Capita, nello scrollare tipico dei social, di imbattersi in qualcosa che richiami la nostra attenzione, che la catturi. In un pomeriggio invernale succede di vedere condivisa la lista partenti del Giro della Bassa Lunigiana del 1979. In quel gran susseguirsi di nomi che poi hanno scritto la storia di quel ciclismo c’era quello di Davide Cassani. Alla fine degli anni ‘70 era al suo secondo anno nella categoria juniores, in rampa di lancio per diventare un ciclista professionista. Era la quinta edizione di quella che ora è diventato l’attuale Giro della Lunigiana, ma già all’epoca meritava il soprannome di Corsa dei Futuri Campioni.
«Il Giro della Bassa Lunigiana, come si chiamava ai tempi – racconta Cassani – l’ho corso due volte. La prima nel 1978, la seconda nell’anno successivo: il 1979. Ricordo che fu la mia prima esperienza in una gara a tappe e avevo la sensazione di essere diventato grande. In una tappa arrivai addirittura terzo, dietro Bontempi e Ciuti».
Diventare grandi
Sono passati 46 anni da quella prima volta, ma l’aria che si respirava al Giro della Bassa Lunigiana era già di un ciclismo importante. Anche se si era lontani dal sentirsi arrivati tanta era la strada da fare prima di vedere il proprio nome tra quello dei professionisti.
«Fu un primo assaggio di cosa volesse dire partecipare ad una corsa importante – continua Davide Cassani – perché si stava fuori a dormire, avevamo i massaggiatori al seguito. Insomma era a tutti gli effetti un appuntamento di grande importanza. Era la gara a tappe di riferimento della categoria, come lo è ora. L’emozione principale che ci muoveva era l’orgoglio di indossare la maglia della rappresentativa regionale, nel mio caso dell’Emilia-Romagna. Per un ragazzo di 17 o 18 anni era il massimo. Anche perché non tutti, me compreso, riuscivano a indossare la maglia della nazionale. Iniziavano a esserci appuntamenti importanti, come la Corsa della Pace e i mondiali, ma non erano di certo tanti come ora».
Che sensazioni provava un ragazzo nel partecipare al Giro della Bassa Lunigiana?
Quella di essere sulla strada giusta, correre in certi appuntamenti ti permetteva di sentire il profumo di un sogno. Per me partecipare a quella corsa era un obiettivo, sapevi di avere buone chance di passare dilettante. In quell’anno (il 1979, ndr) militavo in una delle squadre più forti e avevo vinto nove corse. Anche come rappresentativa dell’Emilia-Romagna eravamo tra i favoriti, con me correvano Giardini e Federico Longo. Due veri campioni dell’epoca.
Sentivate crescere l’attenzione intorno a voi?
Sì. Anche perché il primo anno che partecipai (1978, ndr) ci chiamò, a inizio stagione, il responsabile del Comitato regionale per consegnarci una sorta di agenda da compilare. Dovevamo scrivere i chilometri fatti e rimandarli poi al Comitato a fine anno. Era il primo contatto con i vertici della Federazione.
Insomma, avevate capito l’importanza del momento…
Ti sentivi sotto osservazione, a 17 o 18 anni inizi a capire cosa puoi fare da grande. Comunque già a quell’epoca andare forte tra gli juniores era un bel segnale.
Cosa ricordi della gara?
Avevamo una grande squadra. Con noi c’era anche un lombardo: Maurizio Conti, detto “Garibaldi”. Faceva parte della nostra rappresentativa regionale, ma per il resto dell’anno era un avversario. Ci scontravamo con lui eriusciva spesso a vincere. Ricordo anche che l’ultima tappa di quell’edizione, una cronoscalata su Monte Marcello, rischiò di saltare a causa di un incendio. Riuscirono a farla, ma in alcune zone era ancora presente sulla strada il liquido usato per domare le fiamme.
Anche all’epoca il Giro della Lunigiana apriva uno spiraglio sul professionismo?
Era impensabile per uno junior passare professionista, i carichi di lavoro erano di gran lunga diversi. Ora questo accade con più frequenza perché i ragazzi sono allenati molto più preparati. Alcuni di loro, come accade alla Bardiani, fanno un buon calendario under 23. Penso però che certe scelte si debbano fare con attenzione. I devo team sono una risorsa preziosa, ma non aprono automaticamente le porte del professionismo.
Si deve ponderare bene la scelta…
Soprattutto perché il nostro primo anno da under 23 coincide con l’ultimo anno di scuola. Anche questo è un fattore da prendere in considerazione quando si decide cosa fare alla fine della categoria juniores. Magari potrebbe essere utile approdare in un devo team nell’anno successivo alla maturità.
Pensare di veder correre in Italia il vincitore della Parigi-Roubaix juniores ci crea un certo senso di curiosità che ci spinge a voler girare in fretta il calendario al 2025. Tuttavia manca ancora qualche mese alla ripresa delle gare e dei primi appuntamenti di stagione dedicati agli under 23, quindi ci tocca rallentare e aspettare. Facciamo quindi un passo indietro e guardiamo al 2024 di Jakob Omrzel, una stagione a due facce la sua. Nella prima, che arriva fino alla fine di agosto, si contano vittorie e piazzamenti di grande prestigio. Lo sloveno che ha corso nei principali appuntamenti internazionali tra gli juniores era destinato ad un grande finale di stagione.
Dopo un ritiro e la preparazione per affrontare un settembre caldo e ricco di occasioni tutto si è fermato ai primi chilometri del Giro della Lunigiana, il 4 settembre. Pochi minuti di gara sono bastati per essere coinvolto in una brutta caduta che gli è costata il finale di stagione e una settimana in ospedale a La Spezia. Le condizioni di Omrzel non sono state giudicate tali da potergli garantire il trasferimento in Slovenia fin da subito.
Lo spavento
La notizia e le immagini dell’incidente ci avevano preoccupato fin da subito, poi però il peggio è passato e Omrzel è riuscito a recuperare e riprendersi totalmente. Anche se di quegli attimi non ricorda nulla.
«E’ stata una caduta devastante – racconta da casa il campioncino sloveno – che non mi ha permesso di correre il finale di stagione. Ma dopo un incidente del genere sono felice di essere ancora in piedi e di poter riprendere la bici. Quando mi sono risvegliato in ospedale avevo completamente perso la memoria, dopo una settimana in osservazione sono tornato a casa, in Slovenia. Ho passato un periodo tranquillo, nel quale non mi sono potuto allenare o andare a scuola. Sono rimasto a casa per riprendermi. I dottori non sapevano bene quando sarei tornato in bicicletta. Non avevo fretta di tornare, anche perché è stato un infortunio parecchio serio. Sono rimasto a casa e ho cercato di recuperare le cose che mi sono perso a scuola».
Quando sei tornato in bici?
Due settimane fa, dopo una quantità incredibile di esami da parte di vari medici. Mi sento molto tranquillo e confido nel fatto di poter ripartire serenamente. I dottori hanno tutto sotto controllo.
Cosa hai provato nel riprendere a pedalare?
Felicità, tanta. La prima emozione è stata proprio tanta perché dopo due mesi e mezzo mi sono proprio goduto il gusto di una semplice pedalata. Non avevo, e non ho ancora, molta potenza ma al momento non mi importa molto.
E dal 2025 correrai con il CTF Victorious, come sei entrato in contatto con loro?
Li ho conosciuti un anno fa e siamo rimasti in buoni rapporti. Così come con lo staff della Bahrain Victorious. Nel 2024 ho corso qualche gara con il Cannibal Team (il devo team juniores, ndr). Essere in una formazione di sviluppo mi ha aiuterà parecchio a crescere e migliorare.
Dal prossimo anno cosa ti aspetti?
Senza l’incidente mi sarei posto degli obiettivi alti, sicuramente. Ma dopo quello che mi è successo non conosco bene il mio stato di salute. Spero di stare bene e di trovare buoni risultati nelle gare internazionali. Vedremo anche come andrà la ripresa. Tra pochi giorni inizieremo il training camp, sarà un primo passo. In realtà con il CTF dovrei stare due stagioni, fino al 2026.
Pensi sia un periodo giusto per ambientarti?
Credo di sì. Il salto tra gli under 23 è tosto. Le gare diventano più grandi, lunghe e impegnative. Vincere la Parigi-Roubaix da juniores mi ha reso sicuramente orgoglioso (in apertura il bacio al trofeo, foto Christphe Dague/DirectVelo, ndr), ma tra gli under 23 sarà un’altra cosa. Per la prossima stagione non mi pongo grandi obiettivi, capiremo come sto, sperando nel meglio e nel rientro in gruppo ai miei massimi livelli. Intanto sono felice di essere ripartito.
La Slovenia aspetta la fine del Tour per dare i nomi per Tokyo. Nella crono nazionale, Tratnik scalza Pogacar. Roglic ancora nascosto, finora ha solo 17 giorni di corsa
Al Giro della Lunigiana del 2021 in cui Lenny Martinez trascinò i francesi alla conquista dell’Italia, Gianluca Geremia guidava la rappresentativa del Veneto, con corridori come Bruttomesso, Pinarello e Scalco. Quel primo Lunigiana dopo il Covid segnò di fatto l’accelerazione fra gli juniores che oggi è sotto gli occhi di tutti. Martinez trascorse una stagione nella continental della Groupama-FDJ e poi salì nel WorldTour. Pinarello passò direttamente professionista nella Bardiani. Si era messo in moto il meccanismo che ha portato allo svuotamento della categoria under 23 per ragioni tecniche e per altre convenienze di cui fanno le spese i ragazzi meno pronti al salto di categoria.
Il tecnico ex corridore
Geremia lavora nel commerciale di Morfeo Gadget, che realizza trofei stampati in 3D, e per il resto continua a seguire le squadre della sua regione e ne manda avanti una a sua volta. Da dilettante ha vinto 11 corse, è stato per tre anni alla Zalf Fior, prima di passare professionista. Tornare a quel Lunigiana è il pretesto per rileggere anche l’Editoriale di ieri e capire che molto probabilmente il discorso ha colto nel segno (in apertura la squadra del Veneto al Lunigiana 2024, immagine Facebook).
«Nel 2021 eravamo nel pieno di un momento – dice Geremia – in cui la Francia iniziava a raccogliere il frutto di un percorso intrapreso anni prima. Già da tempo correvano diversamente, facevano più gare a tappe e meno gare di un giorno. Quindi il loro calendario era già più internazionale, il colpo di pedale era differente e avevano già eliminato la limitazione dei rapporti. Però anche i nostri si difendevano. Bruttomesso ha fatto la sua trafila, è stato under 23, poi è diventato professionista. Quest’anno ha fatto i primi risultati e come lui Crescioli, che in quel Lunigiana arrivò secondo e quest’anno ha vinto una tappa del Tour de l’Avenir. Si vide però un diverso modo di lavorare. Anche noi avremmo potuto togliere la limitazione del 52×14, ma se in corsa non faccio il ritmo gara dei francesi, si creano danni e basta. E’ servito il tempo per adattarsi».
Diverso colpo di pedale significa anche altre velocità?
Io seguo la categoria juniores e posso dire che le medie si sono alzate drasticamente. Ormai la gara vale quanto una nei dilettanti di dieci fa. Non ancora con gli stessi picchi, però ci stiamo avvicinando. I ragazzi sono molto più maturi fisicamente e se vengono seguiti bene, tirano fuori delle super prestazioni. Con l’avvento di Salvoldi in nazionale, abbiamo visto che allenati nel modo giusto e con le giuste intensità e frequenze di pedalata fra pista e strada, ottengono grandi risultati e non sono secondi a nessuno. Dopo la svolta del 2021, adesso bisogna stare attenti. Da quell’anno il ciclismo juniores è diventato ancora più esigente e ho visto che molti atleti forti al primo anno, non si sono confermati al secondo e questa cosa un po’ mi fa pensare.
Perché?
Normalmente si andava bene il primo anno e più forte al secondo, ora invece c’è una flessione. Abbiamo fatto un passo in avanti, ma ora dobbiamo avvicinare l’altro piede, perché a livello mentale non sono preparati per queste pressioni. Hanno tutti il procuratore, ma molte volte non ricevono alcuna indicazione oppure non sono pronti per ascoltare quello che gli viene detto. Poi ci sono le pressioni dei team, per cui si stanno creando un po’ di confusione e anche attriti fra il team, la nazionale e le squadre in cui andranno. La società juniores vuole far correre il ragazzo perché ha investito soldi e tempo per avere dei risultati. La nazionale ha le sue esigenze e l’ottimo lavoro di Edoardo (Salvoldi, ndr) è il fatto di mediare fra le parti. Però dall’altra parte c’è la pressione che arriva da questi procuratori che porteranno i ragazzi nei vari team satellite. Questo crea il rischio di collisione, è tutto il sistema che rischia di andare in crisi.
Perché tutto questo?
Perché c’è stato un giro di chiave e stiamo rincorrendo un sistema non nostro. Secondo me, dobbiamo trovare il nostro metodo di lavoro, perché qui i ragazzi non sono trattati come all’estero, dove hanno le scuole che permettono di fare attività sportive. Dove ci sono le vere scuole sportive e dei team satellite con budget che gli permettono di fare un’attività tanto superiore. Questo sistema, che per noi italiani è ancora lontano, ci sta precludendo la possibilità di trovare il vero campioncino, perché magari si è spinti a chiedere il risultato a un allievo che non è ancora maturo.
Ci sono degli esempi?
L’esempio lampante è Francesco Busatto (Geremia non ha dubbi, ndr). Per molti era uno dei tanti e aveva l’80 per cento di possibilità di smettere e il 20 di entrare nei dilettanti. Poi per fortuna, abbiamo visto chi è. Io credo che spesso non si faccia una selezione attenta, perché effettivamente il procuratore guarda i numeri. Vede quello che vince, l’altro che ha un ottimo test, però abbiamo visto tanti ragazzi andare forte nei test eppure non diventare mai dei corridori. Quella roba lì non te la vendono al supermercato. Prendiamo il caso di Finn…
Cosa vogliamo dire?
Sin dalla prima volta che lo vidi al Lunigiana, si capiva che fosse un ragazzo genuino e brillante mentalmente. Uno che dichiarava che avrebbe attaccato e che avrebbe cercato di fare il forcing e poi l’ha fatto davvero. Quando poi vai all’arrivo e vedi questo ragazzino magro, ancora tutto da formare, lo capisci subito che questo qua è il nostro pacchetto regalo per il futuro, l’investimento, il nostro fondo. E come lui secondo me ce ne sono anche altri. Come appunto Busatto, un altro che fisicamente sembrava quasi un esordiente messo là con gli juniores. Magari non brillante come Finn, però vedevi che c’era del margine di lavoro. Sapete cosa manca secondo me veramente in Italia?
Un vero osservatore disinteressato o comunque obiettivo?
Esatto, il talent scout, che non è il procuratore, ma uno che guarda le corse indipendentemente dal colore della maglia. Che va a parlare direttamente con i direttori sportivi, che magari regione per regione riesce veramente a seguire l’allenamento, parlare con gli atleti e con i loro tecnici. Secondo me dobbiamo trovare una formula di questo tipo, perché oltre ai numeri, per fare i corridori servono altre peculiarità e una di queste è la famiglia alle spalle. Chi sei, come ragioni, cosa pensi, cosa vuoi. Lì dobbiamo trovare, perché è il mix di tanti elementi a far sì che il ragazzo diventi corridore. Se ci soffermiamo solo sul fatto che vince 100 corse e ha ottimi test, secondo me non stiamo portando avanti la persona giusta. Ecco, io la vedo così perché provengo da un ciclismo dove ci scornavamo tutte le domeniche al circuito di San Michele, la corsa del campanile, ma da lì è uscito Ballan, è uscito Cunego.
Il mondo però nel frattempo è cambiato…
Vero, stiamo parlando di un altro ciclismo e dobbiamo adeguarci, ma io sono convinto che dobbiamo essere bravi tutti a trovare il nostro metodo e dare al ciclismo dei corridori che non siano degli juniores con la barba o allievi con le gambe straformate, che fanno tot chilometri all’anno e vincono 200 corse. Quelli sicuramente hanno buone capacità fisiche e voglia di fare sacrifici, ma evidentemente è un tipo di gestione non lungimirante.
Torna al tuo ciclismo: Geremia sarebbe stato pronto a passare professionista a 19 anni?
Pronto non lo ero sicuramente, perché da junior dovevo ancora cominciare a ad allenarmi. L’entusiasmo ci sarebbe stato tutto. Un’altra pecca di questo ciclismo è che nei dilettanti non ci sono più gli elite e quindi si vive su questa categoria under 21 che si tentò di inserire nel lontano 2000. E’ come una continuazione degli juniores, invece di essere due anni è come se fossero tre perché i più forti vanno a fare un altro tipo di calendario e approdano ai devo team. I medio-buoni rimangano lì, vincono sempre gli stessi con la crescita di qualcuno, però la scelta si riduce. E noi intanto portiamo avanti quello che pensiamo sarà il corridore professionista, ma non è così.
Ci fai un esempio?
Quando c’erano gli elite, quando io stesso ero un primo anno elite, in gruppo c’erano Nibali e Visconti. E quando vedevi questi ragazzini del primo anno che vincevano e bacchettavano i più grandi, era il segno che erano corridori veri. E se c’era qualcuno che faceva il furbo, in quegli anni andavano a beccarlo subito. Battere un elite preparato ad esempio per la Coppa Colli Briantei piuttosto che il Giro di Toscana, era l’indicazione di uno che andava forte, che era un corridore vero. Con questa formula abbiamo sempre trovato corridori che ci hanno fatto fare bella figura nel mondo professionistico. Non solo Nibali e Visconti, pensiamo anche a Pozzovivo. Quindi la categoria dilettanti italiana andava benissimo perché il livello delle gare era alto e potevi davvero dare una misura ai giovani che arrivavano.
Quindi Reverberi che propone la cancellazione degli U23 ha ragione solo perché la categoria è stata svuotata?
Esatto. Le gare sono diventate di 150 chilometri, non ha proprio senso chiamarli dilettanti, chiamiamoli juniores del terzo o quarto anno. Inventiamoci un’altra categoria, perché ha ragione Reverberi. Purtroppo in questo ciclismo qualcuno ha deciso che gli under 23 non servono e noi dobbiamo adeguarci a questa a questa legge di mercato, io la chiamo così. Se però facciamo un discorso razionale e ci diciamo che dobbiamo tirare su atleti imposti da una legge di mercato come questa, perché adesso va quasi una moda fare così, sono del parere che resteremo perdenti. Stiamo inseguendo gli altri e quindi siamo già fuori tempo, il ciclismo mi ha insegnato questo. Se c’è fuori la fuga e il gruppo la annulla tutti insieme, inseguire ha un senso. Ma se tu dovevi essere in quella fuga perché ci sono dentro quelli che vincono, puoi inseguirla, ma sei fuori tempo. Quando rientri, gli altri ripartono e tu hai chiuso.
Quindi cosa si dovrebbe fare?
Fare squadra, inseguire con il gruppo per raggiungerli. Così quando arriviamo a prenderli, abbiamo energie per stare ancora con loro o per rintuzzare i nuovi attacchi. Ma finché rincorriamo così, per tentativi e da isolati, diventa tutto più difficile. Ci potrebbe essere sotto un discorso politico, ma non sta a me farlo, perché sono lontano dalla politica. Oggi stiamo parlando di cose tecniche, però a mio modo di vedere gli elite non hanno mai fatto male a nessuno e mi dispiace vederli maltrattati. Li chiamiamo vecchi, ma hanno 24-25 anni e nonostante quello che dice il ciclismo moderno, hanno tanto da dare.
Le quattro tappe del Giro della Lunigiana hanno evidenziato due protagonisti assoluti: Paul Seixas e Lorenzo Finn. Abbiamo scritto tanto dei due giovani che si sono messi in evidenza sulle strade di Liguria e Toscana. Un francese e un italiano che, con grande probabilità, saranno tra le figure principali dei mondiali juniores di Zurigo. In tanti lo hanno detto, dal cittì Salvoldi agli stessi avversari che contro Finn e Seixas hanno lottato, finché le gambe hanno retto. Ora si tratta di prendere la corsia giusta per arrivare all’appuntamento iridato nella migliore condizione. Ma gli ostacoli verso la maglia iridata hanno nomi e cognomi: il più gettonato è Albert Philipsen.
Albert Philipsen è pronto a replicare il successo di Glasgow (foto Bardet)Uno degli outsider potrebbe essere Hector Alvarez, vincitore dell’Eroica Juniores (photors.it)
Sumpik in rampa di lancio
Dino Salvoldi ha definito l’affare di Zurigo una corsa a tre, anche se gli outsider sono diversi a partire da chi ha completato il podio della Corsa dei Futuri Campioni: Pavel Sumpik. Il ragazzo della Repubblica Ceca cresciuto alla Roman Kreuziger Cycling Academy rimanda però le considerazioni al mittente.
«Il percorso mi si addice abbastanza – analizza Sumpik – ma bisogna stare attenti. L’esperienza dell’anno scorso mi ha insegnato a essere calmo, ci sono tanti ragazzi che vogliono vincere. Albert Philipsen sarà l’uomo da seguire. Potrebbe vincere ancora, in questa stagione ha dimostrato di essere molto forte. Le salite di Zurigo gli si addicono perfettamente».
Jacob Ormzel ha terminato il Giro della Lunigiana in ospedale, la paura è alle spalle ma il sogno iridato sfumaPavel Sumpik, della Repubblica Ceca, si dice fiducioso delle sue qualità (foto Corsa della Pace)Jacob Ormzel ha terminato il Giro della Lunigiana in ospedale, la paura è alle spalle ma il sogno iridato sfumaPavel Sumpik, della Repubblica Ceca, si dice fiducioso delle sue qualità (foto Corsa della Pace)
Il nuovo piano sloveno
Altri erano gli iscritti alla lista dei pretendenti, ma la sfortuna li ha colpiti in maniera differente. Tra di loro c’era Jacob Ormzel, lo sloveno vincitore della Parigi-Roubaix juniores è stato messo fuori gioco in una caduta nella prima tappa del Lunigiana. I piani della Slovenia cambiano radicalmente, dall’essere una delle favorite passano a dover inventare nuovamente la corsa.
«L’incidente ha causato un grande spavento – dice il cittì sloveno – ma siamo felici che Omrzel stia bene. Chiaro che era il nostro capitano per il mondiale, abbiamo altri corridori forti ma dovremo cambiare modo di gareggiare. Ci saranno tante occasioni per provare ad anticipare i favoriti, come entrare in una fuga fin da subito. Il percorso è duro, davanti si spende tanto quanto in gruppo. Valjavec è altrettanto forte in salite brevi ed esplosive. Sarà una battaglia tra i migliori scalatori a mio modo di vedere.
Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Francia all-in
I giovani galletti punteranno tutto sulle qualità di Paul Seixas, vincitore del Giro della Lunigiana e autore di una stagione di primo piano. Ha vinto dappertutto, a partire dalla Liegi fino alle corse a tappe più impegnative.
«Il Lunigiana – racconta il cittì – era un passo in preparazione alla rincorsa verso il mondiale, le risposte direi che sono state positive. Abbiamo lavorato bene in precedenza, con un training camp sulle Alpi nella settimana prima del Lunigiana. Naturalmente per il mondiale il nostro leader unico sarà Paul Seixas, abbiamo visto come su salite brevi sia pienamente a suo agio. Certo non sarà semplice, perché è una corsa di un giorno che si prepara in un mese».
ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Belgio all’arrembaggio
La squadra guidata da Serge Pauwels ha tante frecce nel proprio arco. Una delle più interessanti sarebbe stata quella che porta il nome di Aldo Tailleu, ma anche lui è stato vittima di una caduta e sarà fuori dai giochi.
«La selezione non è stata semplice – spiega – però avremo tanti corridori validi, nessun capitano designato probabilmente. A Zurigo l’ultima scalata sarà lontana dall’arrivo, una ventina di chilometri. Non è detto che vincerà il miglior scalatore, potrebbe esserci spazio per un passista. Abbiamo delle buone alternative come Jasper Schoofs o Matijs Van Strijthem. Staremo a vedere, perché la squadra conterà abbastanza a mio modo di vedere, quei venti chilometri finali pianeggianti aprono a scenari diversi».
SESTRI LEVANTE – Il tema che riguarda la categoria juniores è caldo e va affrontato con la dovuta calma e attenzione. Da un lato c’è chi ha paura di “bruciare” i ragazzi e vorrebbe preservarne il talento e le qualità. Aumentare ora i carichi di allenamento serve per vincere nel breve termine ma una carriera di un corridore prende forma e peso più avanti dei 18 anni. Vincere un Giro della Lunigiana è bello, fa piacere e riempie la bocca di chi questi ragazzi li cresce, ma poi c’è il futuro a cui pensare. Le categorie giovanili servono per formare il corridore, dargli una mano così che possa imparare a gestire determinate dinamiche.
In Italia ci sono due fazioni, chi vede l’attività odierna come un’esasperazione e chi crede sia la giusta via. Quest’ultimi spesso sono coloro che sulle vittorie dei ragazzi ci vivono, costruendo gloria personale e affermandosi come tecnici di livello. Ma se tutti coloro che gestiscono questi ragazzi pensano a tirare fuori il massimo, chi arriverà alla fine si ritroverà tra le mani solamente il nocciolo.
Le squadre satellite hanno una programmazione diversa, con periodi di carico e poi una serie di gareLe squadre satellite hanno una programmazione diversa, con periodi di carico e poi una serie di gare
Cambiare obiettivi
Eros Capecchi di anni da professionista ne ha messi alle spalle ben 16, il suo primo anno con i grandi è stato il 2006, nelle fila della Liquigas, a soli 20 anni. Il punto su cui ci si deve concentrare non è l’età in cui si diventa professionisti, anche se un minimo di attenzione non guasta mai, ma l’attività proposta.
«A mio modo di vedere stiamo faticando a fare un cambio di mentalità – dice il tecnico del CR Umbria – dal punto di vista delle preparazioni. Siamo molto conservativi, non “spremiamo” troppo i ragazzi. Ma secondo me quello che stiamo facendo non è spremerli troppo, bensì spremerli male.
«Se li si prepara atleticamente e fisicamente a quello che ora trovano in corsa non c’è il rischio di finirli. Questo accade se vanno in gara e non vedono mai l’arrivo, perché allenarsi diventa sempre più un sacrificio e fare la vita da corridore pesa ancora di più. Si potrebbe rivedere la programmazione dei calendari, come fanno all’estero».
Se ne è accorto Lorenzo Finn quest’anno con la Grenke Auto Eder (foto Zoé Soullard/DirectVelo)Se ne è accorto Lorenzo Finn quest’anno con la Grenke Auto Eder (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Quindi periodo di gare e poi riposo e allenamento, una calendarizzazione degli impegni.
Sarebbe importante anche con chi delibera le corse, i comitati o anche più in alto la Federazione stessa, dire: «Facciamo sei o sette corse organizzate bene in un periodo limitato, un mese ad esempio, e poi un mese di riposo». In modo tale che chi deve preparare i ragazzi riesce a lavorare e dare quelle ore di cui hanno bisogno. In questo modo si aumenta il livello generale degli juniores, consegnando al cittì della nazionale corridori che sanno reggere determinati carichi di lavoro.
Per avere una maggiore concentrazione degli impegni servirebbero più corse a tappe, che fanno tanto per la crescita dei ragazzi.
Ce ne siamo resi conto lo scorso anno, un nostro ragazzo è andato in fuga all’ultimo giorno dopo quattro tappe. La domenica successiva ha vinto. Il lavoro che fai in una corsa di più giorni è impagabile, ne parlavo con lo stesso Salvoldi. Se si riuscissero a unire le diverse gare di un giorno in appuntamenti unici, faremmo un grande passo in avanti.
In Italia uno dei migliori juniores è Bessega, che però ha il doppio dei giorni di corsa di Finn e Seixas: 44In Italia uno dei migliori juniores è Bessega, che però ha il doppio dei giorni di corsa di Finn e Seixas: 44
Senza però eccedere nel lavoro a casa…
Ormai gli juniores che vanno forte si allenano 23-25 ore alla settimana, quindi se si vuole raggiungere quel livello l’impegno da mettere è questo. La nazionale che va in ritiro a Livigno e mette insieme 25 ore di allenamento a settimana è per arrivare a una condizione pari rispetto a chi vince ora. Se quattro ragazzi lavorano così tanto, purtroppo, bisogna adeguarsi per essere competitivi. E’ brutto da dire ma se si pensa al bene dei ragazzi, si rischia di non farli diventare corridori, perché il trend è questo e ormai è partito.
Da noi è Finn quello che fa un’attività del genere, a livello di programmazione.
Lui è il riferimento del ciclismo giovanile e lavora in un modo intelligente, meticoloso e impostando gli allenamenti mese per mese. E’ la dimostrazione che si può migliorare allenando bene i ragazzi, senza bruciarli. Questo accade se noi non li mettiamo nelle condizioni, fisiche e atletiche, di confrontarsi a livello nazionale e internazionale con i migliori.
Capecchi si è detto d’accordo con le parole di Garzelli, ma per lui il trend ormai non si può invertireCapecchi si è detto d’accordo con le parole di Garzelli, ma per lui il trend ormai non si può invertire
Però se si parla di livello internazionale, si deve anche fare attività all’estero allora…
Intanto noi dobbiamo alzare il livello nazionale. Questo dà un beneficio interno alla categoria perché tutti migliorano, bisogna farlo però con gare da 120-130 corridori, non da 50. Se si riesce a organizzare bene il calendario, si dà alle squadre il modo di muoversi contenendo le spese perché glielo si fa fare una volta sola e non tutte le settimane.
Perché entra in gioco anche il discorso dei budget che sono estremamente limitati.
Qui appena metti in moto il furgone e due ammiraglie spendi 500 o 600 euro. Reperire il personale non è così facile, io posso muovermi perché ho un’azienda di famiglia e riesco a ritagliarmi dei giorni per seguire i ragazzi. Ma altri rinunciano. Le leggi fatte sui contributi legati a chi collabora con le attività sportive sta ammazzando i team. Anche per un niente si arriva a tassazioni maggiori e allora la gente preferisce tirarsi indietro perché non conviene.
Dopo l'intervista di Malori, dice la sua Andrea Morelli. I rapporti negli juniores non sono il problema. Si deve ragionare prima sullo sviluppo dei ragazzi
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MARINA DI MASSA – La seconda tappa, da Portofino a Chiavari, annullata causa maltempo, ci ha permesso di girare per hotel e incontrare i protagonisti dell’ultimo Giro della Lunigiana. Tra questi c’è anche Andrea Bessega, friulano della Borgo Molino che si è distinto per una prima tappa all’arrembaggio e una stagione fatta di buoni risultati. E’ mancato un po’ nella parte centrale dell’anno, ma non è possibile essere sempre presenti ad alte prestazioni, e se poi ci si mette in mezzo anche la sfortuna il dado è tratto.
«La stagione era iniziata molto bene – ci spiega Bessega – nelle prime due gare avevo già ottenuti piazzamenti importanti. Poi mi sono un po’ perso e per un mesetto non ho dato continuità ai risultati. La prima vittoria è arrivata nel mese di aprile e mi ha dato una bella spinta morale. All’Eroica juniores (sempre ad aprile, ndr) ho fatto ottimi risultati con un secondo posto nell’ultima tappa».
Bessega in azione nella prima tappa del Giro della Lunigiana, per lui una lunga fuga (foto Duz Image / Michele Bertoloni)Bessega in azione nella prima tappa del Giro della Lunigiana, per lui una lunga fuga (foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Una buona certezza
Bessega respira quest’aria di settembre a pieni polmoni, il contratto con la Lidl Trek Future Racing gli ha permesso di correre con serenità. Non avere l’affanno di cercare risultati a tutti i costi ha contribuito a dargli qualche certezza in più.
«Nella prima parte di stagione – prosegue – le gare non erano molto adatte alle mie caratteristiche. Di solito nel mese di marzo emergono i velocisti. Così mi sono trovato a dare una mano ai miei compagni di squadra, dato che io avevo già vinto e anche il contratto per il prossimo anno. Mi sono messo a disposizione. Comunque nelle gare nazionali non è mai facile emergere perché se si è tra i favoriti si viene marcati a uomo. Questa certezza del contratto mi ha aiutato anche a superare un momento difficile durante l’anno».
Andrea Bessega è stato il grande protagonista dell’ultima tappa dell’Eroica Juniores (photors.it)Andrea Bessega è stato il grande protagonista dell’ultima tappa dell’Eroica Juniores (photors.it)
Quale?
Tra il campionato italiano e il Valdera c’è stato un mese e mezzo in cui ogni domenica ero a terra. Cadere spesso non aiuta, è stato difficile sia mentalmente che fisicamente. Oltre alle botte c’era il fatto che ogni volta che tornavo in gara poi mi trovavo punto e a capo. La vittoria del Piva Junior Day mi ha dato una grande mano per riprendere il filo del discorso. Da lì sono andato avanti con altre gare fino a metà agosto, quando con la nazionale siamo andati in ritiro a Livigno per preparare il Lunigiana e il mondiale.
Con quali sensazioni sei sceso dall’altura?
A Livigno abbiamo lavorato bene, facendo tanto volume e tante ore. Non ero abituato a stare così tanto in bici ma penso tornerà utile per il prossimo anno. Penso che in un devo team le ore e i carichi saranno quelli fatti insieme alla nazionale. Una volta sceso le sensazioni erano buone, lo ha dimostrato questo Giro della Lunigiana.
Per l’anno prossimo che idee ti sei fatto?
Il fatto di aver firmato a fine 2023 è stata una mossa positiva. Durante tutta questa stagione non ho mai avuto il pensiero di dimostrare perché sapevo di avere una sistemazione per il 2025 e oltre (Bessega ha firmato due anni per il devo team e altri due con la WorldTour, per un totale di quattro stagioni, ndr).
A destra Andrea Bessega vince il Piva Junior Day, una liberazione dopo un periodo difficile (foto Bolgan)A destra Andrea Bessega vince il Piva Junior Day, una liberazione dopo un periodo difficile (foto Bolgan)
Ti senti spesso con la Lidl-Trek?
Sì siamo costantemente in contatto, non eccessivamente ma ogni tanto mi chiedono come va e ci confrontiamo. Il fatto di essere andato con loro in ritiro a gennaio mi ha permesso di entrare già in contatto con il loro mondo. Sarà sicuramente un grande salto, passare da una squadra italiana a una estera sarà già un bel passo. Ormai se si vuole diventare professionisti bisogna fare così.
Ci sono due tuoi conterranei in squadra, i fratelli Milan, li ha sentiti?
Ho parlato con Matteo a gennaio, sia lui che Jonathan hanno corso nella Sacilese, dove sono rimasto fino alla categoria allievi. Li conosco bene. Mi hanno detto che il clima è bello e si ha tutto quel che serve per crescere bene. Chiaro, si deve dimostrare di poter correre in quei contesti.
Il friulano sarà uno dei protagonisti al prossimo campionato del mondo a ZurigoIl friulano sarà uno dei protagonisti al prossimo campionato del mondo a Zurigo
Infine un focus sui mondiali, la settimana iridata si avvicina…
Sarà l’appuntamento più importante della stagione. Siamo andati a vedere il percorso con la nazionale qualche mese fa, a Zurigo. E’ duro, con una prima parte in linea e il circuito finale duro duro. Le salite non sono lunghissime, massimo da 5 o 6 minuti. C’è però uno strappo tosto di un chilometro al 10 per cento, finito quello inizia una salita di altri 4 minuti tutta al 6 per cento.
Che sensazioni hai avuto pedalandoci sopra?
Magari non è adattissimo a me, non sono così esplosivo ma si può sempre attaccare e star fuori così da restare davanti. Philipsen è il favorito numero uno ma nulla è detto, si può sempre provare a metterlo in difficoltà.
MARINA DI MASSA –Il primo confronto di alto livello su strada per Stefano Viezzi è stato il Giro della Lunigiana(in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). In realtà il campione del mondo juniores di ciclocross aveva in programma l’Eroica Juniores, ma una caduta alla prima tappa gli ha impedito di proseguire. La ripresa da quell’infortunio è stata lenta ma progressiva e ha portato a una condizione solida. Tanto che Rino De Candido, tecnico regionale del Friuli Venezia Giulia, lo ha convocato per il Lunigiana e lui alla prima tappa si è messo in mostra con una fuga coraggiosa.
«Mi sono sentito di provarci fin da subito – racconta – sapevo che il percorso del Lunigiana sarebbe stato tosto. Ma volevo provarci e mettermi in mostra, come fatto nella prima tappa. L’ultima salita non era nelle mie caratteristiche, ma sono arrivato a giocarmi il podio. Il riscontro direi che è positivo. Anche perché erano presenti i corridori che saranno protagonisti al mondiale.
Stefano Viezzi al Lunigiana ha avuto il suo primo confronto in una corsa internazionale Stefano Viezzi al Lunigiana ha avuto il suo primo confronto in una corsa internazionale
Qualche novità
Viezzi rispetto al 2023 ha cambiato un po’ di cose, passando dal team Tiepolo alla Work Service Team Coratti. Una squadra nuova ma gli stessi, ambiziosi, obiettivi.
«Con la Work – spiega – mi sono trovato subito bene: bici, disponibilità dei tecnici e dei compagni. Visto l’impegno del ciclocross mi sono aggregato tardi, la squadra aveva già fatto due ritiri, però mi sono adattato bene. La caduta all’Eroica, con la conseguente frattura della clavicola, mi ha impedito di fare la stagione che avrei voluto. Mi sarebbe piaciuto mettere insieme più gare, però è andata così».
Il friulano è andato spesso all’attacco, conquistando il settimo posto finale (foto Duz Image / Michele Bertoloni)Il friulano è andato spesso all’attacco, conquistando il settimo posto finale (foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Non tantissime ad essere sincero. Comunque non mi sentivo a un livello basso. Prima di partire con la Rappresentativa del Friuli avevo chiesto alla Work di fare un paio di gare per riprendere il ritmo e mi hanno accontentato. La risposta è stata positiva.
Passare dal correre un’ora a essere presente in gare da tre ore com’è stato?
Ho avuto sensazioni sempre positive. Per fare ciò mi sono allenato tanto sul fondo a inizio stagione, quando ho ripreso a correre su strada. Appena smesso con il cross mi sono fermato un attimo per rifiatare e poi ho messo subito chilometri nelle gambe. Alle prime gare un po’ ho sofferto, ma piano piano mi sono sentito sempre meglio.
Il confronto con i più forti non lo ha spaventatoDal Lunigiana esce con diverse certezze riguardo le sue qualità su stradaIl confronto con i più forti non lo ha spaventatoDal Lunigiana esce con diverse certezze riguardo le sue qualità su strada
Nonostante tu abbia corso poco su strada hai vinto, come ti senti?
Vincere è sempre bello, ma è stata anche una piccola conferma di quanto fatto sul cross. Anche guardando a Seixas mi sento di dire che se sei forte nel cross puoi essere competitivo anche su strada. E’ una bella conferma.
Il confronto in una corsa internazionale ti mancava, com’è stato?
Magari dopo una caduta, qualcuno ha paura di stare in gruppo o si sente meno sicuro: io questo blocco mentale non ce l’ho. Quindi non ci sono stati problemi, poi si sa che correndo con ragazzi stranieri il regime si alza un po’.
La Dynatek di Viezzi con l’adesivo che celebra il successo iridato nel crossLa Dynatek di Viezzi con l’adesivo che celebra il successo iridato nel cross
Viste le tue caratteristiche fisiche a quali gare guardi con maggiore interesse?
Magari di gare qualche classica che spero di fare già dalla prossima categoria, da under 23. Corse vallonate, dove le pendenze non arrivano in doppia cifra.
A proposito, arriverà il cambio di categoria anche nel cross, hai già un programma?
Le gare per me inizieranno a ottobre, poi ci sarà l’europeo i primi di novembre. Le altre gare importanti del calendario saranno da dicembre in avanti, sicuramente arriverò con una forma migliore di quella che ho ora. Arriverò nella massima condizione per il mondiale, che sarà a febbraio, ma essendo stato fermo così tanto in estate sto ancora… ricarburando. Non farò pause a settembre.
Il ciclocross rimarrà un’attività importante nella stagione di Viezzi, anche quando passerà under 23Il ciclocross rimarrà un’attività importante nella stagione di Viezzi, anche quando passerà under 23
Hai già qualche contatto con qualche squadra per il passaggio a under 23?
Sì. Non tutte le squadre lasciano spazio al ciclocross, ma ci sono realtà che riescono a far coincidere tutto. Vorrei fare sempre cross e strada.
Magari in team già attrezzati, come la Visma o la Alpecin?
Chiaro che quelle sarebbero le migliori opzioni per me, ma anche gli altri devo team sono ben attrezzati per fare tutte e due le discipline. Ho dei contatt, non ho ancora preso la scelta definitiva.
TERRE DI LUNI – Il mese di settembre ha messo in fila una serie di manifestazioni di primo piano per gli juniores. Terminato da poco il Giro della Lunigiana è tempo di pensare a europei e mondiali, con quest’ultimi sulla bocca di tutti. Il percorso di Zurigo sarà impegnativo, movimentato e porterà la gara a essere un gioco a eliminazione.
Viste le caratteristiche del tracciato i due favoriti sembrano essere Paul Seixas e Lorenzo Finn, i primi due classificati al Giro della Lunigiana. Il distacco somministrato agli altri 95 ragazzi arrivati in fondo alla Corsa dei Futuri Campioni non lascia molti margini alla fantasia. Anche se, a onor del vero, un protagonista è mancato in terra toscana: Albert Withen Philipsen, attuale campione del mondo di categoria.
Finn e Seixas hanno scavato un solco tra loro e i rivali al Lunigiana (foto Duz Image / Michele Bertoloni)Albert Philipsen difenderà il titolo a Zurigo, riuscirà a replicare il successo del 2023? (foto Zoe Soullard / Direct Velo)Finn e Seixas hanno scavato un solco tra loro e i rivali al Lunigiana (foto Duz Image / Michele Bertoloni)Albert Philipsen difenderà il titolo a Zurigo, riuscirà a replicare il successo del 2023? (foto Zoe Soullard / Direct Velo)
Parola al cittì
L’arduo compito di portare i ragazzi pronti all’evento iridato tocca come sempre al cittì Dino Salvoldi (in apertura con Ruggero Cazzaniga e Simone Mannelli). I preparativi sono iniziati ancor prima del Giro della Lunigiana, con un ritiro in altura a Livigno. In quelle settimane sono state messe ore nelle gambe e i risultati sono stati differenti, tra chi ha risposto bene e chi meno.
«E’ stato un po’ tutto nelle aspettative – racconta il cittì – in questa categoria abbiamo fatto un bel lavoro. Per molti ragazzi era la prima altura della vita, quindi le risposte sono state diverse. Al Lunigiana qualcuno ha pagato, anche lo stesso Finn. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, a Livigno siamo andati per preparare il mondiale e il Lunigiana era un altro step in vista dell’appuntamento iridato.
«Relativamente al percorso del mondiale non si scappa – dice – i nomi saranno quelli. Forse è un po’ troppo impegnativo per Kristoff. Però gli altri che ho in mente saranno tutti al top della condizione: Seixas, Philipsen e anche Sumpik. Chiaramente nella mia lista di favoriti ci sarebbe stato spazio per Omrzel ma la caduta della prima tappa lo ha messo fuorigioco. I ragazzi di cui abbiamo parlato si staccano dalla media del gruppo, ce ne siamo resi conti durante il Lunigiana. Delle tappe impegnative, ma non proibitive sono bastate per creare un divario netto tra i primi due (Seixas e Finn, ndr) e tutti gli altri. In salita non ci sono stati giochi, è stata una gara a due».
La stagione di Sambinello è stata solida e costanteBessega nel 2024 ha ottenuto diverse vittorie e tanti piazzamentiLa stagione di Sambinello è stata solida e costanteBessega nel 2024 ha ottenuto diverse vittorie e tanti piazzamenti
La squadra
Al Giro della Lunigiana la differenza tra Lorenzo Finn e Paul Seixas è stata nella squadra e nel supporto offerto. La Francia si è presentata con i migliori atleti e questo ha inciso sull’andamento della corsa. A Zurigo la squadra potrà fare la stessa differenza, considerando che l’Italia arriverà con il meglio?
«Credo di no – afferma Salvoldi – perché il tratto in linea che immette nel circuito è poco significativo. Appena entrati nella parte dura, le individualità emergeranno fin da subito e ben poco si potrà fare per annullarle. Se il trend della stagione viene rispecchiato, è difficile dire che Philipsen sbaglierà l’appuntamento mondiale. Finn e Seixas potrebbero essere due valide alternative a quello che sembra un risultato scontato.
«In un contesto più ampio riferito alla categoria – continua – le differenze tra il vertice e il resto dei ragazzi ci sono. Cercheremo di portare la squadra migliore sapendo che correremo su un percorso da “uno contro uno” e consapevoli che anche noi avremo il nostro alfiere. Per quanto riguarda gli altri, ho visto bene Sambinello e Bessega durante tutto l’anno. Mi piacerebbe premiare qualche primo anno. Poi c’è chi ha fatto bene in questi giorni come Remelli e Capello. Mi vengono in mente anche Proietti Gagliardoni, Galbusera e Zanutta. I numeri sono quelli ed è sempre doloroso dire di no a qualcuno. Nessuno ha mai da ridire sui primi due o tre nomi, ma sugli altri la differenza tra l’ultimo dei convocati e il primo degli esclusi è inesistente. Il cittì si affida al proprio intuito e al pensiero di come andrà la corsa».
La vittoria a Bolano di Cristian Remelli, la terza in stagione, gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)La vittoria a Bolano di Cristian Remelli gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Capitolo distanza
I chilometri della prova iridata di Zurigo saranno 127,2, una distanza che non tutti i ragazzi hanno affrontato con costanza in corsa. Le energie saranno importanti da gestire.
«Quei 30-40 chilometri in più – analizza Salvoldi – potranno fare tanta differenza. In una corsa come il Lunigiana che è un’eccellenza del ciclismo mondiale, si potrebbe pensare di aggiungere una tappa di oltre 100 chilometri, su una distanza da campionato del mondo (il punto sulla distanza delle gare è che l’UCI impone, per le corse a tappe internazionali della categoria juniores, un massimo di 400 chilometri in totale, ndr). Oltre alle Classiche è difficile replicare una distanza del genere in gara, lo si fa quasi esclusivamente in allenamento. Su questo i ragazzi hanno lavorato bene».
TERRE DI LUNI – La nostra presenza alla 48ª edizione del Giro della Lunigiana ci ha permesso di vedere ancor più da vicino e per più giorni il mondo degli juniores (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Da tanto tempo questo spiraglio di ciclismo ha acquisito un’importanza sempre maggiore, diventando, a tutti gli effetti, la categoria di riferimento. Da qui i team, WorldTour e non, prendono i migliori ragazzi con l’intento di farli crescere attraverso i loro vivai. Succede però che il meccanismo porta alla ricerca costante dell’oro e, come succede con il nobile metallo, il rischio è quello di scavare sempre più a fondo.
Paul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2RPaul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2R
Tutto subito
Sono nati così dei team satellite o development anche tra gli juniores. La Bahrain Victorious ha il Cannibal Team, la Bora ha la Grenke Auto Eder e la Decathlon ha il team U19 dal quale ha tirato fuori gli ultimi due vincitori del Lunigiana: Bisiaux e Seixas.
Alla presentazione delle squadre a Lerici, in occasione dell’inizio del Giro della Lunigiana, lo aveva sottolineato Dmitri Konychev. L’ex campione russo ha ricordato quanti ragazzi a 14 anni sembrano dover spaccare il mondo per poi fermarsi alla prima difficoltà. Con lui sul palco c’era anche Stefano Garzelli, che in Spagna ha gestito un team juniores, per poi arrivare a chiuderlo a fine 2023.
«Per me si tratta di un movimento molto preoccupante – spiega Garzelli – perché i devo team andranno a prendere gli juniores migliori. E ora si tratta di avere 8 ragazzi, magari in futuro arriveranno a 10 e 12. L’ambizione di un ragazzino è di andare a correre lì perché pensa di essere già arrivato, pensa di essere già un campione, forse. Ma non tutti questi passeranno professionisti, magari ora sì perché i team sono pochi. Ma in futuro aumenteranno e le possibilità diventeranno sempre meno. Il rischio è che poi i ragazzi vedano come un fallimento il mancato passaggio trasformandolo in un “non sono bravo”.Saranno pronti a metabolizzare questo fatto? Credo di no, semplicemente smetteranno di correre».
Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Ricerca anticipata
Si fa presto a capire che la corsa è agli allievi, categoria che precede gli juniores. Ragazzini trattati come campioni o addirittura fenomeni, con bici e divise uguali a quelle del team professionistico. Una stretta cerchia di ragazzi che vivono come i grandi, ma che tali non sono. Vanno forte, lo si vede sulle strade, all’ultimo Giro della Lunigiana Lorenzo Finn e Paul Seixas hanno disintegrato ogni tempo di scalata degli anni precedenti. Ma sono pronti a vivere e subire delle pressioni che rischiano di farli arrivare stanchi del ciclismo a 18 anni?
«Ho parlato con un team manager di una squadra juniores – continua Garzelli – e già ragionava del 2026. Mi diceva che deve cercare tra gli allievi altrimenti rischia di non fare più la squadra. Se il meccanismo è questo, tra un po’ andremo a prendere gli esordienti. Il rischio è che tra 7-8 anni non avremo più una base, ma se non hai niente sotto come fai a costruire sopra?».
La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Accecare i ragazzi
Il problema è che un meccanismo simile porta i ragazzi a pensare che la realtà delle cose sia diversa. Uno junior vuole a tutti i costi entrare in un devo team altrimenti pensa di aver fallito.
«In Spagna – prosegue Garzelli – in gruppo i ragazzi dicono che ormai tra gli juniores o passi in una devo o sei finito. E’ la cosa più sbagliata del mondo. E il rischio è di distruggere tutte le squadre juniores nazionali, perché alcuni ragazzi preferiscono smettere piuttosto che continuare nelle squadre “normali”. Ma non tutti hanno gli stessi tempi di crescita e in una squadra più piccola ti lasciano il tempo di maturare. I talenti, Lorenzo Finn ad esempio, la strada la trovano comunque. Noi dobbiamo lavorare sui ragazzi che hanno numeri minori con un’attività dedicata per permettergli di crescere. Chi corre nella squadra satellite di una WorldTour ha tutto: preparatore, nutrizionista, mezzi migliori. Ma quali sono i suoi margini di crescita? Molto pochi o probabilmente nessuno. Se da junior mi alleno già 26 ore, da professionista quante ne devo fare, 40?».
Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)
Saper perdere
E’ voce di queste settimane che Jarno Widar, belga del Lotto Dstny Development Team, sia in rottura con la squadra dopo la delusione del Tour de l’Avenir. Il belga, al primo anno da under 23, ha vinto in ordine: Alpes Isere Tour, Giro Next Gen e Giro della Valle d’Aosta. Un bottino che difficilmente abbiamo visto raccogliere a un ragazzo di 18 anni al primo anno della categoria. Eppure lo scricchiolio del Tour de l’Avenir sembra aver rotto il quadro e la sua cornice. E’ vero che quando si vede la torta sul tavolo la voglia è di mangiarla tutta, ma bisogna anche sapersi accontentare e mangiarne qualche fetta.
«Se non hai margini di crescita – prosegue Garzelli – quando passi non ottieni più gli stessi risultati. Perché ora stai dando tutto e allora vai avanti, ma poi non avrai più niente da dare e il livello sarà talmente alto che per forza troverai gente che ha i tuoi stessi valori o maggiori. Per questo bisogna imparare a perdere, meglio, a gestire la non vittoria. Widar è un esempio, non ha saputo gestire la sconfitta dell’Avenir e al posto che rimboccarsi le maniche e ripartire, ha voltato le spalle alla squadra».
Markel Beloki, classe 2005 è passato direttamente dagli juniores alla EF Easy Post, senza mai essere competitivoAnche Evenepoel passò direttamente nel WT ma il suo talento era sotto gli occhi di tutti, eppure fu una scelta criticataMarkel Beloki, classe 2005 è passato direttamente dagli juniores alla EF Easy Post, senza mai essere competitivoAnche Evenepoel passò direttamente nel WT ma il suo talento era sotto gli occhi di tutti, eppure fu una scelta criticata
Mentalità vincente
I ragazzi che vediamo darsi battaglia sulle strade delle corse internazionali e non, stanno imparando a gestire la gara, a vincere, creandosi una mentalità improntata a questo. Ma cosa succede se una volta passati smettono di farlo?
«Gli atleti corrono e lo fanno con in testa la vittoria – conclude – ed è giusto che sia così. Però servono degli step. Uno junior che passa professionista e fa gruppetto per tutto il primo anno e magari anche al secondo, rischia di perdere la mentalità vincente. Markel Beloki, figlio di Joseba, è passato dagli juniores alla EF Easy Post e per tutto il 2024 non ha mai visto la testa del gruppo. La capacità di gestire determinate situazioni in corsa la perdi dopo un po’. Invece se da junior vinco, poi passo under 23 e mi metto ancora in gioco e così via, mentalmente mi mantengo sul pezzo.
«La mia preoccupazione deriva dal fatto che l’Italia non ha squadre WorldTour. Questo vuol dire che il ragazzo forte va all’estero e che la squadra straniera tuteli i suoi talenti di casa. Rischiamo di perderli. Bisogna ricordare ai ragazzi che il loro bene passa anche da chi li tutela, non solo da chi fa promesse».