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Verso il gran finale: come ha lavorato e come sta Ciccone?

29.09.2023
5 min
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Giulio Ciccone è pronto ad affrontare il suo ultimo blocco di gare del 2023. L’abruzzese sarà di scena domani al Giro dell’Emilia, quindi Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia. In realtà poi il suo programma prevede anche l’appendice asiatica della Japan Cup. 

Il corridore della Lidl-Trek è rientrato in gara dopo le fatiche del Tour de  France e lo ha fatto al Giro di Lussemburgo, anche se prima c’era stata la parentesi del Trofeo Matteotti. Come ha lavorato dunque Ciccone nel suo post Tour? Cosa ci possiamo attendere? Ce lo ha detto Giulio stesso… E lo ha fatto con un tono brillante che ci ha lasciato davvero una piacevole impressione.

Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio, ultime fatiche. Una stagione tutto sommato buona a parte la parentesi del Covid che non ti ha permesso di fare il Giro…

E’ quasi fatta dai! E’ stata una buona stagione, altroché. Io dico sempre che se non avessi preso il Covid non avrei vinto la tappa al Delfinato, non sarei andato al Tour e non avrei portato a casa la maglia a pois. Magari se fossi andato al Giro d’Italia chissà cosa avrei fatto. Questi intanto sono stati risultati concreti.

Partiamo proprio dalla fine del Tour: come è andata?

La settimana successiva alla Grande Boucle sono stato ancora in giro per mezza Europa per i circuiti, avendo vinto la maglia c’erano questi impegni. Quindi mi sono riposato una settimana, una settimana scarsa. Ne avevo bisogno. Avendo cambiato i piani nel corso della stagione sono arrivato a fine Tour che ero davvero stanco.

E come hai lavorato?

Ho fatto una parte di giorni, 5-6, di riposo assoluto, poi qualche piccola uscita e dal 10 agosto ero di nuovo nel pieno degli allenamenti. Non sono andato in altura. Subito dopo il Tour, Bennati mi ha chiamato e mi ha detto del Matteotti. Io ho accettato immediatamente. Sapevo che qualche gara mi serviva e l’ho vista come un’ottima occasione. E infatti è stata ottima per tornare a fare un po’ di ritmo. E poi era anche un po’ la corsa di casa.

Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Il Matteotti si è tenuto il 17 settembre, a seguire c’è stato il Lussemburgo: che sensazioni hai avuto? Hai riconosciuto la gamba “fotonica” del Tour?

Riprendo il discorso del cambio dei piani nel corso dell’anno. Dopo il Tour mi serviva quel periodo di stacco e il Lussemburgo lo abbiamo preso proprio per fare ritmo. L’ho disputato in un’ottica di carico di lavoro. E tutto sommato le sensazioni sono state buone nonostante il livello alto. I valori non erano malvagi, ma come detto, mancava il ritmo corsa. E quella gara era perfetta: cinque tappe, l’ultima delle quali a sei giorni dall’Emilia, percorsi vallonati con salite brevi… L’unico piccolo rammarico è che nei giorni più difficili faceva freddo, c’erano sette gradi e pioveva, e in questi casi è difficile testarsi o avere indicazioni precise.

Sei giorni tra Lussemburgo ed Emilia: come li hai gestiti?

Nei primi due ho continuato a recuperare, ma andando in bici: senza avrei avuto l’effetto opposto e il Lussemburgo anziché farmi bene mi avrebbe fatto male. Poi ho fatto un giorno di lavoro intenso e quindi in questi ultimi due giorni prima dell’Emilia ancora recupero, scarico. In bici ovviamente. Alla fine non ho fatto molto (esattamente il discorso che faceva Notari qualche giorno fa, ndr).

Giro dell’Emilia: cosa ci possiamo aspettare da Giulio Ciccone?

L’Emilia è una di quelle gare che mi piace tanto, ma proprio tanto… devo però ancora capire se è adatta a me! Certo, con i corridori che ci sono quest’anno è dura, soprattutto per essere a fine stagione. Però io ho lavorato bene e anche di testa sono propenso, sono motivato. E in questa fase della stagione magari si riesce a cogliere qualcosa di più proprio perché si ha voglia. Mettiamola così: le aspettative sono buone, il risultato vedremo.

Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Fai lo stesso discorso per il Lombardia?

E’ un po’ diverso perché il Lombardia è l’obiettivo grande, grande. Arriva alla fine e lo si prepara come fosse un mondiale… ma è così per tutti. Io mi aspetto di stare bene.

Preferivi il finale più duro di Como o quello più classico di Bergamo che andrà in scena il prossimo 7 ottobre?

A me piace di più questo di Bergamo. Primo, perché sono strade che conosco molto bene (Ciccone è stato alla Colpack, team bergamasco, ndr). Secondo, perché l’arrivo a Bergamo presuppone un tracciato diverso, con salite più lunghe e regolari prima. Vero, il finale di Como è più duro, ma anche più esplosivo se vogliamo, mentre qui c’è lo strappo della Boccola (Bergamo Alta, ndr), ma come ho detto ci si arriva facendo scalate più lunghe. E’ una corsa diversa.

Allora vedremo Ciccone fare a “sportellate” con Pogacar!

Il Lombardia è il mio grande obiettivo. In questa corsa ho colto un quinto posto nel 2020. La condizione c’è, manca ancora qualcosa e spero di trovarla con Emilia e Tre Valli Varesine. Se tutto va come deve andare sarò competitivo come voglio io.

Non solo Giro Donne. I progetti in rosa di Rcs Sport

15.02.2023
4 min
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La notizia è delle ultime ore: Rcs Sport che organizza il Giro d’Italia per i professionisti ha preso in carico anche il Giro Under 23, sin da quest’anno per un quinquennio e il Giro Donne, dalla prossima stagione fino al 2027. La società di Urbano Cairo si è aggiudicata il bando della Federazione (al quale a dir la verità è stata la sola a partecipare) allargando così la gestione di eventi di ciclismo femminile che già contemplano la Strade Bianche e anche eventi all’estero, come l’Uae Tour da quest’anno nel WorldTour e monopolizzato dalle cicliste italiane.

Il Giro donne passerà in mano alla Rcs Sport dal 2024. Quest’anno toccherà ancora alla PMG Starlight Ssd
Il Giro donne passerà in mano alla Rcs Sport dal 2024. Quest’anno toccherà ancora alla PMG Starlight Ssd

Appena diffusa la notizia dell’acquisizione dei nuovi eventi, molti si sono chiesti perché questa differenza, perché non iniziare subito. La risposta è molto semplice: non era possibile, come spiega l’amministratore delegato di Rcs Sport Paolo Bellino, dirigente con un fulgido passato da specialista dei 400 ostacoli nell’atletica: «Per il 2023 c’è un contratto in essere con la società che lo ha allestito negli ultimi anni, quindi l’organizzazione di questa edizione non era in discussione, ma non nascondo che questo è stato anche un motivo per presentare la nostra proposta».

Perché?

Perché l’allestimento del Giro Donne è un progetto che abbiamo sì da anni, che non nasce dall’oggi al domani. Un simile impegno va studiato, ponderato. C’è bisogno di tempo e sicuramente non potevamo affrontarlo in pochi mesi. Posso dire che per noi allestire l’edizione 2023 non sarebbe stato possibile. Oltretutto entriamo in corso d’opera nella storia del Giro U23, non si può certo far tutto e soprattutto farlo bene come vogliamo noi.

Da sinistra Mauro Vegni, direttore organizzativo e Paolo Bellino, AD di Rcs Sport
Da sinistra Mauro Vegni, direttore organizzativo e Paolo Bellino, AD di Rcs Sport
Che cosa rappresenta questo passo nella vostra politica organizzativa riguardante il ciclismo femminile?

Un ulteriore impegno in suo favore. Il prestigio acclarato della Strade Bianche, i riscontri avuti proprio pochissimi giorni fa con l’Uae Tour al femminile ci dicono che la strada intrapresa è quella giusta, ma la presa in carico della corsa rosa è solo un passaggio, i nostri progetti vanno anche più avanti. Intanto ora, con l’attribuzione della gara a tappe per 4 anni, possiamo mettere sul tavolo tutte le nostre idee per poterne fare un grandissimo evento, un richiamo per tutto il movimento femminile.

A proposito di altri progetti, ormai il ciclismo femminile, rispetto a quello dei maschi, presenta due sole “lacune”: la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia, uniche classiche Monumento che non hanno un corrispettivo fra le donne. Vi impegnate anche in queste?

Bisogna fare un doveroso distinguo. Per la Milano-Sanremo c’è un progetto che va avanti da molto tempo e credo di poter dire che non è lontanissimo il momento che anche fra le donne ci sarà la Classicissima. Per il Lombardia i tempi sono più allungati. Si tratta di eventi molto complicati da pensare, allestire, calibrare anche in base al movimento rosa.

L’arrivo di Mohoric all’ultima Sanremo. Presto ci sarà anche una versione femminile, un po’ diversa
L’arrivo di Mohoric all’ultima Sanremo. Presto ci sarà anche una versione femminile, un po’ diversa
Quali sono le difficoltà principali nell’allestimento della Milano-Sanremo?

Tante, a cominciare dalla data. Il calendario femminile è complicato da gestire, soprattutto se vogliamo tenere fede – e lo vogliamo – alla concomitanza delle date fra uomini e donne. Ma le difficoltà non si esauriscono qui: c’è anche un importante aspetto tecnico da considerare, dobbiamo strutturare la gara su strade diverse, capire come gestire la loro chiusura. Non sarà certamente lo stesso percorso degli uomini.

D’altronde in quel caso parliamo di una gara di quasi 300 chilometri…

Appunto, dobbiamo pensare a qualcosa di completamente diverso, non è come per le altre classiche, anche quelle del Nord. Stiamo pensando a un percorso tutto ligure, un’idea in ballo è quella di Arenzano come località di partenza in modo da avere un chilometraggio congruo, ma è tutto in divenire. Quel che è certo è che con pazienza e con professionalità, la Milano-Sanremo per donne sarà presto cosa fatta.

Dal 2020 anche la Parigi-Roubaix ha una prova femminile. Per Sanremo e Lombardia c’è da attendere
Dal 2020 anche la Parigi-Roubaix ha una prova femminile. Per Sanremo e Lombardia c’è da attendere
E per il Giro di Lombardia?

In questo caso ci sarà da aspettare di più. Non dico che il progetto è in un cassetto, lo stiamo vagliando ma come detto dobbiamo procedere per gradi anche in base alle forze a disposizione, alle idee realizzabili. E’ un discorso complicato, bisogna pensare a un tracciato point to point, con località di partenza e arrivo. Non possiamo fare tutto, bisogna costruire un percorso di lavoro. D’altro canto mi pare che di carne al fuoco ce ne sia tanta, da far tremare i polsi…

Pozzovivo, l’obiettivo è guarire (e firmare il contratto!)

26.10.2022
5 min
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L’ultima in ordine di tempo è stata al Lombardia. Pozzovivo e le cadute non fanno quasi più notizia, ma solo rabbia. Tanta rabbia.

«Mi sono rialzato tipo stuntman – dice e intanto sorride – e mi sono detto che non mi ero fatto poi tanto male. Poi invece al Pronto Soccorso hanno cominciato a fare l’elenco. Ed è venuta fuori una frattura composta del tubercolo superiore, dove i muscoli si inseriscono nella cuffia della spalla. La frattura della falange del mignolo della mano sinistra e due costole. Per la prima fortunatamente non è servito operare, conoscendo il soggetto e la mia capacità di convivere con qualcosa di rotto. Prognosi di 6 settimane che per me sono diventate 3. Quel che ha dato davvero fastidio sono state le ferite, per i primi 10 giorni sono state impegnative. Al punto che non riuscivo a cambiare le garze da solo».

La caduta al Giro di Lombardia ha chiuso in anticipo la stagione di Pozzovivo (immagini Tv)
La caduta al Giro di Lombardia ha chiuso in anticipo la stagione di Pozzovivo (immagini Tv)

Ancora qualche giorno in Calabria, poi Domenico e sua moglie Valentina torneranno nella quiete di Morcote, in Svizzera. Lei sta per laurearsi in Ingegneria a Cosenza e mentre parliamo è in cantiere per il tirocinio. Quel che manca perché l’inverno sia giusto è la firma sul contratto e francamente si spera che “Pozzo”, 40 anni da compiere a fine novembre, non dovrà aspettare come l’anno scorso.

L’anno scorso c’era l’attenuante della Qhubeka che aveva chiuso…

Esatto, c’era un valido motivo. Sto aspettando e spero di chiudere prima che arrivino i saldi di fine stagione, perché non lo troverei dignitoso. Non sono il tipo che stressa il suo manager (Raimondo Scimone, ndr), aspetto di essere chiamato. E intanto faccio esercizi di training autogeno (sorride, ndr). Abbiamo valutato anche altre piste rispetto alla Intermarché-Wanty, ma l’obiettivo è rimanere con loro. Offerte di squadre professional sono pure arrivate, ma considerando la situazione ce le saremmo aspettate un po’ più alte.

Dopo il Giro, la Vuelta per preparare il finale di stagione: nel 2022 per Pozzo 73 giorni di gara
Dopo il Giro, la Vuelta per preparare il finale di stagione: nel 2022 per Pozzo 73 giorni di gara
Che valutazione dai di questo 2022?

Per come è partito e per come è finito, sarebbe meglio non parlare. Ma la parte centrale mi è piaciuta molto, sarebbe stato un anno da 9 se fossi riuscito a fare il Lombardia che avevo in mente. I due mesi di long Covid hanno fatto da moltiplicatore al bene che stavo. Prima avevo pianificato di entrare nei 10 al Giro dopo l’incidente e ci sono riuscito, avendo per giunta sognato per un po’ di andare sul podio.

Abbiamo esposto a Valverde la tua teoria sul confronto con i giovani che ti ha spinto a migliorarti ed è totalmente d’accordo.

Serve ancora più motivazione. E poi, parlando di atleti di una certa età, la conoscenza porta a commettere meno errori. E ridurre gli errori diventa il vero fronte su cui lavorare. I prodromi della prossima stagione potrebbero essere nella condizione che ho mostrato nelle ultime gare. Con il vantaggio che l’asimmetria conseguenza dell’incidente si sta riducendo sempre di più.

In vista delle tre crono del Giro, Pozzovivo spera di poter lavorare sulla bici da crono
In vista delle tre crono del Giro, Pozzovivo spera di poter lavorare sulla bici da crono
Merito delle terapie?

Merito degli accorgimenti che sto adottando empiricamente. Non c’è un software che possa determinare la biomeccanica giusta per me. Continuo a fare aggiustamenti e intanto lavoro con fisioterapisti e osteopati. Il cambiamento così rapido dei materiali di inizio anno su di me si è riflesso in modo importante. Non sono passaggi indifferenti.

Alla vigilia dell’ultimo Giro lamentasti il non aver potuto mettere a punto la bici da crono.

E lo confermo, è l’unico aspetto su cui non ho lavorato e per il Giro che viene sarebbe importante. E’ importante avere le spalle coperte quando la corsa parte con una prova già abbastanza lunga.

Che effetto ti farà tornare a Lago Laceno, dove vincesti nel 2012?

Parliamo di un’altra epoca Undici anni dopo, mi sento di dire che sarà una salita di scarsa selezione. Io arrivai da solo, poi un altro e poi il gruppo. L’anno prossimo vedo un arrivo con 15-20 corridori. E’ diverso anche il contesto.

Nel 2023, la 4ª tappa del Giro arriverà a Lago Laceno, dove nel 2012 vinse Pozzovivo
Nel 2023, la 4ª tappa del Giro arriverà a Lago Laceno, dove nel 2012 vinse Pozzovivo
Cioè?

Nel 2012 era l’ottava tappa e prima c’erano parecchie altre salite più impegnative di quelle che si affronteranno nel 2023. Quella fu una tappa di 230 chilometri da 6 ore e 6 minuti, la prossima saranno 50 chilometri in meno. E poi ci sarà il controllo del primo arrivo in salita, mentre allora c’era già stato l’arrivo a Rocca di Cambio il giorno prima.

Quando torni in Svizzera?

Penso la settimana prossima, anche perché devo fare delle radiografie di controllo. Ormai non conto più le fratture, ma con le ultime ho sicuramente superato le 20. Se l’Enel cercasse me come ha fatto con De Marchi per degli spot pubblicitari, i miei dovrebbero girarli in un reparto di radiologia…

Fortunato cade spesso: come mai? Risponde Zanatta

17.10.2022
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Quante occasioni ha perso Lorenzo Fortunato per caduta? Una a Brisighella alla Adriatica Ionica Race, che ha compromesso la possibilità di difendere la vittoria 2021. Il ritiro al Giro di Slovenia, per i postumi diretti. Poi, fatti finalmente degli accertamenti e scoperte le fratture di una costola e dello scafoide, la sosta forzata lo ha costretto a saltare il campionato italiano. Una caduta alla Tre Valli Varesine sulla via del Lombardia e una proprio nella classica di fine stagione con… gita in ambulanza fino all’ospedale di Lecco. La stagione di Fortunato si è chiusa così, con un sorriso e un ritiro (foto Eolo-Kometa in apertura). E così, avendo da poco raccontato l’odissea e le paure di Enric Mas, abbiamo pensato di vederci chiaro, chiedendo a Stefano Zanatta, il diesse della Eolo-Kometa, che idea si sia fatto delle ripetute cadute del corridore bolognese.

«Non è che ne abbia fatte poi tantissime – ricorda Stefano – al Giro ad esempio non è caduto. E’ caduto una volta a inizio stagione, una alle Asturie, alla Adriatica Ionica e in finale di stagione. Cadute venute per situazioni difficili, per la pioggia o una borraccia nelle ruote. Cadute che pesano, perché adesso stava andando bene, quindi quella del Lombardia l’abbiamo… sentita un po’ di più. Nell’arco dell’anno non è che abbia avuto cadute così frequenti o gravi».

Due cadute alla Adriatica Ionica Race: classifica andata e conseguenze pesanti
Due cadute alla Adriatica Ionica Race: classifica andata e conseguenze pesanti
A volte per bloccarsi basta una caduta sottovalutata…

Non credo sia dovuto al fatto che lui abbia paura o non si fidi del mezzo o che quando è in mezzo al gruppo non si senta sicuro. Non sono successe in situazioni di stress all’interno del gruppo. Sono successe quando si andava più tranquilli e tutte in situazioni diverse. Una in discesa, quando un corridore è arrivato lungo, gli è andato addosso e lui non se n’è accorto. Poi alla Tre Valli, uno si è alzato sui pedali e gli ha toccato la ruota davanti. Lorenzo si è girato ed è caduto, perché era in piedi anche lui e stavano rilanciando sullo strappo a fine discesa, dove si comincia a salire verso l’arrivo.

E al Lombardia?

Una borraccia a terra, caduta a quello davanti. E lui forse per cercare di evitarla, si è spostato un po’, si è sbilanciato e quando c’è salito sopra gli è andata via la ruota davanti. Sono situazioni di gara tutte differenti una dall’altro e non dovute magari a un momento particolare.

Altra caduta in Slovenia dopo quella della Adriatica Ionica
Altra caduta in Slovenia dopo quella della Adriatica Ionica
Visto il tipo di situazioni può essere un problema di concentrazione?

Quando si cade una volta o due, dopo un po’ dei dubbi ti vengono. Sulla stabilità, sulla concentrazione, sulla troppa pressione, il fatto di non essere tranquillo quando non serve. Al momento credo però che sia nella norma. Se fosse caduto ai piedi del Ghisallo, dove c’è lo stress perché voleva stare davanti… Se fosse in occasioni così, vuol dire che magari sei troppo rigido. Qua diciamo che è più un fatto di disattenzione. Non dico che non abbia una dimestichezza grandissima, lo sappiamo che non ce l’ha: non è uno sprinter. Però situazioni simili, a volte è difficile prevederle.

Sta di fatto che per cadute ha perso obiettivi importanti.

In questo finale di stagione non è stato molto… fortunato. Perché poi le altre cadute non è che abbiano comportato grandi conseguenze. Alla Adriatica Ionica, aveva già fatto il Giro d’Italia, quindi sostanzialmente era già nell’ambito di una fase di recupero, anche se poteva essere l’occasione per lasciare il segno. Però andavamo incontro a un periodo in cui avrebbe avuto il tempo per recuperare l’incidente. Invece l’incidente della Tre Valli e poi quello del Lombardia ci sono pesati un po’ di più. Credo che con la condizione che aveva, Lorenzo avrebbe potuto sicuramente giocarsi un posto fra i primi dieci. Sarebbe stato importante fare una bella prestazione. 

Il giorno dopo la caduta in Slovenia, Fortunato riparte, ma si fermerà l’indomani
Il giorno dopo la caduta in Slovenia, Fortunato riparte, ma si fermerà l’indomani
Cosa si può fare?

Durante l’inverno valuteremo se c’è qualcosa che non funziona. Parleremo insieme, ci sta fare qualcosa per capire se le situazioni possono essere legate a una paura come per Mas oppure no. Visto che Lorenzo sarà con noi anche il prossimo anno, come già lo scorso inverno abbiamo lavorato per migliorare a cronometro e raggiungere una stabilità durante l’anno, quest’anno magari valuteremo anche questo aspetto. Sugli atleti l’inverno serve a quello, a cercare di capire dove si possono fare meno errori durante l’anno.

La Cervelo R5 di Vingegaard, posizione super raccolta

15.10.2022
4 min
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Alla partenza del Giro di Lombardia abbiamo potuto ammirare da vicino la Cervelo R5 di Jonas Vingegaard. Il danese, da buono scalatore, predilige questa bici alla “sorella”  aerodinamica S5. Telaio che invece quasi sempre utilizza Wout Van Aert. Jonas ce l’aveva in qualche tappa più filante del Tour, vedi la passerella di Parigi, e più recentemente alla CRO Race.

Dopo qualche difficoltà tecnica nell’avere la bici “tutta per noi”, il team Jumbo Visma ci ha fatto ammirare da vicino questo gioiello. E la prima cosa che ci ha colpito è stata la sua leggerezza. Una taglia 54 che molto probabilmente non arrivava a 7 chili (non avevamo la bilancia in quei momenti, ma una certa sensibilità ci permettiamo di dire di averla acquisita). E comunque con un telaio da 703 grammi e una forcella da 320 è un peso più che fattibile.

Ruote e gomme

Partiamo dalle ruote. Per quanto riguarda i cerchi Jonas, visto anche il dislivello del Lombardia superiore ai 4.000 metri, ha optato per delle Shimano C36, quindi a medio profilo, a vantaggio anche della guidabilità. Aveva lo stesso assetto anche nelle tappe di montagna del Tour de France.

Una cosa che ci ha colpito sono state le gomme. A prima vista sembravano dei “gommoni” giganti. Erano da 26 millimetri. Il team olandese ha come sponsor tecnico Vittoria, che in epoca recente ha inserito nel suo portfolio anche Dugast. Questi pneumatici sono tubolari di altissima gamma con carcassa in cotone e già visti (le sezioni erano diverse) alla Roubaix. Il disegno del battistrada è quello di un Vittoria Corsa Speed, ma forse rivisto nelle scanalature, specie quelle più centrali. In ogni caso c’è il marchio Vittoria, ma non il nome del tubolare.

Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata
Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata

Posizione avanzata

Passiamo alla messa in sella. Nonostante una statura di 175 millimetri, Vingegaard ha un arretramento di appena 2,5 centimetri. La sella, una Fizik Antares00, è molto spostata in avanti. La cover della sella non è di quelle tradizionali e sembra essere una produzione “particolare”, non di serie.

E sempre in relazione alla sua guida raccolta, c’è il manubrio: si tratta del nuovo Vision Metron 5D 3K, vale a dire con la rifinitura tre 3K del carbonio utilizzato. E’ un manubrio integrato molto leggero (355 grammi), Jonas infatti ha optato per la larghezza da 40 e questa implica un attacco manubrio (100 millimetri) cortissimo per un professionista. A prima vista sembra quello della mtb di un downhiller. Di conseguenza la sua guida diventa estremamente “diretta”.

E’ anche vero però che con lo scostamento in avanti della piega stessa di 10°, lo stesso attacco diventa un “falso” 100 millimetri, ma è come se fosse un 110-115 millimetri nel punto di appoggio del palmo sullo shifter. La curva ha un’ergonomia compact e non è previsto il flare (svasatura) verso l’esterno.

Affidabilità Shimano

Ci sono poi i rapporti e il gruppo. Per quanto riguarda il settore della trasmissione, Vingegaard si affida alla solidità del gruppo elettromeccanico Shimano Dura Ace Di2. Il re del Tour resta fedele alle pedivelle da 172,5 millimetri, mentre altri colleghi di pari statura si sono orientati su quelle più corte da 170.

 

In effetti il danese è un po’ a cavallo, tra le due misure. E a proposito di cavallo la sua altezza di sella è 73,5 centimetri. Un riferimento che potrà essere utile agli appassionati più esperti per valutare appunto se optare per una pedivella da 172,5 o 170.

Infine i rapporti. Per il Lombardia, Jonas aveva optato per una guarnitura 53-39 e una cassetta 11-30.

L’altro padre, “il Franceschi” lo aspettava a Como

13.10.2022
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L’onda lunga del ritiro di Vincenzo Nibali. Un addio così non svanisce in pochi giorni. Sul rettilineo di Como, ad attendere il suo figlioccio c’era, e non poteva essere altrimenti, anche Carlo Franceschi, presidente della Mastromarco Sensi Nibali, la squadra che ha lanciato il messinese al grande ciclismo.

“Il Franceschi”, lo ricordiamo, è colui che accolse lo Squalo quando Squalo ancora non era, ma era solo un ragazzino partito dalla Sicilia con un’immensa voglia di fare il corridore. Un ragazzino che prometteva bene, ma che chiaramente aveva più sogni che certezze. Franceschi gli aprì le porte di casa sua nel vero senso della parola. I genitori di Vincenzo glielo affidarono.

Carlo Franceschi, ex direttore sportivo e attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da dilettante, sull’arrivo di Como
Lago di Como, Franceschi, attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da U23

Ventidue anni

«E siamo arrivati a questo momento – dice Carlo con un tono velato di commozione – sono emozionato. La sua carriera è stata lunga. Ho visto la sua prima gara da professionista a Laigueglia nel 2005 e non potevo mancare oggi all’ultima, al Lombardia.

«Cosa devo dire? Dal 2000 (per Carlo “Nibali è iniziato” 5 anni prima degli altri, ndr) mi ha dato soddisfazioni ed emozioni incalcolabili».

Franceschi parla di un ragazzo che è sempre stato serio e maturo, in relazione alla sua età, e soprattutto è sempre stato motivato.

«E lo è stato fino alla fine. Prima della partenza di questo Lombardia era rilassato, ma anche un po’ teso, emozionato, perché comunque sapeva che era l’ultima gara. Mi ha detto però che aveva dormito bene nella notte, perché voleva cercare di dare un piccolo brio a tutti i suoi tifosi».

Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante
Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante

Quella Sanremo

Carlo con i “CanNibali” è partito in piena notte da Mastromarco. Non erano neanche la quattro, ma voleva farsi trovare presente alla sveglia di Vincenzo nell’hotel in cui alloggiava. Bisognava scortalo alla partenza. Poi è andato a vederlo anche in cima ad una delle prime salite.  «Cosa gli ho detto? Corri alla Nibali e poi vediamo che succede. E lui si è messo a ridere».

«Se chiudo gli occhi ho due vittorie di Vincenzo stampate qui dentro – mentre si porta il pollice alla fronte – la vittoria del Tour, soprattutto la prima tappa che vinse, e la Milano-Sanremo

«Alla Sanremo mi ha fatto quasi venire un infarto. Perché lui è abituato a prendere 100 metri e a portarli all’arrivo, ma farlo alla Classicissima era una cosa grossa… e ci è riuscito. Per me è la più bella vittoria della sua carriera. Non era una gara che gli si addiceva tanto. Quello è stato un numero da vero campione».

Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali
Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali

Tirate d’orecchie

In apertura abbiamo scritto che Carlo Franceschi è stato anche un padre per Nibali. E un padre non dice sempre e solo di sì. A volte tira le orecchie, rimprovera… ci si discute anche. E momenti così tra Franceschi e Nibali non sono mancati. Ma sono proprio questi momenti che innalzano il rapporto, lo rendono qualcosa di più. Lo fanno diventare una famiglia.

«Quando era junior e dilettante – va avanti Franceschi – ci ho litigato tanto. E ci ho litigato tanto perché tanto sciupava. Quando vinceva e sapeva che aveva sciupato, poi veniva da me e con un aria da furbetto mi faceva: “Hai visto che ho vinto lo stesso?”. Io però gli ribattevo: “Sì, però domenica scorsa non l’hai finita. E quella ancora prima le hai prese…”. Invece di 15 poteva averne vinte 18. Posto che poi quelle vittorie non contavano nulla perché una volta passato si azzerava, e si azzera, tutto. Ma era il concetto del correre bene che a me stava a cuore. Sembrava che non ascoltasse, però ascoltava e questo contava».

Quelle ramanzine da ragazzino sono servite. Certi errori magari da pro’ in corsa non li ha fatti. Ma Nibali e Franceschi si sono sentiti, anche durante la super carriera del siciliano.

«Mi ha sempre chiamato – prosegue Carlo – quando era ancora a casa mia, chiedeva i consigli e io gli spiegavo certe cose. Le direttive erano sempre quelle: nello sport bisogna essere leali, onesti e altruisti… Ma quando c’è la possibilità di andare, bisogna andare».

Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)
Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)

La Porsche no

Ma i consigli non erano da direttore sportivo a corridore, erano anche da “padre a uomo”, perché nel frattempo Nibali è chiaramente maturato, si è sposato e ha messo su famiglia.

«Una volta tornò dopo un buon Tour e mi disse: “Voglio farmi un regalo, mi compro una Porsche”. Io gli risposi: “No, la Porsche non si compra, prima finisci casa”. Aveva preso un appartamento nelle mie zone, doveva acquistare anche il garage e così fece… Poi comprò anche la Porsche! Ma intanto le priorità erano state rispettate. I consigli li chiedeva, dai…».

Franceschi continua il suo cammino verso la zona d’arrivo. Nell’area riservata, lo attendono i genitori di Vincenzo. E’ tutto pronto per quella che, a prescindere dal risultato, sarebbe stata una festa. Carlo aspettava il suo ragazzo, come tante volte aveva fatto in questi 22 anni che gli è stato al fianco. 

«Quando arriverà gli dirò grazie di averti trovato. E grazie delle tante emozioni che mi hai dato nella vita».

EDITORIALE / Il ciclismo in Italia, tesoro dimenticato

10.10.2022
5 min
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Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.

La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano

Un team italiano

Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.

Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.

Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.

La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa

Cresce la Svizzera

Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.

Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.

E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.

L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend

La fuga dei talenti

E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.

In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media

Parliamo dei media

Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.

La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.

Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?

La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto

Parliamo degli sponsor

In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.

«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».

Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.

Nibali saluta. Vincenzo accolto dai suoi sul traguardo

09.10.2022
5 min
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Sono le 16:33 di sabato 8 ottobre 2022 Vincenzo Nibali taglia il traguardo del Giro di Lombardia e conclude la sua carriera. I suoi uomini sono tutti dietro la linea d’arrivo che lo aspettano. Camminano, confabulano e anche se non lo ammettono apertamente sono emozionati. Si chiude un ciclo. Un pezzetto di vita piena di tante emozioni.

Michele Pallini, Emilio Magni, Federico Borselli… sono tutti vicini. Allungano il collo per vederlo spuntare. «Eccolo, Eccolo…», dicono in coro e gli vanno vicino. Poi solo tanti abbracci e poche parole. Bastano gli sguardi e quelle strette di mano. C’era persino Geoffrey Pizzorni, che di Nibali è stato addetto stampa per qualche anno. Geoffrey, che è ora alla BikeExchange Jayco, ci si ritrova per caso però resta lì anche lui.

Martino emozionato

«Eh – sospirava Giuseppe Martinelli alla vigilia – ci siamo. Uno dice: “Ma lo sai dai sei mesi che lascia”. Ma intanto vai avanti e pensi sempre che siano sei mesi e invece il momento è arrivato. Ammetto che è un po’ particolare.

«Sono stati tanti anni insieme. E il fatto che Vincenzo abbia voluto finire qui la sua carriera per me conta molto. Io credo che lui sia voluto tornare all’Astana Qazaqstan perché qui si sente in famiglia. Non ha mai criticato gli altri team in cui è stato, ma qui ha detto che si sentiva a casa. Tante volte anche io lo chiamavo non da direttore sportivo, ma per sapere come andavano le cose. Quando andò via parlammo a lungo affinché io potessi seguirlo. Mi voleva con sé».

I suoi uomini

Mentre Martino racconta, Gabriele Tosello è lì che prepara la sua ultima bici. La Wilier con la verniciatura speciale che ricorda i successi di Nibali nei grandi Giri.

“Toso”, che forse è il più indaffarato di tutti, dice che solo quest’anno gli avrà montato una trentina di bici. Ha invece perso il conto di tutte le altre nel corso degli anni.

«Io – dice Tosello – so solo che anche se era alla sua ultima gara anche oggi borbottava! Aveva questa bici nuova, sella nuova, manubrio nuovo… e cambiarla a ridosso del via di una gara così importante non lo rende felicissimo. Mi diceva: “Ma le misure? Hai ricontrollato tutto?”. Ci ha fatto solo 30 chilometri. Fosse stato per lui avrebbe di sicuro usato la sella “vecchia”». 

«Il momento è arrivato, avete visto? Sono 17 anni che sono con lui – racconta il dottor Magnisolo un anno non riuscii a seguirlo, avevo ancora il contratto con la vecchia squadra, ma poi l’ho raggiunto. Diciassette anni sono un bel pezzetto di vita. L’ho visto crescere».

Chi invece è una sfinge, che le emozioni non le sbandiera al vento è Michele Pallini, il massaggiatore. Siamo quasi certi, percezione nostra, che Michele più di tutti ha sentito questo momento. Ma anche lui fino alla fine è stato “sul pezzo”. Il via vai della vigilia per i massaggi fatti tardi per i tanti impegni con gli sponsor. I soliti preparativi. 

«Emozionato? Io lo sarò da domani», cioè oggi. 

Al lato del podio, appoggiato alle transenne, c’è Alex Carera. Ha un sorriso velato di malinconia. Ricorda quando lo conobbe. «Eravamo ai mondiali di Hamilton del 2003. Lo aiutai perché aveva dei problemi con una sella, cercava dei contatti con l’azienda. Gli dissi che ero un procuratore e che magari avremmo potuto collaborare. Da lì è nato tutto. Sono passati venti anni ragazzi…».

E Vincenzo?

Beh, anche lui forse è più emozionato di quel che dà a vedere. «Se sono emozionato? Pensa che ho dormito tutto il pomeriggio!», ci aveva detto in una battuta alla vigilia.

Nessuno meglio di lui, chiaramente, può conoscere le sue sensazioni. Covava questo ritiro già da un po’, lo ha reso pubblico durante il Giro e magari più di altri lo ha maturato, lo ha metabolizzato.

In tv ha detto che c’è stato un solo momento in cui si è reso conto davvero di concludere la carriera. Stava facendo il trolley prima di partire per il Lombardia. «Ho realizzato, mi sono fermato un attimo… ma poi ho continuato. Via, voltare pagina».

Ieri mattina a Bergamo si è goduto l’applauso della folla. La parata con Valverde tra gli applausi dei colleghi. Hanno sfilato tra due corde di canapa per recarsi in testa al gruppo. Eppure fino alla fine è stato professionale, così come Alejandro. Okay il fine carriera, ma prima c’era una corsa da fare. 

Nessuna lacrima da parte sua. Almeno non in pubblico. E’ Nibali. Lo Squalo ci ha regalato 17 anni di grande ciclismo, ci fatto saltare sul divano, ci ha fatto piangere per quella caduta di Rio, ci ha fatto sognare e qualche volta anche arrabbiare, come nel Giro 2019 quando per discutere con Roglic “regalò” la maglia rosa a Carapaz.

Ma i campioni sono questi. Baggio sbaglia un rigore nella finale dei mondiali. Coppi e Bartali pur di farsi la guerra arrivano ultimi. Tomba non partiva se la pista era rovinata. La grandezza passa anche da qui… se prima però si sono calcati i grandi podi. E Nibali li ha calcati eccome.

Landa li ha visti scappare. Ma si è preso il podio con i denti

08.10.2022
4 min
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Si staccava e rientrava. Sempre mani basse, sempre composto e sempre a tutta. Mikel Landa riesce a trovare l’ennesima buona prestazione. Peccato per lui che sulla sua strada incontri ogni volta qualche fenomeno. Se ci fosse un “Giro della regolarità” lui sarebbe di certo in maglia rosa.

A Como il corridore della Bahrain-Victorious agguanta un terzo posto che dà speranza per l’inverno. Dà morale. E’ una piccola gioia. Alla fine è su un podio importante, in una classica monumento tra un fenomeno, Pogacar, e un gran corridore, Mas.

Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte
Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte

Fiducia in Landa

«Io ci credevo – racconta dopo la corsa Alberto Volpi, diesse della Bahrain – Ci credevo perché sapevo che stava bene. L’ho visto dopo la ricognizione fatta nei primi giorni della settimana. Avevo fiducia in lui. E a chi mi chiedeva chi vincesse rispondevo: “Occhio a Landa”. E mi guardavano storto».

«Tutti noi eravamo per Mikel – dice Edoardo Zambanini, soddisfatto per aver concluso la sua prima classica monumento – io dovevo stargli vicino fino al Ghisallo e invece sono arrivato fin sotto il San Fermo. In corsa mi diceva che stava bene. Gli ho dato da mangiare, più di qualche volta sono andato all’ammiraglia a prendere l’acqua. Sapevamo che Mikel c’era e per questo eravamo motivato anche noi».

Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo
Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo

Preparazione ok

Nel finale i due davanti giocavano un po’ come il gatto col topo. Acceleravano e si fermavano e, come detto, Mikel rientrava. Anche mentalmente non è facile. Perché se è vero che tu stai bene, è anche vero che ci sono due che ne hanno più di te.

«Poteva essere frustrante questa situazione – spiega Volpi – ma Mikel è stato a bravo a stare lì con la testa, ad avere i nervi saldi. Io per radio gli davo dei riferimenti, dei distacchi… ma neanche più di tanto, perché comunque in certe situazioni il corridore va lasciato concentrato».

«Da parte mia sono molto contento – ha spiegato Landa – ho cercato di arrivare qui al Giro di Lombardia al meglio. Mi sono ritrovato tra Pogacar e Mas, sapevo che ne avevano di più e ho cercato di fare la mia corsa e di dare il massimo».

«Il suo podio – riprende Volpi – Mikel lo ha conquistato sul Civiglio, salita durissima, perché restare con quei due lassù significava appunto salire sul podio. E non era così scontato. Andare come è andato lui su quella salita significa stare bene davvero.

«Anche per questo voglio fare un plauso alla squadra, che a ha lavorato bene, e al preparatore che è riuscito a portarlo in condizione. Dopo la Vuelta Mikel non aveva più corso. Avevamo pensato alla CRO Race, ma ci era sembrata troppo impegnativa. Così ha corso solo giovedì scorso al Gran Piemonte».

Landa con Pogacar e Mas. Loro due erano su un altro pianeta a sua volta lui ha fatto il vuoto su tutti gli altri

La Bahrain c’è

Lasciare dietro il vincitore del Tour de France, staccare tanti altri bravi corridori per un ragazzo che non metteva il numero sul dorsale da tanto tempo, eccezion fatta per il Gran Piemonte, non era scontato per Volpi. 

E tutto sommato il diesse non aveva torto in quanto abbiamo visto che i più forti hanno gareggiato parecchio in questo scorcio di stagione. Il ritmo nelle gambe, tra l’altro quello esplosivo delle corse di un giorno, c’era eccome. E quando si scatta con violenza la differenza si sente.

«Vorrei aggiungere una cosa – sottolinea Volpi – abbiamo iniziato le classiche monumento con una vittoria, quella di Mohoric alla Sanremo a marzo, e la chiudiamo con un podio in un altra classica monumento. Questo significa che la Bahrain Victorious c’è. E’ sul pezzo».