Il jet lag si fa ancora sentire nella mente e nel fisico di Simone Raccani, d’altronde due giorni di viaggio dopo quasi un mese in Estremo Oriente, fra Giappone e Sud Corea sono contraccolpi forti. Questa è la sua nuova dimensione, se si va a guardare infatti la sua stagione, su 34 giorni di gara ne ha fatti ben 24 nel continente asiatico, come punta del JCL Team Ukyo e il bilancio alla fine non è davvero male, con due vittorie di tappa e due secondi posti in classifica generale. Due corse uguali per risultati ma diverse fra loro, il Giro del Giappone e il Tour de Gyeongnam.
Con i suoi risultati, il veneto di Thiene ha ritrovato verve, ma anche la prima parte di stagione non era poi stata malaccio: «Salvo l’AlUla Tour dove ancora non avevo una buona condizione e mi sono messo a disposizione dei compagni, poi pian piano le cose sono andate meglio. A Taiwan ho fatto una Top 10 in classifica, poi 2 volte nei 10 in Abruzzo, il Tour of the Alps che non è andato benissimo ma la condizione l’ho tenuta a dispetto di qualche problema di salute, e poi la partenza per l’Asia».
Due corse con identico risultato ma molto diverse per come esso è arrivato…
E’ vero, perché in Giappone eravamo in 3 liberi di giocarci la corsa: io, Fancellu e Zeray. In Corea le cose sono andate un po’ diversamente. Nella prima tappa che era di pianura c’è stata la classica fuga dell’australiano Hopkins che ha guadagnato 1’13”. Nella seconda sapevo che c’era l’unica salita davvero dura e abbastanza vicina al traguardo. Abbiamo fatto subito corsa dura, io sono andato via insieme a un olandese, ho guadagnato quasi un minuto vincendo la frazione ma mancavano ancora un po’ di secondi. Nelle altre prove ho provato, ma le salite erano troppo lontane e non erano abbastanza dure. Così mi sono ritrovato secondo ancora una volta.
La squadra però correva per te, mentre in Giappone avevate tutti mano libera…
Sì, non c’erano ordini di scuderia, Fancellu ha vinto perché aveva quel qualcosa in più e a me ha fatto molto piacere che ci sia riuscito. In Corea invece poi la squadra si è messa al mio servizio, mi hanno aiutato e hanno cercato di ricucire quel breve distacco senza successo. Ma questo è dipeso anche dalle differenze di corsa, di caratteristiche.
Quali erano?
In Giappone le salite c’erano, c’era spazio per poter fare la differenza e infatti per questo la squadra aveva lasciato tre corridori liberi di lottare per la vittoria, in Corea non c’erano grandi ascese e anche quei brevi strappi dove fare la differenza erano lontani dal traguardo. Erano percorsi più da passisti, quasi in linea, con un paio di giri grandi e giri più brevi nel finale per giocarsi la vittoria. In comune devo dire che ho trovato la qualità delle strade, davvero belle e ben tenute. Ma in generale devo dire che le organizzazioni erano davvero di alta qualità, moto precise.
Parliamo del team: in Giappone c’era un forte apporto italiano, in Corea eravate solo tu e D’Amato. E’ cambiato qualcosa in termini di equilibri?
Direi proprio di no, c’è un ottimo feeling tra tutte le componenti della squadra, con i giapponesi abbiamo fatto gruppo, anche lo staff ha favorito ciò. Il team è stato prezioso lungo tutta la corsa coreana, per questo al di là della soddisfazione per la vittoria di tappa e il piazzamento mi sarebbe piaciuto ricompensare i loro sforzi con la maglia di vincitore.
Torna un attimo indietro nel tempo, al passaggio di stagione: la tua scelta di andare nel JCL Team Ukyo, per te che avevi sempre corso in Italia, è stata indovinata?
Decisamente sì, mi trovo molto bene, i giapponesi sono molto di parola ma anche solari, si è formato un bel gruppo e in certe occasioni è davvero l’arma in più. Devo dire che sto vivendo esperienze importanti perché quando vai a correre in Asia è sempre qualcosa d’importante, di diverso, è sempre un’esperienza formativa anche a livello umano.
Tu con il team hai firmato solo per quest’anno?
Sì, ragioneremo più avanti su che cosa fare, io per ora voglio pensare solo a correre, a fare sempre meglio, quel che posso dire è che la scelta di accettare questa sfida è stata quella giusta. Questo team non ha nulla da invidiare a una squadra professional, ha tutto, con gente d’esperienza alla sua guida. Quella scelta fatta alla fine della passata stagione è stata quella giusta.
Dopo un mese dall’altra parte del mondo, ora che ti aspetta?
Queste settimane preparerò il campionato italiano, poi un breve periodo di vacanza prima di preparare in altura la seconda parte di stagione a cominciare dal Giro della Repubblica Ceka. Sulle gare asiatiche devo però aggiungere una cosa: molti dicono che team come il nostro vanno lì per prendere punti facili, ma non è così. Quelle gare sono molto diverse da quelle europee, non ci sono i team che gestiscono, come quelli del WorldTour, infatti al Giro de Giappone siamo stati noi a fare la corsa, in Corea c’era invece anarchia in tal senso. Il livello è più basso rispetto alle corse europee, ma serve grande scaltrezza, sono corse che bisogna saper correre innanzitutto con la testa.