Search

EDITORIALE / Per raccontare il ciclismo non bastano i social

04.07.2022
7 min
Salva

Diciassette anni di differenza e in mezzo un mondo. Stefano Garzelli, nato nel 1973, Moreno Moser nel 1990. Entrambi professionisti, sia pure con carriere diverse. Entrambi opinionisti televisivi. Garzelli, da più anni, in questi giorni è in Francia con la Rai, assieme a Rizzato e Pancani. Moser, fresco di microfono, è negli studi di Eurosport con Gregorio e Magrini, pure loro impegnati a raccontare il Tour. Entrambi sono piuttosto attivi sui social.

«Ma proprio i social – diceva Garzelli qualche giorno fa – hanno isolato ancora di più i corridori. Mi rendo conto anche io quanto sia diventato difficile parlarci. Per averne qualcuno ospite al Processo alla Tappa, sia pure virtualmente, era ogni giorno un’impresa. Sembra che vivano il confronto col giornalista come una seccatura, preferiscono restare nel loro mondo. Io ero contento dopo la corsa di andarmi a raccontare e spiegare, oggi credono che bastino i social. Con alcuni di loro ne parlo. E gli dico: attenti, perché quando smetteranno di cercarvi, significa che la carriera sarà finita. E allora vi mangerete le mani».

Dopo aver fatto il Giro, Garzelli è al Tour accanto a Stefano Rizzato
Dopo aver fatto il Giro, Garzelli è al Tour accanto a Stefano Rizzato

Campioni e social

Del tema ieri hanno parlato anche gli amici di Eurosport, cercando di capire in che modo si possa rendere il ciclismo attrattivo per gli italiani più giovani. Si parlava della possibile Grand Depart di un Tour dall’Italia e ci si chiedeva se sulle strade vedremo mai la tanta gente che nei giorni scorsi ha orlato le strade danesi. Lassù infatti la popolarità del ciclismo non sembra tema da dibattere, da quando si è fatto della bici uno strumento di vita e benessere quotidiano.

«Una volta – ha detto Moser – avevamo sei canali tivù uguali per tutti. Avevamo tutti gli stessi accessi all’informazione. Oggi ci sono centinaia di app e siti e ciascuno segue quel che più gli piace. C’è il rischio che i più giovani neppure sappiano che cosa sia il Tour e che possa partire dall’Italia. Per cui il modo di rendere attrattivo un evento è che lo siano in primis i campioni. Vincere è importante, ma conta più il modo in cui si vince. Servono campioni in grado di coinvolgere i tifosi anche con i loro social. Il pubblico è tifoso. E per chi investe una delle prime discriminanti è se la persona in oggetto sia davvero forte sui social».

Con questa locandina dedicata ai suoi 4 Moschettieri, Eurosport celebra Magrini, Moser, Belli e Gregorio
Con questa locandina dedicata ai suoi 4 Moschettieri, Eurosport celebra Magrini, Moser, Belli e Gregorio

Il lavoro del giornalista

Il tema è chiaramente complesso e investe ogni ambito della società. Si può fare buona informazione, ma se non si è capaci di condividerla bene sui social, potrebbe restare lettera morta. Al contrario, si può essere forti sui social, ricorrendo a mille sistemi (titoli fake e notizie distorte) e ugualmente non avere niente da dire.

Chiedere a Mozzato, Dainese e con quale spirito si approcciano al Tour o a Fiorelli le motivazioni che lo spingeranno al Sibiu Tour fa sì che davanti ai risultati che seguiranno, il lettore capace di collegare i puntini, avrà un’idea completa e magari potrà capire lo sfogo, l’esultanza, le lacrime e le reazioni in genere.

Il lavoro del giornalista, se fatto bene, è più complesso del semplice mitragliare notizie. Perché se a questo si limita, va in rotta di collisione con il flusso di notizie che arriva dai social. Spesso stringate, al massimo colorite, ma prive di un punto di vista critico che possa inserirle nel contesto più ampio in cui si generi l’approfondimento e si stimoli la conoscenza.

Questione di punti di vista

Gli atleti sono influencer. Parlano di sé, a volte danno opinioni su altro, ma ciascuno col suo device in mano offre del mondo un punto di vista parziale. Il proprio, ovviamente. Alcuni sono particolarmente lucidi e le loro frasi meritano approfondimenti, altri sentenziano e non offrono margini.

Dopo la volata di ieri al Tour, Sagan non ha postato una sola riga sull’insulto gridato a Van Aert. Ha scritto di un’altra tappa veloce e dell’attesa della prossima. Van Aert, cui il terzo piazzamento avrà dato sui nervi, non ha proprio toccato l’argomento.

A farsela bastare, si potrebbe pensare che non sia successo niente, ma si perderebbe l’occasione di intercettare quel che magari succederà la prossima volta.

Nessun cenno sui social di Sagan di questo gesto: giusto stemperare le tensioni
Nessun cenno sui social di Sagan di questo gesto: giusto stemperare le tensioni

Tra fare ed essere

La differenza non la fa l’esplodere dei canali, ma la qualità dell’informazione. Quando i canali e i giornali erano pochi, si poteva sperare che anche la selezione degli addetti ai lavori fosse severa. Fare l’inviato al Tour era motivo di vanto, una cosa per pochi, quasi un punto di arrivo. Ti mandava il direttore, non decidevi di andarci da te. Oggi che basta registrare un dominio per definirsi giornalisti, c’è chi si prende le ferie dal suo lavoro vero e va a fare l’inviato in Francia. E’ la stessa cosa? Oggi che il gruppo è pieno di ragazzini fatti passare per necessità di numero, siamo certi che si possa davvero definirli professionisti?

E’ vero, come dice Garzelli, che i social hanno isolato i corridori. E’ lo stesso meccanismo per cui dopo il COVID milioni di ragazzi al mondo sono diventati isole. Vivono là dentro e pensano che sia tutto, ci sono psicologi che studiano e non se ne viene a capo. Ma è anche vero, tornando al ciclismo, che l’informazione polemica e faziosa li ha resi spesso diffidenti.

E’ molto cambiata anche la composizione della sala stampa del Tour
E’ molto cambiata anche la composizione della sala stampa del Tour

Fra social e media

Solo con i social dei campioni non si vince la battaglia. Certamente, se non ci fossero, mancherebbe comunque un pezzo. Ma il pubblico ha diritto all’approfondimento, che spieghi e renda più attrattivo quello che vede sui social, sulle strade o in televisione.

I corridori forti sui social sono quelli che prima di tutto sono forti sulla strada. Il resto, come certi titoli o l’abitudine di sparare notizie bomba (esponendosi a smentite dai diretti interessati sui social che si cerca di cavalcare), destabilizza il sistema e lo mina alla base. Spinge i corridori a non fidarsi e accentua la deriva di cui hanno parlato con diversi argomenti Garzelli e Moser. Il primo, avendo visto com’era prima. Il secondo, avendone sentito parlare ma senza averlo troppo sperimentato. Non esistono percorsi irreversibili, bisogna essere capaci di starci dentro, con onestà e bontà d’animo, cogliendone le possibilità.

EDITORIALE / Giornalisti al Giro, tra regole e furbetti

23.05.2022
5 min
Salva

Il pezzo scritto da Gianfranco Josti e pubblicato giusto ieri è stato una piccola scossa. Forse se non l’avessimo letto, non avremmo scritto questo Editoriale. Parlandone fra colleghi al Giro, ci siamo resi conto infatti di quante condizioni… avverse abbiamo accettato per lavorare nel ciclismo al tempo del Covid. E di come ora che il Governo ha tolto le varie restrizioni, continuiamo a subirle. C’è chi lavora in condizioni ben peggiori, sia chiaro, ma avendo a cuore la qualità di ciò che produciamo, ci rendiamo conto di operare con il gas tirato.

Un Giro vietato

Josti ha ricordato le chiacchierate e gli approfondimenti ai bus prima del via: vietati. Ha ricordato le interviste fatte durante i massaggi, in quei lunghi momenti in cui davvero il corridore si lascia andare: vietate. Ha parlato delle conferenze stampa virtuali, che oggi nel giorno di riposo si rincorreranno sul web grazie al ponte effettuato da RCS Sport, mentre fino al 2019 il riposo era il modo di frequentare gli hotel delle squadre, scambiando parole in libertà che sarebbero servite nel seguito della corsa per costruire racconti e approfondimenti più sostanziosi.

Di una cosa non si è accorto Josti o non ha voluto scriverlo. Il tanto invidiato accredito che ci permetteva di passare fra i corridori abbreviando i tempi di percorrenza, ormai ha esaurito i superpoteri. Se vuoi andare al foglio firma per accedere alla zona mista, dove si fanno le interviste alla partenza, devi farlo solcando il meraviglioso popolo dei tifosi. Niente di male, serve anche per rendersi conto dei viottoli lasciati a sua disposizione, ma ancora una volta allunga i tempi e rende difficoltoso il lavoro. Sulla strada della corsa i giornalisti non possono più passare, mentre non si batte ciglio ad esempio per la banda dei bersaglieri. A impedirti il passaggio, degli uomini vestiti di nero che si esaltano nell’esercitare il loro potere. Mentre come tifosi esclusi dallo stadio, ci sono colleghi che con mezzi e mezzucci cercano di intrufolarsi. Anche in questo si perde la dignità.

Squadre scontente

Al Giro d’Italia e in tutte le corse RCS è così. Ne fanno le spese i colleghi incolpevoli dell’ufficio stampa che lavorano con noi e per noi, che si fanno in quattro e sono spesso costretti a giustificare decisioni prese altrove. Interpellato in merito nei giorni scorsi, il direttore Mauro Vegni ha detto che si proverà a invertire la tendenza in quest’ultima settimana: gliene saremmo eternamente grati. Lo sarebbero anche le squadre, che si sono viste respingere le richieste di accredito per i loro sponsor: quelli che pagano gli stipendi e vorrebbero godere dello spettacolo dal suo interno. Nel resto del mondo, dalla Turchia alla Francia, passando per Belgio e Olanda, certe restrizioni sono state eliminate. Tanto che nelle più recenti Freccia Vallone e Liegi si è potuto lavorare come una volta.

La motivazione addotta da RCS Sport è che il presidente Lappartient avrebbe richiesto di tenere gli atleti nella bolla: ma di quale bolla parliamo se poi negli hotel i corridori sono in mezzo alla gente e si fermano per fare le foto andando alla partenza? L’Uci ha semplicemente consigliato di attenersi alle normative dei Paesi ospitanti. E la normativa italiana ha eliminato certi vincoli.

Però c’è un però. RCS Sport deve attenersi alla normativa UCI, così come l’ASO e gli altri enti organizzatori. Se è vero che per ogni infrazione alle normative tecniche vengono spiccate multe salate, viene da pensare chi i francesi paghino oboli salatissimi all’autorità costituita o che i criteri di controllo siano difformi.

Mauro Vegni ha detto che per l’ultima settimana si lavorerà a un cambiamento: è il desiderio di tutti
Mauro Vegni ha detto che per l’ultima settimana si lavorerà a un cambiamento: è il desiderio di tutti

Un altro sport

Eppure c’è chi da questa situazione scomoda trae beneficio. Quelli che stanno a casa e raccontano ai lettori che sono al Giro e alle altre corse. Quelli che grazie alla possibilità di accedere alle conferenze stampa virtuali hanno gli stessi… privilegi di chi investe e manda i suoi giornalisti sulle strade delle corse, per offrirne uno spaccato più avvincente. Quelli che in qualche modo anziché raccontare, fanno i furbi grazie a un sistema che glielo consente.

Ecco la mail con i link per le conferenze stampa di oggi. Anche chi è a casa può accedervi
Ecco la mail con i link per le conferenze stampa di oggi. Anche chi è a casa può accedervi

Così facendo però il ciclismo cambia. Se lo si sposta sul terreno del virtuale, non ha più senso investire per mandare inviati, si perde il gusto del racconto e si finisce per offrire al pubblico e di riflesso agli sponsor un prodotto povero e standardizzato. Se tutti scrivono le stesse cose, il Giro ne trae vantaggio? Il ciclismo e il racconto che lo seguiva erano un’altra cosa. Facciamo tutti in modo che tornino a esserlo?