Carlotta Fondriest, una bella scommessa da raccontare

31.01.2022
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Nel suo DNA ci sono sicuramente cromosomi e geni del ciclismo, ma lei la bici l’ha scoperta solo nel 2019. Giusto un paio di giri poi nulla, fino ad inizio dell’anno successivo quando, complice il lockdown causato dal Covid, è esplosa definitivamente la passione. Ed ora Carlotta Fondriest – figlia di Maurizio – cerca di farne un lavoro grazie all’ingaggio nell’Aromitalia-Basso Bikes-Vaiano

«Sono molto orgogliosa del salto che ho fatto nell’ultimo periodo – racconta la trentina che ha compiuto 25 anni lo scorso 2 gennaio, laureata in fisioterapia e che vive a Lucca da un anno – ma da qui a dire che sono una ciclista professionista ce ne passa ancora tanto».

La montagna è la passione di famiglia, anche se adesso Carlotta vive in Toscana (foto Facebook)
La montagna è la passione di famiglia, anche se adesso Carlotta vive in Toscana (foto Facebook)

Chiamata meritata

Qualche giorno fa il suo diesse Matteo Ferrari ce l’aveva descritta come una ragazza che si era meritata questa chiamata. Una scommessa, come ce ne sono tante nel ciclismo femminile. Solo il tempo dirà se sarà vinta o meno, di certo la Fondriest vuole giocarsi al massimo le proprie possibilità a fronte di alcune giovani che pedalano da sempre e che forse danno per scontato troppe cose senza sfruttare a dovere le proprie occasioni.

Quando la contattiamo per conoscere meglio la sua storia, il trillo del suo telefono ci fa capire che è all’estero. La troviamo in Spagna a Calpe… aggregata al ritiro della Novo Nordisk, team professional di cui il suo fidanzato Giovanni Stefania è il preparatore atletico. Un bel modo per fare la gamba.

Carlotta ha iniziato a pedalare quasi per caso, seguendo papà Maurizio in uno dei suoi stage alle Canarie (foto Facebook)
Carlotta ha iniziato a pedalare per caso, seguendo papà Maurizio alle Canarie (foto Facebook)
Carlotta, questo rapporto con la bici come è sbocciato?

Tre anni fa. Avevo seguito alle Canarie mio padre che faceva da guida ad alcuni amatori. Mi ero fatta prestare una bici per 2/3 giorni per uscire con loro. Avevo staccato solo quelli meno allenati. Poi mai più usata fino ad inizio 2020. Quando hanno chiuso tutto, pedalavo quasi ogni giorno per massimo due ore sulle varie piattaforme. E quando è finito il lockdown ho fatto tante ore su strada, anche prima di andare al lavoro. Un weekend, mentre facevo un tirocinio a Negrar, andai a trovare una mia amica a Vicenza in bici. Centocinquanta chilometri con tremila metri di dislivello all’andata e stessa cosa al ritorno. Ma non erano allenamenti come quelli che ho iniziato a fare nell’ultimo anno.

Tuo padre ha influito in questa scelta?

No, benché io lo vedessi come il mio idolo. Non mi ha mai forzato. Forse perché conosce bene le difficoltà di questo sport e perché fino a 14 anni ho fatto pattinaggio artistico su ghiaccio. Quando ho smesso ho continuato a fare sport tra danza e atletica, solo per tenermi in forma. Poi credevo che il ciclismo fosse molto maschile. Mi sbagliavo. Ho scoperto da vicino che la ciclista è una bella immagine.

Il tuo cognome pensi che possa crearti qualche pressione?

Non credo, io la vivo con molta serenità questa situazione. La vedo come una sfida con me stessa, anche perché, forse vedendo mio padre, mi è sempre piaciuto fare la vita da atleta. E saper gestire questa pressione.

Incontri in allenamento sulle strade toscane: qui con Michele Bartoli
Incontri in allenamento sulle strade toscane: qui con Michele Bartoli
Il 2021 è stata la tua prima stagione da elite disputando qualche gara. Come è andata?

Con tanti alti e bassi, chiaramente. Ero tesserata con la Open Cycling Team, squadra in cui il mio moroso faceva il diesse e in cui c’era anche Vittoria Bussi. La mia prima gara in assoluto è stata quella di Montignoso, che quest’anno è diventata internazionale. Nella prima ora e mezza di corsa sono sempre stata davanti. Ma non sapevo gestirmi, non avevo mangiato e bevuto nulla. E per questo motivo, all’inizio della salita, mi sono toccata con un’altra ragazza e sono caduta. Poi ho corso altre gare open ed il campionato italiano in Puglia dove ho visto da vicino super atlete come Longo Borghini, Cavalli e tante altre. Infine ho fatto il Giro di Campania a novembre dove volevo farmi notare.

E’ stata in quell’occasione che è nato il contatto col Vaiano?

No, in realtà molto prima. Giovanni conosce bene Paolo Baldi (rispettivamente il suo fidanzato ed il diesse del Vaiano, ndr) e gli aveva fatto vedere qualche mio test, così per curiosità. Da lì mi hanno tenuto sott’occhio, mi hanno dato appoggio e supporto durante le gare open. Ed ora sono pronta a dare il meglio in questa avventura con loro. Voglio fare un ulteriore salto di qualità.

In ottima compagnia, con Camargo e Arroyave: due promesse della EF Education
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Immaginiamo che dovrai fare esperienza su tanti aspetti.

Certo. Le performance atletiche sono fondamentali ma anche cosiddette skill tecniche sono importantissime. Stare in gruppo, prendere le borracce dalla ammiraglia oppure essere più fluida in discesa. O ancora saper gestire la concentrazione durante la gara. L’anno scorso consumavo troppe energie per restare attenta e mi scordavo di alimentarmi.

E gli sforzi, che saranno maggiori rispetto all’anno scorso, ti spaventano?

No, l’impegno fisico non mi ha mai fatto paura. So che in questo sport devi essere convinto altrimenti non sali in bici per fare fatica. Per me correre è un sogno. Ora sono tranquilla perché ho qualche sicurezza in più per poterlo fare. Odio i talenti sprecati sia a scuola, sia nel lavoro che nello sport. Credo che la costanza e l’impegno paghino sempre. La maturazione in questi casi è essenziale.

Quali sono le tue caratteristiche?

Chi lo sa? Devo scoprirle anch’io (ride, ndr). Sono piccolina, quindi in teoria dovrei andare bene in salita. In pratica, allenandomi attorno a casa, mi piacciono gli strappi. Non so, mio padre dice che sono simile a lui, anche se siamo diversi fisicamente (sorride ancora, ndr).

Il suo compagno Giovanni Stefania è biomeccanico, parlammo con lui a proposito della schiena di Bernal: ricordate?
Il suo compagno Giovanni Stefania è biomeccanico, parlammo con lui a proposito della schiena di Bernal
Carlotta, chiudiamo la nostra chiacchierata. Dal 2022 cosa ti aspetti?

Continuerò a lavorare come fisioterapista e studiare Scienze Motorie (è iscritta all’università telematica San Raffaele di Roma, ndr). In bici invece l’obiettivo reale è finire bene le gare open. Un conto è andare forte in allenamento, un conto è ripetersi in gara. Devo crescere ed imparare molto, seguirò i consigli che mi verranno dati. E spero di guadagnarmi la partecipazione a qualche gara internazionale. Ringrazio il Vaiano per questa opportunità.

Bernal, il mal di schiena e il ballo degli spessori

05.05.2021
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Davvero una strana storia quella di Bernal, degli spessori sotto la scarpa destra e della sua schiena, che di colpo all’ultimo Tour ha iniziato a fargli male. Si è ritirato alla 17ª tappa, ha lasciato che il dolore passasse, poi lo hanno portato in Germania dallo stesso biomeccanico che si occupava di Froome. Sembrerebbe tutto risolto, ma della sua schiena si continua a parlare. Perciò siamo andati un po’ a ritroso nella sua storia, cominciando dalle parole di Paolo Alberati, mentre studiavamo insieme proprio il profilo Strava del colombiano per capire in che modo si stesse allenando per il Giro. Però intanto guardate la foto di apertura e il dettaglio a seguire: visto che spessore?

«Circa la sua schiena – le parole di Alberati – m’è venuto un ricordo. Anzi, è venuto a Giovanni Stefanìa che al passaggio da junior a professionista, si accorse di un problemino di postura e gli mise uno spessorino sotto la scarpa. Non vorrei che glielo avessero tolto e da lì sia partito il mal di schiena. Sarebbe strano, perché una volta che hai un atleta in equilibrio, non ha senso rimetterlo in ballo. Ma se fosse successo questo, la cura è stata rimetterci quello spessore…».

Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro
Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro

Il primo spessore

Insomma, la cosa si fa interessante. Perciò la prima cosa da fare è sentire Giovanni Stefanìa, toscanissimo di genitori pugliesi, biomeccanico molto bravo e collaboratore fra gli altri di Bartoli nel centro di Lunata. Ragione per cui, nel periodo in cui Michele seguì la preparazione di Bernal, anche a Giovanni capitò di averci a che fare.

«Gli feci una visita posturale – ricorda – e confermo che gli misi uno spessorino. Tra noi biomeccanici, chi ricorre a certe soluzioni è un… delinquente (sorride, ndr). In Toscana si dice che gli spessori si mettono sotto ai piedi del tavolo, quando dondola. Si mette solo se c’è una dismetria vera, che magari si verifica per infortuni. Egan aveva un problema di questo tipo e come prima cosa gli diedi da fare degli esercizi posturali, i cui effetti ovviamente vanno verificati nel tempo. Lo spessorino che misi sarà stato di 2-3 millimetri con cui andò a posto. Ricordo che quando vinse il Tour si continuò a sentirlo e non ha avuto alcun problema. Da quel che ho capito il dolore è venuto fuori dopo, nell’inverno successivo. Si sarà davvero allenato troppo? Il corpo fino a 25 anni cresce, carichi di lavoro troppo pesanti non gli fanno bene. Spero però che quello spessore non sia stato tolto. I corridori che stanno comodi non vanno toccati. Mi viene in mente quando provarono a raddrizzare Sagan e ottennero il solo risultato che non andava più avanti».

Un messaggio da Genova

A questo punto, invitiamo nel discorso un nostro affezionato lettore: Davide Podestà di Genova. Ex corridore, laurea in Scienze Motorie, massaggiatore… Uno molto attento, insomma. Che nel leggere i nostri pezzi dalla Strade Bianche, un giorno mandò una foto mettendo in evidenza lo scarpino destro di Bernal. «C’è uno spessore lì sotto – scrisse nel messaggio – sarebbe curioso sapere se Bernal ha risolto così».

In realtà lo spessore c’è e non è così sottile. Dalla squadra non dicono molto sul precedente, ma quello messo ora è alto quasi un centimetro. La domanda semmai è come mai la dismetria fra le gambe di Bernal, che inizialmente non sembrava così marcata, ora sarebbe arrivata a 17 millimetri, come detto lo scorso anno dal bollettino della squadra?

Il caso Pantani

Ci rifacciamo di passaggio a un caso ben noto che riguarda un altro vincitore di Tour, che in realtà il Tour lo vinse dopo il terribile incidente per il quale la sua gamba sinistra rimase più corta della destra di 8 millimetri: Marco Pantani. La sua rieducazione fu seguita da Fabrizio Borra, lo stesso che di recente ha realizzato il tutore per il polso di Nibali. Parlando di altre rieducazioni, qualche settimana fa ci raccontò nuovamente del lavoro in acqua fatto con Marco per dare al corpo i necessari equilibri e sottolineò che non si raggiunse la perfezione soltanto perché la gamba era rimasta più corta.

«Avevamo studiato diverse soluzioni – ricorda – ma alla fine lavorando di frequente sulle capacità di compenso del corpo, non utilizzammo nessun spessore. Il mio lavoro quando andavo a seguirlo alle gare era proprio su gestire queste cose…».

Non c’è una regola

A questo punto però cresce la curiosità sulla gamba di Bernal e sul perché si sia deciso di aumentare l’altezza dello spessore.

«Quei 17 millimetri sono tanti – dice ancora Borra – e non c’è una regola ben precisa… L’errore che fanno tanti è mettere spessori senza però valutare bene le capacità di compenso del corpo. Prima si lavora sul potenziale massimo di adattamento fisiologico e poi si vede quanto manca. In questi casi è fondamentale che il Posturologo, l’Osteopata ed il Biomeccanico lavorino tutti insieme sulle risposte dell’atleta».

Non esageriamo

Mentre il prossimo step sarà cercare di capire che tipo di lavoro ci sia stato prima di quello spessore così alto, cioè se Bernal stia anche seguendo un programma di lavoro posturale che permetta al suo corpo di convivere con quella grave asimmetria, da altre informazioni raccolte risalta che l’uso dello spessore non sia la soluzione finale. E soprattutto che non si va mai a correggere l’intera differenza. Se si parla di 17 millimetri, visto che nel ciclismo la gamba non arriva mai a completa distensione e si può contare anche sul gioco della caviglia, lo spessore può essere ben inferiore (come i 3-4 millimetri di partenza) dato che la differenza sarà spalmata su tutta la lunghezza della gamba.

«Quei pochi millimetri – dice Paolo Alberati – sono un “segnale” per la struttura biomeccanica dell’atleta e servono a compensare anche differenze maggiori. Esperienza e scienza dicono questo».

Equilibrio a rischio

Come dire, facendo la somma delle voci raccolte e dei cambiamenti, che andare a compensare così tanto a 24 anni con degli spessori, dopo che per tutto questo tempo l’atleta ha costruito equilibri e compensazioni, potrebbe mandare in confusione la sua biomeccanica.

Nel 2017 ha usato lo spessore di Stefanìa, idem nel 2018. L’anno dopo, il 2019, senza spessore. Nel 2020 con un piccolo spessore, che sembra un cuneo. Nel 2021 con uno spessore molto alto. Avrà davvero risolto così, come ha chiesto Podestà?

Egan ha lavorato tanto sottoponendosi nuovamente a carichi importanti, come vi abbiamo raccontato. Durante il Giro, il confronto con gli avversari fornirà tutte le risposte. Noi a questo punto seguiremo il suo percorso con un motivo di attenzione in più.