Due vittorie in Asia, il punto di partenza di Raccani

12.06.2025
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Il jet lag si fa ancora sentire nella mente e nel fisico di Simone Raccani, d’altronde due giorni di viaggio dopo quasi un mese in Estremo Oriente, fra Giappone e Sud Corea sono contraccolpi forti. Questa è la sua nuova dimensione, se si va a guardare infatti la sua stagione, su 34 giorni di gara ne ha fatti ben 24 nel continente asiatico, come punta del JCL Team Ukyo e il bilancio alla fine non è davvero male, con due vittorie di tappa e due secondi posti in classifica generale. Due corse uguali per risultati ma diverse fra loro, il Giro del Giappone e il Tour de Gyeongnam.

Con i suoi risultati, il veneto di Thiene ha ritrovato verve, ma anche la prima parte di stagione non era poi stata malaccio: «Salvo l’AlUla Tour dove ancora non avevo una buona condizione e mi sono messo a disposizione dei compagni, poi pian piano le cose sono andate meglio. A Taiwan ho fatto una Top 10 in classifica, poi 2 volte nei 10 in Abruzzo, il Tour of the Alps che non è andato benissimo ma la condizione l’ho tenuta a dispetto di qualche problema di salute, e poi la partenza per l’Asia».

La vittoria in terra coreana, a Geoje, battendo il compagno di fuga Van Engelen
La vittoria in terra coreana, a Geoje, battendo il compagno di fuga Van Engelen
Due corse con identico risultato ma molto diverse per come esso è arrivato…

E’ vero, perché in Giappone eravamo in 3 liberi di giocarci la corsa: io, Fancellu e Zeray. In Corea le cose sono andate un po’ diversamente. Nella prima tappa che era di pianura c’è stata la classica fuga dell’australiano Hopkins che ha guadagnato 1’13”. Nella seconda sapevo che c’era l’unica salita davvero dura e abbastanza vicina al traguardo. Abbiamo fatto subito corsa dura, io sono andato via insieme a un olandese, ho guadagnato quasi un minuto vincendo la frazione ma mancavano ancora un po’ di secondi. Nelle altre prove ho provato, ma le salite erano troppo lontane e non erano abbastanza dure. Così mi sono ritrovato secondo ancora una volta.

La squadra però correva per te, mentre in Giappone avevate tutti mano libera…

Sì, non c’erano ordini di scuderia, Fancellu ha vinto perché aveva quel qualcosa in più e a me ha fatto molto piacere che ci sia riuscito. In Corea invece poi la squadra si è messa al mio servizio, mi hanno aiutato e hanno cercato di ricucire quel breve distacco senza successo. Ma questo è dipeso anche dalle differenze di corsa, di caratteristiche.

Il podio finale in Corea, con Hopkins vincitore su Raccani (a 19″) e Van Engelen (a 23″)
Il podio finale in Corea, con Hopkins vincitore su Raccani (a 19″) e Van Engelen (a 23″)
Quali erano?

In Giappone le salite c’erano, c’era spazio per poter fare la differenza e infatti per questo la squadra aveva lasciato tre corridori liberi di lottare per la vittoria, in Corea non c’erano grandi ascese e anche quei brevi strappi dove fare la differenza erano lontani dal traguardo. Erano percorsi più da passisti, quasi in linea, con un paio di giri grandi e giri più brevi nel finale per giocarsi la vittoria. In comune devo dire che ho trovato la qualità delle strade, davvero belle e ben tenute. Ma in generale devo dire che le organizzazioni erano davvero di alta qualità, moto precise.

Parliamo del team: in Giappone c’era un forte apporto italiano, in Corea eravate solo tu e D’Amato. E’ cambiato qualcosa in termini di equilibri?

Direi proprio di no, c’è un ottimo feeling tra tutte le componenti della squadra, con i giapponesi abbiamo fatto gruppo, anche lo staff ha favorito ciò. Il team è stato prezioso lungo tutta la corsa coreana, per questo al di là della soddisfazione per la vittoria di tappa e il piazzamento mi sarebbe piaciuto ricompensare i loro sforzi con la maglia di vincitore.

Il veneto aveva già messo la firma al Giro del Giappone, vincendo la quarta tappa a Shinshu Iida
Il veneto aveva già messo la firma al Giro del Giappone, vincendo la quarta tappa a Shinshu Iida
Torna un attimo indietro nel tempo, al passaggio di  stagione: la tua scelta di andare nel JCL Team Ukyo, per te che avevi sempre corso in Italia, è stata indovinata?

Decisamente sì, mi trovo molto bene, i giapponesi sono molto di parola ma anche solari, si è formato un bel gruppo e in certe occasioni è davvero l’arma in più. Devo dire che sto vivendo esperienze importanti perché quando vai a correre in Asia è sempre qualcosa d’importante, di diverso, è sempre un’esperienza  formativa anche a livello umano.

Tu con il team hai firmato solo per quest’anno?

Sì, ragioneremo più avanti su che cosa fare, io per ora voglio pensare solo a correre, a fare sempre meglio, quel che posso dire è che la scelta di accettare questa sfida è stata quella giusta. Questo team non ha nulla da invidiare a una squadra professional, ha tutto, con gente d’esperienza alla sua guida. Quella scelta fatta alla fine della passata stagione è stata quella giusta.

Raccani è al primo anno nel team giapponese, dove ha trovato grande empatia anche dai locali
Raccani è al primo anno nel team giapponese, dove ha trovato grande empatia anche dai locali
Dopo un mese dall’altra parte del mondo, ora che ti aspetta?

Queste settimane preparerò il campionato italiano, poi un breve periodo di vacanza prima di preparare in altura la seconda parte di stagione a cominciare dal Giro della Repubblica Ceka. Sulle gare asiatiche devo però aggiungere una cosa: molti dicono che team come il nostro vanno lì per prendere punti facili, ma non è così. Quelle gare sono molto diverse da quelle europee, non ci sono i team che gestiscono, come quelli del WorldTour, infatti al Giro de Giappone siamo stati noi a fare la corsa, in Corea c’era invece anarchia in tal senso. Il livello è più basso rispetto alle corse europee, ma serve grande scaltrezza, sono corse che bisogna saper correre innanzitutto con la testa.

Doppietta in Giappone, Volpi rilancia Fancellu e Raccani

05.06.2025
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Primo, Alessandro Fancellu. Secondo, Simone Raccani. Il JCL Team UKYO ha sbancato il Tour of Japan e per tutto lo staff è stato il compimento di un lavoro. Certo, non parliamo di una prova WorldTour, ma il general manager Alberto Volpi chiude con una semplice constatazione ogni obiezione riguardante il livello della gara: «Il nostro è un team giapponese e per noi, a cominciare dalla proprietà, è come il Giro d’Italia per un team italiano o il Tour per un’equipe francese. Ci si gioca tutto, a cominciare dal prestigio».

Fancellu festeggiato sul podio. Vittoria con 21″ su Raccani e 1’09” sull’australiano Dyball (foto team)
Fancellu festeggiato sul podio. Vittoria con 21″ su Raccani e 1’09” sull’australiano Dyball (foto team)

Dominio per tutta la settimana

Appena tornato dal Sol Levante, ancora con i postumi del jet lag, Volpi fa il punto di un’edizione dominata dalla squadra e che rappresenta un po’ uno spartiacque verso il futuro: «Eravamo chiamati a fare il meglio e l’abbiamo onorata come meglio non potevamo. Tre vittorie di tappa con i due italiani più il nostro eritreo Zeray, doppietta in classifica. C’era differenza alla base fra noi e gli altri? Forse, ma quella differenza devi anche metterla per iscritto».

Come vi eravate organizzati per la corsa nipponica? «Noi avevamo fatto una squadra basandoci sull’esperienza del 2024 perché il percorso non era cambiato, stesse tappe. Nella seconda abbiamo quindi attaccato tutto il giorno puntando su Fancellu, lo stesso il quarto giorno con Raccani. Poi c’era la tappa del Monte Fuji e lì abbiamo seguito due direttive. Da una parte proteggere i due primi della classifica, dall’altra lasciare strada libera a Zeray che sapevamo poteva fare la differenza. Alla fine abbiamo fatto bottino pieno».

A Inabe assolo di Fancellu che tiene a 4″ il danese Bregnhoy e ipoteca la corsa (foto team)
A Inabe assolo di Fancellu che tiene a 4″ il danese Bregnhoy e ipoteca la corsa (foto team)

Nessuna scelta dai box…

E’ chiaro però che una situazione del genere, con due uomini della stessa squadra davanti a tutti, imponeva delle scelte per la frazione decisiva. C’era una strategia su chi dovesse essere il vincitore? «Una strategia sì, ma non sul vincitore. Mi spiego meglio: la tappa finale del Monte Fuji aveva molte incognite. Al mattino ci siamo interrogati su che cosa era meglio fare e abbiamo detto chiaramente che la strada avrebbe deciso il vincitore fra i due. Per noi era una situazione ideale perché nel malaugurato caso uno dei due avesse ceduto, l’altro era pronto a subentrare, mentre Zeray poteva puntare alla tappa. Non abbiamo assolutamente dato disposizioni sulla classifica, abbiamo detto invece che doveva vincere semplicemente chi aveva più gambe. Alla fine se la sono giocata, Fancellu ha chiuso 2° a 6”, Raccani 4° a 36”».

Per Alessandro Fancellu questa vittoria era un colpo di spugna su tutto quel che gli è successo da quando è passato pro’? «Diciamo che, a prescindere dalla vittoria finale, lo vedo più sereno di quando è arrivato da noi. Evidentemente aveva bisogno di un ambiente accogliente, fiducioso nei suoi confronti. D’altro canto nel nostro team ci sono tutte le necessarie figure di riferimento e Alessandro ha trovato il giusto supporto, anche a livello psicologico».

Vittoria per Simone Raccani nella quarta tappa lasciando a 2″ l’inglese Stewart (foto team)
Vittoria per Simone Raccani nella quarta tappa lasciando a 2″ l’inglese Stewart (foto team)

L’importanza dell’ambiente

Volpi ha parole dolci sul comasco anche mettendo a frutto la sua enorme esperienza da corridore: «Che avesse i mezzi lo sappiamo tutti, ma non è che bastino quelli per emergere da pro’, devi anche ambientarti, trovare le basi. In questi 3-4 anni pur essendo stato in team importanti non riusciva a esprimersi. Qui ha un ambiente più attento alle sue esigenze, ma così è stato per Malucelli, Carboni, Pesenti, tutti corridori che ora sono nel WorldTour e Alessandro sa che può seguire la stessa strada, se fa bene».

Per Raccani il discorso è un po’ diverso: «Per certi versi più semplice. Quando ha fatto lo stage alla Quick Step si è fratturato l’omero e questo lo ha bloccato. E’ passato alla Polti ma non aveva ancora recuperato e poi passando alla Zalf che pure era una squadra con una tradizione enorme si è sentito retrocesso. Aveva bisogno di fiducia, di tirare fuori quel che ha dentro, anche con un calendario appropriato. Io vedo che settimana dopo settimana sta crescendo, per lui vale lo stesso discorso futuribile fatto per Fancellu».

L’eritreo Nahom Zeray ha completato la festa conquistando la tappa del Monte Fuji (foto team)
L’eritreo Nahom Zeray ha completato la festa conquistando la tappa del Monte Fuji (foto team)

Una commistione che funziona

Considerando i risultati, è possibile un allargamento della rosa italiana? «Domanda delicata. Noi siamo un team giapponese nato per far crescere i ragazzi locali. Appena sono arrivato, ho chiarito subito che dovevamo procedere su due direzioni: accogliere e far crescere i migliori talenti giapponesi ,ma affiancarli a gente europea esperta e in grado di portare risultati, perché solo questa commistione poteva garantire un futuro al team. Quindi abbiamo bisogno di figure che garantiscano un rendimento nelle gare europee, oltre che in quelle asiatiche che hanno un livello giocoforza inferiore».

E allora come procede la ricerca di giovani giapponesi, il livello generale sta crescendo? «Il problema in quel caso non è trovare ragazzi talentuosi perché in una base di praticanti molto, ma molto ampia i talenti ci sono. Non tutti però sono pronti a fare una scommessa su loro stessi, trasferirsi per lunghi tempi in Europa, visto che prevediamo almeno due lunghi periodi di gare nel corso della stagione, stazionando in Brianza a primavera e poi ad agosto-settembre. Per noi trovare ragazzi che accettano è la sfida più importante…».

Malucelli e Carboni, finalmente in Giappone si alzano le braccia

23.05.2024
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Prima Malucelli, poi Carboni. E non è finita. Assume i contorni del trionfo la trasferta del JCL Team Ukyo per il Tour of Japan. D’altronde è la gara più sentita dai responsabili del team e i nostri la stanno onorando al meglio. In attesa della sua conclusione prevista per il 26 (e soprattutto della scalata al Monte Fuji, famosa per la gara olimpica di Tokyo 2020, prevista per venerdì) i due ragazzi mettono intanto da parte una vittoria parziale che ha grandi significati per loro, a prescindere da come la corsa si concluderà.

Malucelli ad esempio quell’urlo liberatorio lo attendeva da tanto: «Erano due anni che aspettavo, che ci arrivavo sempre vicino – racconta dalla sua camera d’albergo – a marzo e aprile avevo continuato a collezionare piazzamenti come lo scorso anno, anche in gare importanti come alla Coppi e Bartali o al Giro d’Abruzzo e francamente ero un po’ stufo. Spero che questa vittoria sia di buon auspicio per il futuro, avendo chiuso una parentesi che era diventata troppo lunga».

La volata vincente di Malucelli a Seika, battendo il britannico Walker, un successo atteso 2 anni
La volata vincente di Malucelli a Seika, battendo il britannico Walker, un successo atteso 2 anni

Carboni in maglia di leader

Per Carboni la vittoria ha significato anche la conquista della maglia di leader della classifica: «Non so come finirà, ma un pensierino ce lo faccio, vedremo come andranno le tappe più dure che devono ancora arrivare. Quella vinta è stata una tappa mossa, resa impegnativa dal vento e dai continui scatti che alla lunga rischiavano di logorarci nel controbattere, finché ho preso l’iniziativa con l’ucraino Budyak e un paio di australiani vincendo in volata. Anch’io venivo da buone gare in Italia, una serie di piazzamenti, ma serviva un cambio di passo».

E’ chiaro che parliamo di una gara particolare, il Giro del Giappone è un evento centrale, ma dall’altra parte del mondo: «E’ un ciclismo che non siamo abituati a vedere – spiega Carboni – qui ci sono pochi europei, i giapponesi che corrono in casa (c’è anche la nazionale su pista per preparare i Giochi Olimpici) poi gli australiani che fanno sempre la differenza perché a questa gara puntano forte per la classifica. In gruppo il riferimento sono un po’ loro».

La netta vittoria di Carboni, debellando la resistenza dell’ucraino Budyak
La netta vittoria di Carboni, debellando la resistenza dell’ucraino Budyak

La mancanza di un bar…

«Sono gare particolari – gli fa eco Malucelli – un po’ come quando gareggiamo a Taiwan o in Malesia. Il circuito asiatico è particolare. Tra l’altro le gare si concludono sempre prima di pranzo il che significa svegliarsi sempre alle 6 e partire quando va bene alle 9,30. E’ tutto anticipato, la cena alle 18 e a letto presto, una routine abbastanza scandita. Tra l’altro gli hotel sono posizionati sempre un po’ lontano dai centri abitati così non c’è possibilità neanche di fare due passi per svagare la mente. Non possiamo neanche andarci a prendere un caffè perché i bar non ci sono, hanno solo macchinette automatiche sparse per il territorio…».

Le vittorie ottenute dai due ragazzi non sono casuali, anzi. Malucelli entra nello specifico parlando del suo team, da quest’anno con una forte matrice tricolore: «Il team esiste da una decina d’anni, ma in questi mesi di lavoro in comune, i nostri compagni giapponesi – che, inciso, sono il meglio del ciclismo locale – hanno corso con noi in Italia e iniziano a far proprio il nostro modo di correre. Anzi, lo cominciano ad applicare anche in corse come questa e la differenza si vede».

Affollamento di giornalisti locali intorno a Malucelli. Il suo team è molto seguito in Giappone
Affollamento di giornalisti locali intorno a Malucelli. Il suo team è molto seguito in Giappone

A casa si stacca la spina…

«E’ vero – ribadisce Carboni – normalmente in queste corse giapponesi e più generalmente asiatiche (se non infarcite di continental europee) si corre un po’ senza regole e avendo solo 6 corridori per squadra, si spende tanto se vuoi controllare la corsa. Con i compagni iniziamo ad applicare strategie che alla lunga funzionano, sia come risultati che come gestione stessa delle corse».

Finito il giro giapponese sarà tempo di tornare a casa e staccare per un po’: «Non abbiamo corse in programma per giugno e luglio, quindi conto di staccare anche un paio di settimane – afferma Malucelli – e non è un male considerando che da inizio stagione ho già superato i 30 giorni di gara. Siamo in 11 in squadra, questo comporta che si corre e viaggia quasi sempre. Tuttavia i nostri compagni giapponesi non hanno avuto il visto per l’Europa per questi mesi, torneranno ad agosto e noi in tre non possiamo correre.

Il JCL team Ukyo impiegato nella gara di casa, con 3 giapponesi ed Earle (AUS)
Il JCL team Ukyo impiegato nella gara di casa, con 3 giapponesi ed Earle (AUS)

Poi si tornerà in Asia

«Ci sarebbe il campionato italiano, è vero, ma che possiamo fare contro gente che viene dal Giro o che sta preparando il Tour? Per noi è meglio recuperare perché la seconda parte di stagione sarà lunga e impegnativa, torneremo anche in Asia per le corse in Malesia e sempre in Giappone».

Intanto però c’è da portare a termine il Giro del Giappone, da concludere in bellezza tutta la trasferta che ha regalato al team belle soddisfazioni e Carboni vuole sfruttare il buon momento: «Come detto, in Italia avevo già visto che ero tornato sui miei livelli, ora bisognerà lottare contro gli australiani che sono i più accaniti per la conquista del trofeo finale. La squadra funziona e la gamba è quella giusta. Un po’ mi dispiace al ritorno non avere altre occasioni per sfruttare la condizione, ma quel che dice Matteo è vero e poi di corse adatte ce ne saranno altre anche nei mesi successivi. L’importante sarà farsi trovare pronti».