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Capecchi: i giovani, le gioie e le fatiche del ciclismo

18.08.2023
5 min
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Eros Capecchi è tornato a casa, nel vivaio di famiglia, dove lavora e intanto pensa al ciclismo. Nei giorni scorsi è stato in ritiro con i ragazzi del Comitato Regionale Umbro, del quale è cittì. Il caldo nel centro Italia si fa sentire e quando gli facciamo notare che la sua regione è “bollino rosso” risponde così: «Ora capisco perché sento tutto questo caldo – ride – io al meteo ci bado poco. Tanto non è che si possa fare qualcosa se fa caldo o meno».

Il lavoro procede e le piante stanno bene, neanche loro sembrano soffrire troppo il caldo. «Di acqua ne abbiamo – dice Capecchila diga del Monte Doglio ha ottimi livelli e non dovrebbero esserci problemi. Poi nel nostro vivaio abbiamo tante colture a terra, che richiedono meno cure e acqua. Qualche pianta in vaso si secca, ma è normale che sia così». 

Il ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegni
Il ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegni

I suoi ragazzi

Capecchi parla, lo fa volentieri e la telefonata diventa un motivo per affrontare tanti argomenti legati al ciclismo. La passione per la bici è tanta, e quella di coltivare i nuovi talenti del vivaio ciclistico dell’Umbria è anche di più

«Mi piace molto lavorare con i ragazzi – conferma l’ex professionista – vedi i miglioramenti, ti ascoltano. C’è sempre chi fa un po’ di testa sua, ma è normale, una volta sbattuto il muso torna sui suoi passi. Fa parte della crescita e dell’essere adolescenti. Questa esperienza, nata per gioco, è appagante. Seguo i ragazzi da quando hanno 12 anni fino ai 18, li vedo crescere e li seguo per ogni categoria». 

I ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della Lunigiana
I ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della Lunigiana
Che metodo utilizzi con loro?

Non ce n’è uno specifico. Li ascolto, li frequento e cerco di capire. Devi guadagnarti la loro fiducia affinché si aprano e ti parlino dei loro problemi e delle loro preoccupazioni. Riesco a fondermi con loro, mantenendo sempre dei limiti precisi che mi permettono di avere un’autorità. 

Il rapporto che hai ti piace?

Tanto, ho il modo di legare insieme a loro, magari divertendoci insieme. E’ capitato di fare qualche partita a biliardino o di andare a mangiare un gelato. Se i ragazzi si sentono a loro agio, ti vengono a chiedere cose che magari non avrebbero il coraggio di domandarti. Sono esempi banali ma che costruiscono un bel rapporto, non si può sempre e solo dire “no”. 

Pedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tutto
Pedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tutto
I giorni a Livigno come sono andati?

Bene. E l’ho capito dal fatto che mi seguissero in tutto e per tutto. Anzi, spesso erano loro a chiedermi di fare qualche lavoro in più. Hanno proprio dato il cuore e queste per un tecnico sono grandi soddisfazioni. Lo fanno perché sanno che poi possono chiederti di prendere un gelato o mangiare un piatto di patatine. Sono piccole cose che creano il gruppo e la fiducia reciproca. 

Ora siete tornati, in che modo si lavora fino ai prossimi impegni?

Correranno domenica e andrò a vederli. Ho ancora qualche dubbio da sciogliere, ma lo farò in corsa. Per i prossimi impegni – Vertova, Paganessi e Lunigiana – dovrei scegliere sei ragazzi e portarli sempre con me. Però diventa difficile, perché qualcuno ha degli impegni con la scuola e non è sempre libero. L’idea è quella di andare a vedere le strade del Lunigiana, subito dopo il Paganessi. E’ sempre bene prendere le misure con quei percorsi, il Lunigiana in foto sembra semplice, poi vai lì e ti ammazza.

Per Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbra
Per Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbra
Hai tanta scelta quindi?

Sì e mi fa piacere, perché vuol dire che si è lavorato bene. Mi mettono in difficoltà, nel senso buono del termine chiaramente. 

Sono curiosi delle tue esperienze passate, del corridore che sei stato?

Tutto si basa sulla fiducia, nel momento in cui si fidano di te sono loro a domandarti. Io non uso il metodo del “ai miei tempi” anche perché diventa facile che ti prendono in giro, diventi il vecchio che non vogliono ascoltare. Devi essere uno di loro, quando instauri questo tipo di rapporto si aprono e ti chiedono consigli e suggerimenti. 

E’ un movimento, quello della tua regione, in continua crescita?

Mi piace davvero come stiamo lavorando. Tra quattro o cinque anni ci saranno delle grandi soddisfazioni. Alcuni ragazzi li vedo, soprattutto gli allievi, fanno risultati ma sono ancora “bambini”. 

I giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuro
I giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuro
Dopo un anno di lavoro che cosa pensi del ciclismo moderno?

Posso dire che in Italia non abbiamo capito bene cos’è il ciclismo ora. Diciamo che i ragazzi vanno fatti crescere tranquillamente, poi però abbiamo degli atleti validi che da under 23 non riescono a trovare squadra. Non bisogna spremerli, ma metterli nelle condizioni di fare del loro meglio. Se continuiamo così non li facciamo crescere lentamente, ma smettere velocemente. 

In questo è cambiato molto il ciclismo.

Non ci sarà più il corridore che farà 17 anni di carriera, ma che problema c’è? Il ciclismo è più veloce, non è bello da dire, ma ora hai meno possibilità di provarci. Lo vedo in una regione come la nostra, dove abbiamo buoni corridori anche senza numeri elevati di tesserati. Anche se a livello di Comitati Regionali non è semplice.

In che senso?

Ne parlavo lo scorso anno con Salvoldi, proprio al Lunigiana. L’intento è fare più corse a tappe e far crescere il movimento, per noi regioni l’interesse è alto. Il problema poi è riuscire ad organizzare la stagione quando i soldi scarseggiano. Anche il ritiro appena fatto a Livigno lo hanno pagato le squadre e in parte alcuni genitori. Senza considerare che il nostro presidente mette spesso soldi di tasca sua.

Dal Delfinato scorci (importanti) di futuro per Garofoli

15.06.2023
6 min
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La scorsa settimana Gianmarco Garfoli ha messo un tassello importante per la sua carriera. Ha preso parte e concluso il Criterium del Delfinato, a detta di molti la corsa più veloce e dura dell’intero anno. E’ qui che tanti leader fanno le prove in vista del Tour de France e altrettanti si devono guadagnare un posto in squadra proprio per la Grande Boucle.

E poi c’è chi, come il marchigiano dell’Astana-Qazaqstan, va al Delfinato per capire a che punto sia, per iniziare a scontrarsi con i grandi e prendere parte alle corse di altissimo livello. La classifica finale recita: 75° ad un’ora e 19′ da Vingegaard. Ma solo nell’ultima frazione “Garo” ha incassato mezz’ora.

Dopo il Romandia ancora una gara WT per Garofoli. Al Delfinato però il livello era ancora più alto…
Dopo il Romandia ancora una gara WT per Garofoli. Al Delfinato però il livello era ancora più alto…
Gianmarco, sei appena tornato dal Delfinato: cominci a fare corse davvero grandi…

Eh sì, credo sia una delle corse più importanti del panorama mondiale. Il livello è altissimo, da Tour de France. Per me è stata una prima esperienza in gare di questo livello e sono discretamente contento. Per certi aspetti è stato anche un traguardo riuscire a completarla.

E come è andata?

Purtroppo non è iniziato nel migliore dei modi perché sono caduto ben due volte, nella prima e nella terza tappa. E quelle cadute hanno un po’ condizionato tutto l’andamento del Delfinato: le botte le ho sentite e tuttora ho una costola che mi fa male. 

Eppure nelle prime frazioni sei andato benino. Eri vicino alla testa della corsa…

Nella prima tappa sono caduto in discesa. Grandinava. C’è stato un momento in cui veramente scendeva tantissima acqua e non si vedeva la strada. Pensate che sono cascato su un pezzo dritto. Non so nemmeno come abbia fatto. Quella è stata la botta più forte: andavamo a velocità assurde. La terza tappa invece era per velocisti, però siamo andati così forte che di sprinter ne erano rimasti pochi ed essendo io “velocino” ho provato a buttarmi nella mischia per ottenere un piazzamento. Purtroppo sono caduto all’ultimo chilometro quando ero nelle prime 15 posizioni.

Per il marchigiano una crono all’insegna della regolarità: tanta fatica, ma senza esagerare
Per il marchigiano una crono all’insegna della regolarità: tanta fatica, ma senza esagerare
Che idea ti sei fatto di questo Delfinato dunque?

E’ stato bello confrontarsi con i migliori del mondo. Adesso ho dei dei punti di riferimento. So dove devo lavorare per migliorare. Torno a casa con tanta esperienza e tanta motivazione per fare di più. La tappa dove sono andato un pochino più forte è stata quella che ha visto la prima vittoria di Vingegaard. Sull’ultima salita non ho perso tantissimo da lui e sono arrivato al traguardo intorno alla cinquantesima posizione, ad un paio di minuti. Ero soddisfatto della mia prestazione.

Hai detto che sai come lavorare. A cosa ti riferisci?

Ho capito soprattutto il livello che c’è e dove devo arrivare, perché fino a che te lo dicono puoi solo immaginarlo. E sinceramente mi immaginavo che andassero un pochino più piano! Invece vanno forte, molto forte. Adesso capisco molte cose. Sarà la mia giovane età, ma certe cose devo toccarle con mano. Già al Romandia avevo visto che il livello WorldTour era tutt’altra cosa rispetto alle altre gare professionistiche. Al Delfinato ho visto e vissuto uno step ulteriore.

In cosa devi dunque migliorare?

In salita, perché è lì che che si fa la differenza, e anche nella tattica di gara. O quantomeno nella gestione dello sforzo. In una gara di minor livello ti puoi permettere di sbagliare, di fare un fuorigiri che non serviva: in qualche modo riesci a salvarti. Qui no. Nell’ultima tappa ho fatto un fuorigiri esagerato per provare ad entrare nella fuga, ma poi ero ero completamente finito. Mi sono staccato dal gruppo! Da 100 corridori. E mi sono detto: «Cavolo, adesso come ci vado all’arrivo?».

Nelle ultime due tappe, complici le cadute ad inizio Delfinato e qualche errore tattico, Gianmarco ha pagato dazio
Nelle ultime due tappe, complici le cadute ad inizio Delfinato e qualche errore tattico, Gianmarco ha pagato dazio
E’ una delle esperienze di cui parlavi?

Esatto, ho imparato a conoscermi meglio, a gestirmi in queste situazioni. Logicamente non basta e devo migliorare molto proprio il mio livello generale, ma già solamente facendo questa gara secondo me sono cresciuto. Ho fatto dei passi in avanti.

Adesso Gianmarco hai un obiettivo più concreto: sai dove devi arrivare. Sai quanto manca. Non si tratta di dover andare forte a prescindere… E’ diverso.

E’ molto diverso, so quanto manca e come lavorarci su. So di avere le possibilità di fare una bella carriera e voglio investirci. Ripeto, è stata una prima esperienza positiva, anche se certe volte durante la gara mi sono un po’ demoralizzato proprio perché si va tanto forte.

Ti sei ritrovato con un parterre regale. Ti sarà capitato di stare vicino a Vingegaard e notare che tu eri impegnato e lui ancora doveva iniziare ad aprire il gas?

In realtà la cosa più impressionante non è stato tanto Vingegaard, ma il fatto che proprio tutti vadano forte. Dici il velocista va piano in salita… neanche per idea! Tu sei a tutta, ma proprio a tutta su una salita, poi ti volti e vedi che non si è staccato nessuno. Questo è impressionante. Poi è chiaro che vedere la Jumbo-Visma dominare fa un certo effetto. Io comunque non mi sono sentito fuori luogo, anzi…Quello era il mio posto. Ho vent’anni, devo migliorare tanto, ma è lì che voglio arrivare.

E tu come stai? Abbiamo visto che sei più magro, ma ipotizziamo non sia ancora al massimo…

No, no… non sono ancora al top. L’anno di stop si è fatto sentire. Sono rientrato e ho fatto anche bene, ma quel “buco” adesso si fa sentire, specie se inizi a fare questo tipo di gare. Non puoi permetterti di non essere al 100 per cento. Male non sto, altrimenti il Delfinato neanche lo avrei finito. Dalla Sicilia però ho fatto dei passi in avanti e anche il lavoro sul Teide con Lutsenko è stato utile.

Gianmarco con Lutsenko sul Teide. Tra i due c’è un bel rapporto. Dopo l’italiano il marchigiano tornerà in altura, ma a Livigno (foto Instagram)
Gianmarco con Lutsenko sul Teide. Tra i due c’è un bel rapporto. Dopo l’italiano il marchigiano tornerà in altura, ma a Livigno (foto Instagram)
Adesso qual è l’obiettivo?

Non tanto essere al top per questa o quella gara e poi magari mollare o sfinirsi e ammalarsi, quanto riuscire a finire una stagione fatta bene. Senza intoppi. Fare gare e mettere chilometri di corsa nelle gambe.

E’ condivisibile nel tuo caso: più costanza che prestazione.

E’ proprio quello che mi manca. Lo sento nelle gambe. Tra Covid ad inizio anno, miocardite la stagione passata… si sente. Mi serve la costanza e la costanza per le gare più lunghe, magari anche quelle da 21 giorni, che voglio siano presenti nel mio futuro. Intanto farò l’italiano e poi dovrei andare a Livigno in altura per preparare i prossimi appuntamenti. Il finale di stagione potrebbe riservarmi qualche gara importante.

Idea Vuelta?

Non è da scartare. Vedremo con la squadra se ci sarà questa possibilità.

Zanatta e i giovani: «Chi gli insegna a vincere?»

07.06.2023
4 min
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Il tema dei ragazzi giovani che passano professionisti è uno di quelli destinati a non consumarsi mai. Negli ultimi anni si vedono sempre più atleti tra i 18 ed i 20 anni passare nel ciclismo dei grandi. La loro permanenza tra gli under 23 è minima, o addirittura assente, ma questi ragazzi non possono prescindere dagli step di crescita necessari. Il focus però si è spostato dalle formazioni under 23 alle squadre dei professionisti. 

Amadori, cittì della nazionale under 23 ci aveva parlato così a riguardo dell’Orlen Nations Grand Prix: «Sono convinto che corse del genere, per ragazzi così giovani che già sono professionisti, servano tanto. Insegnano loro a vincere e mettersi in gioco. Ne parlavo proprio con Rossato e Zanatta, diesse di Green-Project e Eolo-Kometa».

Il secondo posto di Piganzoli in Polonia ha fatto capire che le qualità ci sono, serve tempo per affinarle (foto PT photos)
Il secondo posto di Piganzoli in Polonia ha fatto capire che le qualità ci sono, serve tempo per affinarle (foto PT photos)

Il passaggio intermedio

Colta la palla al balzo, abbiamo cercato di capire capire come sia cambiato il ruolo del direttore sportivo. Tutto avviene con maggiore anticipo e le squadre si trovano sulle spalle maggiori responsabilità. Zanatta e la Eolo-Kometa hanno la loro ricetta. 

«Con gli ultimi tre o quattro fenomeni passati da junior a professionisti – inizia – tutti i ragazzi sembrano pronti a 18 anni. Ma non può essere così, una cosa secondo me è da guardare: chi ha fatto i giusti passaggi da giovane poi ha avuto una carriera più lunga. Con questa smania di cercare i giovani forti abbiamo perso tanti corridori e tanti ne perderemo. Albanese e Rota sono l’esempio di due corridori che si stavano smarrendo e che il nostro movimento ha dovuto recuperare. Anticipare la maturazione ti fa perdere determinati gradini, come quello di imparare a vincere, cioè essere competitivo».

Fancellu e Piganzoli nel 2022 hanno corso con la maglia della nazionale il Tour de l’Avenir (foto Zoè Soullard)
Fancellu e Piganzoli nel 2022 hanno corso con la maglia della nazionale il Tour de l’Avenir (foto Zoè Soullard)

L’esempio di Piganzoli 

Uno dei giovani professionisti che Amadori ha portato in Polonia è Piganzoli, secondo in classifica generale. Lui è un prospetto interessante, che da under 23 si è fatto vedere ed ora muove i primi passi tra i grandi. 

«Piganzoli – dice Zanatta – ha lottato spesso per vincere tra gli under 23, si è costruito la giusta mentalità grazie al fatto di correre sempre tra i primi. Non è un vincente perché non ha determinate caratteristiche, ma è un corridore abbastanza completo. Negli anni scorsi andava alle gare contento di provare a vincere, di mettersi in gioco. Un ruolo importante lo ha avuto la nazionale di Amadori, che gli ha permesso di correre in determinate vetrine come l’Avenir o il mese scorso in Polonia. Corse nelle quali si può confrontare con i migliori corridori della sua età. Non si deve cadere nell’errore di pensare che un giovane, anche se professionista, non possa fare gare con la nazionale under 23».

Albanese è uno dei corridori che rischiava di smettere, è stato recuperato dal progetto Eolo-Kometa
Albanese è uno dei corridori che rischiava di smettere, è stato recuperato dal progetto Eolo-Kometa

Errare è umano

«Molti ragazzi – aggiunge – passano perché lo vogliono i procuratori o i genitori, ma anticipano i tempi. E se lo si fa quando non si è pronti si vedono delle lacune: non sono abituati a vincere, nemmeno a provarci. Peccano nella lettura della gara, nei movimenti e nell’allenarsi. Pensate a Trentin ed Ulissi, corridori che a più di trent’anni sono in grado di capire la gara e di muoversi di conseguenza. Questo perché hanno avuto una giusta militanza tra i dilettanti e hanno avuto modo di imparare i fondamentali del ciclismo.

«Ora – conclude Zanatta – sono le squadre dei professionisti che hanno in mano la maturazione dei corridori, e bisogna fare le cose per bene. Quindi dare un programma a lungo termine, portarli alle corse giuste e permettergli di sbagliare. Da un errore imparano tantissime cose, vi faccio un esempio: venerdì scorso al Giro dell’Appennino Piganzoli, Tercero e Fancellu sono rimasti fuori dai primi. Ci siamo resi conto che migliorano, crescono e questo è importante. Ogni ragazzo matura ad un’età diversa e dobbiamo dare loro modo di farlo, bisogna lasciare i giusti margini».

Rossato: «I miei ragazzi aggressivi e compatti in corsa»

20.05.2023
4 min
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La prima parte di stagione, quelle della classiche se così possiamo dire, si è conclusa anche per gli under 23. Molti dei ragazzi della Green Project-Bardiani sono in ritiro in quota per preparare i grandi appuntamenti dell’estate, su tutti il Giro d’Italia U23 o Giro Next Gen come è stato ribattezzato da Rcs Sport.

Con Mirko Rossato, il loro diesse, facciamo un punto della situazione: risultati, modo di correre… Un bilancio che il tecnico veneto giudica in modo positivo. Anche se è mancata la vittoria.

«Non abbiamo vinto, e me ne dispiace, ma posso dire che abbiamo fatto un notevole salto di qualità. Quest’anno teniamo testa alle giovanili delle WorldTour e questo mi fa piacere».

Mirko Rossato (classe 1968) ha preso in mano il progetto giovani della Green Project sin dalla nascita
Mirko Rossato (classe 1968) ha preso in mano il progetto giovani della Green Project sin dalla nascita

Salto di qualità

Quando Rossato parla di salto di qualità non si riferisce solo alle prestazioni, che tra l’altro con una grande rotazione dei ragazzi – visto che stiamo parlando di under 23 – sono molto variabili di anno in anno, quanto piuttosto al tipo di attività, al modo d’interpretare le gare…

«Facciamo corse importanti – spiega – per il nostro livello chiaramente, contro squadre importanti. Ci manca qualcosa in termini di esperienza ma ho creato un bel gruppo e di questo ne sono orgoglioso. Ricordo che noi facciamo un’attività legata alla crescita. Ci manca qualcosa per essere alla pari degli altri ma ci si arriva con una cosa: lavoro, lavoro e ancora lavoro».

In effetti da questo gruppo sono andati via “senatori” come Tolio e Marcellusi e Martinelli fa la spola con i grandi.

«Loro non ci sono, ma non posso dire che manchino – va avanti Rossato – il salto degli altri è stato veloce, soprattutto da parte di Pinarello e Pellizzari. E non nascondo che anche gli altri siano cresciuti  parecchio. Scalco, Paletti e Conforti si sono integrati alla grande. Li ho sentiti subito presenti. Ho grande fiducia in loro».

Spesso i Green Project-Bardiani tirano compatti in testa al gruppo. Per Rossato è importante correre da squadra (foto @liisasphotoss)
Spesso i Green Project-Bardiani tirano compatti in testa al gruppo. Per Rossato è importante correre da squadra (foto @liisasphotoss)

Sul modo di correre 

Una squadra giovane, i ragazzi di Rossato sono per la maggior parte di primo e secondo anno. Eppure visti da fuori i Green Project corrono in modo molto più da pro’. Restano più compatti, aspettano “l’uno contro uno” nel finale. Si gestiscono come fossero una WorldTour. Il che può anche starci, visto che questo gruppo è mirato ad una formazione per il futuro, ad alimentare la prima squadra… Ma va bene per la categoria U23? Un’osservazione che poniamo a Rossato.

«Io – dice Mirko – cerco di mentalizzarli per vincere. Quando partono, partono con l’obiettivo della vittoria: questo è sicuro. Corriamo uniti, vero, ma questo è importante per il risultato. Nel ciclismo vince il singolo, ma è la squadra che fa la corsa. Poi okay, nell’uno contro uno, contro squadre importanti delle WorldTour come Jumbo-Visma, Groupama-Fdj, Ag2R… può anche starci che perdi e che emerga il più forte, ma l’impostazione della corsa è quella.

«E poi bisogna valutare anche le caratteristiche dei miei corridori, che sono quasi tutti scalatori. A noi servono le corse dure».

L’ultima frase ci riporta a questo inverno. Già in tempi non sospetti Rossato ci aveva detto che aveva voluto un certo tipo di corridori per il tipo di attività che avrebbero fatto. Un’attività di livello infatti imponeva quasi gioco-forza l’esigenza di atleti che tenessero benone in salita. Visto che ormai, come spesso diciamo, anche le corse più veloci prevedono un bel po’ di dislivello. In più voleva certi uomini proprio per poter correre all’attacco e non sulla difensiva.

Anche tra gli U23 spesso dominano le giovanili delle WT, ma i ragazzi di Rossato sono lì. Qui il podio del Recioto con: Graat, Pellizzari, Pinarello (e quarto Martinelli)
Anche tra gli U23 spesso dominano le giovanili delle WT. Qui il podio del Recioto con: Graat, Pellizzari, Pinarello (e quarto Martinelli)

Sbagliando s’impara

«Io dico che corriamo bene. Vedo che siamo presenti in tutti gli arrivi. Siamo under 23 e non possiamo correre come i pro’, ma appunto dobbiamo cercare di essere più aggressivi possibile».

«Sempre riguardo al modo di correre – va avanti con passione Rossato – Non avendo la radio ed essendo giovani ed inesperti i ragazzi sbagliano spesso. Ho trenta anni di esperienza e gli avrei potuto dare le indicazioni per non commettere certi errori… E avremmo vinto di più. Ma fa parte del gioco. E va bene così».

Va bene così perché Rossato stesso non è poi così favorevole alle radio in questa categoria. Se ai ragazzi si dice tutto, magari vincono, non commettono l’errore, ma non capiscono fino in fondo il perché di quella mossa. Non incamerano esperienza. 

«Non capiscono perché avrebbero sbagliato e di conseguenza non se lo ricordano. Invece se sbagliano, poi se ne discute tutti insieme.

«A questa età, i corridori devono fare anche di testa loro. Devono usare la fantasia… se poi perdono la corsa perché hanno osato nessuno li mette alla gogna. Ma resto del parere che bisogna correre aggressivi».

Bressan e il giovane Milan al Cycling Team Friuli

12.05.2023
6 min
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Ieri Jonathan Milan è arrivato ancora secondo in questo Giro d’Italia. Un buon piazzamento che rafforza la sua maglia ciclamino, la quale a sua volta è figlia dalla grandiosa vittoria di San Salvo e prima ancora della storia di questo giovane atleta. Una storia che ben conosce il suo mentore tra gli under 23, Roberto Bressan.

Bressan è il patron del Cycling Team Friuli-Victorious, da dove tutto è nato o quantomeno si è sviluppato. Parliamo spesso di questa squadra giovanile. Lanciò Alessandro De Marchi tra i pro’. Il “Dema” all’epoca non passò con le stimmate del campione. Ma questa squadra friulana faceva un’attività diversa. Faceva qualcosa che oggi è normale, ma 10-15 anni fa era l’eccezione. Portava i suoi ragazzi all’estero, faceva corse a tappe.

Pensate che oggi tra i papabili, quindi senza considerare i ragazzi che non appartengono a squadre WT o Professional, il CTF potrebbe avere sette corridori al Giro d’Italia: i due fratelli Bais, De Marchi, Milan, Aleotti, Fabbro e Buratti.

Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo
Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo

Di padre in figlio

Ma torniamo a Milan e a Bressan. Roberto già conosceva Milan. Magari non il corridore, ma il bambino. Aveva avuto tra le mani suo papà Flavio all’epoca del Caneva. Lo aveva avuto già prima dei dilettanti.

«Ricordo – racconta Bressan – che suo papà era stato campione italiano degli allievi. Vinse anche altre corse crescendo e fece la sua carriera fino ai pro’ (due stagioni all’Amore & Vita, ndr). Fin quando col passare degli anni mi ritrovai suo figlio Jonathan».

«Iniziai a seguire questo ragazzino prima ancora che venisse nella mia squadra. Era junior. Ma io lo seguivo su pista e non su strada. Sapete che io sono un patito della pista! Vedevo come girava, i tempi che faceva… Così lo contattai e gli feci fare un test dal nostro coach, Andrea Fusaz.

«Finito questo test, Andrea – che tra l’altro è ancora il suo coach – mi chiama al telefono e mi dice: “Oh Roberto, guarda che qua abbiamo uno che non ho mai visto prima. Io non ho mai visto tanti watt in vita mia».

Da quel momento Milan viene dunque preso nel Cycling Team Friuli, anche perché la categoria juniores era finita e comunque sarebbe dovuto passare in un team under 23.

Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)
Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)

Cambio di registro

Il ragazzo era davvero acerbo. La scuola, gli impegni di un adolescente, si allenava “quasi nei ritagli di tempo”, anche se poi sappiamo che non è del tutto così. Ma fin lì Milan non aveva mai fatto una preparazione strutturata. Il cambio di team e di categoria imponevano un cambio di registro.

Tuttavia le cose non sono state subito rose e fiori per Milan e anche per il CTF.

«Sapevo – prosegue Bressan – che Jonathan non si allenava molto da junior. Faceva più o meno sempre lo stesso allenamento due, tre volte alla settimana. Era totalmente da costruire… Ed è stato difficile da gestire, in quanto non sempre seguiva i programmi».

Il che può anche starci per un ragazzo così acerbo, ma dopo una bella fetta di stagione le cose sarebbero dovute cambiare. Così non è stato.

A maggio inoltrato del primo anno tra gli U23 di Milan, Bressan gioca una carta a sorpresa. Non era possibile che un atleta di queste proporzioni non si riuscisse a gestire, a far crescere come meritava.

«Dal mio cervello di ex atleta esce un’idea: bisogna che lo porti in pista per verificare una volta per tutte le sue qualità. E le qualità emersero palesemente. Così abbiamo cambiato strada nel vero senso della parola. Abbiamo deciso di farlo lavorare soprattutto sulla pista e per la pista… con l’intento di venirne fuori anche su strada».

Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa
Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa

Dal cittì Villa…

Il primo anno di Milan tra i dilettanti è stato quindi difficile. Dopo quella mossa, “Jony” entra nel giro della nazionale. Qualcosa migliora, ma non del tutto. Jonathan a detta di Bressan restava un “cavallo pazzo”.

«A quel punto vado da Marco Villa e gli dico: “Marco devi assolutamente fargli fare un periodo con te. Ma non 15 giorni. Portalo fuori. Portalo lontano da casa”. E così andò via con la nazionale per più di due mesi, tra stage e gare di coppa del mondo. Milan doveva formarsi e tirar fuori tutto quello che poteva. 

«Quando è tornato a casa dopo quei due mesi abbondanti era un’altro corridore».

Milan inizia a capire che un certo lavoro paga. Che i tecnici che ha attorno sono validi e che si può fidare. La sua crescita è esponenziale. Vince gare su strada e in pista, crono, una tappa al Giro. E in squadra diventa un leader.

«Da lì è diventato il corridore che conosciamo – spiega Bressan – Quell’anno ha vinto tutto quello che doveva vincere, anche la medaglia di bronzo mondiale nell’inseguimento a squadre, mentre nell’individuale fece un tempo strepitoso: 4’08”.

«Da quando c’è lui nel quartetto hanno fatto il Record del Mondo e vinto molto, tra cui l’Olimpiade. Se non ci fosse stato anche un Jonathan a quei livelli non avremmo vinto a Tokyo».

Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)
Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)

Quell’anno in più

E poi c’è il Jonathan gigante buono. Quello che quasi si commuove dopo la vittoria di San Salvo. Che si prodiga per la squadra. Doti che aveva anche al CTF.

«I compagni gli volevano bene. Faceva molto per loro e loro per lui. No, sotto questo punto di vista Jonathan è un buono, davvero».

«Mi è dispiaciuto moltissimo, e lo dico tranquillamente, che sia voluto passare subito. Poteva restare con noi un altro anno. Le Olimpiadi non gliele avrebbe tolte nessuno. Anche perché su strada al primo anno non è che con la Bahrain-Victorious avesse fatto chissà quali corse.

«Per esempio, guardate quanto si muove in volata. Ecco, stare un anno in più tra gli under 23 gli avrebbe consentito di curare questi aspetti. Tra i pro’ non hai il tempo per farlo, né chi ti dice certe cose…

«Che poi alla fine è andata bene che sia passato proprio nella Bahrain, perché questa stessa squadra è venuta a cercarci per avere un team giovanile di riferimento, anche grazie a Milan stesso. Quindi è un po’ come se Jonathan fosse rimasto in famiglia».

«Ora, da quel che sento, quasi sicuramente dovrebbe cambiare squadra. Mi spiace che il suo agente non abbia trattato in modo corretto il dialogo con la Bahrain. Ma poi queste sono cose loro».

A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan
A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan

Le previsioni di Bressan

Oggi Milan è una delle certezze italiane. E a 22 anni, per il ragazzo di Buja, non è finita qui. Il suo palmares è già ricco e al Giro d’Italia sta facendo benissimo.

La maglia ciclamino potrebbe essere un obiettivo. Un obiettivo a cui magari non avrebbe pensato fino a qualche settimana fa. Ma anche dal punto di vista tecnico Bressan lo aveva inquadrato bene in tempi non sospetti.

«Jonathan – conclude Bressan – ha davanti una carriera incredibile. Oltre alle volate, fra qualche anno vincerà le classiche al Nord. Ormai sono vecchio abbastanza per poter guardare avanti!
«Vincerà le classiche, ne sono sicuro. Deve solo fare le cose per bene. Non si deve montare la testa, ma credo proprio di no, e ricordare qualche volta in più da dove è venuto».

Juniores e gare a tappe: dopo il Veneto anche il Friuli

27.04.2023
4 min
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Dopo il Giro del Veneto, di cui vi avevamo parlato qualche tempo fa, ecco una nuova corsa a tappe per gli juniores: il Trofeo Emozione in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di una due giorni, per ora, ma intanto ecco una corsa che va considerata nel suo insieme.

In Italia per tanti anni c’è stato praticamente solo il Giro della Lunigiana. Ma questo era più “internazionale che italiano”, adesso qualcosa si muove. Ci sono queste due brevi gare a tappe nel Nord Est e non va dimenticato il Giro della Valdera, in Toscana.

Franco Pellizotti, in rappresentanza della Bahrain-Victorious, consegna il voucher per lo stage al vincitore Alessandro Da Ros
Franco Pellizotti, in rappresentanza della Bahrain-Victorious, consegna il voucher per lo stage al vincitore Alessandro Da Ros

Due tappe

Quella che si terrà il prossimo 8-9 luglio sarà la quinta edizione del Trofeo Emozione. Questo evento era noto in quanto al vincitore veniva data la possibilità di fare un training camp con la Bahrain Victorious, Ebbene, adesso raddoppia.

«L’idea di organizzare questa gara – spiega il patron Adolfo Sacchetto – nasce dalla passione per questo sport e dalla voglia di dare ai ragazzi una possibilità in più, un motivo di confronto diverso, anche nei confronti di chi viene da fuori. Hanno dato la loro adesione l’Ag2R, la Nexo e presto potrebbero esserci altre squadre straniere».

Passando ad una due giorni cambia anche il percorso. L’idea è stata quella di allestire due frazioni completamente differenti tra loro: una “piatta”, ideale per i ragazzi più veloci e potenti e una per scalatori, che poi di fatto è il “tappone” classico del Trofeo Emozione con arrivo in quota. Proprio come un vero “micro Giro”.

«Nel programma – prosegue Secchetto – abbiamo inserito due tappe dalle caratteristiche diverse, ma legate da un unico scopo: regalare agli atleti e al pubblico un fine settimana indimenticabile e di ottima valenza tecnica.

«La prima tappa parte e arriva a Pordenone. Si tratta di un tracciato prevalentemente pianeggiante, ma con otto settori di sterrato e un’infinità di destra e sinistra. Il tratto rettilineo più lungo non supera i 7 chilometri. Il giorno successivo invece ecco l’ormai classico arrivo a Piancavallo. La prima tappa misura circa 90 chilometri, la seconda 113 ma con ben 2.600 metri di dislivello».

Prima tappa: si parte dalle pianure del Friuli. Alla vigilia, presentazione delle squadre, come per le grandi corse dei pro’
Prima tappa: si parte dalle pianure del Friuli. Alla vigilia, presentazione delle squadre, come per le grandi corse dei pro’

Caratura internazionale

Di certo c’è spazio per tutti e potrà essere un bel banco di prova anche il cittì Dino Salvoldi. E’ bastato vedere come due ragazzi portati alla Roubaix, nonostante in Francia non siano arrivati tra i primi, la domenica successiva alla gara delle pietre abbiano vinto. Ci riferiamo a Gabriele De Fabritiis e Thomas Capra.

Ma come mai si vira verso una due giorni? Anche qui alla base c’è la passione e la voglia di regalare una grande opportunità ai ragazzi, ma anche di allestire nel tempo un evento che possa diventare sempre più grande. Un riferimento. 

«La scelta di far diventare Trofeo Emozione una corsa a tappe – va avanti Sacchetto – è stata fatta per moltiplicare lo spettacolo. Non è solo un evento sportivo, è una filosofia guidata dal cuore. A questa età i ragazzi, benché siamo consci del fatto che ormai sono sempre più dei pro’ anche in questa categoria, vivono lo sport in modo ancora puro. Le sensazioni, le emozioni sono ancora molto genuine e legate al sogno».

«Senza contare che pensiamo a delle iniziative che ruotano attorno al ciclismo, alla formazione, alla valorizzazione del territorio e alla sensibilizzazione su importanti temi sociali. Per esempio, allestiremo un villaggio partenza e in questo villaggio ci sarà un’area per la promozione dell’uso della bici dedicata soprattutto ai più giovani».

Seconda tappa di salita. L’arrivo di Piancavallo è un must di questa gara in Friuli
Seconda tappa di salita. L’arrivo di Piancavallo è un must di questa gara in Friuli

Progetti futuri

«Un altro degli obiettivi del 2023 è creare un percorso permanente che valorizzi le strade bianche del pordenonese, facendolo diventare un itinerario di spiccato valore paesaggistico-sportivo».

«Se c’è l’idea di fare più tappe per il futuro? Assolutamente sì. Anzi, posso dire di più. Già avevamo pensato ad evento di cinque frazioni con partenza da Trento e arrivo da noi in Friuli attraversando anche il Veneto. Ma prima il Covid e poi la guerra in Ucraina ci hanno tarpato le ali (meno disponibilità da parte di alcune aziende, ndr), ma piano piano ci arriveremo».

«Posso dire che proprio in questi giorni stiamo ultimando una collaborazione con un importante brand di settore. L’idea deve essere inquadrata oltre quel che concerne il breve periodo, o comunque non deve essere vista come una semplice sponsorizzazione».

Purosangue in prima squadra, Gannat riparte dal gruppo

21.02.2023
6 min
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Avrà un bel lavoro da fare Jerome Gannat quest’anno con i tanti “ragazzini” che si ritrova attorno. Se il Team Dsm è la squadra più giovane del WorldTour, quella più giovane in assoluto tra le tre fasce di team professionistici (WT, professional e continental) è l’Equipe Continentale Groupama-Fdj: l’età media dei francesini è di 18,3 anni.

Gannat, direttore sportivo della giovane squadra, si sta già rimboccando le maniche. E lo fa con il suo consueto sorriso e con pazienza. Nelle occasioni in cui lo abbiamo visto all’opera dal vivo, abbiamo notato un tecnico pacato, che all’occorrenza sapeva richiamare tutti all’ordine, ma anche che lasciava spazio ai suoi atleti.

Emblematica fu la tappa di Peveragno dello scorso Giro U23. Tattica folle, azzardata, da parte dei suoi, ma se ci fossero riusciti avremmo parlato d’impresa storica. A volte il limite tra successo e insuccesso è molto, molto sottile.

Al netto di tutto questo, vogliamo capire come ripartirà questo team che era composto da tutti, ma proprio tutti, campioni: Martinez, Gregoire, Thompson, Germani, Paleni… Come lavoravano? Come erano riusciti a costruire quel dream team?

Jerome Gannat (classe 1970) è il diesse dell’Equipe Continentale Groupama-Fdj
Jerome Gannat (classe 1970) è il diesse dell’Equipe Continentale Groupama-Fdj
Jerome, i tuoi “cavalli purosangue” sono passati quest’inverno…

Bene! E’ l’obiettivo di una continental portare i suoi ragazzi in prima squadra dopo averli cresciuti. Il 2022 rimane per noi una stagione eccezionale visti i risultati raccolti: 29 vittorie, il 1° posto nella classifica UCI Europe Tour Continental e 8 corridori che appunto si sono uniti al team WorldTour. I corridori non sono destinati a rimanere a lungo nel nostro team di sviluppo. Al massimo possono restarci il tempo di durata di tutta la categoria under 23, ma per il momento la maggioranza rimane solo una stagione o due al massimo. Ciò significa che il processo di formazione sta funzionando bene ed è efficace. I corridori quando arrivano nella nostra squadra progrediscono. Questa è una delle nostre qualità principali.

In termini di stimoli, come riparte la squadra? 

Sappiamo che per il 2023 stiamo iniziando un nuovo ciclo con 11 nuovi corridori su una forza lavoro di 12. Nove provengono dagli juniores, due da altri team e solo Eddy Le Huitouze è ancora presente dall’anno scorso. E’ quasi una nuova squadra, un po’ come quando il team è stato creato nel 2019.

Avrai un bel da fare: devi quasi ripartire da zero…

Questo non è un problema, perché fa parte della vita di una development. Il team WorldTour ha reclutato esclusivamente corridori dal suo team continental, cioè da noi. Quella che verrà è una nuova ondata, che sempre il team WorldTour spera di portare avanti negli anni futuri. E’ una prova del successo e della fiducia della prima squadra nel suo team di sviluppo.

Giro della Valle d’Aosta: Thompson e Martinez in parata. Spesso i ragazzi di Gannat “giocavano” in corsa (foto Courthoud)
Giro della Valle d’Aosta: Thompson e Martinez in parata. Spesso i ragazzi di Gannat “giocavano” in corsa (foto Courthoud)
In che modo la Groupama-Fdj seleziona i suoi giovani corridori? In pratica: come funziona lo scouting?

Lo scouting è un’asse importante in un team di sviluppo. E’ chiaro che oggi il reclutamento sta virando verso la categoria juniores e che la competizione tra gli stessi team di sviluppo è importante. Ma noi insistiamo sulla formazione e sullo sviluppo di qualità. Il nostro team ha sede nello stesso luogo della WorldTour, a Besançon. Lì abbiamo a disposizione tutto ciò che ci serve per fare al meglio il nostro lavoro. C’è tutto il personale: allenatore, direttore sportivo, fisioterapista, osteopata… E’ un vero e proprio centro di formazione a disposizione del corridore (e dei tecnici stessi, ndr). 

Lorenzo Germani ce ne parlava con orgoglio e piacere in effetti…

Questo è un elemento di successo nella nostro progetto di crescita. Inoltre, le statistiche confermano la nostra qualità della formazione. Molti dei nostri allenatori viaggiano e seguono dal vivo le gare juniores e abbiamo sviluppato nel nostro Performance Center di Besançon, dei test per rilevare il potenziale futuro. Si tratta di una serie di test fisiologici e sul campo.

Quali sono questi test?

I nostri test a Besançon si concentrano su una valutazione del potenziale del corridore e del suo profilo di potenza fisica. Naturalmente stimando anche la sua possibile progressione. Un corridore junior anche di qualità mondiale deve continuare a progredire se desidera evolversi a livello continental, prima e WorldTour poi. 

Cosa valutate per scegliere un ragazzo? Si è parlato di seguire le gare juniores, ma ci sono solo numeri e risultati sul piatto?

Abbiamo avuto un follow-up junior per tre anni. Da 4 a 5 juniores vengono seguiti e formati dai nostri coach. Offriamo loro degli stage e li aiutiamo dal punto di vista del materiale. Al nostro training camp a Calpe, per esempio, c’erano quattro juniores. Tre corridori del nostro team 2023 provengono dal programma juniores. Inoltre, insistiamo anche con le interviste al ragazzo, cioè ci parliamo, perché è importante conoscere le qualità umane del corridore.

Per curiosità, chi sono quei tre juniores che provengono dal vostro follow-up?

Jens Verbrugghe, Ronan Augé e Thibaud Gruel. Anche Lenny Martinez, per dire, era uno di loro.

Il livello della squadra francese 2022 era talmente alto che spesso Germani svolgeva il ruolo di gregario quando sarebbe stato leader in qualsiasi altra squadra
Il livello della squadra francese 2022 era talmente alto che spesso Germani svolgeva il ruolo di gregario
Fino allo scorso anno tu e la tua squadra andavate alle gare sempre per vincere, ora quali saranno gli obiettivi?

Ogni anno insisto sul collettivo e sul gruppo. L’anno scorso, anche se c’erano corridori con un alto potenziale, abbiamo dovuto creare un collettivo e un gruppo. Dodici corridori su tredici hanno vinto almeno una gara, il che significa che era un gruppo forte e unito. Quest’anno è una nuova sfida per tutto lo staff ed è un nuovo obiettivo costruire un gruppo al di là dei risultati in senso stretto. Il ciclismo è uno sport individuale, ma che si corre in squadra. E la squadra rimane fondamentale nel nostro processo di formazione.

Di questi dodici ragazzi che hai ce n’è uno più pronto di altri?

Le prime gare saranno importanti per il nostro gruppo e, come ho detto nella risposta precedente, la nostra prima parte di stagione sarà incentrata sul concetto di gruppo. Tutti progrediranno e avranno l’opportunità di esprimersi. Anche nel 2022, ad ogni partenza di gara, la strategia prevedeva la vittoria di uno dei nostri corridori. Il briefing veniva fatto sempre in questo senso. Per questa stagione il collettivo sarà ancora più importante e insisteremo in questa direzione. La vittoria è un risultato, un elemento fondamentale nella competizione, ma può essere ignorato. Molti atleti hanno il potenziale per vincere le gare, ma le vinceranno grazie alla squadra.

«La vittoria è un risultato, un elemento fondamentale nella competizione, ma può essere ignorato». Queste parole di Gannat possono sembrare una frase fatta, ma è proprio su questo aspetto che si basa tutto il senso di un team development. Il risultato non è la vittoria o l’obiettivo, ma la formazione di un atleta. Tuttavia per perseguire tutto ciò a nostro avviso è necessario non avere la pressione del risultato stesso. Pressioni che possono arrivare “dai piani alti”, dagli sponsor… ma per farlo servono investimenti specifici. Jumbo Visma, Dsm e la stessa Groupama-Fdj ne sono esempi calzanti, permettono di disinteressarsi della vittoria come unico scopo.

Come emergere in un team WorldTour? Sentite Zanini…

07.02.2023
4 min
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Le parole di Tiberi dall’Australia sembra abbiano dato una scossa al movimento italiano, reduce da una settimana ricca di squilli, da Milan a Ciccone, da Velasco a Consonni. E’ forse presto per dire se saremo più protagonisti in giro per il mondo di quanto sia avvenuto nella passata stagione, ma certamente al di là delle vittorie si vede una forte voglia di emergere, dai più giovani come dai più esperti. C’è voglia di protagonismo ed era questo che si chiedeva, ma come si mette in pratica in team WorldTour ricchissimi di talenti?

Tiberi ha messo in evidenza il tema dei giovani italiani alla ricerca di spazio nei team WorldTour
Tiberi ha messo in evidenza il tema dei giovani italiani alla ricerca di spazio nei team WorldTour

Il frosinate era stato chiaro: «Il ruolo devi guadagnartelo, ma questo non avviene solo in corsa. E’ un processo che dura tutto l’anno, bisogna darsi da fare anche in ritiro, pedalando ma anche fuori dalle corse. Bisogna far vedere di esserci, di avere quella fame necessaria per emergere. Bisogna guadagnarsi la fiducia degli altri, dirigenti come compagni di squadra, dimostrare sempre quel che si vale e soprattutto quel che si vuol fare».

Abbiamo chiesto a Stefano Zanini, diesse dell’Astana e capace da corridore di vincere Amstel, Parigi-Bruxelles e tappe al Giro e al Tour se le strade per il protagonismo sono davvero quelle.

«Bisogna saper miscelare atteggiamento propositivo e umiltà – dice – da parte di chi viene da squadre juniores e Development. Bisogna entrare in punta di piedi, ascoltare ciò che i diesse dicono, guadagnarsi poco a poco la fiducia sul campo. E’ fondamentale anche vivere le esperienze precedenti, nel team Devo in particolare, con lo spirito giusto, per emergere, ma anche per imparare».

Zanini ha avuto una carriera lunga 17 anni con 29 vittorie. Qui il trionfo all’Amstel del ’96
Zanini ha avuto una carriera lunga 17 anni con 29 vittorie. Qui il trionfo all’Amstel del ’96
Quanto conta il carattere per diventare leader?

E’ fondamentale, ma bisogna intendersi bene su che cosa intendiamo per carattere. La troppa esuberanza non va bene. Al pari della troppa timidezza. Bisogna saper ascoltare i più anziani e dall’altra parte saper trasmettere ai più giovani. Saper condividere i momenti cruciali, far capire a chi è nuovo come e quando muoversi. Si cresce lentamente pensando sempre al bene della squadra, lavorando magari perché vinca un altro del proprio team.

Era così anche ai tuoi tempi?

Certamente, è sempre stato così. C’è un punto che è focale: prima o poi l’occasione capita, se la cogli facendo ciò che la squadra dice, sali di livello e presto diventi una “punta”. Ti sei guadagnato la fiducia, gli altri sanno che se corrono per te, ci sono buone possibilità che si arrivi al risultato. E’ vero che poi ogni team ha le sue direttive, ma questo vale un po’ dappertutto.

Lorenzo Milesi, qui nella crono dei mondiali 2022. La Dsm conta su di lui, dopo averlo fatto passare dal team Devo
Lorenzo Milesi, qui nella crono dei mondiali 2022. La Dsm conta su di lui, dopo averlo fatto passare dal team Devo
Molti appassionati hanno però la sensazione che i team WorldTour tendano a privilegiare i corridori di casa…

Non credo ci sia questa tendenza, si guarda chi è più in forma, chi è davvero in grado di garantire il risultato. Poi dipende da tante cose: è chiaro che ad esempio da noi se vince Lutsenko ha un altro ritorno mediatico per gli sponsor, ma quel che conta è che qualcuno vinca, chiunque sia…

Tu sei partito gregario per poi vincere grandi corse. Il tuo esempio è valido ancora oggi?

Penso proprio di sì. Io ho iniziato che tiravo le volate ad Allocchio e Fontanelli – racconta Zanini – l’ho fatto per 4 anni, ma intanto cercavo spazio nelle fughe quando capitava l’occasione. Alla Gewiss ero sia candidato alla vittoria nelle corse che più mi si addicevano, sia ultimo uomo per le volate di Minali. Lo stesso dicasi alla Mapei, ed era una squadra con tanti campioni, ma anche allora l’occasione capitava sempre. Alla fine ho avuto una carriera lunga e devo dire piena di soddisfazioni.

Battistella è già stato protagonista in Spagna. Zanini conta molto sulla sua crescita
Battistella è già stato protagonista in Spagna. Zanini conta molto sulla sua crescita
Era più facile o più difficile allora?

Il principio di base non è cambiato, ci sono grandi campioni oggi come ce n’erano allora. E’ una ruota che gira, verrà di sicuro la gara che si metterà in un certo modo e dovrai farti trovare pronto, cogliere l’opportunità. Un buon leader è anche quello che si mette a disposizione per la squadra, lavorando perché vinca un compagno che magari alla vigilia aveva un altro ruolo. Il team funziona se tutti sono abbastanza duttili, se sanno fare squadra dentro e fuori dalla corsa. Il ciclismo in questo senso è un perfetto esempio di vita.

Giovani corridori e aspettative: come si lavora?

24.01.2023
7 min
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Nel guardare le varie statistiche sui siti di riferimento ci ha colpito la grande differenza che si trova nei giorni di corsa tra i neoprofessionisti: ragazzi giovani che si affacciano al mondo dei grandi. Così abbiamo voluto indagare tra le varie squadre per capire come gestiscono i loro ragazzi. Tra i team selezionati sono rientrati due professional e due WorldTour. 

Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita
Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita

Per la UAE parla Baldato

La prima persona interrogata su questo delicato tema è Fabio Baldato, diesse della squadra degli Emirati. Tra i ragazzi visti dal veneto spicca il nome di Ayuso, spagnolo classe 2002 che alla prima partecipazione alla Vuelta ha chiuso al terzo posto nella classifica generale. 

«Prima di tutto – inizia Baldato – è tutto molto soggettivo, ci sono giovani che hanno bisogno di un ambientamento più lungo. Altri, invece, vedi che sono già pronti, ma anche in questi casi il lavoro da fare è delicato. Ayuso lo abbiamo “rallentato” cercando di tenere la sua esuberanza a bada. Non è il primo corridore già maturo che mi capita tra le mani, in BMC ho avuto Kung e Dillier che erano già pronti. In questi caso noi diesse dobbiamo essere bravi a valutare, non bisogna mai esagerare, spesso i ragazzi giovani non si pongono limiti. Sono più spavaldi, si vede dall’atteggiamento in corsa. Ti ascoltano fino ad un certo punto, predicare va bene ma poi bisogna mettersi nei loro panni. Sono consapevole del fatto che noi diesse possiamo insegnare qualcosa ma quello che rimane è la “batosta”. Ayuso stesso ad inizio 2022 ne ha prese alcune ed è cresciuto».

«Poi ci sono i corridori normali, uno che abbiamo in UAE è Felix Gross. Lui ha fatto lo stagista nel 2021 con dei buoni dati ma senza cogliere risultati. La scorsa stagione ha avuto più continuità ed ha ottenuto un bel quarto posto in una tappa al Giro di Germania. I corridori così vanno sostenuti, anche mentalmente perché devono capire che la loro crescita deve essere graduale e passa prima da corse minori dove imparano ad essere competitivi».

Lato Intermarché

L’Intermarché Circus Wanty ha un progetto di crescita solido da molti anni, al quale ha affiancato anche la nascita del Development team. Valerio Piva, diesse della squadra belga ci racconta anche che relazione hanno tra di loro le due squadre

«La squadra development ha una struttura a parte – spiega – l’obiettivo è prendere ragazzi giovani e far nascere dei corridori. Lo scambio tra una squadra e l’altra ci sarà, lo stesso Busatto farà qualche gara con noi. Per quanto riguarda il team WorldTour l’obiettivo è diverso, i ragazzi giovani che prendiamo arrivano da team professional o continental. Non crediamo nel “salto di categoria” da junior a professionisti, i ragazzi devono fare uno step intermedio: gli under 23. I ragazzi devono imparare a gestire l’impatto della corsa e le diverse tipologie di allenamento. In un ciclismo che viaggia sempre più rapido è bene ricordare che i margini di errore sono al minimo e si rischia di bruciare l’atleta pretendendo qualcosa che non può fare. I giovani che abbiamo nella squadra WorldTour li inseriamo gradualmente, non li vedrete mai partecipare a corse di primo livello». 

«In questa stagione la squadra ha fatto una rivoluzione – continua Piva – prendendo tanti giovani e perdendo corridori di esperienza come Kristoff. Non è che non credessimo in lui, ma abbiamo preferito un progetto più a lungo termine. Non vinceremo tante corse come lo scorso anno ma è una cosa che abbiamo preventivato, fa parte di quello che è il ricambio generazionale. Gerben Thijssen, è un corridore sul quale nel 2022 abbiamo speso molto in termini di uomini e di occasioni. Ha dimostrato qualcosa di buono e quest’anno è chiamato al salto di qualità, ma è stato tutto graduale. Per il suo bene e quello del team».

La visione delle professional

La Green Project Bardiani è la squadra professional che ha un progetto diverso dalle altre, i giovani vengono presi e diventano subito professionisti. Almeno a livello di contratto, poi però all’interno del team si opera una distinzione, creando praticamente due squadre distinte. Rossato diesse di riferimento per questi ragazzi ci spiega il metodo di lavoro e le sue “criticità”. 

«La prima cosa – racconta dalla Vuelta a San Juan – è cercare di non stressare troppo i ragazzi. Quelli che arrivano dall’ultimo anno di juniores hanno la scuola e per loro deve essere una priorità. L’anno scorso a Pinarello e Pellizzari abbiamo costruito un programma idoneo. A livello di ambientamento per loro è un sogno: avere uno staff dedicato ed essere seguiti in questo modo è una bella cosa. Non dimentichiamo che gli juniores l’anno scorso avevano ancora i rapporti bloccati, una volta con noi abbiamo dovuto insegnargli anche a gestire questa cosa. Si è lavorato anche tanto sull’alimentazione, sul peso e l’allenamento. Dettagli che quando sei professionista fanno la differenza. Dai giovani dell’anno scorso abbiamo ottenuto dei bei risultati. Pellizzari e Pinarello, a fine stagione, hanno corso con i professionisti il Giro di Slovacchia e la Tre Valli. Siamo stati molto contenti della loro risposta».

«Chi arriva da noi che ha già fatto qualche stagione da under 23 fa un programma più intenso. Sempre ponderato alle qualità ed al fatto che sono alla prima esperienza con i professionisti. I corridori che possono correre anche da under fanno calendari misti con diverse esperienze. Marcellusi prima di vincere il Piva ha corso in Turchia e la Milano-Torino, due belle palestre per crescere. Tolio è un altro che ha corso molto tra gli under 23 ed i professionisti, aggiungendo al suo calendario corse importanti come Strade Bianche e Lombardia. Sono corse che un ragazzo giovane può guadagnarsi, sono come un premio che arriva alla fine di un bel percorso di crescita».

Ultima parola alla Eolo

La Eolo Kometa ha nella sua idea di team una visione diversa, con due squadre divise: la professional e la under 23. Stefano Zanatta ha lavorato per tanti anni con i giovani e di cose ne ha viste.

«Le nostre due squadre sono direttamente collegate – apre il discorso Zanatta – vedi da subito i ragazzi giovani e ne segui la crescita. Questo perché una volta che passano in prima squadra hai già un’idea di che corridore ti trovi davanti. Io credo che anche i grandi campioni abbiano bisogno di un anno tra gli under 23. Anche in Liquigas, dove avevamo corridori come Kreuziger e Sagan, abbiamo tenuto la stessa ideologia. Prima almeno un anno di esperienza nella categoria giovanile. I corridori possono anche aver talento ma hanno bisogno di una crescita umana e fisica. Anche i nostri giovani che arrivano dalla squadra under 23 avranno bisogno di adattarsi alle corse. Non vogliamo caricarli di pressioni o aspettative troppo alte».

«Il percorso per i ragazzi che arrivano da noi – continua il diesse della Eolo – è di partire da corse più semplici. Poi si passa a quelle di qualità superiore e si prova a vedere come reagisce un ragazzo nel correre da protagonista. Dalla mia esperienza posso dire che un ragazzo arriva ad avere risultati tra i 24 e i 25 anni. Nibali stesso ha fatto tanta esperienza maturando, successivamente ha ottenuto i risultati che tutti conosciamo. Serve un’attività continua ma equilibrata: una cinquantina di giorni di corsa sono giusti. La cosa migliore è dare ai ragazzi delle pause e farli recuperare, senza creare buchi troppo grandi nel calendario, altrimenti si perde il lavoro fatto. Ora ai giovani è concesso meno sbagliare, non è corretto nei loro confronti perché li si sottopone a pressioni maggiori. Forse devi essere più forte mentalmente per fare il corridore ora».