ultima vera differenza si farà su Bergamo Alta e dopo 240 chilometri farà male».

La tattica

Il percorso del prossimo Lombardia, con salite più lunghe e regolari, inciderà non solo sulle prestazioni degli atleti, ma anche sull’andamento tattico della corsa. Una corsa che in teoria potrebbe essere più facile da controllare.

«Su un tracciato così – prosegue Bartoli – le squadre riescono ad organizzarsi meglio. E’ un po’ più facile per loro controllare la corsa rispetto a quando c’è il Sormano o più salite nel finale. Poi bisogna considerare che siamo a fine stagione: le forze sono contate e non è detto che qualcuno non possa fare una sorpresa o che un attacco non possa andare più avanti e risultare più incisivo del previsto. Succede poche volte, ma succede».

Energie al lumicino, dunque, tuttavia viene da chiedersi se nel ciclismo attuale in cui ogni aspetto è calibrato si arrivi ancora con le energie contate. Anche in questo caso Bartoli fa delle precisioni importanti.

«Che in generale ci si arrivi meglio è vero – spiega il toscano – ma questo discorso vale ancora. Chi più e chi meno, tutti hanno a che fare con le ultime risorse. Il fisico è stanco e per me riesce a fare la differenza chi gestisce meglio questo avvicinamento. Chi riuscirà a conservare qualcosa in più. E se in questa fase vincono sempre gli stessi è anche perché sono più bravi anche a gestire le energie.

«In questa fase della stagione non esiste più una prestazione, ma la reazione ad un’azione. E non a caso le tabelle di allenamento variano. E’ importante comunicare bene con se stessi. Oggi bastano 3 ore fatte male che ti mancano energie».

Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como
Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como

Preparazione al dettaglio

La corsa durerà circa sei ore. E’ prevedibile una selezione importante sul Passo di Ganda e quindi uno scatto, una fiammata decisiva verso Bergamo Alta. Fiammata che potrebbe decidere il vincitore o chi si giocherà l’ultimo Monumento dell’anno allo sprint.

Se dunque le energie sono contate, se Bergamo Alta sarà decisiva ed è uno strappo breve che non va oltre i 3 minuti di sforzo, come si deve fare per essere al top in quel preciso momento? Si fa un avvicinamento mirato? Preparare il finale di Como con Civiglio e San Fermo in successione prevede delle differenze?

«E’ chiaro che si devono fare degli aggiustamenti – spiega Bartoli – ma partiamo dal presupposto che le squadre devono far correre chi ha ancora energie. E questo già incide. Si personalizza qualcosa, ma non c’è una differenza sostanziale nella preparazione come per un Fiandre o una Liegi, in cui hai la necessità di allenarti su percorsi molto simili e riprodurre sforzi e stimoli analoghi. Non fai una volata in più perché l’arrivo di Bergamo è, sulla carta, più facile di quello di Como. Quando dico di aggiustamenti intendo, come ho detto prima, della gestione dell’avvicinamento.

«Per esempio, per chi ha corso all’Emilia in questa settimana è importante il recupero, ma anche fare dei richiami di Vo2 Max. Non si può stare troppi giorni senza allenamento specie a fine stagione quando il fisico stanco tende a rallentare e a perdere con più facilità certi stimoli. Quindi si farà un po’ meno quantità, ma più qualità».